Il Consiglio di Stato con l’ordinanza 1927 del 12 maggio 2016 ha rimesso all’Adunanza plenaria la questione relativa all’applicabilità alle controversie aventi ad oggetto affidamenti di servizi pubblici del rito abbreviato ex art. 120 c.p.a.
Nell’ordinanza il Collegio ha posto in particolare 2 quesiti:
- a) Va rimessa all’Adunanza plenaria la questione se anche alle procedure di affidamento dei servizi pubblici, ivi comprese le concessioni di servizi, già contemplate dall’art. 30, d. lgs. n. 163 del 2006, si applichi il rito speciale dell’evidenza pubblica previsto dagli artt. 119, comma 1, lett. a), e 120 c.p.a., anche alla luce del nuovo codice dei contratti pubblici, di cui al d. lgs. n. 50 del 2016, e della innovativa disciplina delle concessioni di servizi, strutturata tendenzialmente secondo lo schema degli appalti di servizi;
- b) Va rimessa all’Adunanza plenaria la questionese, comunque, in considerazione del contrasto giurisprudenziale relativo al punto a) e dell’oggettivo dubbio in ordine al rito processuale, ordinario o speciale, da applicare alle concessioni dei servizi e nonostante il rigoroso orientamento dell’Adunanza Plenaria in ordine alla concessione dell’errore scusabile per il mancato rispetto dei termini impugnatori sia concedibile la rimessione in termini per errore scusabile (art. 37 c.p.a.) al concorrente che non abbia impugnato nel termine dimezzato di trenta giorni l’aggiudicazione definitiva della gara per l’affidamento della concessione del servizio.
Riguardo il primo, l’ordinanza, nel delineare il contrasto di giurisprudenza insorto all’interno del Consiglio di Stato, da conto che l’indirizzo maggioritario è quello che assoggetta alla disciplina del rito speciale abbreviato dell’art. 119 c.p.a. anche le controversie aventi ad oggetto le procedure di affidamento di qualsivoglia servizio pubblico, ivi comprese quelle relative a concessioni di servizi; sulle concessioni di servizi v. da ultimo Ad. Plen. 30 gennaio 2014, n. 7, in Foro it., 2014, III, 428.
Sul secondo quesito l’ordinanza segnala in modo esaustivo tutti i precedenti resi dall’Adunanza plenaria all’indomani dell’entrata in vigore dell’art. 37 c.p.a., analizzandoli partitamente, per giungere poi alla formulazione del secondo quesito; si tratta, in particolare delle seguenti pronunce: n. 3 del 2 dicembre 2010, n. 1 del 14 febbraio 2011, n. 10 del 3 giugno 2011, n. 32 del 9 agosto 2012, n. 33 del 10 dicembre 2014.
Si riporta di seguito il testo dell’ordinanza.
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N. 01927/2016 REG.PROV.COLL.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 1892 del 2016, proposto da:
Sogeda s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Carlo Montanino, con domicilio eletto presso l’Avv. Quirino D’Angelo in Roma, via Paolo Emilio, n. 34;
contro
Azienda Sanitaria Locale n. 1 Avezzano – Sulmona – L’Aquila, in persona del Direttore Generale pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Giuliano Lazzari, con domicilio eletto presso l’Avv. Stefania Raimondi in Roma, via Antonio Chinotto, n. 1;
nei confronti di
Sigma s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Sergio Cardaropoli, con domicilio eletto presso l’Avv. Antonella Sansone in Roma, circonvallazione Clodia, n. 167;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. ABRUZZO – L’AQUILA: SEZIONE I n. 00034/2016, resa tra le parti, concernente l’affidamento in concessione del servizio di ristoro tramite distributori automatici di bevande e alimenti
visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Azienda Sanitaria Locale n. 1 Avezzano – Sulmona – L’Aquila nonché della controinteressata Sigma s.r.l.;
viste le memorie difensive;
visti tutti gli atti della causa;
relatore nella camera di consiglio del giorno 21 aprile 2016 il Cons. Massimiliano Noccelli e uditi per l’odierna appellante Sogeda s.r.l. l’Avv. Carlo Montanino, per l’Azienda Sanitaria Locale n. 1 Avezzano – Sulmona – L’Aquila l’Avv. Giuliano Lazzari e per la controinteressata Sigma s.r.l. l’Avv. Sergio Cardaropoli;
1. Con deliberazione n. 517 del 30.3.2015 il Direttore Generale dell’Azienda Sanitaria di Avezzano – Sulmona – L’Aquila – di qui in avanti, per brevità, l’Azienda Sanitaria – ha indetto una procedura aperta, ai sensi dell’art. 30 del d. lgs. 163/2006, per l’affidamento in concessione del servizio di ristoro tramite distributori automatici di bevande e di alimenti, per un periodo di 60 mesi, suddivisa in due lotti, il primo comprendente i PP.OO. di Sulmona e di Castel di Sangro e le strutture territoriali dell’area Peligno-Sangrina, con un importo base di gara pari ad € 20.000,00/anno oltre IVA, ed il secondo comprendente il P.O. di Tagliacozzo, il P.T.A. di Pescina e le strutture territoriali dell’area Aquilana-Marsica, ad esclusione dei PP.OO. di L’Aquila e di Avezzano, con un importo a base di gara pari ad € 15.000,00/anno oltre IVA, da aggiudicarsi alla miglior offerta in aumento rispetto al canone annuo posto a base d’asta per ciascun lotto.
