Tar Lazio sugli psicologi: chi cura il disagio psichico?

IL Tar Lazio con la sentenza n. 13020 del 17 novembre 2015 ha chiarito che solo gli psicologi possono curare il disagio il psichico.

Il ricorso era stato promosso dal Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi contro il Ministero dello Sviluppo Economico ed il Ministero della Salute, che con diversi provvedimenti avevano ritenuto legittima l’intervento della figura del Counselor  per la cura del disagio psichico. In particolare si contestava il Parere del Consiglio Superiore della Sanità, Sessione XLVII, sezione II, pronunciato nella seduta del 12 luglio 2011,  nella parte in cui prevede che per le “attività di aiuto alla soluzione di problemi che possono causare lieve disagio psichico (…) possa intervenire una figura professionale distinta dallo psicologo e corrispondente al Counselor.

Il Tar Lazio ha innanzitutto precisato che la gradazione del disagio psichico presuppone una competenza diagnostica pacificamente non riconosciuta ai counselors e che il disagio psichico, anche fuori da contesti clinici, rientra nelle competenze della professione sanitaria dello psicologo e che nella definizione della professione di psicologo di cui all’art. 1 della legge 18 febbraio 1989 n. 56, “La professione di psicologo comprende l’uso degli strumenti conoscitivi e di intervento per la prevenzione, la diagnosi, le attività di abilitazione-riabilitazione e di sostegno in ambito psicologico rivolte alla persona, al gruppo, agli organismi sociali e alle comunità” è certamente ricompresa ogni forma di disagio psichico ed in qualsivoglia contesto.

Da ciò, a parere dei giudici amministrativi romani, consegue che l’avere ritagliato, come ha fatto il Consiglio Superiore di Sanità, da tale ambito di intervento, un’area di intervento, oggi certamente riservata allo psicologo junior ovvero «dottore in tecniche psicologiche per i servizi alla persona e alla comunità», ai sensi del d.l. 105/2003, anch’esso iscritto all’Albo (Sezione B), quando non allo psicologo “senior” con specializzazione in valutazione psicologica e consulenza, si pone in palese violazione della legge 56/1989.

I giudici inoltre evidenziano che nella definizione attuale di counseling approvata dall’International Association for Counseling non vi è riferimento alcuno al disagio psichico. La definizione dell’International Association infatti rimanda a tecniche per l’orientamento positivo che possano facilitare la relazione e la comunicazione con gli altri, migliorando la vita, non comparendo alcun cenno al trattamento di condizioni psichiche o di stati patologici neanche di grado lieve.

Pertanto si direbbe che l’intervento del counselor sia quello di fornire delle tecniche di comunicazione che rendano più efficace e più soddisfacente l’interazione in determinati contesti.

Il Tar Lazio rileva come il disagio psichico sia una condizione che attiene senz’altro alla sfera della salute ed è tale attinenza a giustificare i limiti ed i controlli che vengono garantiti anche attraverso l’attività degli ordini professionali.

Allo stato della normativa nazionale il trattamento del disagio psichico è inoltre attività sanitaria, come indirettamente, ma significativamente, confermato dall’emissione dei pareri del Consiglio Superiore di Sanità, come anche dall’inquadramento degli psicologi nelle piante organiche delle unità sanitarie locali (v. DPCM 13 dicembre 1995), nonché dalla vigilanza del Ministero della salute sull’Ordine Nazionale degli Psicologi.

Infine, il giudici rilevano che la definizione dell’attività non regolamentata del counselor, contenuta nel parere del Consiglio superiore di Sanità e recepita dal Mise, non consente a questi operatori di non sconfinare nel campo proprio degli psicologi, come peraltro evidenziato nelle sedute del medesimo Consiglio Superiore del 14 giugno 2011 e del 12 luglio 2011 (si vedano gli allegati 9 e 10 al ricorso), senza considerare che l’attività di counseling è anche materia di scuole di specializzazione riservate a psicologi.

Si riporta di seguito il testo della sentenza.

