Il Tar Lazio, con la sentenza n. 11 del 4 gennaio 2016, si è espresso in materia di recupero dei rifiuti solidi urbani ed in particolare sul rapporto tra tra la disposizione di cui all’art. 35 del d.l. n. 133/2005 (cd. decreto Sblocca Italia) che disciplina la realizzazione di impianti di recupero di energia, dai rifiuti urbani e speciali e i principi comunitari di autosufficienza e prossimità in materia di recupero dei rifiuti solidi urbani non differenziati (non pericolosi) accolti e ribaditi negli artt. 182 e 182 bis del d.lgs. 152/2006 (codice Ambiente);
Il Collegio, al riguardo ha osservato che la giurisprudenza ha ritenuto i suddetti principi di autosufficienza e prossimità non alternativi alla disposizione di cui all’art. 35 suddetto, ma integrativi (v. TAR Valle d’Aosta 21 ottobre 2015 n. 88). Si è affermato, a tale proposito, che la disposizione in esame, lungi dall’aver eliminato il principio di autosufficienza, ha rafforzato tale regola, annoverando, tra le misure urgenti in materia ambientale, quelle per la realizzazione su scala nazionale di un sistema adeguato e integrato di gestione dei rifiuti urbani, necessario a garantire il principio di autosufficienza anche nazionale (e quindi non più limitato al solo bacino regionale dove è localizzato l’impianto) evidenziandosi, tra l’altro, come il comma 1 del menzionato art. 35 valorizzi gli impianti di incenerimento con finalità di recupero energetico realizzati a livello regionale (poiché concorrono all’ottenimento dell’autosufficienza nazionale).
La ritenuta natura di integrazione e non di alternatività o deroga del rapporto tra l’art. 35 del DL n. 133/2015 ed il combinato disposto degli artt. 182 e 182 bis del codice dell’ambiente si rivela coerente con quell’orientamento ermeneutico del Consiglio di Stato diretto ad affermare che il legislatore nazionale ha stabilito il principio dell’autosufficienza su base regionale dello smaltimento dei rifiuti urbani e che, pertanto, è vietato smaltire i rifiuti urbani non pericolosi in Regioni diverse da quelle dove gli stessi sono prodotti, fatti salvi eventuali accordi regionali o internazionali, qualora gli aspetti territoriali e l’opportunità tecnico economica di raggiungere livelli ottimali di utenza servita lo richiedano (d. lgs. n. 152 del 3 aprile 2006, art. 182, co. 3; v. Consiglio di Stato, Sez VI, 19 febbraio 2013, n. 993).
Ciò posto, a giudizio del Collegio, va confermato che la portata normativa della disposizione di cui all’art. 35 del D.L. n. 133/2014, così come sostituito dalla legge di conversione n. 164/2014, non deroga al principio generale di prossimità ed autosufficienza così come sancito negli artt. 182 e 182 bis del d.lgs 152/2006, bensì lo specifica e lo completa.
Inoltre, ad avviso del Collegio, il rispetto dell’art. 182 bis del codice ambiente comporta l’obbligo per lo Stato (inteso in senso lato, ovvero come nozione ampia che comprende tutti i livelli di governo secondo il sistema delle competenze ripartito che è previsto dal codice ambiente) di realizzare una rete impiantistica idonea all’efficace ed effettivo trattamento dei rifiuti, nonché conforme alle finalità previste dal sistema normativo, ed il cui funzionamento ed organizzazione costituisce la condizione primaria e principale perché lo smaltimento avvenga nei luoghi più vicini a quelli dell’origine e produzione dei rifiuti; nel contempo, va altresì assicurata l’efficienza nel recupero, ai cui fini disposizioni come quella contenuta nell’art. 35 cit. concorrono per il tramite, nello specifico, della valorizzazione degli impianti e dei metodi di recupero energetico.
Al riguardo, ad avviso del Collegio, il principio di prossimità e quello di autosufficienza obbligano alla programmazione e realizzazione di un sistema ed una rete di trattamento dei rifiuti che assicuri la massima vicinanza possibile tra luogo di ricezione del rifiuto e luogo di produzione, ed al conferimento e trattamento dei rifiuti con priorità negli impianti locali; ma nelle more dell’attuazione della rete e del suo funzionamento ottimale, il principio di efficienza comporta che “gli aspetti territoriali e l’opportunità tecnico economica di raggiungere livelli ottimali di utenza servita” potranno giustificare il conferimento in ambito extraregionale alle condizioni ed ai limiti che sono specificati dall’attuazione dell’art. 35 del DL n. 133/2015.
Dunque a parere del Collegio, non pare revocabile in dubbio che l’art. 35 del DL 133/2015 consenta, senza violazione dei principi di prossimità ed autosufficienza, il conferimento di rifiuti in impianti di recupero energetico situati in Regioni diverse da quelle dove i rifiuti sono stati prodotti, anche se alle condizioni descritte, allo scopo di valorizzare in termini di efficienza l’utilizzo di tale metodologia di trattamento, considerata maggiormente efficace ed efficiente di altri metodi; e che il legislatore abbia subordinato tale possibilità, a protezione anche dei rischi per l’ambiente che sono immanenti al trasporto su lungo tragitto dei rifiuti, ad una serie di misure attuative, che sono quelle ampiamente sancite nella disposizione in esame.
Si riporta di seguito il testo integrale della sentenza.
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N. 00011/2016 REG.PROV.COL
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Ter)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6828 del 2015, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Consorzio Laziale Rifiuti Colari, Società E.Giovi Srl, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dagli avv. Angelo Clarizia, Avilio Presutti, con domicilio eletto presso Angelo Clarizia in Roma, Via Principessa Clotilde, 2;
contro
Società Ama Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Gianluigi Pellegrino, con domicilio eletto presso Gianluigi Pellegrino in Roma, corso Rinascimento, 11;
Roma Capitale, in persona del Commissario Straordinario pro tempore, rappresentata e difesa dall’ avv. Angela Raimondo, domiciliata in Roma, Via Tempio di Giove, 21 preso l’Avvocatura capitolina;
Regione Lazio, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Stefania Ricci, con domicilio eletto presso Stefania Ricci in Roma, Via Marcantonio Colonna,27;
nei confronti di
Società Enki S.r.l., in proprio e nella qualità di capogruppo mandataria del costituendo RTI con MAG Gmbh, Consorzio CITE e Sangalli s.r.l., anche ricorrente incidentale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. Enzo Robaldo, Maria Stefania Masini, Pietro Ferraris, con domicilio eletto presso Maria Stefania Masini in Roma, Via A. Gramsci, 24;
per l’annullamento
con il ricorso: del bando di gara pubblicato sulla GUUE del 5.5.2015, recante in oggetto: procedura per la conclusione di un accordo quadro con più operatori economici afferente l’affidamento del servizio di carico trasporto e trattamento in impianto di recupero energetico del rifiuto urbano residuo (codice cer 20 03 01) prodotto nel territorio di Roma Capitale per un periodo di mesi 48 e di ogni altro atto presupposto, meglio elencato in ricorso;
con i motivi aggiunti: del medesimo bando e dei seguenti ulteriori atti e provvedimenti relativi all’esclusione dell’odierna parte ricorrente dalla gara ed all’aggiudicazione dell’accordo quadro alla parte controinteressata, tra i quali la nota di AMA spa prot. 03213 del 26 giugno 2015, con la quale è stata comunicata l’esclusione delle ricorrenti dalla gara oggetto di causa; per quanto di ragione, dei punti III.1.1 e III.2.1, lett. d) del bando di gara; c) per quanto di ragione, dei paragrafi 2.2 e 7.3 a), 73 b1) e 7.3 b2, del disciplinare di gara; per quanto di ragione del punto 7.4 del disciplinare di gara; per quanto di ragione dei paragrafi 12.1, lett. A) e B) del disciplinare; ed inoltre, ai sensi dell’art. 116, co.2, c.p.a., per l’annullamento della nota AMA prot. 31835/U dell’8 luglio 2015 di differimento dell’accesso richiesto dalle ricorrenti con nota PEC del 26.6.2015; e degli altri atti e provvedimenti meglio indicati oltre, comprensivi dell’aggiudicazione dell’accordo a favore della contro interessata;
con il ricorso incidentale: degli atti e verbali della procedura di gara di cui sopra, nonché del provvedimento di mancata esclusione del RTI ricorrente per motivi diversi e ulteriori rispetto a quelli espressi da AMA;
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Società Ama Spa, di Roma Capitale, della Regione Lazio e della Società Enki S.r.l, quest’ultima anche ricorrente incidentale;
Visto il ricorso incidentale proposto dalla predetta Società Enki S.r.l,;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visti gli artt. 74 e 120, co. 10, cod. proc. amm.;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 3 dicembre 2015 il dott. Salvatore Gatto Costantino e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con l’atto introduttivo dell’odierno giudizio, parte ricorrente impugna il bando indicato in epigrafe, assumendo che per il tramite della procedura indetta AMA s.p.a. si proporrebbe di innovare l’assetto della gestione dei rifiuti urbani dei Comuni di Roma, Fiumicino, Ciampino e Stato della Città del Vaticano, come derivante da precisi atti di pianificazione regionale conformi ai principi comunitari del sistema di governo dello smaltimento dei rifiuti, inviando fuori regione i rifiuti che AMA s.p.a. medesima raccoglie in regime di monopolio.
