Il Tar Campania, con sentenza 4865 del 14 ottobre 2015, ha condannato una PA a risarcire i danni patrimoniali e non patrimoniali ai ricorrenti, compresa la lesione dell’onorabilità, per aver instaurato ingiustamente un procedimento penale contro di essi.
I giudici in primo luogo hanno rilevato che “ai fini della configurabilità della responsabilità aquiliana ex art. 2043, c.c. della Pubblica amministrazione … devono ricorrere i presupposti del comportamento colposo, del danno ingiusto e del nesso di consequenzialità; quanto all’imputazione della colpa alla Pubblica amministrazione, essa non può avvenire sulla base del mero dato obiettivo dell’illegittimità dell’atto amministrativo, essendo tenuto il giudice, malgrado l’intervenuto annullamento dell’atto, a svolgere una più penetrante indagine estesa alla valutazione della colpa non del funzionario agente, ma della Pubblica amministrazione come apparato, configurabile soltanto nel caso in cui l’adozione dell’atto illegittimo sia avvenuto in violazione delle regole d’imparzialità, correttezza e buona amministrazione” (Cons. di St., sez. V, 28 settembre 2015, n. 4508).
Nel caso di specie, i giudici hanno identificato l’evento dannoso, nell’essere stati i ricorrenti indebitamente destinatari, prima, di ordinanze di riduzione in pristino stato pur non essendo a ciò tenuti, e, successivamente -con maggiore incisione sui valori fondamentali quali quelli alla difesa personale, all’onore e alla reputazione-, di un decreto penale di condanna all’ammenda adottato sulla base di provvedimenti fondati su erronei presupposti di fatto -in quanto traenti origine da un’incompleta e superficiale istruttoria compiuta dagli organi tecnici e amministrativi comunali all’uopo preposti, negligentemente trasmessi, prima dei necessari approfondimenti, all’A.G..
Per tali motivi, ad avviso dei giudici amministrativi campani, appare indubbio, quanto al danno non patrimoniale, che l’onorabilità degli attuali ricorrenti, –da intendersi sia quale complesso delle condizioni dalle quali dipende il valore sociale che come insieme delle doti fisiche, morali e intellettuali della persona, entrambi beni fondamentali costituzionalmente tutelati (art. 3 Cost.)-, sia stata, secondo l’id quod plerumque accidit, sensibilmente pregiudicata dall’instaurazione di un procedimento penale attivato sulla base di un provvedimento fondato su informativa carente quanto all’individuazione del soggetto effettivamente obbligato al ripristino, in definitiva, iniziato in assenza di compiuto accertamento circa la manifesta responsabilità o titolarità dell’onere in capo agli attuali ricorrenti.
Pertanto, il Tar Campania, ritenendo i danni riportati dai ricorrenti ingiusti, ha condannato l’Amministrazione a risarcire i danni patrimoniali e non patrimoniali ai ricorrenti.
Di seguito il testo della sentenza.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 773 del 2008, proposto da:
Rosano Anna Maria e Rosano Lorenzo, rappresentati e difesi dall’avv. Cristina Marano, con domicilio eletto presso Cristina Marano in Napoli, Via A. Depretis, 102;
contro
Comune di Caivano, rappresentato e difeso dall’avv. Giuliano Agliata, con domicilio eletto presso Giuliano Agliata in Napoli, Via G. Porzio C. Dir. Isola G 8;
per l’accertamento
– del diritto al risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali, sofferti dai ricorrenti a seguito dell’adozione dell’ordinanza n. 188 del 27.07.2004 e della diffida n. 378 del 12.04.2005, entrambe intimanti la pulizia del fondo mediante rimozione dei rifiuti abbandonati e la bonifica area;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Caivano;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 16 luglio 2015 la dott.ssa Gabriella Caprini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
I. I ricorrenti agiscono in riassunzione per l’accertamento del risarcimento dei danni patiti a seguito dell’adozione di provvedimenti illegittimi, nella specie, dell’ordinanza sindacale contingibile e urgente e della successiva diffida ad adempiere entrambe volte a ottenere la pulizia e il ripristino dell’igienicità e della salubrità della parte di fondo, erroneamente ritenuta ancora in possesso e nella piena disponibilità dei medesimi, la cui adozione avrebbe, in particolare, comportato, ingiustamente, l’adozione, nei rispettivi confronti, del decreto penale di condanna alla pena di €. 1.400, ciascuno, per i reati di cui all’art. 50, comma 2, in relazione all’art. 14, comma 3, del d.lgs. n. 22/1997.