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N. 13020/2015 REG.PROV.COLL.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Terza Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 14877 del 2014, proposto dal Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi e dal dott. Fulvio Giardina, rappresentati e difesi dall’avv. Andrea Falzone, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Andrea Falzone in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 326;

contro

Ministero dello Sviluppo Economico, Ministero della Salute, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura, domiciliati in Roma, Via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

Assocounseling – Associazione Professionale di Categoria, rappresentata e difesa dagli avv. Antonio Tigani Sava, Luca Bontempi, con domicilio eletto presso lo Studio Legale Tigani Sava in Roma, Via Adelaide Ristori, 9;

e con l’intervento di

ad opponendum:
C.N.C.P.Coordinamento Nazionale Counsellor Professionali, rappresentato e difeso dagli avv. Luca Bontempi, Antonio Tigani Sava, con domicilio eletto presso Studio Legale Tigani Sava in Roma, Via Adelaide Ristori, 9; A.I.C. Assicurazione Italiana di Couseling, rappresentato e difeso dagli avv. Antonio Tigani Sava, Luca Bontempi, con domicilio eletto presso Studio Legale Tigani Sava in Roma, Via Adelaide Ristori, 9; S.I.C.O.Ol Società Italiana Counselor e Operatore Olistico, A.N.Co.Re Associazione Nazionale Counselor Relazionali, rappresentati e difesi dall’avv. Luca Bontempi, con domicilio eletto presso Studio Legale Tigani Sava in Roma, Via Adelaide Ristori, 9; Reico, rappresentato e difeso dall’avv. Franco Pastore, con domicilio eletto presso Franco Pastore in Roma, p.zza Mazzini, 27;

per l’annullamento

previa adozione delle misure cautelari richieste

del provvedimento, ignoto negli estremi ma certo nella data di emanazione, corrispondente al 10 settembre 2014 (doc. 1 – Comunicazione di inserimento), con il quale è stato disposto dal Ministero dello Sviluppo Economico l’inserimento della controinteressata AssoCounseling nell’Elenco delle associazioni professionali non regolamentate e delle loro forme aggregative di cui all’art. 2, comma 7, della Legge 14 gennaio 2013, n. 4 (recante “Disposizioni in materia di professioni non organizzate”);

del Parere del Consiglio Superiore della Sanità, Sessione XLVII, sezione II, pronunciato nella seduta del 12 luglio 2011, in particolare nella parte in cui prevede che per le “attività di aiuto alla soluzione di problemi che possono causare lieve disagio psichico (…) possa intervenire una figura professionale distinta dallo psicologo e corrispondente al Counselor (doc. 2);

della nota del Ministero della Salute prot. DGPROF 0015693-P¬24/03/2014, recante in oggetto “Legge 14 gennaio 2013, n. 4 in materia di professioni non organizzate in ordini o collegi. Dichiarazione presentata ai fini dell’inserimento nell’elenco previsto dall’art. 2, comma 7, AssoCounseling”(doc.3);

della nota del Ministero dello Sviluppo Economico prot. n. 0178309¬31/10/2013-USCITA inoltrata al Ministero della salute ed alla controinteressata, recante in oggetto “Legge 14 gennaio 2013, n. 4 in materia di professioni non organizzate in ordini o collegi. Dichiarazione presentata ai fini dell’inserimento nell’elenco previsto dall’art. 2, comma 7 “(doc.4)

di ogni altro atto, presupposto, connesso preordinato e/o consequenziale altrimenti conosciuto o anche ignorato eventualmente già adottato nel corso della procedura che comunque incida sui diritti e/o interessi legittimi degli istanti, con espressa riserva di proporre su di esso ricorso per motivi aggiunti.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dello Sviluppo Economico e di Ministero della Salute e di Assocounseling – Associazione Professionale di Categoria;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 15 ottobre 2015 la dott.ssa Anna Maria Verlengia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con ricorso, spedito per la notifica ai soggetti meglio descritti in epigrafe il 14 novembre 2014 e depositato il successivo 28 novembre, il Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi ed il dott. Fulvio Giardina, in proprio e quale legale rappresentante del suddetto Consiglio, impugnano il provvedimento con il quale il Ministero dello Sviluppo Economico ha disposto l’inserimento della controinteressata AssoCounseling nell’Elenco delle associazioni professionali non regolamentate e delle loro forme aggregative di cui all’art. 2, comma 7, della Legge 14 gennaio 2013, n. 4 e gli atti del procedimento che hanno preceduto tale inserimento.

Espongono i ricorrenti che la richiesta di Assocounseling di essere inserita nell’elenco delle associazione professionali di cui alla legge 24 gennaio 2013, n. 4, recante “Disciplina delle professioni non organizzate”, benché avesse ricevuto un primo parere favorevole da parte del Ministero della Salute (nota del 24 marzo 2013 all. 3 del ricorso) evidenziava, secondo il Ministero dello Sviluppo Economico, delle criticità relative al sito web dell’Associazione ed al contenuto di uno dei documenti allegati alla richiesta, per l’esistenza di alcune terminologie da modificare.

