Anche il Tar Molise, con ordinanza n. 161 del 25 marzo 2016 ha rimesso alla Corte costituzionale la riforma dei compensi dell’Avvocatura di Stato, estendendo i parametri di rimessione rispetto all’analoga rimessione effettuata dal Tar Trento.
Il Tar Molise, riprendendo in parte la rimessione già disposta dal Trga Trento con la recente ordinanza 10 marzo 2016, n. 138, ha rinviato, a propria volta, alla Consulta la riforma della disciplina dei compensi degli Avvocati dello Stato, di cui all’art. 9, d.l. 24 giugno 2014, n. 90.
Su di un primo versante, il Tar molisano ha ripreso il profilo concernente la carenza dei presupposti per la decretazione d’urgenza, anche sulla scorta della giurisprudenza costituzionale richiamata in motivazione.
Su di un secondo e nuovo versante (rispetto a quello già esplorato dal Trga Trento), il Tar Molise ha individuato, come parametro in relazione al quale effettuare il sindacato di costituzionalità, il principio di uguaglianza ex art. 3 Cost., evidenziando la difforme e penalizzante disciplina cui soggiace la sola Avvocatura di Stato.
In particolare, con l’ordinanza in esame si prospetta la violazione del principio di uguaglianza tra Avvocati dello Stato ed Avvocati di altre Amministrazioni pubbliche, in quanto i commi 3 e 6 dell’art. 9, d.l. n. 90 del 2014 hanno introdotto la decurtazione degli onorari solo per i primi (corresponsione nei limiti del 50% delle somme liquidate nei provvedimenti giurisdizionali in favore dell’Amministrazione in caso di vittoria della causa ed azzeramento dei compensi stessi in caso di transazione e compensazione delle spese). In proposito, mentre agli avvocati delle Amministrazioni pubbliche non statali è accordata la possibilità di acquisire le somme liquidate in favore dell’Amministrazione patrocinata, anche in misura integrale secondo quanto previsto nei regolamenti dei rispettivi enti, per gli Avvocati dello Stato una tale possibilità è limitata ex ante al 50%, mentre è del tutto esclusa con riguardo ai casi di sentenza favorevole con compensazione delle spese ove invece gli avvocati delle altre Amministrazioni incontrano il solo limite dello stanziamento di bilancio per l’anno 2013.
Secondo il Tar molisano, una tale divaricazione della disciplina non può trovare giustificazione nel livello della “componente fissa” della retribuzione degli Avvocati dello Stato, non potendo addursi a pretesa giustificazione la circostanza per cui siffatta componente fissa sarebbe superiore in media a quella degli avvocati delle Amministrazioni pubbliche, poiché, come noto, i difensori, soprattutto quelli posti in posizione apicale, di altre pubbliche amministrazioni, con particolare riferimento alle Autorità di regolazione, godono di un trattamento economico che, nella parte fissa, è superiore a quello degli Avvocati dello Stato. In proposito, si evidenzia che gli avvocati delle Amministrazioni pubbliche diverse dallo Stato hanno statuti e inquadramenti che mutano da un ente all’altro senza possibilità di individuare una disciplina giuridico/economica unitaria, di modo che l’assegnazione ai soli Avvocati dello Stato di un trattamento economico variabile peggiorativo rispetto agli altri, potrebbe assumere il carattere di una penalizzazione discriminante, soprattutto se il trattamento deteriore consegue alla semplice appartenenza alle fila dell’Avvocatura e non sia agganciata ad una soglia stipendiale specifica.
A sostegno della tesi prospettata il Collegio molisano richiama la giurisprudenza costituzionale a mente della quale, in via di principio, il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, attraverso cui può attuarsi una politica di riequilibrio del bilancio, implicano sacrifici gravosi “che trovano giustificazione nella situazione di crisi economica”, si giustificano sotto il profilo della ragionevolezza “in quanto mirate ad un risparmio di spesa che opera riguardo a tutto il comparto del pubblico impiego, in una dimensione solidaristica − sia pure con le differenziazioni rese necessarie dai diversi statuti professionali delle categorie che vi appartengono − e per un periodo di tempo limitato, che comprende più anni in considerazione della programmazione pluriennale delle politiche di bilancio” (Corte cost. n. 310 del 2013). Si tratta, quindi, di provvedimenti che, pur diversamente modulati, “devono applicarsi all’intero comparto pubblico e impongono limiti e restrizioni generali”, in una dimensione che la Corte ha connotato in senso solidaristico (sentenze n. 310 del 2013 cit. punto 13.5. e n. 178 del 2015).
Si riporta di seguito il testo dell’ordinanza.
