Il Consiglio di Stato, con la sentenza 4939 del 28 ottobre 2015, ha precisato che l’assunzione di prove testimoniali è ammessa nel giudizio amministrativo attinente rapporti di lavoro, ma deve essere precisa nell’indicare i nominativi dei testi da escutere con i contenuti delle domande e non potendosi limitare ad un mero rinvio a quanto riportato nel ricorso di primo grado.
La ricorrente chiedeva che venisse riconosciuta la natura di rapporto di lavoro subordinato, con un determinato ente, in riferimento ad un’apparente serie di contratti di locazione d’opera quale inserviente di III livello per la refezione scolastica presso la mensa per gli anziani, nelle scuole materne ed elementari dell’istituto magistrale e presso alcuni uffici comunali, in quanto tale serie di contratti ex art. 2222 c.c. eludeva le norme in materia di rapporto di lavoro subordinato con tutte le conseguenze di legge, poiché risultava un suo stabile e continuativo inserimento nell’organizzazione pubblica dell’Ente, tutte le caratteristiche del vincolo di subordinazione con la sottoposizione ad ordini e direttive e la dovuta osservanza dell’orario di lavoro predeterminato.
Nella sentenza il Collegio, ha chiarito che non può considerarsi indice rivelatore la predeterminazione dell’orario di servizio, elemento del tutto compatibile con i contenuti di un contratto d’opera ed altrettanto lo è la predeterminazione della retribuzione, trattandosi di un tipico rapporto di durata.
Tuttavia ha ammesso la possibilità di assunzione delle prove testimoniale nel giudizio amministrativo al contrario di quanto sosteneva l’ente comunale.
Si riporta di seguito il testo della sentenza.
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N. 04939/2015REG.PROV.COLL.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1075 del 2006, proposto da Lucia Caggiano, rappresentata e difesa dagli avv. Alfonso Cecere e Vincenzo Rago, con domicilio eletto presso l’avv. Michele Alliegro in Roma, Via Ezio, 19;
contro
Il Comune di Lacedonia in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall’avv. Donato Pennetta, con domicilio eletto presso l’avv. Nicola Petracca in Roma, Via Ennio Quirino Visconti . 20;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. Campania, Napoli, Sez. IV n. 1029/2005, resa tra le parti, concernente corresponsione di somme per lavoro svolto alle dipendenze del Comune;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Vista la costituzione in giudizio del Comune di Lacedonia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 13 ottobre 2015 il Cons. Raffaele Prosperi e uditi per le parti gli avvocati Andrea Orefice su delega dell’avv. Alfonso Cecere ed Aristide De Vivo su delega dell’avv. Donato Pennetta;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con il ricorso n. 7785, registro generale del 2000, Lucia Caggiano chiedeva al Tar della Campania che venisse accertata la natura di rapporto di lavoro subordinato con il Comune di Lacedonia nel periodo intercorrente dal 1 gennaio 1987 al 30 settembre 1997 – fatto salvo il periodo 1 gennaio/ 30 giugno 1991 – con tutte le conseguenze retributive pari a £. 143.504.634 oltre ad accessori e con il connesso versamento dei contributi previdenziali ed assicurativi in riferimento ad un’apparente serie di contratti di locazione d’opera quale inserviente di III livello per la refezione scolastica presso la mensa per gli anziani, nelle scuole materne ed elementari dell’istituto magistrale e presso alcuni uffici comunali.
Esponeva in diritto la ricorrente che tale serie di contratti ex art. 2222 c.c. eludeva le norme in materia di rapporto di lavoro subordinato con tutte le conseguenze di legge, oltre a non riconoscere le mansioni di livello IV e V, poiché risultava un suo stabile e continuativo inserimento nell’organizzazione pubblica dell’Ente, tutte le caratteristiche del vincolo di subordinazione con la sottoposizione ad ordini e direttive e la dovuta osservanza dell’orario di lavoro predeterminato.
Il Comune si costituiva in giudizio, contestando le ragioni della ricorrente.
Il Tar, con sentenza 14 febbraio 2005 n. 1029, ha respinto il ricorso, affermando che le circostanze dedotte dalla ricorrente, ove anche comprovate, non sono idonee a far ritenere sussistenti gli indici rivelatori della costituzione di un rapporto di pubblico impiego; inoltre, anche ove risultassero sussistenti tali indici, il rapporto comunque non potrebbe dirsi validamente costituito perché nullo di diritto né potrebbero applicarsi le disposizioni in materia di trasformazione del rapporto a tempo indeterminato, in quanto tale rapporto era sorto in contrasto con le norme vigenti.
