“La normativa italiana, che non impone misure di prevenzione e di riparazione a carico dei proprietari non responsabili dell’inquinamento dei loro terreni, è compatibile con il diritto dell’Unione. A loro carico, gli Stati membri sono liberi di prevedere, allorché tali misure sono adottate dalle autorità, una responsabilità solo patrimoniale”.
Così ha statuito la terza sezione della Corte di Giustizia Europea nella sentenza del 4 marzo nella causa C‑534/13 avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte vertente sull’interpretazione dei principi del diritto dell’Unione in materia ambientale, segnatamente i principi del «chi inquina paga», di precauzione, dell’azione preventiva e della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente.
Nel dettaglio, tra il 2006 e il 2001, alcune società sono divenute proprietarie di diversi terreni situati nella provincia di Massa Carrara, in Toscana. Detti terreni erano gravemente contaminati da sostanze chimiche in seguito alle attività economiche svolte dai precedenti proprietari, appartenenti ad un noto gruppo industriale, i quali producevano in tali siti insetticidi e diserbanti. Ancorché i nuovi proprietari non fossero autori della contaminazione, le autorità italiane hanno ordinato loro di realizzare una barriera idraulica di emungimento per la protezione della nappa freatica.
Il Consiglio di Stato, adito in appello con ricorsi avverso le corrispondenti decisioni amministrative, ha constatato che la legislazione italiana non consente di imporre al proprietario non responsabile della contaminazione la realizzazione di misure di prevenzione e di riparazione e limita la sua responsabilità patrimoniale al valore del suo terreno. Il Consiglio di Stato ha dunque chiesto alla Corte di giustizia se tali norme nazionali siano compatibili con il principio «chi inquina paga» cui dà attuazione la direttiva.
Nella sentenza del 4 marzo la Corte di Giustizia Europea ha risposto che la normativa italiana è conforme alla direttiva.
Per giungere a tale conclusione la Corte ricorda la costante giurisprudenza in base alla quale il principio «chi inquina paga» (articolo 191, paragrafo 2, TFUE), si rivolge all’azione dell’Unione, cosicché tale disposizione non può essere invocata in quanto tale da privati o da autorità amministrative.
La Corte si dedica, quindi, all’analisi dei presupposti della responsabilità ambientale, quali previsti nella direttiva, soffermandosi, in particolare, sulla nozione di «operatore» e sulla necessità della sussistenza di un nesso causale tra l’attività dell’operatore e il danno ambientale.
A tal proposito, la Corte precisa che le persone diverse dagli operatori non rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva e che, quando non può essere accertato alcun nesso causale tra il danno ambientale e l’attività dell’operatore, tale situazione non rientra nel diritto dell’Unione, bensì nel diritto nazionale.
Per ulteriori approfondimenti si allega il testo della sentenza