Chiedono, nello specifico, sia riconoscimento dei danni patrimoniali, sostanzialmente riconducibili alle spese sopportate nel giudizio penale (€. 3.060,00, ciascuno) e alla parcella liquidata al tecnico di fiducia per la perizia giurata posta alla base dell’annullamento, in via di autotutela, dei provvedimenti citati (€. 2.371,20), sia il risarcimento, secondo equità, dei pregiudizi derivanti dalla lesione ai diritti della persona quali, oltre al diritto alla difesa e alla partecipazione procedimentale, quelli attinenti all’onore, alla reputazione e alla serenità psichica, compromessi dall’ingiusta condanna in sede penale.
II. Si è costituita l’Amministrazione comunale intimata, concludendo per il rigetto del ricorso.
III. All’udienza pubblica del 16.07.2015, fissata per la discussione, la causa è stata trattenuta in decisione.
IV. Il ricorso è fondato nei termini di seguito esposti.
V. Occorre premettere in fatto che:
a) con decreto del Prefetto della provincia di Napoli, n. 40722 del 17.10.2001, veniva autorizzata l’occupazione d’urgenza in favore del Consorzio IRICAV UNO di parte (per mq. 304) del fondo agricolo, in comproprietà dei ricorrenti (mq. 4.850, fg. 26, p.lla 37), in prospicenza della strada comunale, per la realizzazione della linea Alta velocità Roma Napoli;
b) emessa la prima ordinanza sindacale, n. 188 del 9.07.2004, gli istanti, accertato che i rifiuti da rimuovere insistevano sulla porzione di terreno occupata dal Consorzio, eccepivano, prima, in data 26.08.2004, e, poi, in data 9.11.2004, l’assenza di ogni responsabilità in ordine all’abbandono nella parte di suolo non più in loro possesso e, dunque, il difetto di legittimazione passiva ad essere destinatari dell’ordinanza sindacale, invitando lo stesso Comune a effettuare un sopralluogo onde verificare l’esatta ubicazione dei rifiuti;
c) a seguito di ulteriore diffida, n. 378 del 12.04.2005, rimasta, per i sovra detti motivi, inadempiuta, veniva adottato, nei confronti dei ricorrenti, decreto penale di condanna all’ammenda, per ciascuno, di 1.140,00 (n. 2286/2005);
d) depositata presso gli uffici dell’Amministrazione specifica perizia giurata, dalla quale era possibile rilevare che la zona di scarico dei rifiuti riguardava esclusivamente la porzione di terreno oggetto di occupazione da parte del Consorzio, i medesimi organi comunali provvedevano a espletare uno specifico sopralluogo nel corso del quale emergeva che, effettivamente, i rifiuti erano presenti esclusivamente nella parte di suolo, mq. 304, interessata dalla procedura ablativa;
e) il Comune, pertanto, con provvedimento del 26.07.2005, adottava l’ordinanza n. 442, con la quale, contestualmente, provvedeva, da un lato, a ordinare al Consorzio de quo la pulizia del fondo e, dall’altro, a revocare, in via di autotutela, le precedenti ordinanze emesse nei confronti dei ricorrenti.
VI. Ciò posto, ritiene il Collegio che siano ravvisabili tutti gli elementi costituitivi per poter configurare, in capo all’Amministrazione comunale, una responsabilità di tipo extracontrattuale, fondata sul generale principio del neminem laedere.