Con appello in Consiglio di Stato, notificato il 6 febbraio 2006, Lucia Caggiano impugna la sentenza in questione. In particolare – secondo l’appellante – anche a ritenere non costituito un valido rapporto di pubblico impiego, le prestazioni lavorative comunque rese in base a titolo nullo dovevano considerarsi esistenti di fatto con conseguente applicabilità dell’art. 2126 del codice civile, con tutte le conseguenze retributive e previdenziali; ribadisce, inoltre, i fatti già esposti nel giudizio di primo grado, descrivendo le proprie mansioni come di livello III, IV e V, la loro natura subordinata nonostante l’apertura di partita Iva, chiedendo che quanto dovutole le sia riconosciuto comunque a titolo di indebito arricchimento.
L’appellante conclude per l’accoglimento del ricorso con vittoria di spese.
Il Comune di Lacedonia si è costituito in giudizio, sostenendo dapprima l’inammissibilità dell’appello sia per mancata impugnazione del capo della sentenza in cui il ricorso di primo grado veniva dichiarato irricevibile per tardività, causa l’omessa impugnazione nei termini di legge dei vari provvedimenti di incarico annuali, sia per mancanza di reali censure nei confronti della pronuncia appellata e comunque la sua infondatezza per totale assenza di prova, in particolare circa l’orario di lavoro e la dipendenza gerarchica e la predeterminazione della retribuzione, l’inapplicabilità al rapporto dell’art. 2126 c.c. e delle leggi in materia di trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in rapporto a tempo indeterminato ed infine l’inammissibilità nel processo amministrativo delle prove testimoniali.
Alla odierna udienza del 13 ottobre 2015 la causa è stata trattenuta in decisione.
Il Comune eccepisce preliminarmente l’inammissibilità dell’appello, perché privo di censure avverso un preteso capo della sentenza di primo grado in cui si rileva comunque l’irricevibilità del ricorso proposto dalla Caggiano, causa l’omessa impugnazione nei termini di legge dei vari provvedimenti di incarico annuali, attuativi della proroga/rinnovo del contratto di locazione d’opera dalla medesima sottoscritto.
In realtà tali affermazioni, che sarebbero contenute nel capo I della decisione impugnata, non figurano nella sentenza pubblicata il 14 febbraio 2005.
In ogni caso l’appello è infondato.
Non si può che concordare con le conclusioni del giudice di primo grado in ordine all’assenza di quegli indici rivelatori del rapporto di pubblico impiego, in primo luogo della subordinazione gerarchica.
Infatti non può considerarsi indice rivelatore la predeterminazione dell’orario di servizio, elemento del tutto compatibile con i contenuti di un contratto d’opera ed altrettanto lo è la predeterminazione della retribuzione, trattandosi di un tipico rapporto di durata; la stessa appellante non descrive un vero e proprio inserimento nell’organizzazione del personale dipendente comunale, poiché indica la prestazione di mansioni in diversi uffici, dalla refezione scolastica presso la scuola elementare alla casa di riposo, dall’ufficio di segreteria comunale all’ufficio di ragioneria comunale, dall’Istituto magistrale alla mensa della scuola materna, quindi con svariate modificazioni dei luoghi di prestazione del servizio, Tutto ciò mal si attaglia con la dimensione strutturale del rapporto di pubblico impiego, il quale vede generalmente una figura stabilmente inserita all’interno di una tipologia di ufficio, eventualmente con spostamenti da un complesso ad un altro dopo una frazione temporale più o meno lunga, ma non come una sorta di impiegato supplente chiamato a sopperire vuoti da un ufficio ad un altro.
Inoltre, e tale argomentazione appare ancor più rilevante, non è comprensibile individuare la qualifica rivestita presso una pubblica amministrazione, poiché la Caggiano insiste nell’aver lavorato come inserviente con mansioni di III, IV e V livello e non vi è chi non veda come sia praticamente impossibile inquadrare tale figura, appunto quella dell’inserviente, tra livelli così differenti e ciò sia nelle mansioni affidate, sia nella retribuzione da corrispondere; né l’appellante si diffonde in qualche modo nel descrivere i periodi in cui le mansioni sono consistite in una tipologia piuttosto che in un’altra.
Appare evidente che sotto questo profilo la stessa domanda giudiziale di determinazione della giusta retribuzione spettante secondo i vari dd.PP.RR. ed i c.c.n.l. vigenti nel periodo interessato, non possa che essere assolutamente confusa e di difficile ammissibilità.
Si deve poi aggiungere che l’assunzione di prove testimoniali, ammessa nel giudizio amministrativo attinente rapporti di lavoro al contrario di quanto sostenuto dalle difese comunali, deve essere precisa nell’indicare i nominativi dei testi da escutere con i contenuti delle domande e non ci si può limitare ad un mero rinvio a quanto riportato nel ricorso di primo grado.
Per le suesposte considerazioni l’appello deve essere respinto.
Il rigetto dell’eccezione di inammissibilità e le circostanze dell’intera vicenda permettono la compensazione tra le parti delle spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 ottobre 2015 con l’intervento dei magistrati:
Mario Luigi Torsello, Presidente
Vito Poli, Consigliere
Nicola Gaviano, Consigliere
Raffaele Prosperi, Consigliere, Estensore
Sabato Guadagno, Consigliere
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)