1.1. Entro il termine stabilito nella lettera di invito pervenivano le offerte da parte di sei imprese, tra le quali quella formulata da Sigma s.r.l., e si dava quindi corso alle operazioni di gara.
1.2. Nel corso della seduta del 7.7.2015 la Commissione di gara, dopo aver proceduto all’apertura dei plichi contenenti le offerte tecniche e quelle economiche delle imprese ammesse, ha disposto l’aggiudicazione provvisoria per entrambi i lotti a Sigma s.r.l., prima classificata con un importo annuo offerto di € 87.360,00, IVA esclusa, per il lotto n. 1 e di € 42.063,00, IVA esclusa, per il lotto n. 2.
1.3. Sogeda s.r.l., odierna appellante, si è classificata seconda nel lotto n. 1, con un importo annuo offerto pari ad € 52.120,00, IVA esclusa.
1.4. Con nota prot. n. 0133614/15 del 13.11.2015 l’Azienda Sanitaria ha comunicato a Sogeda s.r.l. la deliberazione n. 1943 del 10.11.2015 del Direttore Generale della stessa Azienda Sanitaria, che ha aggiudicato in via definita la gara a Sigma s.r.l.
2. Con ricorso notificato il 23.12.2015 Sogeda s.r.l., odierna appellante, ha impugnato avanti al T.A.R. Abruzzo, sede de L’Aquila, la deliberazione n. 1943 del 10.11.2015 del Direttore Generale, che ha aggiudicato in via definitiva a Sigma s.r.l., come detto, l’affidamento in concessione del servizio di ristoro tramite distributori automatici di bevande e di alimenti, e citata la nota prot. n. 0133614/15 del 13.11.2015, con la quale detta aggiudicazione le è stata comunicata, in una con tutti gli atti e i verbali di gara.
2.1. A fondamento del proprio gravame la ricorrente, classificatasi seconda nella gara relativamente al lotto n. 1, denunciando l’inaffidabilità dell’offerta economica presentata da Sigma s.r.l., asseritamente non remunerativa dei costi connessi alla gestione del servizio, ha dedotto la violazione dell’art. 30, commi 3 e 7, del d. lgs. 163/2006, nonché dei correlati principî desumibili dal Trattato e i principî generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, quelli di trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalità, nonché del principio di serietà dell’offerta, la violazione dell’art. 97 Cost., del principio di buona e corretta amministrazione nonché del principio di concorrenza.
2.2. Sogeda s.r.l. ha perciò chiesto al T.A.R. abruzzese di annullare, previa sospensione, gli atti impugnati, con conseguente aggiudicazione della concessione in proprio favore o, in subordine, con risarcimento per equivalente del danno patito.
2.4. Si sono costituite nel primo grado di giudizio l’Azienda Sanitaria resistente e la controinteressata Sigma s.r.l., eccependo entrambe in via preliminare l’irricevibilità del ricorso e, nel merito, la sua infondatezza.
2.5. All’esito della camera di consiglio del 27.1.2016, fissata per l’esame della domanda incidentale di sospensione, il T.A.R. Abruzzo, con la sentenza n. 34 del 23.1.2016 resa in forma semplificata ai sensi dell’art. 60 c.p.a., ha dichiarato irricevibile il ricorso proposto da Sogeda s.r.l., per avere essa notificato il ricorso contro la deliberazione del Direttore Generale n. 1943 del 10.11.2015, comunicatole il 13.11.2015, solo il 23.12.2015 e cioè, secondo il primo giudice, tardivamente, perché oltre il termine di 30 giorni previsto dall’art. 120, comma 5, c.p.a., per impugnare gli atti delle procedura di affidamento relativi a pubblici lavori, servizi e forniture.