A seguito di un consistente scambio di corrispondenza, tra il Ministero e l’Associazione, il Dirigente incaricato del procedimento chiedeva l’inserimento dell’AssoCounseling nell’ elenco delle associazioni rappresentative di professioni non regolamentate, sezione “Associazioni che rilasciano l’attestato di qualità dei servizi” e a ciò si provvedeva il giorno successivo.

Su sollecitazione dei propri iscritti, interessati a conoscere i presupposti di tale inserimento, il Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi inoltrava al MISE, in data 25 settembre 2014, istanza di accesso agli atti del procedimento instaurato dall’AssoCounseling.

Il MISE consentiva l’accesso per il 5 novembre 2014 presso gli uffici ministeriali siti in Roma, Via Sallustiana 53.

Presa visione dei documenti, i ricorrenti propongono l’odierno gravame premettendo di essere legittimati e di avere interesse al ricorso.

Il Consiglio Nazionale agisce nella qualità di ente esponenziale degli interessi della categoria degli psicologi, i quali, a loro volta, sono titolari del diritto di esercitare in via esclusiva tutte le attività e le prerogative che la legge istitutiva dell’ordinamento dello psicologo ad essi riserva.

Ai sensi dell’art. 28, comma 6, lett. d) della legge 18 febbraio 1989, n. 56, il Consiglio Nazionale cura l’osservanza delle leggi e delle disposizioni concernenti la professione di psicologo relativamente alle questioni di rilevanza nazionale, a tutela del titolo professionale.

Esso, pertanto, sostiene di avere interesse ad impugnare i provvedimenti lesivi delle attività riservate alla categoria, come nel caso di specie, il riconoscimento agli associati all’Assocounselling di una attività che la legge 4/2013 riserva allo psicologo.

Prima di articolare le censure avverso gli atti impugnati, la difesa dei ricorrenti definisce il compito dello psicologo, precisandone l’area di intervento e la formazione, nonché le differenze con l’attività di counseling.

Ricorda che la legge 18 febbraio 1989 n. 56, all’art. 1, definisce la professione di psicologo, prevedendo che essa “comprende l’uso degli strumenti conoscitivi e di intervento per la prevenzione, la diagnosi, le attività di abilitazione-riabilitazione e di sostegno in ambito psicologico rivolte alla persona, al gruppo, agli organismi sociali e alle comunità. Comprende altresì le attività di sperimentazione, ricerca e didattica in tale ambito”.

Per l’esercizio di tale professione, l’art. 2 prevede, ai commi 2 e 3, che “è necessario aver conseguito l’abilitazione in psicologia mediante l’esame di Stato ed essere iscritto nell’apposito albo professionale” ed il superamento di un esame di abilitazione cui “sono ammessi (…) i laureati in psicologia che siano in possesso di adeguata documentazione attestante l’effettuazione di un tirocinio pratico secondo modalità stabilite con decreto del Ministro della pubblica istruzione, da emanarsi tassativamente entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge”.

Il titolo di counselor invece, secondo quanto si ricaverebbe dalla documentazione depositata dalla controinteressata, in allegato alla domanda di inserimento nell’elenco di cui sopra, non richiederebbe alcuna formazione accademica, né un’abilitazione professionale, ma la mera iscrizione all’associazione stessa dopo la frequenza di un corso triennale di formazione di natura privata che abiliterebbe a svolgere i seguenti interventi:

– “utilizzare strumenti conoscitivi (al pari degli psicologi) derivanti da diversi orientamenti teorici;

– ascoltare e riflettere con il cliente in merito alle sue difficoltà (in pratica quello che la letteratura scientifica definisce come intervento per la prevenzione in ambito psicologico);

– sostenere famiglie, gruppi e istituzioni (ossia offrire sostegno in ambito psicologico rivolte alla persona, al gruppo, agli organismi sociali e alle comunità)”.

Si tratterebbe, ad avviso dei ricorrenti, di attività coincidenti con quelle che la legge 56/89 riserva agli psicologi, fatta eccezione per la sola attività di diagnosi, non espressamente contemplata dall’associazione.