***
N. 00161/2016 REG.PROV.COLL.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 102 del 2015, proposto da:
Giuseppe Albano, Piero Vitullo, Alfonso Peluso, Iolanda Luce, rappresentati e difesi dagli avv.ti Massimo Luciani e Michele Sansone, con domicilio eletto presso il secondo in Campobasso, via Campania, n. 83;
contro
Presidenza del Consiglio dei Ministri, in p.l.r.p.t., Ministero dell’Economia e delle Finanze in persona del Ministro p. t., Avvocatura dello Stato in persona dell’Avvocato Generale p. t., rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Campobasso, Via Garibaldi, n. 124;
per l’accertamento,
previa eventuale rimessione alla Corte Costituzionale della questione incidentale di legittimità costituzionale dell’art 9 del d.l. 24 giugno 2014, n. 90, del diritto dei ricorrenti alla corresponsione dei compensi professionali senza le decurtazioni e le limitazioni previste dall’art. 9 del d.l. 90/2014 citato;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero dell’Economia e delle Finanze e dell’Avvocatura Generale dello Stato;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 19 novembre 2015 il dott. Domenico De Falco e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
I ricorrenti, tutti Avvocati dello Stato attualmente in servizio presso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Campobasso premettono che ad essi è conferita, oltre alla rappresentanza e la difesa in giudizio dello Stato e di numerosi enti pubblici statali e territoriali, anche una generale attività di consulenza in favore delle Amministrazioni. Essi espongono che fino alle modifiche introdotte con d.l. 24 giugno 2014, n. 90 convertito con modificazioni con la legge 11 agosto 2014, n. 114, il proprio trattamento economico comprendeva:
1) una parte fissa, commisurata a ruolo, titolo e grado e che è relativamente al quantum è equiparata al trattamento dei magistrati dell’ordine giudiziario;
2) una parte variabile riconosciuta articolata ai sensi dell’art. 21 del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611 (T.U. delle leggi e delle norme giuridiche sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e sull’ordinamento dell’Avvocatura dello Stato) che si articolava:
– nelle competenze di avvocato liquidate con sentenza od ordinanza oppure pattuite per rinuncia o transazione;
– in una somma corrispondente alla metà delle competenze che sarebbero state liquidate per le ipotesi in cui l’Amministrazione non fosse soccombente ma fosse stata disposta la compensazione delle spese ovvero concordata una transazione su sentenza favorevole allo Stato.
Questo regime è stato, poi, parzialmente modificato dall’art. 1, comma 457, della l. 27.12.2013, n. 147, che ha disposto una riduzione temporanea (per il triennio 2014-2016) dei compensi liquidati a seguito di sentenza che riconosceva la Pubblica amministrazione non soccombente.
In tale contesto, è stato introdotto l’art. 9 del d.l. 24 giugno 2014, n. 90 che, per quanto qui di interesse:
i) ha incluso gli onorari professionali nel tetto massimo degli emolumenti di cui all’art. 23-ter del d.l. 6 dicembre 2011convertito con la legge 22 dicembre 2011, n. 214;
ii) nei casi di pronuncia con condanna della controparte dell’Amministrazione alle spese, ha stabilito di ripartire tra gli avvocati degli enti pubblici le somme recuperate, escludendo da tale regime gli Avvocati dello Stato, ai quali, ha invece riconosciuto solo il 50% delle somme in questione;
iii) nei casi di pronuncia in cui l’Amministrazione risulti non soccombente e sia stata disposta la compensazione delle spese, ha riconosciuto agli avvocati e ai dipendenti delle Amministrazioni i compensi in base alle norme regolamentari vigenti in ciascun ente (nei limiti dello stanziamento previsto per l’anno 2013), escludendo gli Avvocati dello Stato ai quali quindi, in tali casi, non viene riconosciuta alcuna somma.
Sul presupposto che la disciplina appena riportata riduca illegittimamente il proprio trattamento economico, gli Avvocati dello Stato in epigrafe indicati, hanno proposto il ricorso introduttivo del presente giudizio al fine di sentire dichiarare il proprio diritto alla corresponsione degli onorari professionali secondo il regime previgente, senza le decurtazioni e limitazioni previste dal citato art. 9, con condanna delle Amministrazioni intimate al pagamento delle somme dovute.
E’chiaro che l’accoglimento di dette domande presuppone la declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 9 del d.l. n. 90/2014, convertito dalla l. n. 114 del 2014, pertanto i ricorrenti hanno prospettato svariate questioni di legittimità costituzionale della novella disciplina che, a loro dire, violerebbe numerosi parametri costituzionali nonché norme del diritto europeo e internazionale (segnatamente gli artt. 3, 4, 23, 35, 36, 42, 53, 77, 97 e 117 della Costituzione, anche in relazione all’art. 1 del Primo Protocollo addizionale CEDU e agli art. 3 e 13 CEDU, circostanza, questa, che, secondo i ricorrenti, ridonda in altrettante violazioni dell’art. 117, comma 1, della Costituzione).
Le Amministrazioni intimate si sono costituite in giudizio argomentando diffusamente per l’infondatezza delle censure di incostituzionalità della disciplina introdotta con l’art. 9 del d.l. n. 90 del 2014 e chiedendo, pertanto, la reiezione del ricorso nel merito.