2.6. La ratio decidendi del primo giudice si fonda, in particolare, sulla ritenuta applicabilità degli artt. 119, comma 1, lett. a), e dell’art. 120 c.p.a. anche alle concessioni di servizi, con la conseguenza che anche ai ricorsi promossi contro le relative procedure di affidamento si applicherebbe la dimidiazione dei termini previsti dall’art. 120, comma 5, c.p.a.
2.7. Il T.A.R. ha peraltro escluso anche la possibilità di rimettere in termini la ricorrente per errore scusabile, che quest’ultima aveva comunque invocato per la mancanza, nel provvedimento impugnato, delle indicazioni richieste dall’art. 3, comma quarto, della l. 241/1990, e ciò per il rilievo che tale carenza non determina una illegittimità dell’atto, ma una mera irregolarità, il cui effetto è quello di di rimettere in termini il ricorrente solo laddove sussista una giustificabile incertezza sugli strumenti di tutela da parte del destinatario dell’atto, una situazione normativa oggettivamente ambigua per le difficoltà interpretative in subiecta materia, un contrasto giurisprudenziale, o un comportamento dell’Amministrazione stessa idoneo a suscitare erronei affidamenti, circostanze tutte, ad avviso del primo giudice, non sussistenti nel caso di specie.
3. La sentenza del T.A.R. Abruzzo è stata impugnata avanti a questo Consiglio da Sogeda s.r.l., che ne ha lamentato l’erroneità per tre distinti motivi:
a) la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 30 del d. lgs. 163/2006, in una con la violazione e la falsa applicazione degli artt. 119, comma 1, lett. a), e 120 c.p.a. del d. lgs. 104/2010 nella parte in cui il primo giudice ha ritenuto applicabile anche alle concessioni di servizi il rito speciale previsto dalle suddette disposizioni;
b) la violazione e la falsa applicazione dell’art. 37 del d. lgs. 104/2010 per avere la sentenza escluso la rimessione in termini per errore scusabile anche a fronte di contrasti giurisprudenziali e oscillazioni interpretative in ordine all’applicabilità del rito di cui agli artt. 119 e 120 c.p.a. alle concessioni di servizi;
c) la violazione e la falsa applicazione dell’art. 30, commi 3 e 7, e dei principî applicabili in materia di contratti, quanto alla serietà dell’offerta presentata da Sigma s.r.l., per avere questa presentato, in relazione al lotto n. 1, un canone annuo di € 87.360,00, oltre IVA, formulando un’offerta, secondo l’appellante, non seria, completamente avulsa dagli elementi contenuti nella lex specialis, abnorme e distorsiva della concorrenza.
3.1. L’appellante ha perciò richiesto, in via cautelare, di sospendere ai sensi dell’art. 98 c.p.a. l’esecutività della sentenza impugnata e, nel merito, di accogliere l’appello e, in riforma della sentenza impugnata, di condannare l’Azienda Sanitaria ad aggiudicare la gara alla stessa Sogeda s.r.l. o in subordine, ove il risarcimento in forma specifica non sia possibile, di condannare l’Amministrazione al risarcimento del danno per equivalente, da quantificare in misura pari all’utile economico che sarebbe derivato dall’esecuzione del contratto o nella diversa somma ritenuta di giustizia, con la rivalutazione monetaria e gli interessi.
3.2. Si sono costituite anche nel presente grado di giudizio l’Azienda Sanitaria e la controinteressata Sigma s.r.l. per resistere all’appello ex adverso proposto.
3.3. Nella camera di consiglio del 21.4.2016, fissata per l’esame della domanda di sospensione proposta dall’appellante ai sensi dell’art. 98 c.p.a., il Collegio, ritenuto di poter decidere la controversia anche nel merito, ai sensi dell’art. 60 c.p.a., ed avvisate le parti circa la possibilità di rimetterne l’esame all’Adunanza Plenaria per l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale sull’applicabilità del rito degli appalti alle concessioni di servizi, sentite le parti, che nulla hanno osservato anche riguardo tale evenienza, ha trattenuto la causa in decisione.
4. Si è già premesso che la presente controversia ha ad oggetto l’aggiudicazione, in favore di Sigma s.r.l., della concessione del servizio di ristoro, tramite distributori automatici di bevande e di alimenti presso i PP.OO di Sulmona, Castel di Sangro, Tagliacozzo e Pescina e altre strutture sanitarie dell’Azienda Sanitaria, per un periodo di 60 mesi, in relazione al lotto n. 1.
4.1. Sogeda s.r.l., seconda classificata, ha contestato la legittimità di tale aggiudicazione, censurando la serietà dell’offerta economica presentata da Sigma s.r.l., pari ad € 87.360,00, che a suo dire comporterebbe una sicura perdita dell’impresa, e ha notificato il ricorso contro la delibera di aggiudicazione definitiva il 23.12.2015, oltre i 30 giorni dalla sua comunicazione, avvenuta il 13.11.2015 da parte dell’Azienda Sanitaria con nota prot. 0133614/15.