Ciò premesso articolano il seguenti motivo di gravame avverso il provvedimento di inserimento dell’Assocounselling dell’elenco di cui all’art. 2 della legge 4/2013:

– violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1 della legge 56/1989, dell’art. 2229 c.c., dell’art. 1, comma 2, e dell’art. 2, commi 6-7, della legge 4/2013, dei commi 1ter, 1quater e 1 quinquies della legge 11 luglio 2003, n. 170, eccesso di potere per difetto di istruttoria, contraddittorietà, sviamento travisamento e irragionevolezza. Si sarebbe proceduto alla iscrizione nell’elenco di una associazione che svolge attività riservata per legge a soggetti iscritti in albi ed elenchi ai sensi dell’art. 2229 del codice civile, delle professioni sanitarie in violazione del chiaro disposto dell’art. 1, comma 2, della legge 4/2013. L’inserimento dell’Assocounselling nell’elenco di cui alla legge citata violerebbe, altresì, il comma 6 del successivo art. 2, ove prevede che “ai professionisti di cui all’art. 1, comma 2, anche se iscritti alle associazioni di cui al presente articolo, non è consentito l’esercizio delle attività professionali riservate dalla legge a specifiche categorie di soggetti, salvo il caso in cui dimostrino il possesso dei requisiti previsti dalla legge e l’iscrizione al relativo albo professionale”.

Con un secondo motivo impugnano il parere del Consiglio Superiore di Sanità del 12 luglio 2011 e degli altri atti presupposti, conseguenti e connessi all’inserimento di Assocounselling nel predetto elenco, reiterando le medesime censure già formulate con il primo motivo.

Parte ricorrente contesta il criterio con il quale si distingue l’ambito di attività del counselor da quello riservato agli psicologi, atteso che tale criterio, consistente nel diverso livello del disagio psicologico, non enuclea un’area di competenza sottratta allo psicologo. Il disagio psichico, ad avviso dei ricorrenti, è, indipendentemente dalla gradazione dello stesso e in base alla letteratura scientifica sul tema, una patologia psichica su cui intervenire con una adeguata preparazione professionale, senza contare che la gradazione del disagio presuppone una attività diagnostica, che dovrebbe essere svolta al counselor, laddove l’attività di diagnosi del disagio psicologico rientra sempre e comunque pacificamente nelle competenze proprie dello psicologo ai sensi del citato art. 1 L. 56/1989.

Il parere del Consiglio Superiore della Sanità, inoltre, sarebbe viziato da eccesso di potere per contraddizione con quanto si legge in una nota dello stesso, inoltrata al Ministero della Giustizia in data 20 giugno 2013 (doc. 10), nella quale si affermava che l’attività di Counselor ricadesse in quella di competenza dello psicologo e dunque esprimeva parere non favorevole al loro inserimento nell’elenco di cui alla legge 206/2007.

Analogo contrasto si riscontrerebbe con l’atto con il quale nella seduta del 9 aprile 2008, il medesimo Organo aveva approvato il Nomenclatore – Tariffario degli Psicologi, con espresso riferimento, tra le competenze riservate alla professione dello Psicologo, di quella di “Consulenza e sostegno psicologico”, ossia di counseling (doc. 11).

Sussisterebbe poi anche il vizio di difetto di istruttoria e sviamento per essere mancato l’accertamento della tipologia di attività svolta dagli associati all’Assocounseling, tanto più necessaria al fine di escluderne la sovrapponibilità a quella riservata dalla legge a professione regolamentata, in quanto il counseling non è un’attività predeterminata per legge o individuabile sulla base di indagini o studi scientifici.

Parte ricorrente conclude per l’annullamento dei provvedimenti impugnati, previa sospensione dell’efficacia.

Con memoria depositata il 2 febbraio 2015 si è costituita l’Assocounseling, la quale resiste nel merito a sostegno della infondatezza del ricorso, eccependo, altresì, l’inammissibilità del ricorso per carenza di interesse, atteso che l’eventuale annullamento degli atti gravati non è idoneo a recare alcuna utilità ai ricorrenti, non potendo incidere sulla possibilità dei membri della resistente associazione di svolgere la loro attività.

In pari data sono intervenute ad opponendum diverse associazioni di counseling per controdedurre alle censure articolate nel ricorso ed eccepire la carenza di interesse di parte ricorrente.

Si è costituito con atto formale il Ministero dello Sviluppo Economico.