All’udienza del 19 novembre 2015, la causa è stata chiamata e, dopo articolata discussione, ne è stata riservata la decisione. Nella camera di consiglio del 9 marzo 2016, la causa è stata decisa, nel senso di cui alla seguente motivazione e al seguente dispositivo di ordinanza.
Il presente giudizio ha ad oggetto le sensibili riduzioni che il citato art. 9 del d.l. 24 giugno 2014, n. 90 convertito nella legge 11 agosto 2014, n. 114 dei compensi professionali da riconoscere agli Avvocati (e Procuratori) dello Stato.
E’utile ai fini di una migliore comprensione del giudizio riportare il contenuto dell’art art. 9 del d.l. n. 90/2014:
<<(Riforma degli onorari dell’Avvocatura generale dello Stato e delle avvocature degli enti pubblici).
1. I compensi professionali corrisposti dalle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, agli avvocati dipendenti delle amministrazioni stesse, ivi incluso il personale dell’Avvocatura dello Stato, sono computati ai fini del raggiungimento del limite retributivo di cui all’articolo 23-ter del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, e successive modificazioni.
2. Sono abrogati il comma 457 dell’articolo 1 della legge 27 dicembre 2013, n. 147, e il terzo comma dell’articolo 21 del testo unico di cui al regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611. L’abrogazione del citato terzo comma ha efficacia relativamente alle sentenze depositate successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto.
3. Nelle ipotesi di sentenza favorevole con recupero delle spese legali a carico delle controparti, le somme recuperate sono ripartite tra gli avvocati dipendenti delle amministrazioni di cui al comma 1, esclusi gli avvocati e i procuratori dello Stato, nella misura e con le modalità stabilite dai rispettivi regolamenti e dalla contrattazione collettiva ai sensi del comma 5 e comunque nel rispetto dei limiti di cui al comma 7. La parte rimanente delle suddette somme è riversata nel bilancio dell’amministrazione.
4. Nelle ipotesi di sentenza favorevole con recupero delle spese legali a carico delle controparti, il 50 per cento delle somme recuperate è ripartito tra gli avvocati e procuratori dello Stato secondo le previsioni regolamentari dell’Avvocatura dello Stato, adottate ai sensi del comma 5. Un ulteriore 25 per cento delle suddette somme è destinato a borse di studio per lo svolgimento della pratica forense presso l’Avvocatura dello Stato, da attribuire previa procedura di valutazione comparativa. Il rimanente 25 per cento è destinato al Fondo per la riduzione della pressione fiscale, di cui all’articolo 1, comma 431, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, e successive modificazioni.
5. I regolamenti dell’Avvocatura dello Stato e degli altri enti pubblici e i contratti collettivi prevedono criteri di riparto delle somme di cui al primo periodo del comma 3 e al primo periodo del comma 4 in base al rendimento individuale, secondo criteri oggettivamente misurabili che tengano conto tra l’altro della puntualità negli adempimenti processuali. I suddetti regolamenti e contratti collettivi definiscono altresì i criteri di assegnazione degli affari consultivi e contenziosi, da operare ove possibile attraverso sistemi informatici, secondo princìpi di parità di trattamento e di specializzazione professionale.
6. In tutti i casi di pronunciata compensazione integrale delle spese, ivi compresi quelli di transazione dopo sentenza favorevole alle amministrazioni pubbliche di cui al comma 1, ai dipendenti, ad esclusione del personale dell’Avvocatura dello Stato, sono corrisposti compensi professionali in base alle norme regolamentari o contrattuali vigenti e nei limiti dello stanziamento previsto, il quale non può superare il corrispondente stanziamento relativo all’anno 2013. Nei giudizi di cui all’articolo 152 delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368, possono essere corrisposti compensi professionali in base alle norme regolamentari o contrattuali delle relative amministrazioni e nei limiti dello stanziamento previsto. Il suddetto stanziamento non può superare il corrispondente stanziamento relativo all’anno 2013.
7. I compensi professionali di cui al comma 3 e al primo periodo del comma 6 possono essere corrisposti in modo da attribuire a ciascun avvocato una somma non superiore al suo trattamento economico complessivo.
8. Il primo periodo del comma 6 si applica alle sentenze depositate successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto. I commi 3, 4 e 5 e il secondo e il terzo periodo del comma 6 nonché il comma 7 si applicano a decorrere dall’adeguamento dei regolamenti e dei contratti collettivi di cui al comma 5, da operare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. In assenza del suddetto adeguamento, a decorrere dal 1ºgennaio 2015, le amministrazioni pubbliche di cui al comma 1 non possono corrispondere compensi professionali agli avvocati dipendenti delle amministrazioni stesse, ivi incluso il personale dell’Avvocatura dello Stato.