In punto di legittimazione ed interesse al ricorso, parte ricorrente espone di essere un consorzio tra imprese, tra le quali la società E. Giovi srl, costituito nel 1984 che opera nella gestione dei rifiuti solidi urbani; ha realizzato e gestisce la discarica di Malagrotta, che dal 1 gennaio 1985 smaltiva (è stata notoriamente chiusa nel 2013) i rifiuti del comprensorio; nel corso degli anni realizzava due impianti per il “trattamento meccanico biologico” (TMB) a freddo dei rifiuti indifferenziati, pertinenze tecnologiche alla discarica (al momento della costruzione dei TMB) ed oggi, a discarica esaurita, operanti ancora, con propria funzione autonoma rispetto al trattamento prima dell’abbancamento (ossia del trattamento dei rifiuti anche in vista del recupero frazione CDR in uscita). Specifica che con la tecnica TMB si separano i rifiuti organici da quelli secchi; questi ultimi vengono in parte utilizzati per la produzione del CDR (combustibile derivato da rifiuti), a sua volta destinato alla produzione (recupero) di energia elettrica o termica; vengono inoltre recuperati i rifiuti metallici e plastici riutilizzabili dalle industrie manifatturiere come materie prime-seconde, come da Autorizzazione Integrata Ambientale rilasciata alla E. Giovi Srl (DD Regionale del 23.12.2013). Inoltre, sulla scorta del presupposto secondo cui il metodo più efficace e moderno per utilizzare il CDR è il processo di gassificazione, riferisce di aver proposto un progetto industriale per la lavorazione dei rifiuti (brevetto del Ministero dello Sviluppo Econonico del 2004), attraverso la costruzione di un impianto di gassificazione a Malagrotta, al fine di realizzare ciò che la stessa Colari ha brevettato come “ciclo completo” dei rifiuti (approvato con ordinanza del Commissario Delegato per l’emergenza ambientale della Regione Lazio, del 25 marzo 2005, con la quale l’Autorità ha imposto a Colari di realizzare l’impianto di gassificazione e di metterlo in servizio per “gassificare” 182.500 tonnellate di CDR all’anno e di esercitare l’impianto per il periodo di legge; quanto all’impianto di gassificazione, Colari riferisce che la prima linea (ne sono previste tre), è entrata in funzione ad agosto 2008.
Ancora, la ricorrente Colari allega che il proprio rapporto negoziale con AMA è iniziato con una convenzione del 1 gennaio 1985, poi prorogata ed integrata con vari atti, tra i quali l’atto aggiuntivo del 2 settembre 2004 (trattamento in via sperimentale di un limitato quantitativo di rifiuti presso l’impianto TMB di Malagrotta per produrre CDR da avviare al termovalorizzatore di Colleferro); ulteriore affidamento veniva poi concordato per 1.000 tonnellate rifiuti/anno sino al 31.12.2009; scaduto tale termine il conferimento proseguiva, ma nel 2012 le parti avviavano trattative per il rinnovo o per un nuovo accordo contrattuale, da porsi in continuità, senza raggiungere un buon fine; Colari instaurava un arbitrato rituale di diritto per accertare l’inadempimento dell’AMA (avvenuto con lodo parziale del 31.7.2014) agli obblighi di cooperazione.
E’ in prossimità della scadenza del lodo, che veniva annunciato il bando poi effettivamente pubblicato.
Precisa, ancora in fatto, che l’attuale assetto di bacino è quello risultante dalla pianificazione regionale adottata ai sensi dell’art. 199 comma 3 lett. f) del dlgs 152/2006, Piano di Gestione dei rifiuti del Lazio, approvato con delibera del Consiglio Regionale 18 gennaio 2012, n. 14, pubblicato sul BURL del 14 marzo 2012; esso individua 5 ATO, nei quali organizzare i servizi di raccolta, garantendo l’autosufficienza degli impianti di selezione dei rifiuti urbani indifferenziati (c.d. impianti di trattamento meccanico biologico).
Sulla base di tali premesse, ritenendo lesiva la procedura posta in essere con il bando indicato, parte ricorrente ne chiede l’annullamento per le seguenti ragioni:
1) violazione dell’art. 35, commi 6 e 7, del d.l. 133/2014. Violazione e falsa applicazione degli artt. 182 e 182 – bis del d.lgs. 152/2006 e dei principi europei in materia di autosufficienza e prossimità. Violazione del Piano regionale di gestione dei rifiuti del Lazio n. 14/2012.
L’art. 16 §§ 2 e 3 della direttiva del Parlamento Europeo 2008/98/CE, fissa i principi di autosufficienza e prossimità in materia di recupero dei rifiuti solidi urbani non differenziati (non pericolosi) accolti e ribaditi negli artt. 182 e 182 bis del d.lgs. 152/2006; parte ricorrente evidenzia che per la Regione Lazio, con decreto del Ministero dell’Ambiente n. 1 del 3.1.2013, oltre a nominarsi il Commissario per il superamento della grave criticità nella gestione dei rifiuti urbani nel territorio della Provincia di Roma, è stato preso atto della “tabella di ricognizione degli impianti di trattamento meccanico biologico” trasmessa dalla Regione Lazio, in data 21 dicembre 2012, da cui si rileva una capacità residua autorizzata alla Regione pari a circa 930.207 tonnellate annue di rifiuti; tra questi gli impianti di Aprilia, Castelforte, Colfelice, Paliano, Albano Laziale, i due impianti AMA di Roma, i due impianti gestiti dalla E. Giovi s.r.l. di Malagrotta e di Viterbo; il tutto “garantendo prioritaria applicazione del principio di autosufficienza su scala regionale”; con decreto commissariale del 15.1.2013, sono state diffidate le Autorità competenti e le imprese titolari di impianti di TMB a trattare i rifiuti solidi urbani indifferenziati prodotti dai Comuni di Roma, Fiumicino, Ciampino, e Stato della Città del Vaticano negli impianti di Albano Laziale, Viterbo, Colfelice e Castelforte. Con successivo decreto del Ministero dell’Ambiente del 25.3.2013 al Commissario è stato demandato di adeguare, se necessario, l’autorizzazione rilasciata agli impianti di TMB affinchè operassero al massimo della loro capacità accertata assicurando le prestazioni per la massimizzazione della produzione, tra l’altro, di CDR. Inoltre, con provvedimento del 9.7.2013, i gestori degli impianti di TMB di Viterbo, Albano Laziale e Colfelice sono stati diffidati al trattamento dei rifiuti urbani indifferenziati prodotti nei Comuni di Roma, Fiumicino, e Stato della Città del Vaticano. Il bando violerebbe anche il Piano Regionale di gestione dei rifiuti del Lazio del 18 gennaio 2012, nr. 14, la cui osservanza discende dal menzionato art.35, comma 1, ultimo alinea, del d.l. 133/2014, laddove si obbliga di tener conto della pianificazione regionale. Perplessa sarebbe poi la definizione dell’oggetto della gara: laddove la dizione “rifiuto urbano residuo” (non inclusa tra quelle corrispondenti al codice CER 20.03.01 (che include esclusivamente i rifiuti urbani indifferenziati) fosse riferita alla frazione eccedente le capacità di smaltimento degli impianti di AMA (la gara prevede il conferimento di tonnellate 2.615.086 in 48 mesi), riferiti ai TMB, si verificherebbe uno scenario di monopolizzazione del recupero dell’AMA; ne deriverebbe la violazione della normativa comunitaria in materia di concorrenza oltre che, come già evidenziato, della norma di cui all’art. 35 comma 1 del dl 133/2014, perché fonderebbe l’utilizzo dei TMB solo in base alla proprietà pubblica degli impianti, che non si distinguono per nessuna ragione sotto un profilo tecnologico dagli altri esistenti e censiti.
2) violazione e falsa applicazione degli artt. 11, cod.civ., e 21 septies della l. 241/90, Nullità del bando e della determinazione a contrarre per difetto assoluto di attribuzione e per assoluta aleatorietà della legittimazione della stazione appaltante ad eseguire l’accordo quadro.
L’AMA, società in house del Comune di Roma (Cass. SSUU 2 dicembre 2013, n. 26936), opera in forza di un contratto di servizio approvato con deliberazione della Giunta Comunale dell’allora Comune di Roma nr. 33 del 28 gennaio 2004, successivamente prorogato nel tempo da ultimo con deliberazione della Giunta nr. 383 del 30.12.2014 fino al 31.03.2015; con documento nr. QL/23324/2014 (“indirizzi programmatici e linee guida per la predisposizione del contratto di servizio per la gestione dei rifiuti urbani ed i servizi di igiene urbana tra Roma Capitale ed AMA spa”) elaborato dal gruppo di lavoro appositamente costituito giusta delibera della giunta n. 98 del 27 marzo 2015, cui ha fatto seguito l’atto nr. 104 del 30 dicembre 2014, con il quale si è deciso di rinviare l’affidamento del medesimo servizio di durata pluriennale con separato provvedimento, prorogando il contratto esistente fino al massimo al 31 luglio 2015; ne conseguirebbe il difetto della legittimazione negoziale di AMA perché essa non poteva prevedere la conclusione di accordi quadro con scadenza successiva alla scadenza del contratto di affidamento per a) aleatorietà dell’affidamento sotto il profilo della sua natura civilistica (invito ad offrire), e b) difetto assoluto di attribuzione ex art. 21 septies della l. 241/90, mancando in astratto il potere dell’AMA di vincolarsi all’esperimento di una procedura di gara.