A seguito della Camera di Consiglio del 5 febbraio 2015 il Tribunale con ordinanza n. 2193/2015 ha disposto incombenti istruttori, onerandone i Ministeri intimati, e ha fissato l’udienza pubblica.

Il Ministero dello Sviluppo Economico ha adempiuto l’ordinanza istruttoria il 15 aprile 2015.

Anche il Ministero della Salute ha depositato la documentazione richiesta il 17 aprile 2015.

Alla pubblica udienza del 15 ottobre 2015, sentiti i difensori presenti, il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

In via preliminare il Collegio deve esaminare l’eccezione di inammissibilità del ricorso per carenza di interesse.

L’eccezione è infondata.

Parte ricorrente si duole della iscrizione di una Associazione di counseling nell’elenco di cui alla legge 4/2013, contestando i presupposti della iscrizione in quanto i suoi associati svolgerebbero una attività che si sovrappone a quella degli psicologi. In quanto ente esponenziale degli interessi degli iscritti all’ordine, il Consiglio Nazionale ha un interesse qualificato ad impugnare i provvedimenti lesivi delle attività che assume riservate alla categoria degli psicologi.

La giurisprudenza è pacifica nel ritenere che “gli Ordini professionali, per la loro peculiare posizione esponenziale nell’ambito delle rispettive categorie e per le funzioni di autogoverno delle categorie stesse ad essi attribuite, sono legittimati ad impugnare in sede giurisdizionale gli atti lesivi non solo della propria sfera giuridica come soggetto di diritto, ma anche degli interessi di categoria dei soggetti appartenenti all’Ordine, di cui l’Ente ha la rappresentanza istituzionale” (v. CdS IV 50/2005).

Il profilo lesivo dell’interesse consiste proprio nell’iscrizione dei counsellors nell’elenco delle attività non regolamentate, circostanza che, pur non potendo impedire a questi ultimi di esercitare l’attività, costituisce un incontestabile riconoscimento della possibilità di svolgere interventi sul disagio psichico al di fuori della regolamentazione prevista per gli psicologi e, in genere, per gli operatori dell’area sanitaria .

L’eccezione va, quindi, respinta, poiché infondata.

Il ricorso è fondato nei termini di seguito esposti.

Con il presente gravame il Consiglio Nazionale degli Psicologi ed il dott. Fulvio Giardina, legale rappresentante di detto Consiglio dell’Ordine e psicologo, impugnano l’inserimento, da parte del Ministero dello Sviluppo economico, della controinteressata AssoCounseling nell’Elenco delle associazioni professionali non regolamentate e delle loro forme aggregative di cui all’art. 2, comma 7, della Legge 14 gennaio 2013, n. 4 (recante “Disposizioni in materia di professioni non organizzate”) e il Parere del Consiglio Superiore della Sanità, Sessione XLVII, sezione II, pronunciato nella seduta del 12 luglio 2011, in particolare nella parte in cui prevede che per le “attività di aiuto alla soluzione di problemi che possono causare lieve disagio psichico (…) possa intervenire una figura professionale distinta dallo psicologo e corrispondente al Counselor”.

L’inserimento nell’elenco delle associazioni professionali non regolamentate è previsto dall’art. 1 della legge 4/2013 per le professioni non organizzate in ordini o collegi.

Il comma 2, definisce «professione non organizzata in ordini o collegi» “l’attività economica, anche organizzata, volta alla prestazione di servizi o di opere a favore di terzi, esercitata abitualmente e prevalentemente mediante lavoro intellettuale, o comunque con il concorso di questo, con esclusione delle attività riservate per legge a soggetti iscritti in albi o elenchi ai sensi dell’art. 2229 del codice civile, delle professioni sanitarie e delle attivita’ e dei mestieri artigianali, commerciali e di pubblico esercizio disciplinati da specifiche normative.”

La legge esclude espressamente le professioni sanitarie dall’ambito delle professioni non organizzate disciplinate dalla legge 4/2013, come anche le attività riservate per legge a soggetti iscritti in albi o elenchi ai sensi dell’art. 2229 cc.

Un primo presupposto per l’inserimento nell’elenco di cui all’art. 2 della legge 4/2013 è che l’associazione professionale non svolga attività sanitaria, né riservata a soggetti iscritti in albi o elenchi ai sensi dell’art. 2229 cc.