9. Dall’attuazione del presente articolo non devono derivare minori risparmi rispetto a quelli già previsti a legislazione vigente e considerati nei saldi tendenziali di finanza pubblica>>.
In sintesi, per quanto attiene al trattamento economico degli Avvocati dello Stato, la disciplina appena riportata ha stabilito che:
i) i compensi professionali dovuti agli Avvocati dello Stato siano inclusi nel tetto massimo degli emolumenti di cui all’art. 23-ter del d.l. 6 dicembre 2011convertito con la legge 22 dicembre 2011, n. 214 (cfr. comma 1 articolo 9 del d.l. 90/2014);
ii) nelle ipotesi di sentenza favorevole all’Amministrazione con condanna della controparte alle spese, le somme recuperate sono ripartite tra gli avvocati delle singole Amministrazioni, sono invece esclusi gli Avvocati dello Stato ai quali, invece, tali somme sono riconosciute nei limiti del 50% (cfr. commi 3 e 4 dell’art. 9 del d.l. 90/2014);
iii) in tutti i casi di pronuncia favorevole con compensazione delle spese (ivi compresi i casi di transazione dopo sentenza favorevole) agli avvocati e ai dipendenti delle Amministrazioni sono corrisposti i compensi in base alle norme regolamentari vigenti (nei limiti dello stanziamento previsto per l’anno 2013), ma non invece agli Avvocati dello Stato ai quali quindi per tali casi non è più prevista la corresponsione di alcun compenso (comma 6 del d.l. 90/2014).
I) Rilevanza delle questioni.
Chiarito il contesto normativo, occorre stabilire se ricorrano i presupposti di cui all’art. 23 della l. 11 marzo 1953, n. 87 di rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale e di non manifesta infondatezza delle stesse, necessari ai fini dell’ammissibilità del rinvio alla Corte Costituzionale.
Ora, il requisito della rilevanza implica che la questione dedotta abbia nel procedimento a quo un’incidenza attuale e non meramente eventuale ricorrente quando il dubbio investa una norma dalla cui applicazione il giudice dimostri di non poter prescindere, realizzando una pregiudizialità necessaria.
La pregiudizialità necessaria della questione di legittimità costituzionale rispetto alla decisione del giudizio a quo va intesa considerando tale decisione come conclusione di un itinerario logico, ciascuno dei cui passaggi può dare luogo a un incidente di costituzionalità, ogni qualvolta il giudice dubita della legittimità costituzionale delle disposizioni normative che, in quel momento, è chiamato ad applicare per la prosecuzione e/o la definizione del giudizio.
Nel caso di specie, non vi è dubbio che ricorra il requisito in parola, atteso che la definizione della domanda di accertamento del diritto al conseguimento dei compensi professionali senza le decurtazioni e le limitazioni previste dall’art. 9 del d.l. 24 giugno 2014, n. 90 proposta dai ricorrenti, presuppone necessariamente la declaratoria di incostituzionalità di tale disciplina.
Occorre infatti osservare che alcune delle norme di cui all’art. 9 del d.l. n. 90 del 2014 sono di immediata applicazione:
– il limite massimo degli emolumenti comprensivo dei compensi professionali (c.d. “tetto retributivo” di cui all’art. 23 ter del d.l. n. 201 del 2011), stabilito al comma 1; l’abrogazione del sistema previgente della quota variabile quando la Pubblica amministrazione non risultava non soccombente e anche in caso di transazione e di compensazione delle spese (di cui all’art. 1, comma 457, della l. n. 147 del 2013 e all’art. 21, comma 3, del r. d. n. 1611 del 1933), stabilita al comma 3;
– anche la disposizione di cui al comma 7 (i compensi professionali non possono superare il trattamento economico complessivo) è di immediata cogenza;
– inoltre, a decorrere dall’1 gennaio 2015 l’Amministrazione pubblica può corrispondere i compensi professionali agli avvocati dello Stato nella nuova misura (il 50 per cento delle somme recuperate in caso di sentenza favorevole) solamente “in base al rendimento individuale, secondo criteri oggettivamente misurabili che tengano conto tra l’altro della puntualità negli adempimenti processuali”, quindi, secondo criteri di riparto delle somme da stabilire con i regolamenti dell’Avvocatura dello Stato (comma 8).
Ciò considerato e sempre in relazione alla rilevanza, il Tribunale osserva che le disposizioni in esame, per il loro contenuto univoco e (su alcuni profili) di immediata applicazione, non si prestano in alcun modo a una interpretazione costituzionalmente orientata, imponendo la rimessione della questioni alla Corte costituzionale in relazione agli aspetti che ad avviso del Collegio non sono manifestamente infondati e che di seguito si illustrano.
II) Non manifesta infondatezza.
II.1) Ravvisata la rilevanza della legittimità costituzionale della disciplina in questione ai fini della definizione del giudizio a quo, per potere investire la Corte Costituzionale, occorre che il giudice rimettente ritenga la questione di illegittimità costituzionale della norma scrutinata “non manifestamente infondata”.