3) eccesso di potere per sviamento.
Il bando impugnato costituirebbe caso di scuola di sviamento di potere, in quanto il fine perseguito sarebbe non già l’esecuzione del servizio in termini più vantaggiosi per l’ente pubblico, ma la sottrazione del conferimento agli impianti diversi da quelli di AMA spa, come illustrerebbero le varie dichiarazioni pubbliche dei rappresentanti dell’AMA raccolte dalla stampa; circostanza ancor più rilevante alla luce del contenzioso sussistente nel lodo arbitrale del 24 aprile 2015, con cui si è accertata la responsabilità di AMA.
Si è costituita l’AMA spa che resiste al ricorso di cui chiede il rigetto.
Con successivi motivi aggiunti, vengono impugnati gli atti della procedura di gara, cui la ricorrente ha comunque preso parte.
Più precisamente, premette la parte ricorrente che con lettera anticipata via fax il 26.6.2015 AMA comunicava la sua esclusione dalla procedura poiché, all’interno della busta A, contenente la documentazione amministrativa, non venivano rinvenuti i seguenti documenti (richiesti a pena di esclusione dal disciplinare e, asseritamente, dalla normativa vigente):
– 7.3 a) documentazione comprovante la costituzione di una cauzione provvisoria a corredo dell’offerta, ai sensi dell’art. 75 del del d.lgs. n. 163/2006 e s.m.i.; 7.3) b1) impegno di un fideiussore (istituto bancario o assicurativo o intermediario finanziario iscritti nell’elenco speciale di cui all’art. 107 del dlgs n. 385/1993 a rilasciare, qualora il concorrente risultasse aggiudicatario: – la garanzia afferente all’impegno a partecipare ai successivi confronti competitivi per l’intera durata dell’accordo quadro di cui al paragrafo 12.1, lett. A) del disciplinare di gara; – le garanzie di cui al paragrafo 12.1 lett. B) del disciplinare di gara; 7.3 b2), l’impegno del garante a rinnovare, su richiesta di AMA, la cauzione provvisoria fino ad ulteriori 60 giorni nel caso in cui al momento della sua scadenza non sia ancora intervenuta l’aggiudicazione; 7.4 originale o copia conforme del verbale di sopralluogo.
Con il primo atto per motivi aggiunti chiede l’annullamento della propria esclusione deducendo i seguenti motivi di gravame:
1) violazione e falsa applicazione degli artt. 59 e 75 del dlgs n. 163/2006, violazione e falsa applicazione degli artt. 46 e 38, comma 2 bis, del d.lgs. n. 163/2006; eccesso di potere per irrazionalità e contraddittorietà intrinseca.
Il bando di gara stabiliva (punto III.I.1) l’obbligo di presentazione della cauzione provvisoria ai sensi dell’art. 75 dlgs n. 163/2006 e l’impegno a prestare le cauzioni definitive con le modalità previste nel Disciplinare (punto 7.3 a); secondo parte ricorrente, la carenza e la irregolarità della cauzione provvisoria non giustificherebbero l’esclusione per il principio di tassatività ex art. 46, comma 1 bis del dlgs n. 163/2006; l’art. 75 del dlgs 163/2006 non prevede l’esclusione per la mancanza o vizi della cauzione provvisoria (richiama AP 34/2014 e TAR Lazio, III ter, 10 giugno 2015, n. 8143); ne deriverebbe sia l’invalidità dell’esclusione che del bando, in parte qua con obbligo per la S.A. di procedere a rinnovare il procedimento invitando la concorrente all’integrazione anche mediante produzione di nuova cauzione.
2) violazione delle stesse norme e principi di cui al motivo che precede sotto altri profili.
L’esclusione impugnata sarebbe illegittima anche con riferimento alla mancata presentazione di un impegno di un fideiussore…a rilasciare, qualora il concorrente risultasse aggiudicatario, la garanzia afferente all’impegno a partecipare ai successivi confronti competitivi e le altre garanzie meglio indicate in atti; la disciplina del codice degli appalti in materia di accordi quadro (parte seconda del codice, artt. 38, 46, 59 e 75) non prevede alcun obbligo di presentare garanzie in ordine alla prosecuzione delle trattative, con conseguente ulteriore violazione del principio di tassatività delle clausole di esclusione (si richiama anche un parere dell’Autorità di vigilanza, oggi ANAC precontenzioso del 18 dicembre 2013, nr. 213).
3) violazione delle stesse norme e principi di cui al motivo che precede sotto altri profili.
In ordine alla mancata presentazione dell’impegno a prestare la cauzione definitiva (obbligo sanzionato dall’esclusione ai sensi dell’art. 75 cit. comma 8), tale dichiarazione doveva essere presentata a corredo dell’offerta, non nella busta contenente la documentazione amministrativa; in ogni caso, la garanzia doveva essere prestata nell’interesse dell’esecuzione di ognuno degli appalti specifici di cui il concorrente risulterà aggiudicatario e dunque sarebbe illegittimamente pretesa l’anticipazione della cauzione al momento della procedura dell’accordo quadro.
4 e 5 ) violazione delle stesse norme e principi di cui al motivo che precede sotto altri profili.
Illegittima per i medesimi motivi sin qui esposti sarebbe l’esclusione in relazione (4) al mancato impegno del garante di prorogare la garanzia provvisoria fino a 6 giorni nel caso in cui al momento della scadenza non sia ancora intervenuta l’aggiudicazione; e (5) per la mancata produzione del verbale di sopralluogo, che avrebbe dovuto essere stilato presso le aree di carico indicate da AMA nel capitolato tecnico al fine di prendere visione e conoscere meglio la natura dei luoghi e le condizioni in cui svolgere le attività oggetto del servizio.
Con un secondo atto per motivi aggiunti, parte ricorrente impugna l’ammissione alla gara del RTI controinteressato costituito da ENKI s.r.l. di Milano, in qualità di mandatario, MAG Gmbh con sede legale a Leutesdorf, consorzio CITE di Salerno e Sangalli s.r.l. con sede legale a Monza.
Ne deduce l’illegittimità per i seguenti motivi di gravame:
1) Violazione e falsa applicazione dell’art. 38, co. 1, lett. c) ed f), d.lgs. 163/2006; eccesso di potere per difetto di istruttoria.
l’Impresa Sangalli avrebbe dovuto essere esclusa poiché – a quanto è dato sapere – un procuratore speciale di essa, il sig. Pasquale Donadio, dotato di poteri di amministrazione, non avrebbe dichiarato l’esistenza a suo carico di un decreto penale di condanna irrevocabile del 23.2.1998, in violazione di quanto disposto dall’art. 38, comma 1, lett. c) e del punto III.2.1 del bando di gara, che imponeva a ciascun concorrente di rendere una dichiarazione circa la “non sussistenza dei motivi di esclusione di cui all’art. 38 del D.Lgs. n. 163/2006 e s.m.i. “; e quindi anche della assenza di un decreto penale di condanna divenuto irrevocabile per un reato grave in danno dello Stato o della Comunità, incidente sulla moralità professionale del dichiarante e quindi dell’Impresa. L’Impresa avrebbe dovuto essere esclusa sia per l’esistenza del pregiudizio penale sia perché la dichiarazione resa in tali termini, siccome omissiva, era ed è mendace. Inoltre, AMA avrebbe dovuto prendere in seria considerazione la circostanza – già dedotta in sede di istanza cautelare di cui al primo atto di motivi aggiunti – che l’Impresa Sangalli, nel gennaio 2015, è stata condannata in quanto persona giuridica – previo patteggiamento – al pagamento di una sanzione pecuniaria siccome imputata, ai sensi del d.lgs. 231/2001, nel maxiprocesso per corruzione e turbativa d’asta sugli appalti dei rifiuti di Monza e di altri comuni; tale condanna, oltre a palesare seri dubbi sul possesso, all’attualità, dei requisiti di moralità professionale da parte dell’impresa, avrebbe comunque dovuto essere presa in considerazione dalla commissione ai sensi dell’art. 38, co. 1, lett. f) del d.lgs. 163/2006, secondo cui vanno esclusi i concorrenti che “hanno commesso un errore grave nell’esercizio della loro attività professionale, accertato con qualsiasi mezzo di prova da parte della stazione appaltante“.
2) Violazione e falsa applicazione dell’art. 36, d.lgs. 163/2006.