Con il primo motivo di gravame parte ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1 della legge 4/2013 e dell’art. 1 della legge 56/1989, in quanto l’AssoCounseling svolgerebbe una attività riservata agli psicologi, ovvero alle professioni sanitarie.

La censura è fondata nei termini di seguito esposti.

L’AssoCounseling ha definito l’attività dei propri associati, il counselling, come “attività il cui obiettivo è il miglioramento della qualità di vita del cliente, sostenendo i suoi punti di forza e le sue capacità di autodeterminazione. Il counseling offre uno spazio di ascolto e di riflessione, nel quale esplorare difficoltà relative a processi evolutivi, fasi di transizione e stati di crisi e rinforzare capacità di scelta o di cambiamento. E’ un intervento che utilizza varie metodologie mutuate da diversi orientamenti teorici. Si rivolge al singolo, alle famiglie, a gruppi e istituzioni. Il Counseling può essere erogato in vari ambiti quali privato, sociale, scolastico, sanitario, aziendale.”

Premesso che tale descrizione dell’attività dell’AssoCounseling non è contenuta nello Statuto, ma è stata fornita in un allegato alla dichiarazione trasmessa con la domanda di inserimento, essa è anche talmente generica da potere comprendere una vasta gamma di interventi sulla persona, sfuggendo ad una precisa identificazione dell’ambito in cui la stessa viene a sovrapporsi all’attività dello psicologo.

E’ significativo, inoltre, ed è ulteriore indizio di difetto di istruttoria, che il Ministero resistente abbia ritenuto sufficiente una descrizione dell’attività dell’associazione predisposta per l’occasione e non contenuta nello statuto della stessa.

Certamente, poi, è evidenziabile una interferenza con il settore di intervento degli psicologi cd. Junior, ai quali, ai sensi della legge 170/2003, nel settore delle tecniche psicologiche per i contesti sociali, organizzativi e del lavoro, sono attribuite le seguenti competenze:

1) realizzazione di progetti formativi diretti a promuovere lo sviluppo delle potenzialità di crescita individuale e di integrazione sociale e facilitare i processi di comunicazione, e migliorare la gestione dello stress e la qualità di vita;

2) applicazione di protocolli per l’orientamento professionale, per l’analisi dei bisogni formativi, per la selezione e la valorizzazione delle risorse umane (…)

3) utilizzo di test e di altri strumenti standardizzati pe l’analisi del comportamento, dei processi cognitivi, delle opinioni e degli atteggiamenti, dei bisogni e delle motivazioni, dell’interazione sociale, dell’idoneità psicologica a specifici compiti e condizioni etc…

La promozione dello sviluppo delle potenzialità di crescita individuale, di integrazione sociale, la facilitazione dei processi di comunicazione, il miglioramento della gestione dello stress e della qualità di vita, tanto per limitarci ad uno dei sottosettori di intervento dello psicologo junior, appaiono perfette duplicazioni dell’attività del counselor descritto dalla Assocounseling.

Tuttavia, una ancora più puntuale indicazione in merito all’ambito di intervento del counseling, di cui si è fatta applicazione ai fini del gravato inserimento, deve ricavarsi dal parere, anch’esso impugnato, del Consiglio Superiore di Sanità nella seduta del 13 luglio 2011.

Ai fini dell’ammissibilità dell’impugnativa, non rileva che si tratti di parere emesso in occasione di altro procedimento, atteso che su di esso il Ministero dello Sviluppo si è basato per circoscrivere l’area dell’intervento dei counselors ritenuto estraneo alle professioni sanitarie ovvero degli psicologi.

E’ poi lo stesso Ministero della Salute che, nella sua nota diretta al Ministero dello Sviluppo Economico del 24/3/2013 (v. doc. n. 3 allegato al ricorso) in relazione alla domanda di AssoCounseling, rinvia a detto parere del 12 luglio 2011.

Da qui anche l’ammissibilità della impugnativa del parere insieme al provvedimento con cui è stato disposto l’inserimento dell’Associazione nell’elenco di cui alla legge 4/2013.

Nel suddetto parere si legge che l’ambito di attività del counseling sia quello “di aiuto alla soluzione di problemi che possono causare lieve disagio psichico, come le indecisioni sull’orientamento professionale, contrasti lavorativi, cambio carriere ecc. (…) fuori da contesti clinici”.

Da tale delimitazione dell’ambito di attività del counseling si ricava che lo stesso interviene sul “disagio psichico” fuori da contesti clinici, purchè si tratti di disagio lieve.