Ora, con riferimento alla disciplina oggetto del giudizio, il Collegio nutre effettivamente dubbi su due delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dai ricorrenti.
La prima di tali questioni concerne la possibilità, ai sensi dell’art. 77 Cost., di introdurre una vera e propria riforma strutturale del trattamento economico spettante agli Avvocati dello Stato, con lo strumento del decreto legge (peraltro a contenuto plurimo).
La questione menzionata riveste peraltro carattere pregiudiziale rispetto a quelle di merito in quanto riguarda la stessa ammissibilità dello strumento del decreto legge ed è stata già scrutinata in giudizio identico dal Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento, che l’ha rimessa alla Corte Costituzionale, ritenendola non manifestamente infondata, con argomenti che il Collegio ritiene condivisibili (cfr. ordinanza 10 marzo 2016, n. 138).
Possono, pertanto, riportarsi – anche nella presente sede – le ragioni che il Tribunale di Giustizia Amministrativa ha posto a fondamento della rimessione alla Corte Costituzionale:
<<l’art. 77, commi secondo e terzo, della Costituzione prevede la possibilità per il Governo di adottare, sotto la propria responsabilità, atti con forza di legge (nella forma del decreto legge) come ipotesi eccezionale, subordinata al rispetto di condizioni precise. Tali atti, qualificati dalla stessa Costituzione come “provvisori”, devono risultare fondati sulla presenza di presupposti “straordinari” di necessità ed urgenza e devono essere presentati, il giorno stesso della loro adozione, alle Camere, ai fini della conversione in legge, conversione che va operata nel termine di sessanta giorni dalla loro pubblicazione. Ove la conversione non avvenga entro tale termine, i decreti-legge perdono la loro efficacia fin dall’inizio, salva la possibilità per le Camere di regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti-legge non convertiti.
Al riguardo la Corte costituzionale (che, inizialmente, aveva reputato la legge di conversione quale atto di novazione della fonte, il che rendeva impossibile lo scrutinio sui presupposti del decreto legge una volta intervenuta la conversione, cfr. sentenza n. 108 del 1986), a partire dalla metà degli anni novanta del secolo scorso ha affermato che “la preesistenza di una situazione di fatto comportante la necessità e l’urgenza di provvedere tramite l’utilizzazione di uno strumento eccezionale, quale il decreto-legge, costituisce un requisito di validità costituzionale dell’adozione del predetto atto, di modo che l’eventuale evidente mancanza di quel presupposto configura in primo luogo un vizio di illegittimità costituzionale del decreto-legge che risulti adottato al di fuori dell’ambito applicativo costituzionalmente previsto”. La Corte ha altresì precisato che lo scrutinio di costituzionalità “deve svolgersi su un piano diverso” rispetto all’esercizio del potere legislativo, in cui “le valutazioni politiche potrebbero essere prevalenti”. Ha specificato al riguardo che “il difetto dei presupposti di legittimità della decretazione d’urgenza, in sede di scrutinio di costituzionalità”, deve “risultare evidente”, e che tale difetto di presupposti, “una volta intervenuta la conversione, si traduce in un vizio in procedendo della relativa legge”. Ha perciò escluso, con ciò, l’eventuale efficacia sanante di quest’ultima, dal momento che “affermare che tale legge di conversione sana in ogni caso i vizi del decreto, significherebbe attribuire in concreto al legislatore ordinario il potere di alterare il riparto costituzionale delle competenze del Parlamento e del Governo quanto alla produzione delle fonti primarie” (sentenze n. 128 del 2008; n. 171 del 2007; n. 29 del 1995).
La Corte ha poi precisato che il riconoscimento dell’esistenza dei presupposti fattuali di cui all’art. 77, secondo comma, si ricollega “ad una intrinseca coerenza delle norme contenute in un decreto-legge, o dal punto di vista oggettivo e materiale, o dal punto di vista funzionale e finalistico”, e che l’urgente necessità del provvedere “può riguardare una pluralità di norme accomunate dalla natura unitaria delle fattispecie disciplinate, ovvero anche dall’intento di fronteggiare situazioni straordinarie complesse e variegate, che richiedono interventi oggettivamente eterogenei, afferenti quindi a materie diverse, ma indirizzati all’unico scopo di approntare rimedi urgenti a situazioni straordinarie venutesi a determinare”. In tale ottica, la Corte ha conferito rilievo anche all’art. 15, comma 3, della l. 23.8.1988, n. 400, che “pur non avendo, in sé e per sé rango costituzionale, e non potendo quindi assurgere a parametro di legittimità … costituisce esplicitazione della ratio implicita nel secondo comma dell’art. 77 Cost., il quale impone il collegamento dell’intero decreto legge al caso straordinario di necessità e urgenza, che ha indotto il Governo ad avvalersi dell’eccezionale potere di esercitare la funzione legislativa senza previa delegazione da parte del Parlamento” (sentenza n. 22 del 2012 sul cosiddetto “decreto milleproroghe”).
