La Suprema Corte di Cassazione, Sezioni Unite, con la sentenza n.4252 del 4 marzo, è intervenuta in merito alla impossibilità di richiedere agli avvocati stranieri “stabiliti” in Italia il requisito della condotta “specchiatissima ed illibata”.
In dettaglio, le Sezioni Unite ribadiscono il principio, attuativo della c.d. libertà di stabilimento, a mente del quale l’iscrizione nella sezione speciale dell’Albo degli avvocati comunitari stabiliti è, ai sensi dell’art. 3, comma 2, della direttiva 98/5/Ce e dell’art. 6, comma 2, d.lgs. n. 96 del 2001, subordinata alla sola condizione della documentazione dell’iscrizione presso la corrispondente Autorità di altro Stato membro (cfr. in termini Cass. S.U., n. 28340 del 2011). In proposito, unici requisiti legittimanti l’iscrizione alla sezione speciale sono quelli specificamente elencati nell’art. 6, comma 2, richiamato.
Più in generale, la verifica degli altri requisiti previsti dalla legislazione nazionale per l’iscrizione all’albo degli avvocati deve essere effettuata, con riguardo agli avvocati iscritti alla sezione speciale degli avvocati stabiliti, solo nel momento in cui questi chiedano l’iscrizione all’albo degli avvocati, come è loro consentito fare dopo un triennio di effettivo svolgimento della professione in Italia con il titolo acquisito in altro Stato membro.
Solo nel momento in cui il richiedente intenda abbandonare la qualifica acquisita in altro Stato membro per conseguire il titolo professionale previsto dalla legislazione italiana sorge, dunque, l’obbligo, per il Consiglio dell’Ordine degli avvocati di verificare la sussistenza di tutti gli altri requisiti di iscrizione, ivi compresi quelli di onorabilità.
In tale ottica, atteso che la finalità della direttiva comunitaria n. 5/98/CE, attuata dal d.lgs. n. 96 del 2001, è quella di consentire l’esercizio della professione forense da parte di chi abbia acquisito in altro Stato membro il titolo equivalente a quello di avvocato, viene reputato maggiormente rispondente alla detta finalità una interpretazione della normativa di attuazione nel senso che la stessa non consente, in sede di richiesta di iscrizione all’elenco speciale degli avvocati stabiliti, di svolgere accertamenti su requisiti diversi da quelli di cui al citato art. 6, comma 2.
In termini di delimitazione del principio predetto, la Suprema Corte individua il limite del c.d. abuso del diritto. Al riguardo, il potere di verifica in ordine alla sussistenza dei requisiti di iscrizione può nuovamente esplicarsi nel caso in cui la richiesta di iscrizione appaia connotata da abusività in ordine al requisito della “condotta irreprensibile”. In definitiva, la legittimità della condotta del cittadino di uno Stato membro dell’Unione europea che si rechi in altro Stato membro per acquisirvi la qualifica di avvocato e poi rientri nello Stato d’origine per esercitarvi la professione (Corte di giustizia, sentenza 17 luglio 2014, cause C-58/13 e C- 59/13) non impedisce ai Consigli dell’ordine di verificare se tale percorso sia diretto a consentire l’esercizio della professione in condizioni preclusive per l’ordinamento italiano, perché caratterizzate da abuso del diritti.
In termini generali, sul punto, la CGE (UE, Grande Sezione, 17 luglio 2014, C-58/13) ha avuto modo di dettare indicazioni puntuali in materia: “L’articolo 3 della direttiva 98/5/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 1998, volta a facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquistata la qualifica, dev’essere interpretato nel senso che non può costituire una pratica abusiva il fatto che il cittadino di uno Stato membro si rechi in un altro Stato membro al fine di acquisirvi la qualifica professionale di avvocato a seguito del superamento di esami universitari e faccia ritorno nello Stato membro di cui è cittadino per esercitarvi la professione di avvocato con il titolo professionale ottenuto nello Stato membro in cui tale qualifica professionale è stata acquisita (la Corte si è così pronunciata nell’ambito di una controversa promossa contro il rifiuto di un Consiglio dell’Ordine degli di accogliere le domande di iscrizione dei ricorrenti nella sezione speciale dell’albo degli avvocati”.
In definitiva, con la sentenza in epigrafe la Cassazione applica tali indicazioni di principio, precisandone il limite di operatività, rappresentato dal c.d. abuso del diritto. La ragionevolezza della delimitazione si scontra con la non facile specificazione in merito alla individuazione dei presupposti di tale abuso.