A tal proposito si premette che, “ai fini della configurabilità della responsabilità aquiliana ex art. 2043, c.c. della Pubblica amministrazione … devono ricorrere i presupposti del comportamento colposo, del danno ingiusto e del nesso di consequenzialità; quanto all’imputazione della colpa alla Pubblica amministrazione, essa non può avvenire sulla base del mero dato obiettivo dell’illegittimità dell’atto amministrativo, essendo tenuto il giudice, malgrado l’intervenuto annullamento dell’atto, a svolgere una più penetrante indagine estesa alla valutazione della colpa non del funzionario agente, ma della Pubblica amministrazione come apparato, configurabile soltanto nel caso in cui l’adozione dell’atto illegittimo sia avvenuto in violazione delle regole d’imparzialità, correttezza e buona amministrazione” (Cons. di St., sez. V, 28 settembre 2015, n. 4508).
In particolare, con riferimento al profilo maggiormente contestato, “i fattori che valgono ad escludere la colpa e, quindi, la responsabilità dell’Amministrazione per i danni causati da un provvedimento illegittimo, sono quelli attinenti all’esistenza di contrasti giurisprudenziali nell’interpretazione e nell’applicazione delle norme di riferimento, alla formulazione poco chiara o ambigua delle disposizioni che regolano l’attività amministrativa considerata, alla complessità della situazione di fatto oggetto del provvedimento e alle pertinenti difficoltà istruttorie e all’illegittimità derivante dalla successiva dichiarazione di incostituzionalità della norma applicata con l’atto lesivo; in altri termini, per la configurabilità della colpa dell’Amministrazione, ai fini dell’accertamento della sua responsabilità aquiliana, occorre avere riguardo al carattere della regola di azione violata: se la stessa è chiara, univoca, cogente, si dovrà riconoscere la sussistenza dell’elemento psicologico nella sua violazione; al contrario, se il canone della condotta amministrativa giudicata è ambiguo, equivoco o, comunque, costruito in modo tale da affidare all’Autorità amministrativa un elevato grado di discrezionalità, la colpa potrà essere accertata solo nelle ipotesi in cui il potere è stato esercitato in palese spregio delle regole di correttezza e di proporzionalità. Ed infatti, a fronte di regole di condotta inidonee a costituire, di per sé, un canone di azione sicuro e vincolante, la responsabilità dell’Amministrazione potrà essere affermata nei soli casi in cui l’azione amministrativa ha disatteso, in maniera macroscopica ed evidente, i criteri della buona fede e dell’imparzialità, restando ogni altra violazione assorbita nel perimetro dell’errore scusabile” (Cons. di St., sez. III, 28 luglio 2015, n. 3707).
VI.1. Tanto premesso, sussiste, nel caso di specie, una lesione, correlata all’interesse legittimo al corretto esercizio della potestà pubblica, che ha interessato una posizione giuridica soggettiva tutelata dall’ordinamento, ed essa è configurabile quale conseguenza diretta e immediata del fatto illecito – segnatamente degli atti amministrativi riconosciuti illegittimi (T.A.R. Friuli-Venezia Giulia, Trieste, sez. I, 10 novembre 2014 n. 538).
VI.2. Con precipuo riferimento all’evento dannoso, infatti, esso deve essere identificato nell’essere stati i ricorrenti indebitamente destinatari, prima, di ordinanze di riduzione in pristino stato pur non essendo a ciò tenuti, e, successivamente -con maggiore incisione sui valori fondamentali quali quelli alla difesa personale, all’onore e alla reputazione-, di un decreto penale di condanna all’ammenda adottato sulla base di provvedimenti fondati su erronei presupposti di fatto -in quanto traenti origine da un’incompleta e superficiale istruttoria compiuta dagli organi tecnici e amministrativi comunali all’uopo preposti (Comando dei VV.UU. e responsabile del settore Ambiente)-, negligentemente trasmessi, prima dei necessari approfondimenti, all’A.G..