14. Ora, applicando gli insegnamenti della Corte costituzionale, occorre verificare se la “evidente” carenza del requisito della straordinarietà, del caso di necessità e di urgenza di provvedere, renda la prospettata questione non manifestamente infondata.
Al riguardo si osserva che l’epigrafe del decreto reca l’intestazione “Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari”.
Il preambolo del decreto così recita: “Ritenuta la straordinaria necessità e urgenza di emanare disposizioni volte a favorire la più razionale utilizzazione dei dipendenti pubblici, a realizzare interventi di semplificazione dell’organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici e ad introdurre ulteriori misure di semplificazione per l’accesso dei cittadini e delle imprese ai servizi della pubblica amministrazione; Ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di introdurre disposizioni volte a garantire un miglior livello di certezza giuridica, correttezza e trasparenza delle procedure nei lavori pubblici, anche con riferimento al completamento dei lavori e delle opere necessarie a garantire lo svolgimento dell’evento Expo 2015; Ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di emanare disposizioni per l’efficiente informatizzazione del processo civile, amministrativo, contabile e tributario, nonché misure per l’organizzazione degli uffici giudiziari, al fine di assicurare la ragionevole durata del processo attraverso l’innovazione dei modelli organizzativi e il più efficace impiego delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione”.
A sua volta, l’art. 9 all’esame è parte del Titolo I rubricato “Misure urgenti per l’efficienza della p.a. e per il sostegno dell’occupazione” e del Capo I denominato “Misure urgenti in materia di lavoro pubblico”. Gli articoli del Capo dispongono, principalmente, in materia di ricambio generazionale nelle pubbliche amministrazioni, di semplificazione e flessibilità nel turn-over, di mobilità obbligatoria e volontaria, di assegnazione di nuove mansioni, di divieto di incarichi dirigenziali a soggetti in quiescenza, di prerogative sindacali, di incarichi negli uffici di diretta collaborazione.
15. Occorre ora ricordare che, ai sensi dell’art. 15, comma 1, della l. n. 400 del 1988, i decreti legge sono presentati per l’emanazione “con l’indicazione, nel preambolo, delle circostanze straordinarie di necessità e di urgenza che ne giustificano l’adozione”, mentre il comma 3 sancisce che “i decreti devono contenere misure di immediata applicazione e il loro contenuto deve essere specifico, omogeneo e corrispondente al titolo”.
Ebbene, il dubbio di costituzionalità dell’art. 9 del decreto legge n. 90 del 2014 insorge in relazione alla circostanza che nessun collegamento pare ravvisabile tra le riportate premesse e le previsioni normative di cui si prospetta l’illegittimità costituzionale.
Difatti, il primo paragrafo del preambolo fa riferimento a interventi organizzativi e semplificatori nella e della Pubblica amministrazione, il secondo alle procedure dei lavori pubblici, il terzo all’informatizzazione processuale. Ambiti, dunque, che con la disposizioni di cui si discute – volta a riformare la struttura degli onorari degli avvocati dello Stato e degli altri enti pubblici nell’ottica del contenimento della spesa pubblica – non sembrano aver nulla a che vedere. Appare dunque carente il rapporto tra la norma censurata e l’elemento funzionale – finalistico proclamato nel preambolo, come espressamente richiesto dalla Corte costituzionale.
Per converso, in nessun punto del preambolo è stato dato conto delle ragioni di necessità e di urgenza che imponevano l’adozione – a mezzo di decreto legge – delle disposizioni di riforma strutturale degli onorari all’Avvocatura dello Stato di cui all’art. 9. L’infrazione dell’art. 77, secondo comma, della Costituzione appare, quindi, questione non manifestamente infondata.
A tale stregua occorre ancora rammentare che la Corte costituzionale ha specificato come “l’inserimento di norme eterogenee all’oggetto o alla finalità del decreto spezza il legame logico-giuridico tra la valutazione fatta dal Governo dell’urgenza del provvedere ed «i provvedimenti provvisori con forza di legge»”, di cui all’art. 77, e che “il presupposto del «caso» straordinario di necessità e urgenza inerisce sempre e soltanto al provvedimento inteso come un tutto unitario, atto normativo fornito di intrinseca coerenza, anche se articolato e differenziato al suo interno”, per cui “la scomposizione atomistica della condizione di validità prescritta dalla Costituzione si pone in contrasto con il necessario legame tra il provvedimento legislativo urgente ed il «caso» che lo ha reso necessario, trasformando il decreto-legge in una congerie di norme assemblate soltanto da mera casualità temporale” (sentenza n. 22 del 2012).
