La Corte Costituzionale ha reso noto con un comunicato stampa che “in relazione alle questioni di legittimità costituzionale sollevate con le ordinanze R.O. n. 76/2014 e R.O. n. 125/2014, ha dichiarato, con decorrenza dalla pubblicazione della sentenza, l’illegittimità costituzionale sopravvenuta del regime del blocco della contrattazione collettiva per il lavoro pubblico, quale risultante dalle norme impugnate e da quelle che lo hanno prorogato.
La Corte ha respinto le restanti censure proposte”.
E’ stata dunque bocciata la norma emanata dal Governo Monti ben quattro anni fa che aveva deciso di congelare gli stipendi dei pubblici dipendenti dal 2011 al 2013; la disposizione è stata poi prorogata per il 2014 dal governo Letta e, infine, per tutto il 2015 da Renzi.
In particolare la norma (Art. 9, c. 1°, 2° bis, 17° e 21° decreto legge 31/05/2010 n. 78, convertito con modificazioni in legge 30/07/2010 n. 122) ha disposto il blocco dell’indicizzazione (ossia dell’adeguamento all’inflazione) degli stipendi dei pubblici dipendenti, pertanto per gli anni 2011-2015, il trattamento economico complessivo dei dipendenti pubblici non è cresciuto nè si è adeguato al paniere ISTAT, rimanendo lo stesso di quello già erogato per l’anno 2010.
La Corte costituzionale, con la decisione su citata, ha dunque dichiarato l’illegittimità di tale norma con decorrenza però dalla pubblicazione della sentenza. L’illegittimità dunque non ha efficacia retroattiva. In questo modo la Corte ha limitato i danni per il Governo, che non dovrà rimborsare le differenze stipendiali pregresse.
Si attende la pubblicazione della sentenza per leggerne le motivazioni.