Del raggruppamento controinteressato fa parte anche il Cite – Consorzio Stabile Interprovinciale Trasporti Ecoambientali s.c. a r.l. che non avrebbe potuto essere ammesso in quanto, sempre a quanto è dato sapere, avrebbe dichiarato di concorrere in proprio nell’ambito del predetto r.t.i. il che, ai sensi dell’art. 36, co. 5, d.lgs. 163/2006, è vietato (“i consorzi stabili sono tenuti ad indicare in sede di offerta per quali consorziati il consorzio concorre“).
Con un terzo atto di motivi aggiunti, vengono impugnati, oltre gli atti già gravati, il provvedimento di aggiudicazione di contenuto ignoto n. 42 dal 1 ottobre 2015, a firma del Direttore Generale di AMA (comunicato con nota prot. n. 45695 del 7 ottobre 2015, anch’essa impugnata) in favore del RTI Enki, e comunque dell’ignoto provvedimento di ammissione alla gara del predetto raggruppamento. I motivi dedotti sono relativi all’illegittimità degli atti precedenti, con riserva di ulteriori ragioni di censura all’esito dell’accesso che le ricorrenti si riservano di eseguire ai sensi dell’art. 13 dlgs 163/2006.
Con ulteriori motivi aggiunti (quarto e quinto atto) viene impugnata l’aggiudicazione “di contenuto ignoto”, n. 42 del 1 ottobre 2015, a firma del Direttore Generale di AMA (comunicato con nota prot. 45695 del 7 ottobre 2015, anch’essa impugnata) in favore del RTI Enki. Avverso tali atti si deduce la (I) violazione e falsa applicazione dell’art. 49, d.lgs. 163/2006 e dell’art. 88 D.P.R. nr. 207/2010 (la dichiarazione relativa al fatturato specifico dell’ausiliaria di ENKI, società austriaca EVN, è sottoscritta da soggetto del quale non sarebbero resi noti i poteri e le responsabilità; il contratto di avvalimento sarebbe nullo per mancanza di accordo delle parti); (II) violazione e falsa applicazione dell’art. 46 del d.lgs. 163/2006 (il PASSOE di MAG non risulterebbe essere stato incluso nella busta A dell’offerta, ma irritualmente consegnato a mani il giorno stesso dell’apertura dell’offerta economica); (III) violazione e falsa applicazione dell’art. 37 del d.lgs. 163/2006 (l’RTI aggiudicatario non avrebbe natura di raggruppamento orizzontale, come dichiarato, bensì verticale); (IV) Eccesso di potere per difetto assoluto di motivazione e di istruttoria (l’amministratore unico di CITE risulta essere stato destinatario di quattro condanne penali definitive, sulle quali la S.A. non si sarebbe soffermata); (V) Violazione e falsa applicazione degli artt. 34 e 36 del d.lgs. 163/2006 ( non sarebbe stata allegata da parte di CITE la documentazione inerente la società Ecoservice di Petruzzo Anna Rita & C. s.a.s. che ne detiene la maggioranza delle quote consortili e che quindi la controlla, nonché l’ANGA); (VI) violazione e falsa applicazione dell’art. 38, lett. b) e c) del d.lgs. 163/2006 (non sarebbero state prodotte le documentazioni inerenti gli amministratori e direttori tecnici della ignota società “EI%RE” s.p.a. cui appartiene l’80% del capitale sociale di ENKI); VII) violazione e falsa applicazione dell’art. 46 e 73 del d.lgs. 163/2006 (non sarebbe stata integrata la cauzione provvisoria di ENKI, come richiesto dal Presidente della Commissione di gara).
Si sono costituite sia l’amministrazione resistente che la parte controinteressata che resistono a ciascuno dei motivi aggiunti.
Secondo le tesi di AMA s.p.a. e di Roma Capitale, il bando impugnato e la relativa procedura sarebbero pienamente legittimi atteso che appartiene alla piena facoltà del legislatore nazionale applicare il principio di prossimità avendo riguardo ai confini nazionali; la procedura impugnata ha ad oggetto la formazione di un accordo quadro, modellato in maniera conforme allo schema previsto dall’art. 32 della Direttiva 2004/18/CE ed idoneo a rendere flessibile l’attività contrattuale della PA, connotato da un carattere bifasico costituito da una prima fase di gara pubblica per la selezione di una pluralità di fornitori, e da una seconda fase di confronto negoziale tra le imprese selezionate, dovendosi quindi riconoscere la natura del c.d. “contratto normativo”; la procedura peraltro sarebbe subordinata alla piena attuazione dell’art. 35 del DL n. 133/2014, come sostituito dalla legge di conversione nr. 160/2014 e che quindi non può ancora dirsi del tutto operativa; quest’ultima disposizione persegue lo scopo di assicurare l’autosufficienza nazionale nella gestione dei rifiuti al fine di superare le procedure di infrazione comunitaria già in atto e prevenirne di nuove; il presupposto dell’intervento legislativo è quindi costituito proprio dalla situazione attuale che non è affatto conforme ai principi di prossimità ed autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti enunciato nell’art. 182-bis del Codice dell’ambiente, come peraltro risulta confermato anche da una ulteriore procedura di infrazione (2011/2215) nell’ambito della quale la Commissione ha emesso in data 23.11.2012 un parere motivato ex art. 258 per la violazione degli obblighi imposti dall’art. 14 della Direttiva 1999/31/CE sulle discariche di rifiuti (piani di riassetto), considerando irregolari 102 discariche già esistenti o autorizzate al 16 luglio 2001per le quali si sarebbe dovuto prevedere ed eseguire un adeguato piano di riassetto o alla loro chiusura entro il 16 luglio 2009.
In questo quadro complessivo, gli impianti TMB di Colari utilizzerebbero per la produzione di CDR solo una parte dei rifiuti che trattano; non sussistono nel territorio laziale impianti sufficienti a smaltire l’intera produzione di CDR a fini di produzione energetica, indipendentemente dalla circostanza che l’impianto di rigassificazione di COLARI non è mai entrato in funzione, salva una limitata operatività sperimentale che ha dato corso ad una variante progettuale la cui procedura è tuttora in corso.
Inoltre, ai sensi del dlgs n. 152/2006 non sussistono vincoli di bacino per gli impianti di recupero energetico e su tale punto l’art. 35 citato nulla innova, anzi si dà atto (nella seconda parte del comma 6) che il vincolo di prossimità sussiste solamente per i rifiuti speciali pericolosi.
Ne deriva, secondo la difesa delle parti resistenti, che il richiamato recapito finale del “rifiuto urbano residuo” prodotto nel Lazio potrà avvenire solo in impianti che già assicurino, o concorrano ad assicurare, lo smaltimento dei rifiuti urbani prodotti nel territorio della Regione in cui l’impianto è situato nei limiti della disponibilità residua oggetto di autorizzazione.
Argomentazioni di medesimo genere sono quindi dedotte dalla controinteressata ENKI, secondo la quale l’art. 182, comma 3, del d.lgs. 152/2006, vieta il trasporto transregionale e transfrontaliero dei rifiuti urbani ma solo in relazione al loro destino finale “a smaltimento” (ovvero per il tradizionale conferimento a discarica); nel caso di specie il limite non troverebbe applicazione alla procedura in contestazione essendo in questo caso previsto un conferimento a recupero energetico. Inoltre, l’art. 182 bis del d.lgs. 152/2005 sarebbe invocata a sproposito in quanto il recupero dei rifiuti è svincolato e non risente dei limiti di bacino; in ogni caso non sarebbe realizzata quella “rete integrata ed adeguata di impianti” che l’art. 182 bis citato presuppone a fondamento del principio di prossimità ed autosufficienza, quale condizione di essi.
La difesa del RTI controinteressato propone inoltre un ricorso incidentale avverso la mancata esclusione dell’RTI Colari per motivi diversi ed ulteriori rispetto a quelli espressi da AMA.
Premette che il Disciplinare di gara prevedeva, tra i requisiti di capacità tecnica e professionale, il possesso alla data di pubblicazione del Bando, a pena di esclusione, l’iscrizione all’Albo Nazionale Gestori Ambientali per le categorie e classi necessarie all’esecuzione delle attività di trasporto oggetto della procedura in ragione delle quantità dichiarate (punto III.2.3 del Bando e 7.1.2, lett. a) del Disciplinare). Inoltre, si richiedeva una dichiarazione attestante “l’impianto o l’elenco degli impianti che verrà/verranno utilizzato/i per le attività di recupero dei rifiuti combustibili CER 20 03 01 oggetto della presente procedura e dei successivi appalti specifici e relativa autorizzazione d’esercizio (punto 7.1.2 lett b). Il Disciplinare contiene (pag. 14 di 43) la seguente precisazione: “potranno partecipare alla presente Procedura anche gli operatori economici che non svolgono direttamente attività afferente il carico, trasporto e trattamento di rifiuto (codice CER 20 03 01) a condizione che siano iscritti all’Albo Nazionale Gestori Ambientali per attività di intermediazione e che partecipino alla presente Procedura soltanto unitamente ad operatore economico in possesso di tutti i requisiti di cui ai precedenti punti 7.1.1 e 7.1.2; quest’ultimo, in caso di RTI, dovrà assumere il ruolo di impresa mandataria”.