Non può non convenirsi con i ricorrenti che la gradazione del disagio psichico presuppone una competenza diagnostica pacificamente non riconosciuta ai counselors e che il disagio psichico, anche fuori da contesti clinici, rientra nelle competenze della professione sanitaria dello psicologo.

L’art. 1 della legge 18 febbraio 1989 n. 56, nel definire la professione di psicologo, recita: “La professione di psicologo comprende l’uso degli strumenti conoscitivi e di intervento per la prevenzione, la diagnosi, le attività di abilitazione-riabilitazione e di sostegno in ambito psicologico rivolte alla persona, al gruppo, agli organismi sociali e alle comunità”.

In tale definizione, tutt’ora vigente, è certamente ricompresa ogni forma di disagio psichico ed in qualsivoglia contesto.

Ne consegue che l’avere ritagliato, come ha fatto il Consiglio Superiore di Sanità, da tale ambito di intervento, un’area di intervento, oggi certamente riservata allo psicologo junior ovvero «dottore in tecniche psicologiche per i servizi alla persona e alla comunità», ai sensi del d.l. 105/2003, anch’esso iscritto all’Albo (Sezione B), quando non allo psicologo “senior” con specializzazione in valutazione psicologica e consulenza, si pone in palese violazione della legge 56/1989.

A tale riguardo il confronto con la definizione attuale di counseling approvata dall’International Association for Counseling, depositata in allegato alla memoria di AssoCounseling del 24 settembre 2015, evidenzia talune significative differenze, laddove nella suddetta definizione non vi è riferimento alcuno al disagio psichico.

La definizione dell’International Association rimanda a tecniche per l’orientamento positivo che possano facilitare la relazione e la comunicazione con gli altri, migliorando la vita. Non vi compare alcun cenno al trattamento di condizioni psichiche o di stati patologici neanche di grado lieve.

Si direbbe che l’intervento del counselor sia quello di fornire delle tecniche di comunicazione che rendano più efficace e più soddisfacente l’interazione in determinati contesti.

A ciò si aggiunga che già nel parere del Consiglio Superiore di Sanità si auspicava la definizione delle caratteristiche dei percorsi formativi e le modalità di controllo dei percorsi seguiti e, per quanto riguarda gli psicologi, un rafforzamento dei contenuti relativi ai temi del counseling, sia nel corso della formazione triennale che nelle fasi successive.

Si tratta di un implicito riconoscimento dell’appartenenza di questa tipologia di interventi all’area sanitaria e all’ambito di competenza degli psicologi ed un indizio della necessità di verifiche più approfondite in ordine alla formazione dei counselors.

Ciò evidenziato, deve accogliersi anche la censura di difetto di istruttoria.

Il Ministero dello Sviluppo, infatti, pur soffermandosi approfonditamente su taluni aspetti della domanda di inserimento (‘accreditamento degli iter formativi, la denominazione di “Registro Italiano dei Counselor di Assocounseling”, le certificazioni di accreditamento etc.) ha omesso una approfondita istruttoria in ordine alla tipologia di attività svolta, in ordine alla quale ha ritenuto sufficiente la descrizione della stessa fornita dal legale rappresentante nell’allegato 1 della domanda del 10 maggio 2013.

Una omissione tanto più rilevante alla luce degli esiti negativi delle istruttorie eseguite su analoghe domande di altre associazioni di counseling (vedi nota del Ministero della Salute del 20 giugno 2013), nonché del fatto che l’attività svolta dai counselors dell’Assocounseling non è neanche contenuta nello Statuto.

Una verifica dovuta per un corretto svolgimento dell’accertamento tecnico dei requisiti di cui all’art. 1 della legge 4/2013, in considerazione della evidente contiguità delle attività dichiarate con quella degli psicologi, ovvero di professionisti iscritti ad un albo ed operanti nell’area della salute.

A ciò si aggiunga l’ulteriore circostanza che il parere del Consiglio Superiore di Sanità auspicava che per la figura del counselor “i Ministeri competenti meglio ne definiscano le caratteristiche dei percorsi formativi e le modalità di controllo dei percorsi formativi seguiti”.

Si trattava, quindi, all’evidenza, di un parere interlocutorio, contenente delle indicazioni di massima, inidoneo a sorreggere l’inserimento di una attività nuova nell’elenco delle attività non regolamentate.