Invero, appare indubbio, quanto al danno non patrimoniale, che l’onorabilità degli attuali ricorrenti, -da intendersi sia quale complesso delle condizioni dalle quali dipende il valore sociale che come insieme delle doti fisiche, morali e intellettuali della persona, entrambi beni fondamentali costituzionalmente tutelati (art. 3 Cost.)-, sia stata, secondo l’id quod plerumque accidit, sensibilmente pregiudicata dall’instaurazione di un procedimento penale attivato sulla base di un provvedimento fondato su informativa carente quanto all’individuazione del soggetto effettivamente obbligato al ripristino, in definitiva, iniziato in assenza di compiuto accertamento circa la manifesta responsabilità o titolarità dell’onere in capo agli attuali ricorrenti.
Va altresì, tenuto conto, quanto, invece, ai profili prettamente patrimoniali della lesione, che, gli attuali ricorrenti, al fine di superare l’errato accertamento in fatto degli organi comunali e sollecitare, conseguentemente, l’esercizio del potere di annullamento in autotutela degli atti illegittimi, si sono dovuti rivolgere a tecnico di fiducia, incaricato di determinare, tramite apposita relazione, l’esatta ubicazione dei luoghi, la titolarità dei diritti ivi insistenti e la contestata allocazione dei rifiuti da smaltire.
I danni riportati, tutti derivanti da un comportamento contrario al diritto (contra ius) concretantesi, nella specie, in un cattivo esercizio del potere, devono qualificarsi come ingiusti.
VI.3. Emblematica, invece, ai fini dell’individuazione dei profili di responsabilità in capo all’Amministrazione resistente, è la dettagliata ricostruzione degli avvenimenti che precede la nuova ingiunzione, questa volta, nei confronti del Consorzio IRICAV UNO, General Contractor della Treno Alta Velocità (TAV) S.p.a..
VI.3.1. Invero, emessa la prima ordinanza sindacale del 9.07.2004 intimante la rimozione de quo, veniva trasmessa la prima comunicazione di notizia di reato per omessa ottemperanza (nota n. 8956 del 14.10.2004 del locale Comando VV.UU.) nonostante i ricorrenti avessero già comunicato, in data 26.08.2004, di non essere più nella disponibilità di parte del lotto per essere lo stesso stato occupato con decreto prefettizio n. 40722 del 17.10.2001.
All’ulteriore nota del 9.11.2004, prot. n. 18875, con la quale gli stessi ricorrenti chiedevano un sopralluogo atto a verificare l’esatta ubicazione dei rifiuti in modo da attribuirne l’onere della rimozione al legittimo possessore, non seguivano gli opportuni accertamenti ma una seconda diffida allo sgombero, con ordinanza sindacale n. 378/AM del 12.04.2005, e la trasmissione, per inottemperanza anche a quest’ultima, di una nuova comunicazione di reato (nota n. 3005 del 18.05.2005 del responsabile della P.M.).
VI.3.2. Avviato ormai il procedimento penale, solamente a seguito dell’ulteriore istanza dei ricorrenti, datata 25.05.2005, prot. n. 8199, di richiesta di revoca dei provvedimenti citati, prodotta unitamente a una relazione tecnica di parte tesa a individuare il confine delle proprietà, il responsabile del settore Ambiente, a seguito di proprio sopralluogo, constatava che effettivamente i rifiuti erano presenti sulla parte di suolo oggetto dell’espropriazione a favore del Consorzio (nota prot. n. 150 AM del 20.06.2005, diretta, per conoscenza, al responsabile della P.M.). Veniva pertanto avviato il procedimento volto al ritiro delle ordinanze riconosciute illegittime.
VI.3.3. Ora, nel comportamento complessivamente tenuto dall’Amministrazione comunale deve ravvisarsi il ricorrere dell’elemento soggettivo proprio della colpa, intesa non tanto e non solo in termini di negligenza e imperizia del singolo funzionario preposto quanto quale imputabilità soggettiva della P.A., valutata come apparato, essendo stata l’adozione degli atti illegittimi, riconosciuti come tali anche dall’Amministrazione intimata, avvenuta in violazione delle regole d’imparzialità, correttezza e di buona amministrazione alle quali deve, invece, essere improntato l’esercizio della pubblica funzione.