Prima della presentazione delle offerte, AMA pubblicava sul proprio sito le seguenti risposte a chiarimenti dei concorrenti tra cui la domanda nr. 5 : “rif. Par. 2, lett a) 5° trattino del Capitolato Tecnico, si chiede ai fini del recupero presso impianti autorizzati nazionale e/o internazione dei rifiuti CER 200301 tramite operazioni di recupero energetico, se possa essere ritenuto valido l’utilizzo di impianti che prevedono operazioni di recupero R13 e/o R12 preliminari all’operazione di recupero energetico R1 che sarà effettuata sulla quantità percentuale maggioritaria del prodotto 2003001 in ingresso a tale impianto preliminare. La Risposta n. 5 è stata così descritta: “La richiesta è di avvio ad impianti di recupero energetico in coerenza con l’art. 35 (e suoi sviluppi) così come descritto nel Capitolato Tecnico e nel Disciplinare di gara. Il recupero energetico dovrebbe essere totale sulle partite del 200301, preso in carico dall’affidatario”.
Evidenzia il RTI ricorrente incidentale che l’offerta è stata presentata in forma di costituendo RTI formato da due soggetti, COLARI – capogruppo mandataria ed E.GIOVI srl, mandante; la parte delle prestazioni contrattuali assunte nella ripartizione dell’oggetto contrattuale all’interno del RTI è la seguente: GIOVI al 60% e COLARI al 40%.
Con riferimento al requisito dell’iscrizione all’ANGA le due imprese hanno dichiarato (quanto a COLARI) l’iscrizione per la categoria 8 intermediazione e commercio di rifiuti senza detenzione degli stessi, Classe A; e (quanto a E.GIOVI) categoria 1, Raccolta e trasporto rifiuti urbani Classe E e Categoria 4 Raccolta e trasporto di Rifiuti speciali non pericolosi, Classe C.
Quanto agli impianti, GIOVI ha dichiarato che si sarebbe avvalsa degli impianti di trattamento meccanico biologico denominati Malagrotta Uno e Malagrotta Due, siti in via di Malagrotta n. 252 in Roma.
Evidenzia che mentre il Disciplinare al punto citato recita “impianto utilizzato per le attività di recupero” e l’oggetto della Procedura parla espressamente di “recupero energetico”, la dichiarazione di GIOVI contiene un generico riferimento alle “attività di trattamento”.
Ciò posto deduce che l’esclusione del RTI avversario avrebbe dovuto essere disposta per le seguenti ragioni.
I) Violazione di legge, articolo 275 del DPR n. 207/2010 (la mandataria COLARI non esegue la maggioranza delle prestazioni, essendosi impegnata al solo 40% di esse; si richiama TAR Lazio, II ter,, nr. 3971 del 10 marzo 2015).
II) Violazione della lex specialis (punto 7.1.2 ultimo periodo del Disciplinare): nel RTI ricorrente principale, la capogruppo mandataria COLARI è iscritta all’Albo Nazionale Gestori Ambientali per la categoria di intermediazione e commercio dei rifiuti; mentre la mandante GIOVI è in possesso dei requisiti di iscrizione per le attività di raccolta e trasporto rifiuti, titolare degli impianti; la lex specialis, invece, prevedeva che qualora fosse compreso nel raggruppamento un soggetto iscritto all’Albo come intermediario, capogruppo avrebbe dovuto essere il soggetto iscritto per le attività di raccolta e titolare degli impianti, ovvero COLARI avrebbe dovuto essere la mandante ed E.GIOVI la capogruppo mandataria.
III) Carenza del requisito di capacità tecnico professionale relativo all’iscrizione all’Albo Nazionale dei Gestori Ambientali – violazione di legge (art. 212 del Dlgs n. 152/2006 e DM 3 giugno 2014, n. 120), Violazione della lex specialis (disciplinare, punto 7.1.2, lett. a): la componente del RTI ricorrente principale E. GIOVI, iscritta all’Albo Nazionale Gestori per le attività di raccolto e trasporto rifiuti, ha dichiarato di possedere l’iscrizione per la Categoria 1 Raccolta e trasporto rifiuti urbani Classe E; le Categorie e le Classi dell’Albo sono disciplinate dal DM 3 giugno 2014, nr. 120; in base all’art. 9, la classe E corrisponde ad una popolazione servita compresa tra 5.000 e 20.000 abitanti. Ne consegue che non è in possesso del requisito necessario a svolgere le attività di trasporto oggetto della procedura che riguarda i rifiuti urbani prodotti nel territorio di Roma Capitale.
IV) Carenza di requisito di capacità tecnico-professionale – violazione della lex specialis – inidoneità degli impianti indicati ad eseguire le prestazioni richieste dalla disciplina di gara – violazione e/o falsa applicazione di legge (allegato C della parte IV del Dlgs n. 152/2006);
la procedura di accordo quadro è stata indetta per concludere una serie di appalti aventi ad oggetto il servizio di carico, trasporto e trattamento in impianto di recupero energetico del Rifiuto Urbano Residuo (art. 1 del Capitolato tecnico : “oggetto del servizio…si precisa che per recupero si intendono le operazioni di recupero energetico” (di seguito anche solo “Recupero”: v. anche il quesito nr. 5 laddove la S.A. ha chiarito che l’operazione di recupero a cui devono essere avviati, nella totalità, i rifiuti con CER 200301 è quello energetico (operazione R1 di cui all’allegato C della Parte IV del Dlgs n. 152/2006); l’affidatario dovrà dunque avviare i rifiuti ritirati ad impianti autorizzati ed effettuare l’operazione in questione. Così come induce a ritenere la dichiarazione generica delRTI (che indica un generico riferimento alle “attività di trattamento”), gli impianti di Malagrotta indicati dal RTI ricorrente principale per la gestione dei rifiuti aventi CER 200301, non effettuano e non sono abilitate ad effettuare operazioni di recupero di energia.
L’autorizzazione integrata ambientale A.I.A. prodotta dal RTI COLARI nella Busta A, che abilita le due piattaforme quale destino finale dei rifiuti con CER 200301, si evince come le medesime effettuino operazioni di recupero consistenti nel trattamento meccanico e biologico del rifiuto ritirato; si tratta di trattamenti definiti dall’Allegato C della Parte IV del D.lgs 152/2006, rispettivamente come operazioni R5 ed R3, che sono ontologicamente e tecnicamente diversi rispetto al recupero energetico.
Secondo il RTI ricorrente incidentale, le operazioni di trattamento meccanico e biologico nulla avrebbero a che vedere con il recupero energetico, perché si limitano a restituire un prodotto che poi dovrà essere necessariamente riutilizzato e rimesso in cicli produttivi, ovvero smaltito; laddove il recupero energetico presuppone la distruzione del rifiuto, sulla scorta di un’operazione effettuata al netto degli autoconsumi, da cui derivi direttamente produzione di energia elettrica.
Secondo la difesa delle ricorrenti – resistenti al ricorso incidentale, quest’ultimo gravame sarebbe inammissibile per difetto di interesse, poiché anche se fosse fondato, esso non farebbe venir meno l’interesse oppositivo principale delle ricorrenti all’impugnazione del bando.
Le parti hanno scambiato memorie e documenti.
Alla pubblica udienza del 3 dicembre 2015 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
I) Nell’odierno giudizio, parte ricorrente impugna (con il ricorso) il bando meglio descritto in epigrafe, mediante il quale l’Amministrazione procedente intende selezionare contraenti per la successiva stipula di contratti di servizio per il conferimento del Rifiuto Urbano Residuo (Codice CER 200301) prodotto nel territorio di Roma Capitale per 48 mesi al fine del trattamento in impianti di recupero energetico; e con i successivi 5 atti per motivi aggiunti gli esiti del procedimento di gara, cui ha comunque preso parte risultandone escluso (atti impugnati con i primi motivi aggiunti) e che è stato aggiudicato alla parte controinteressata (atti impugnati con i successivi motivi aggiunti).
II) A fondamento della propria legittimazione a ricorrere, il Consorzio allega, come si è indicato in parte narrativa, il possesso di due impianti in uso di TMB (Trattamento Meccanico Biologico) a freddo dei rifiuti indifferenziati; trattamento a seguito del quale i rifiuti vengono in parte “utilizzati per la produzione del CDR (combustibile derivato da rifiuti), a sua volta destinato alla produzione (recupero) di energia elettrica o termica…” ed in parte “recuperati …come materie prime-seconde, come da Autorizzazione Integrata Ambientale rilasciata alla E.Giovi s.r.l. con determinazione regionale del 23.12.2013”. Inoltre, sulla scorta dell’assunto secondo il quale “il metodo più efficiente e moderno per utilizzare il CDR è il processo di gassificazione”, Colari allega di avere in corso un progetto industriale per la lavorazione dei rifiuti attraverso la costruzione di un impianto di gassificazione a Malagrotta, al fine di realizzare ciò che lo stesso Colari ha brevettato come “ciclo completo dei rifiuti”. Allega, infine, una pregressa vicenda contrattuale di servizio con la stessa AMA (in forza della quale l’AMA conferirebbe all’attualità rifiuti presso Malagrotta per il loro trattamento meccanico da parte di Colari) culminata in un lodo arbitrale di accertamento di inadempimento delle relative obbligazioni da parte di AMA (lodo parziale del 31.7.2014).