Ne discende che l’immissione delle disposizioni all’esame (come si è detto, di riforma strutturale degli onorari) nel corpo di un decreto legge volto, dichiaratamente, alla “più razionale utilizzazione dei dipendenti pubblici, a realizzare interventi di semplificazione dell’organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici e a introdurre ulteriori misure di semplificazione per l’accesso dei cittadini e delle imprese ai servizi della pubblica amministrazione”, non vale a trasmettere alle stesse – che appaiono quindi dissonanti – il carattere di urgenza proprio delle altre disposizioni, legate invece tra loro dalla comunanza di oggetto o di finalità.
Per altro, ma correlato, profilo, occorre osservare che l’art. 9 contiene anche alcune misure che non sono “auto-applicative”, ossia “di immediata applicazione” come sancito dall’art. 15, comma 3, della l. n. 400 del 1988.
Sul punto si rileva che, nonostante sia previsto che la nuova disciplina si applichi alle sentenze pubblicate dopo l’entrata in vigore del d.l. n. 90 del 2014, il comma 8 stabilisce però che il nuovo regime dei compensi (nella parte che riconosce il 50 per cento delle somme recuperate – commi 3, 4 e 5, secondo e terzo periodo del comma 6) può trovare applicazione solo a decorrere dall’introduzione, nei regolamenti dell’Avvocatura dello Stato, di regole che prevedano criteri di riparto delle somme “in base al rendimento individuale, secondo criteri oggettivamente misurabili che tengano conto tra l’altro della puntualità negli adempimenti processuali”.
Sicché, trova ulteriore conferma il dubbio circa la concreta sussistenza del caso straordinario di necessità e di urgenza, il solo che può legittimare il Governo ad avvalersi dell’eccezionale potere di esercitare la funzione legislativa senza previa delegazione da parte del Parlamento>>.
Sulla base di tali considerazioni, il Tribunale della Giustizia Amministrativa di Trento ha sospeso il giudizio e rimesso gli atti alla Corte costituzionale, limitatamente alla questione appena illustrata e il Collegio ritiene che analoga rimessione debba essere disposta anche nell’ambito del presente giudizio.
II.2) Tuttavia, unitamente alla questione appena illustrata, il Collegio nutre perplessità su altra questione di legittimità costituzionale della disciplina in esame, con cui i ricorrenti lamentano la violazione del principio di uguaglianza (art. 3 della Costituzione) tra Avvocati dello Stato ed Avvocati di altre Amministrazioni pubbliche, avendo i commi 3 e 6 dell’art. 9 del d.l. n. 90/2014 introdotto la decurtazione degli onorari solo per i primi (corresponsione nei limiti del 50% delle somme liquidate nei provvedimenti giurisdizionali in favore dell’Amministrazione in caso di vittoria della causa ed azzeramento dei compensi stessi in caso di transazione e compensazione delle spese).
Ritiene il Collegio che tale profilo di censura renda effettivamente dubbia la legittimità costituzionale delle disposizioni, sia pure nei limiti e alla stregua delle considerazioni che di seguito si espongono.
La Corte Costituzionale ha avuto modo di chiarire che il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, attraverso cui può attuarsi una politica di riequilibrio del bilancio, implicano sacrifici gravosi “che trovano giustificazione nella situazione di crisi economica”, si giustificano sotto il profilo della ragionevolezza “in quanto mirate ad un risparmio di spesa che opera riguardo a tutto il comparto del pubblico impiego, in una dimensione solidaristica − sia pure con le differenziazioni rese necessarie dai diversi statuti professionali delle categorie che vi appartengono − e per un periodo di tempo limitato, che comprende più anni in considerazione della programmazione pluriennale delle politiche di bilancio” (Corte Cost. n. 310/2013).
Si tratta, quindi, di provvedimenti che, pur diversamente modulati, “devono applicarsi all’intero comparto pubblico e impongono limiti e restrizioni generali”, in una dimensione che la Corte ha connotato in senso solidaristico (sentenza n. 310 del 2013, punto 13.5. del Considerato in diritto, già citato e sentenza n. 178 del 2015).
Alla luce delle riportate coordinate, destano perplessità le specifiche deroghe specificamente riferite all’Avvocatura di Stato nei commi 3 e 6 del contestato articolo 9 del d.l. 90/2014, atteso che mentre agli avvocati delle Amministrazioni pubbliche non statali è accordata la possibilità di acquisire le somme liquidate in favore dell’Amministrazione patrocinata, anche in misura integrale secondo quanto previsto nei regolamenti dei rispettivi enti, per gli Avvocati dello Stato una tale possibilità è limitata ex ante al 50%, mentre è del tutto esclusa con riguardo ai casi di sentenza favorevole con compensazione delle spese ove invece gli avvocati delle altre Amministrazioni incontrano il solo limite dello stanziamento di bilancio per l’anno 2013.