VI.4. Con riferimento, infine, al nesso di causalità, l’utilizzo del criterio della cd. causalità adeguata che, nella serie causale, attribuisce rilievo agli eventi che non appaiano, a una valutazione ex ante, del tutto inverosimili nella determinazione dell’evento, consente di affermare che la verificazione della lesione lamentata è, secondo un giudizio di alta probabilità vicina alla certezza, ascrivibile alle carenze istruttorie e motivazionali riconducibili al comportamento dell’Amministrazione comunale intimata senza le quali alcun procedimento, sia esso amministrativo o penale, sarebbe stato instaurato.
VII. Tanto premesso, quanto alla quantificazione del danno il Collegio ritiene opportuno svolgere le seguenti valutazioni.
VII.1. Non può, in primo luogo, essere riconosciuta la rifusione delle spese processuali in cui sono incorse le parti nella difesa in giudizio in sede di opposizione al decreto penale di condanna, essendo tali oneri strettamente attinenti a tale giudizio nell’ambito del quale possono trovare, se del caso e a seguito degli approfondimenti in fatto compiuti in tale sede, il dovuto riconoscimento.
VII.2. Quanto ai danni patrimoniali e non patrimoniali evidenziati, si valuta, invece, equo liquidare il risarcimento per i pregiudizi subiti in complessivi €. 3.000,00 (tremila/00), tenendo, in particolare conto, quanto all’instaurato giudizio in sede penale, che lo stesso non risulta, allo stato, definito.
VII.3. Ciò posto, l’obbligazione risarcitoria per responsabilità extracontrattuale e aquiliana costituisce “un debito non di valuta ma di valore sicché, anche in sede di liquidazione equitativa dei danni predetti, deve tenersi conto della svalutazione monetaria frattanto intervenuta, senza necessità che il creditore alleghi o dimostri il danno maggiore ai sensi dell’art. 1224 comma 2 c.c. (danni nelle obbligazioni pecuniarie); su tale somma, rivalutata anno per anno secondo gli indici dei prezzi al consumo per le famiglie d’operai e impiegati calcolati dall’ISTAT su base nazionale, decorrono gli interessi nella misura legale, atteso che la rivalutazione e gli interessi sulla somma rivalutata adempiono funzioni diverse: la prima mira a ripristinare la situazione patrimoniale del danneggiato quale era prima dell’evento pregiudizievole, i secondi hanno natura compensativa e sono, quindi, giuridicamente compatibili” (T.A.R. Piemonte, Torino, sez. I, 3 dicembre 2013, n. 1299).
Per quanto concerne la data di realizzazione del fatto illecito, essa deve farsi risalire all’adozione del primo atto lesivo da individuarsi nel giorno di emissione dell’ordinanza contingibile e urgente, n. 188 del 9.07.2004 (solo notificata il 27.09.2004).
VIII. In conclusione, sulla base delle considerazioni svolte, il ricorso va accolto, potendosi formulare un giudizio d’imputabilità soggettiva, a titolo di colpa, dell’apparato amministrativo procedente, derivante, cioè, da un difettoso funzionamento riconducibile a un comportamento negligente e in contrasto con le prescrizioni di legalità, imparzialità e buon andamento di cui all’art. 97 Cost. tale, in definitiva, da fare apprezzare la presenza di un danno risarcibile nei termini indicati (T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 6 novembre 2013, n. 9470).
IX. Le spese di giudizio seguono la regola della soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Quinta) pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto:
a) accerta il diritto al risarcimento del danno nei termini di cui in motivazione;
b) condanna l’Amministrazione comunale al pagamento in favore dei ricorrenti, della somma di €. 3.000,00 (tremila/00), oltre, a decorrere dalla data del fatto illecito, a svalutazione monetaria e interessi legali sino alla data del soddisfo;
c) condanna la medesima Amministrazione intimata al pagamento, in favore delle parti ricorrenti, delle spese di giudizio, quantificate in €. 1.000,00 (mille/00), oltre C.P.A. e I.V.A..
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 16 luglio 2015 con l’intervento dei magistrati:
Luigi Domenico Nappi, Presidente
Paolo Marotta, Consigliere
Gabriella Caprini, Primo Referendario, Estensore
L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 16/10/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)