Per quanto concerne il dibattuto profilo della mancanza di una disposizione di legge che, nel descrivere l’attività dello psicologo, utilizzi l’espressione “riserva”, deve ritenersi che la questione, alla luce dell’art. 1 della legge 4/2013, della cui applicazione si tratta, sia mal impostata.

Ciò a cui deve guardarsi è l’ambito di attività del professionista iscritto all’ordine professionale e, nel caso di specie, tale ambito viene in parte a sovrapporsi a quello del counselor, come definito nell’impugnato parere del Consiglio Superiore di Sanità, per quanto già sopra osservato.

La circostanza che il legislatore, nel definire la professione di psicologo nella legge n. 56 del 1989, abbia usato il termine “comprende”, anziché la locuzione “riserva”, non esclude che si tratti di attività per la quale è competente lo psicologo ed equivale ad una riserva, nei limiti in cui la definizione di tale ambito sia idonea ad identificare l’oggetto della attività professionale.

Il termine riserva, nel caso di specie, avrebbe escluso la competenza del medico-psichiatra, altro professionista al quale va certamente riconosciuta l’idoneità a trattare il disagio psichico.

Il disagio psichico è una condizione che attiene senz’altro alla sfera della salute ed è tale attinenza a giustificare i limiti ed i controlli che vengono garantiti anche attraverso l’attività degli ordini professionali.

Allo stato della normativa nazionale il trattamento del disagio psichico è attività sanitaria, come indirettamente, ma significativamente, confermato dall’emissione dei pareri del Consiglio Superiore di Sanità, come anche dall’inquadramento degli psicologi nelle piante organiche delle unità sanitarie locali (v. DPCM 13 dicembre 1995), nonché dalla vigilanza del Ministero della salute sull’Ordine Nazionale degli Psicologi.

L’art. 29 della legge 56 del 1989, come modificato dall’art. 24 sexies del d.l. 248/2007, prevede, dal 2008, la vigilanza sull’Ordine degli Psicologi, non più da parte del Ministero di Grazia e Giustizia, ma da parte del Ministero della Salute.

Il carattere sanitario della figura professionale dello psicologo è poi riconosciuta dal Ministero della Salute nella memoria depositata in attuazione dell’ordinanza istruttoria di questo Tribunale.

La professione di psicologo è una professione regolamentata, secondo la definizione contenuta nell’art. 4 del decreto legislativo n. 206 del 2007 di attuazione della Direttiva 2005/36/CE relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali.

La citata disposizione definisce la «professione regolamentata» come “l’attività, o l’insieme delle attività, il cui esercizio e’ consentito solo a seguito di iscrizione in Ordini o Collegi o in albi, registri ed elenchi tenuti da amministrazioni o enti pubblici, se la iscrizione e’ subordinata al possesso di qualifiche professionali o all’accertamento delle specifiche professionalità”.

E’ certamente il caso dell’attività psicoterapeutica alla luce di quanto dispone l’art. 35 della legge 56/1989, come modificato dall’art. 1, comma 2, della legge 4/1999, e del counseling, per quanto può ricavarsi dal Decreto MIUR del 24 luglio 2006, di Riassetto delle scuole di specializzazione di area psicologica, nel quale “la valutazione ed il counseling” identifica una delle quattro tipologie di scuole di specializzazione di area psicologica.

La definizione dell’attività non regolamentata del counselor, contenuta nel parere del Consiglio superiore di Sanità e recepita dal Mise, non consente a questi operatori di non sconfinare nel campo proprio degli psicologi, come peraltro evidenziato nelle sedute del medesimo Consiglio Superiore del 14 giugno 2011 e del 12 luglio 2011 (si vedano gli allegati 9 e 10 al ricorso), senza considerare che l’attività di counseling è anche materia di scuole di specializzazione riservate a psicologi.

Per quanto sopra esposto il ricorso va quindi accolto, poiché fondato, e, per l’effetto, vanno annullati i provvedimenti impugnati, disponendo la cancellazione dell’Assocounselors dall’elenco delle attività non regolamentate di cui alla legge 4/2013.

L’assoluta novità della questione trattata giustifica la compensazione delle spese

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla i provvedimenti impugnati.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 ottobre 2015 con l’intervento dei magistrati:

Giuseppe Daniele, Presidente

Maria Grazia Vivarelli, Consigliere

Anna Maria Verlengia, Consigliere, Estensore

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 17/11/2015

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

Redazione

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