III) Sulla base di ciò, le doglianze dedotte dal raggruppamento odierno ricorrente vanno distinte in due categorie: la prima, che raggruppa essenzialmente le censure proposte con il ricorso introduttivo, sulla base delle quali si contesta la contrarietà della procedura di gara in quanto tale ai principi di prossimità ed autosufficienza dello smaltimento dei rifiuti, nonché del Piano Regionale di gestione dei rifiuti del Lazio; e la seconda che raggruppa le censure rivolte contro il procedimento di gara nel suo svolgersi (ovvero contro l’esclusione della ricorrente e contro l’aggiudicazione in favore della parte controinteressata).
IV) Secondo un ordine di tipo logico-pregiudiziale, ed anche per delimitare da subito l’oggetto del giudizio in funzione del rispetto del principio di sinteticità della sentenza, vanno dapprima prese in esame le censure del secondo gruppo contenute nei motivi aggiunti, le quali, come puntualmente eccepito dalla difesa dell’AMA e di Roma Capitale e soprattutto in accoglimento di quanto dedotto dalla controinteressata nel motivo nr. IV del ricorso incidentale, sono inammissibili unitamente ai motivi aggiunti con le quali le stesse sono state proposte.
Invero, non sussiste alcun interesse della parte ricorrente all’aggiudicazione della gara o alla contestazione della sua conclusione in favore della controinteressata, non avendo dimostrato il possesso attuale ed utile di impianti di recupero energetico idonei al servizio oggetto del bando.
Come si è visto dapprima, il Consorzio ricorrente da un lato possiede solamente impianti di TMB e questi ha infatti indicato come terminale di conferimento dei rifiuti oggetto del bando, nella propria istanza di partecipazione ed offerta.
Dall’autorizzazione integrata disponibile in atti (produzione sub 6 allegata al ricorso) risulta che “il ciclo tecnologico del trattamento degli RSU riferibile al complesso dei due impianti si articola nelle seguenti fasi principali: ricezione RSU e rifiuti speciali non pericolosi….selezione automatica secco – umido, lavorazione della frazione secca con produzione di CDR/CSS; recupero metalli e PET; trattamento aerobico della frazione umida; raffinazione….avvio a recupero/smaltimento dei residui di lavorazione”.
Nei suddetti impianti, non risulta dunque lo svolgimento di operazioni attinenti al recupero di energia (classificate R1 secondo l’allegato C della Parte IV del d.lgs. nr. 152/2006).
Quanto al brevetto per il ciclo completo dei rifiuti, che si avvale dell’impianto di rigassificazione, così come emerge dalla descrizione allegata sub 5 al ricorso, tale procedura opera un trattamento “che realizza il massimo recupero dei materiali classificati come rifiuto; …..processo per l’utilizzo del CDR” ovvero Combustibile Derivato da Rifiuti, “con conseguente recupero energetico a basso impatto ambientale, che consiste nella gassificazione del combustibile”, comprensivo anche di lavorazioni classificate nella categoria R1 cui si è fatto riferimento.
Tuttavia, non risulta comprovato che all’attualità l’impianto di rigassificazione sia operativo: la difesa di AMA (vedasi la memoria del 3 luglio 2015) ha dedotto che l’impianto è stato autorizzato solo per cinque anni (determinazione Regione Lazio n. 83692 del 13 agosto 2009) ed in funzione solo fino al 2011 (quando venne fermato per inconvenienti tecnici nel funzionamento e tanto che la stessa COLARI ha richiesto l’approvazione di una variante alle due linee a regime secondo un nuovo progetto, non ancora approvato); mentre COLARI non ha adeguatamente contestato tale eccezione, ma soprattutto non ha offerto in giudizio una prova di qualsiasi genere circa l’attualità del funzionamento e dell’operatività dell’impianto.
In altre parole, ciò che appare dirimente è che la parte ricorrente non ha allegato, né comprovato l’attuale disponibilità di impianti del genere di quelli richiesti dal bando di gara (le cui risultanze contesta) e ciò attiene direttamente alla dimostrazione della legittimazione alla partecipazione alla gara e a contestarne le relative risultanze.
Ne deriva che, all’attualità, l’interesse a ricorrere del Consorzio può ritenersi solamente nei limiti dei motivi dedotti con il ricorso introduttivo, ovvero nei limiti dell’interesse oppositivo alla indizione di una procedura volta all’organizzazione di una metodologia di conferimento dei rifiuti ai fini del loro trattamento con modalità differenti da quelle che la parte è in grado di offrire all’Amministrazione (come già sinteticamente ritenuto nell’ordinanza n. 9703/2015 pronunciata inter partes); mentre va ritenuto non sussistente per quanto riguarda tutte le altre censure dedotte, ovvero le ragioni di doglianza proposte con i vari motivi aggiunti, in quanto finalizzate alla tutela dell’interesse pretensivo all’aggiudicazione di una gara che la ricorrente stessa non dimostra di essere nelle condizioni di ottenere, nonché all’interesse pretensivo alla sua ripetizione previa esclusione dell’unica partecipante attuale aggiudicataria, per i medesimi motivi.
V) Passando adesso all’esame delle censure dedotte con il ricorso introduttivo, con la prima e principale tra esse, il Consorzio lamenta che il bando avrebbe di mira l’illegittima esportazione di rifiuti prodotti dal territorio di Roma Capitale verso altre Regioni italiane (e, secondo quanto anche meglio precisato nei motivi aggiunti, anche verso paesi esteri), con conseguente costituzione di una posizione di monopolio per gli impianti della stessa AMA (essendo previsto dal bando il conferimento della quota di frazione residui non trattati negli impianti TMB di AMA).
Al fine della corretta disamina delle ragioni di censura, va osservato quanto segue.
Il bando di gara ha ad oggetto una “procedura per la conclusione di un accordo quadro con più operatori economici, ai sensi dell’art. 59, comma 8 del D.lgs. n. 163/2006, afferente l’affidamento del servizio di carico, trasporto e trattamento in impianti di recupero energetico del Rifiuto Urbano Residuo (codice CER 20 03 01) prodotto nel territorio di Roma Capitale per un periodo di 48 mesi, nel pieno rispetto dell’art. 35 del D.L. n. 133/2014, così come sostituito dalla legge di conversione n. 164/2014”.
Al punto II.1.5) si precisa che “l’aggiudicazione della Procedura è condizionata alla effettiva attuazione dell’art. 35 del D.L. n. 133/2014, così come sostituito dalla legge di conversione n. 164/2014; il tutto come meglio previsto nel Disciplinare della procedura e nell’ulteriore documentazione della Procedura”.
Al punto II.2.2) si precisa che: “AMA SpA, nel corso della durata dell’accordo quadro si riserva: – di richiedere agli aggiudicatari di incrementare o di diminuire il servizio e, comunque, le attività oggetto dell’accordo quadro fino alla concorrenza di un quinto dell’importo massimo complessivo di spesa, anche attraverso l’incremento o la diminuzione delle attività oggetto dei singoli appalti basati sull’accordo quadro, alle medesime condizioni e termini contrattuali, ai sensi dell’art. 11 del RD 18.11.1923, n. 2440”.
Ulteriori riserve sono poi elencate sub VI.3 (informazioni complementari), ai punti c, d, ed e, laddove AMA specifica che l’appalto quadro o i singoli accordi potranno non essere aggiudicati o conclusi o la procedura sospesa, revocata, annullata e così via, “nel caso di mancata attuazione dell’art. n.35 del d.lgs. nr. 133/2014, così come sostituito dalla legge di conversione n. 164/2014”.
Dal disciplinare della procedura (punto 2) risulta che l’oggetto del conferimento è dato dalla previsione (“quantitativo massimo complessivo stimato”) di 2.615.086 tonnellate di rifiuto urbano residuo; che “…l’aggiudicazione della presente Procedura al singolo operatore economico è condizionata dal contenuto del provvedimento attuativo di cui all’art. 35, comma 1, del D.L. 133/2014, così come sostituito dalla legge di conversione n. 164/2014, anche con riferimento alla capacità ricettiva verificata ai sensi del medesimo art. 35”; che l’importo del servizio (fissato al punto 3) è determinato in misura massima pari ad euro 366.912.000,00 oltre IVA ed è stato “determinato in ragione della stima del fabbisogno per il Servizio effettuata su dati statistici….al meglio delle possibilità e conoscenze attuali: le quantità stimate non sono, pertanto, in alcun modo vincolanti ed impegnative per AMA”.
VI) Appare evidente, dunque, che ogni questione inerente il rispetto da parte del bando della procedura dei principi di autosufficienza e prossimità nel conferimento dei rifiuti è dipendente dalla portata precettiva della norma da ultimo introdotta nell’Ordinamento dal menzionato art. 35 del D.L. n. 133/2014, così come sostituito dalla legge di conversione n. 164/2014 posto che il bando ha ad oggetto un conferimento di rifiuti rientranti nel Codice CER indicato alle condizioni e nei limiti consentiti da tale disposizione.