Ritiene il Collegio che una tale divaricazione della disciplina non trovi giustificazione nel livello della “componente fissa” della retribuzione degli Avvocati dello Stato, non potendo addursi a pretesa giustificazione la circostanza per cui siffatta componente fissa sarebbe superiore in media a quella degli avvocati delle Amministrazioni pubbliche, poiché, come noto, i difensori, soprattutto quelli posti in posizione apicale, di altre pubbliche amministrazioni, con particolare riferimento alle Autorità di regolazione, godono di un trattamento economico che, nella parte fissa, è superiore a quello degli Avvocati dello Stato.
E infatti, gli avvocati delle Amministrazioni pubbliche diverse dallo Stato hanno statuti e inquadramenti che mutano da un ente all’altro senza possibilità di individuare una disciplina giuridico/economica unitaria, di modo che l’assegnazione ai soli Avvocati dello Stato di un trattamento economico variabile peggiorativo rispetto agli altri, potrebbe assumere il carattere di una penalizzazione discriminante, soprattutto se il trattamento deteriore consegue alla semplice appartenenza alle fila dell’Avvocatura e non sia agganciata ad una soglia stipendiale specifica.
I dubbi di costituzionalità non si sarebbero posti qualora il provvedimento contestato, anziché identificare specificamente negli Avvocati dello Stato i destinatari della deroga, avesse stabilito la limitazione del riconoscimento delle competenze nei confronti di tutti gli avvocati di enti pubblici che superassero nella quota fissa una determinata retribuzione; ciò in linea con la richiamata giurisprudenza costituzionale secondo cui la prioritaria azione di risanamento delle finanze, pur legittimando l’adozione di misure che comportano sacrifici per le categorie di volta in volta incise, non può non essere condotta nel rispetto del fondamentale principio di ragionevolezza e deve avere riguardo a tutto il comparto del pubblico impiego sia pure valorizzando le distinzioni statutarie esistenti (cfr.: Corte Costituzionale sentenza 310 del 2013, cit.).
Nella fattispecie, l’art. 9 del d.l. n. 90/2014 è rivolto alla riforma della retribuzione della parte variabile dei compensi non solo dell’Avvocatura dello Stato ma di tutte le avvocature pubbliche, di modo che la coerenza e ragionevolezza dell’intervento normativo deve essere letta nel contesto più generale in cui l’intervento è posto in essere, con la conseguenza che ogni differenziazione del trattamento, quale è quello deteriore riservato all’Avvocatura dello Stato nel riconoscimento delle “spese legali”, dovrebbe fondarsi su circostanze obiettive che nella specie non paiono ravvisabili.
Con ciò non si vuole trascurare di considerare il particolare statuto che regola l’attività degli Avvocati dello Stato i quali, a differenza degli avvocati delle altre Amministrazioni pubbliche, appartengono ad un plesso organizzativo distinto rispetto a quello dell’ente (lo Stato) che essi sono chiamati difendere in sede giudiziale; sennonché, il Collegio ritiene che tale circostanza rilevi al fine di garantire una posizione di maggiore indipendenza ai primi, ma non può valere a giustificarne la sottoposizione ad un trattamento economico deteriore rispetto a quello goduto dalle altre avvocature pubbliche, soprattutto nei casi in cui queste godano del medesimo trattamento economico di parte fissa.
III) Le considerazioni esposte ai punti precedenti fondano, in definitiva, il giudizio di rilevanza, ai fini della compiuta decisione nel merito della controversia, e di non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 9 del d.l. n. 90 del 2014, di “Riforma degli onorari dell’Avvocatura generale dello Stato e delle avvocature degli enti pubblici”, per contrasto con gli artt. 77, secondo comma, e 3 della Costituzione, nei termini e per le ragioni sopra esposte.
Tanto premesso, il Collegio ritiene rilevanti e non manifestamente infondate le esposte questioni di costituzionalità e, per l’effetto, sospende il giudizio, mandando alla Segreteria di trasmettere alla Corte la presente ordinanza, di notificarla alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei Ministri nonché di comunicarla ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica.
Riserva alla sentenza di merito lo scrutinio delle ulteriori censure proposte da parte ricorrente.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise (Sezione Prima), visti l’art. 134 della Costituzione e l’art. 23 della legge 11.3.1953, n. 87,
– dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in relazione all’art. 77, secondo comma, e 3 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, commi 3, 4 e 6 del d.l. 24 giugno 2014, n. 90, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della l. 11 agosto 2014, n. 114;
– sospende il presente giudizio, con rinvio di ogni definitiva statuizione all’esito del promosso giudizio incidentale davanti alla Corte Costituzionale, cui la presente ordinanza va immediatamente trasmessa, a cura della Segreteria del Tribunale unitamente alla prova delle previste comunicazioni e notificazioni;
– dispone, sempre a cura della Segreteria del Tribunale, che la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonché comunicata ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica.
Così deciso in Campobasso, nelle camere di consiglio dei giorni 19 novembre 2015 e 9 marzo 2016 con l’intervento dei magistrati:
Orazio Ciliberti, Presidente
Luca Monteferrante, Consigliere
Domenico De Falco, Referendario, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 25/03/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)