Più precisamente, sia per la natura che per i suoi contenuti e limiti, l’accordo prospettato dalla procedura di gara indetta da AMA non è tale da impegnare l’Amministrazione all’attuale ed incondizionato obbligo di conferire i rifiuti per il loro trattamento energetico presso gli operatori (nello specifico quelli raggruppati che hanno preso parte alla procedura stessa), ma si risolve in una selezione condizionata all’attuazione del sistema normativo introdotto dalla disposizione in esame, dovendosi infatti riconoscere all’accordo in questione natura di “contratto normativo” così come la difesa di AMA ha puntualmente prospettato.
VII) Chiarita la dipendenza genetica e non solo funzionale dell’accordo oggetto della procedura di gara di cui al bando impugnata dall’attuazione della disposizione normativa esaminata, di particolare interesse, ai fini di causa, è il comma 6 dell’art. 35 cit., a norma del quale: “Ai sensi del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, non sussistendo vincoli di bacino al trattamento dei rifiuti urbani in impianti di recupero energetico, nei suddetti impianti deve comunque essere assicurata priorita’ di accesso ai rifiuti urbani prodotti nel territorio regionale fino al soddisfacimento del relativo fabbisogno e, solo per la disponibilità residua autorizzata, al trattamento di rifiuti urbani prodotti in altre regioni. Sono altresì ammessi, in via complementare, rifiuti speciali pericolosi a solo rischio infettivo nel pieno rispetto del principio di prossimità sancito dall’articolo 182-bis, comma 1, lettera b), del citato decreto legislativo n. 152 del 2006 e delle norme generali che disciplinano la materia, a condizione che l’impianto sia dotato di sistema di caricamento dedicato a bocca di forno che escluda anche ogni contatto tra il personale addetto e il rifiuto; a tale fine le autorizzazioni integrate ambientali sono adeguate ai sensi del presente comma”.
VIII) La giurisprudenza ha avuto modo di pronunciarsi sul rapporto tra la disposizione di cui all’art. 35 del d.l. n. 133/2005 ed i principi di autosufficienza e prossimità ritenendoli non alternativi, ma integrativi (v. TAR Valle d’Aosta 21 ottobre 2015 n. 88). Si è affermato, a tale proposito, che la disposizione in esame, lungi dall’aver eliminato il principio di autosufficienza, ha rafforzato tale regola, annoverando, tra le misure urgenti in materia ambientale, quelle per la realizzazione su scala nazionale di un sistema adeguato e integrato di gestione dei rifiuti urbani, necessario a garantire il principio di autosufficienza anche nazionale (e quindi non più limitato al solo bacino regionale dove è localizzato l’impianto) evidenziandosi, tra l’altro, come il comma 1 del menzionato art. 35 valorizzi gli impianti di incenerimento con finalità di recupero energetico realizzati a livello regionale (poiché concorrono all’ottenimento dell’autosufficienza nazionale).
La ritenuta natura di integrazione e non di alternatività o deroga del rapporto tra l’art. 35 del DL n. 133/2015 ed il combinato disposto degli artt. 182 e 182 bis del codice dell’ambiente si rivela coerente con quell’orientamento ermeneutico del Consiglio di Stato diretto ad affermare che il legislatore nazionale ha stabilito il principio dell’autosufficienza su base regionale dello smaltimento dei rifiuti urbani e che, pertanto, è vietato smaltire i rifiuti urbani non pericolosi in Regioni diverse da quelle dove gli stessi sono prodotti, fatti salvi eventuali accordi regionali o internazionali, qualora gli aspetti territoriali e l’opportunità tecnico economica di raggiungere livelli ottimali di utenza servita lo richiedano (d. lgs. n. 152 del 3 aprile 2006, art. 182, co. 3; v. Consiglio di Stato, Sez VI, 19 febbraio 2013, n. 993).
IX) Ciò posto, a giudizio del Collegio, va confermato che la portata normativa della disposizione di cui all’art. 35 del D.L. n. 133/2014, così come sostituito dalla legge di conversione n. 164/2014, non deroga al principio generale di prossimità ed autosufficienza così come sancito negli artt. 182 e 182 bis del d.lgs 152/2006, bensì lo specifica e lo completa.
Infatti, non va sottaciuto che la disposizione di cui all’art. 182, comma 3, consente di derogare al principio di prossimità in forza della stipula di “eventuali accordi regionali o internazionali, qualora gli aspetti territoriali e l’opportunità tecnico economica di raggiungere livelli ottimali di utenza servita lo richiedano”.
Più in generale, dunque, i principi di autosufficienza e prossimità non sono gli unici a regolare il procedimento di smaltimento e recupero dei rifiuti, dovendosi essi correlare con l’altrettanto inderogabile principio di efficienza della rete, che consenta di “utilizzare i metodi e le tecnologie piu’ idonei a garantire un alto grado di protezione dell’ambiente e della salute pubblica”.
Pertanto, il rispetto dell’art. 182 bis del codice ambiente comporta l’obbligo per lo Stato (inteso in senso lato, ovvero come nozione ampia che comprende tutti i livelli di governo secondo il sistema delle competenze ripartito che è previsto dal codice ambiente) di realizzare una rete impiantistica idonea all’efficace ed effettivo trattamento dei rifiuti, nonché conforme alle finalità previste dal sistema normativo, ed il cui funzionamento ed organizzazione costituisce la condizione primaria e principale perché lo smaltimento avvenga nei luoghi più vicini a quelli dell’origine e produzione dei rifiuti; nel contempo, va altresì assicurata l’efficienza nel recupero, ai cui fini disposizioni come quella contenuta nell’art. 35 cit. concorrono per il tramite, nello specifico, della valorizzazione degli impianti e dei metodi di recupero energetico.
In questo senso, la disposizione da ultimo indicata, oltre a promuovere la costituzione di una rete di impianti di recupero energetico del rifiuto, precisa che tali impianti potranno ricevere conferimenti da fuori territorio regionale, anche se a condizione che sia garantita priorità d’accesso a quelli prodotti all’interno del territorio e nei limiti della disponibilità residua rispetto a questi ultimi (così bilanciando il principio di prossimità con quello di autosufficienza inteso, quest’ultimo, con riferimento ad un ambito ultraregionale e nazionale); a conferma di ciò si consideri che il comma 7 sancisce la sottoposizione del conferimento extraregionale ad un contributo supplementare, e che i commi 3 e 4 della medesima disposizione prevedono norme destinate a consentire il conferimento a saturazione del carico termico degli impianti di recupero energetico, il loro adeguamento agli standards di compatibilità ambientale e l’obbligo che gli impianti di nuova realizzazione siano conformi alla classificazione di impianti di recupero energetico di cui alla nota 4 del punto R1 dell’allegato C alla parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.
Di conseguenza, il principio di prossimità e quello di autosufficienza obbligano alla programmazione e realizzazione di un sistema ed una rete di trattamento dei rifiuti che assicuri la massima vicinanza possibile tra luogo di ricezione del rifiuto e luogo di produzione, ed al conferimento e trattamento dei rifiuti con priorità negli impianti locali; ma nelle more dell’attuazione della rete e del suo funzionamento ottimale, il principio di efficienza comporta che “gli aspetti territoriali e l’opportunità tecnico economica di raggiungere livelli ottimali di utenza servita” potranno giustificare il conferimento in ambito extraregionale alle condizioni ed ai limiti che sono specificati dall’attuazione dell’art. 35 del DL n. 133/2015.
Ne deriva che non pare revocabile in dubbio che l’art. 35 del DL 133/2015 consenta, senza violazione dei principi di prossimità ed autosufficienza, il conferimento di rifiuti in impianti di recupero energetico situati in Regioni diverse da quelle dove i rifiuti sono stati prodotti, anche se alle condizioni descritte, allo scopo di valorizzare in termini di efficienza l’utilizzo di tale metodologia di trattamento, considerata maggiormente efficace ed efficiente di altri metodi; e che il legislatore abbia subordinato tale possibilità, a protezione anche dei rischi per l’ambiente che sono immanenti al trasporto su lungo tragitto dei rifiuti, ad una serie di misure attuative, che sono quelle ampiamente sancite nella disposizione in esame (e che non è necessario qui riportare) che lo stesso bando della procedura oggetto dell’odierno gravame presuppone quale condizione per la futura (ed eventuale) stipula degli accordi di conferimento veri e propri.
In tali termini, non può prospettarsi allo stato attuale una violazione da parte della procedura all’esame del Collegio, dei principi invocati dalla parte ricorrente.
X) Né, nello stesso senso, è possibile ipotizzare una violazione della pianificazione regionale in ordine allo smaltimento dei rifiuti, perché, per effetto dei rinvii sin qui descritti, la quantità effettiva dei rifiuti che potranno essere conferiti agli operatori selezionati dall’accordo quadro in forza dei futuri ed eventuali accordi, dipenderà dall’esecuzione della stessa pianificazione regionale.
Va solamente chiarito che dall’attuazione della pianificazione regionale dipenderà anche la selezione in concreto dei rifiuti conferibili negli impianti di recupero energetico considerati dalla procedura in esame.
Invero, e con riferimento anche alle deduzioni sulla perplessità della identificazione della tipologia di rifiuti oggetto dell’accordo, contenute nel primo motivo di ricorso, si osserva che il bando prevede che questi ultimi sono costituiti da “rifiuti urbani residui” di cui al codice CER 20.03.01.
Va dato atto alla difesa della parte ricorrente, che sul punto, la procedura di gara non è del tutto chiara, specie laddove non indica (nel capitolato) idonee specificazioni atte a rendere pienamente comprensibile tale contesto.
Tuttavia, l’interpretazione letterale del testo, anche sulla base delle difese delle parti resistenti, rende plausibile che l’oggetto del conferimento è costituito da quella “frazione” di rifiuti (indifferenziati) non trattati che non è possibile – per limiti di impianti e sistemi di raccolta – differenziare ed avviare a recupero.
In questo senso, non v’è luogo ad approfondirne ulteriormente le implicazioni, perché ogni questione inerente il rispetto in concreto della pianificazione regionale e locale, si traduce in una critica della scelta dei metodi di recupero e trattamento dei rifiuti che ancora dev’essere effettuata dalle resistenti e che non risulta impegnata dal bando in esame.
Più precisamente, rammentato che le indicazioni quantitative contenute nel bando hanno un valore orientativo e non impegnano effettivamente l’amministrazione, essendo sostanzialmente volte a determinare una sorta di “prezziario” del conferimento futuro, con ogni facoltà di recedere, revocare o non stipulare gli accordi per AMA spa, è evidente che i quantitativi di rifiuti effettivamente conferibili in impianti di recupero energetico a favore degli operatori selezionati dall’accordo quadro dipenderanno i concreto anche dalle risultanze della capacità effettiva di smaltimento degli impianti di prossimità in esercizio sulla base della programmazione regionale; e dalle scelte di politica di organizzazione del servizio in attuazione delle regole di priorità tra i diversi metodi e presupposti di trattamento prescritti nell’art. 179 del d.lgs. 152/2006.
A proposito dell’individuazione della capacità di trattamento, si osserva che parte ricorrente censura la lex specialis nella parte in cui laddove sembrerebbe individuare i rifiuti urbani indifferenziati da conferire come “residui”, questi ultimi sarebbero da considerarsi tali solo rispetto alla capacità di smaltimento negli impianti TMB della stessa AMA Spa, quindi con esclusione dal sistema di quelli di Colari che si assume siano della medesima tipologia.
A giudizio del Collegio, la previsione del bando si giustifica sotto diversi aspetti, che non consentono di condividere le tesi della parte ricorrente secondo la quale si costituirebbe un mercato in regime di monopolio da parte dell’AMA spa.
Preliminarmente, si deve richiamare un dato offerto al giudizio da parte della stessa ricorrente, ovvero che la capacità residua autorizzata alla Regione risulta pari a circa 930.207 tonnellate annue di rifiuti (decreto del Ministero dell’Ambiente n. 1 del 3.1.2013); il bando ha ad oggetto un quantitativo stimato di 2.615.086 tonnellate di rifiuti per 48 mesi, ovvero una quantità di 653.771 tonnellate annue e copre dunque quasi i due terzi della produzione locale.
Dalla stessa fonte (decreto nr. 1/2013 già indicato), emerge che gli impianti di trattamento meccanico biologico di cui alla tabella della Regione Lazio del 21 dicembre 2012 risultano non solo quelli di Colari, ma anche altri in Aprilia, Castelforte, Colfelice, Paliano, Albano Laziale.
Da tali dati discendono diverse conseguenze.
La prima è che l’accordo quadro di cui si discute non risulta, né può comunque considerarsi, finalizzato a sottrarre ai gestori privati la possibilità di concorrere, con i loro impianti, allo smaltimento ed al trattamento dei rifiuti secondo legge, bensì è rivolto ad assicurare all’AMA spa ed alla gestione pubblica uno specifico strumento per il trattamento secondo efficienza del rifiuto, che è ulteriore e distinto rispetto a quelli in uso nel comprensorio territoriale di prossimità.
Tale strumento sarà da utilizzarsi nell’attuazione concreta della pianificazione regionale e della politica di organizzazione del servizio, così da assicurare in concreto le maggiori potenzialità di attuazione dei criteri di metodologia del trattamento previsti dall’art. 179 codice ambiente più volte menzionato.
Per i privati, ovviamente, la partecipazione al sistema di trattamento e smaltimento dei rifiuti è condizionata all’adozione dei necessari atti di convenzionamento con la PA, da stipularsi secondo legge e nel rispetto delle regole proprie del sistema di pianificazione territoriale (va rilevato che Colari non ha dedotto neppure l’esistenza di un accordo attuale per l’utilizzo degli impianti di TMB nella propria disponibilità) con la conseguenza che ogni doglianza riferita alla prospettata violazione delle regole di mercato nell’affidamento dei servizi relativi al trattamento dei rifiuti ai fini del loro riciclo e recupero allo stato non è attuale, né fondata nei limiti del presente giudizio, dipendendo in concreto da presupposti di fatto e di diritto che esulano dal contenuto del bando impugnato.
Sulla base di tali premesse, pertanto, il primo e principale motivo di ricorso è infondato e va respinto.
XI) Quanto al secondo motivo di gravame, in ragione del quale parte ricorrente si duole dell’illegittimità della procedura in quanto indetta da AMA in prossimità alla scadenza del proprio rapporto contrattuale di servizio con Roma Capitale, si tratta di argomenti che la Sezione ha recentemente avuto modo di trattare in occasione di altre controversie e che ha respinto.
Più precisamente, si è ritenuto che la scadenza del contratto di servizio tra l’Ente locale ed una propria società di gestione “in house”, determina, in assenza di un rinnovo, il subentro del primo nella gestione e nelle funzioni in precedenza affidate alla seconda, senza soluzione di continuità sotto il profilo degli effetti dell’azione amministrativa, secondo il normale modello della successione tra Enti; e che una gara di affidamento di servizi in concessione bandita e celebrata dalla società in house ben può prevedere un termine di scadenza del servizio successivo alla scadenza del rapporto che lega l’organo gestore all’ente locale, perché sarà quest’ultimo, eventualmente, a subentrare nel rapporto in essere con il privato affidatario nel caso in cui non dovesse essere rinnovata la delega alla società in house (v. TAR Lazio, II ter, 23 ottobre 2015, nr. 12133/2015).
XII) Quanto al terzo motivo del ricorso introduttivo, con il quale parte ricorrente lamenta l’eccesso di potere da parte di AMA, in quanto la procedura in oggetto sarebbe stata bandita al fine di sottrarre il conferimento di rifiuti agli impianti della ricorrente stessa, sussistendo un contenzioso in tal senso e come del resto risulterebbe da affermazioni di stampa degli organi rappresentativi dell’AMA spa medesima, il gravame è infondato.
Attesa l’immunità degli atti impugnati dalle censure dedotte nei motivi già trattati, non risultano elementi di fatto dai quali evincere l’indicazione della sussistenza di una volontà delle resistenti di ledere gli interessi della parte odierna ricorrente, tale da funzionalizzare a tale scopo l’esercizio del potere ed incadere così in un suo sviamento dalla causa tipica.
Non possono soccorrere a dimostrare tale fine le dichiarazioni di stampa, essendo elementi estrinseci rispetto alla motivazione ed alla coerenza interna degli atti impugnati, e soprattutto perché, in quanto dichiarazioni rivolte all’opinione pubblica a mezzo della stampa, sono da intendersi nei limiti propri di attendibilità dell’enfasi politica che caratterizza la normale prassi delle relazioni tra organi amministrativi di governo e stampa.
Quanto alla sussistenza di un contenzioso, le ragioni di parte ricorrente dedotte nell’odierno giudizio non chiariscono in che modo la procedura in esame inciderebbe sull’accertamento in corso di pregresse inadempienze, posto che esse sono correlate alla gestione degli impianti di Malagrotta che non sono deputati allo svolgimento della tipologia di servizio oggetto dell’accordo quadro.
XIII) Per tutte queste ragioni, dunque, il ricorso è infondato e va respinto, mentre va accolto il quarto motivo del ricorso incidentale, e per l’effetto va dichiarato illegittimo il provvedimento di esclusione della parte ricorrente nella parte in cui quest’ultima non è stata esclusa per l’assenza del requisito di capacità tecnica e professionale e conseguentemente vanno dichiarati inammissibili i successivi motivi aggiunti.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Ter)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, e sui motivi aggiunti, respinge il ricorso introduttivo; accoglie il quarto motivo del ricorso incidentale, e per l’effetto dichiara illegittimo il provvedimento di esclusione della parte ricorrente nella parte in cui quest’ultima non è stata esclusa per l’assenza del requisito di capacità tecnica e professionale e, conseguentemente, dichiara inammissibili i successivi motivi aggiunti..
Condanna parte ricorrente alle spese di giudizio che si liquidano in euro 3.000,00 (tremila/00) in favore di ciascuna delle parti resistenti e della parte controinteressata, oltre accessori come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 dicembre 2015 con l’intervento dei magistrati:
Renzo Conti, Presidente
Maria Laura Maddalena, Consigliere
Salvatore Gatto Costantino, Consigliere, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 04/01/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)