4.2. Il T.A.R. abruzzese, come pure si è anticipato, ha ritenuto applicabile all’affidamento in questione, relativo al servizio di ristoro tramite distributori automatici di alimenti e bevande, il rito speciale previsto dagli artt. 119, comma 1, lett. a), e 120 c.p.a.
5. In via preliminare, quanto all’istanza di sospensione dell’esecutività della sentenza impugnata proposta da Sogeda s.r.l. ai sensi dell’art. 98 c.p.a., osserva questo Collegio che non sussista alcun grave e irrimediabile pregiudizio per l’appellante, nelle more del presente giudizio, e che quindi difetti il periculum in mora, poiché il danno lamentato ha consistenza meramente economica ed è adeguatamente ristorabile, anche in forma specifica, mediante il subentro dell’appellante nella concessione del servizio, considerando che la concessione ha una durata di 60 mesi e che, anche laddove il ricorso venga accolto, Sogeda s.r.l. potrebbe in tempi ragionevolmente rapidi sostituirsi all’aggiudicataria nella concessione del servizio medesimo, senza alcun irreparabile pregiudizio per la sua pretesa ad ottenere il bene della vita qui agognato.
6. Nel merito, ciò premesso sul piano cautelare, ritiene il Collegio che debba essere rimessa all’esame dell’Adunanza Plenaria la questione relativa all’applicabilità del rito speciale previsto dagli artt. 119, comma 1, lett. a), c.p.a. e dell’art. 120 c.p.a. alle concessioni dei servizi, oggetto del primo motivo di appello sopra ricordato.
7. Occorre premettere che la giurisprudenza di questo Consiglio, non senza rilevare proprio con riferimento alla distribuzione automatica di alimenti e bevande «alcuni aspetti problematici della esatta delimitazione delle nozioni di appalto di servizi pubblici e di concessione di servizi pubblici» (Cons. St., sez. V, 2.2.2010, n. 445), è pervenuta alla ormai unanime conclusione che il rapporto in questione abbia ad oggetto la realizzazione di un servizio (pagato dagli utenti finali) palesemente destinato – in modo prevalente, se non esclusivo – ai soggetti, che, a vario titolo, frequentano la struttura aziendale od ospedaliera (assistiti, dipendenti, visitatori).
7.1. Benché si tratti di servizi di ristorazione o alberghieri rivolti all’Amministrazione, infatti, è tuttavia indiscutibile che l’attività del concessionario sia effettivamente destinata a migliorare, nel suo complesso, l’efficienza dei servizi resi dall’amministrazione sanitaria nei suoi rapporti con il pubblico
7.2. La qualificazione come concessione di servizio pubblico deriva dalla circostanza, costantemente rilevata nella giurisprudenza di questo Consiglio, che il corrispettivo non è a carico dell’Amministrazione e che l’erogazione del servizio, accompagnata dalla corresponsione di un canone, è compensata dalla concessione del diritto di sfruttare economicamente, ed in esclusiva, il servizio (così Cons. St., sez. V, 2.2.2010, n. 445; Cons. St., sez. VI, 14.3.2014, n. 1295; Cons. St., sez. III, 29.5.2015, n. 2704).
7.3. Non sono mancate peraltro pronunce, relative a particolari gare che prevedevano un canone per l’occupazione dello spazio occupato dai distributori, nelle quali il contratto stipulato dall’Amministrazione è stato definito “atipico” o misto, perché implicante, da un latro, una concessione d’uso di spazio pubblico per l’installazione delle macchine e, dall’altro, una concessione di servizi, che l’ente pubblico intende affidare a terzi tramite installazione di distributori automatici di bevande e snack (Cons. St., sez. VI, 16.7.2015, n. 3571; Cons. St., sez. V, 24.12.2009, n. 8715).
7.5. L’orientamento di questo Consiglio, però, è ormai costante – al di là di singole variabili dettate dalla specificità del caso concreto – nel ritenere che, con la figura in questione, l’Amministrazione trasferisca ad altro soggetto la gestione di un servizio, «che la medesima potrebbe direttamente (ma non può o non intende) svolgere nei confronti di utenti terzi» (Cons. St., sez. VI, 16.7.2015, n. 3571).
7.6. Il concessionario, a differenza, cioè, di quanto avviene nell’appalto di servizi (nell’ambito del quale l’Amministrazione riceve dal contraente una prestazione ad essa destinata, in cambio di un corrispettivo), ottiene il proprio compenso non già dall’Amministrazione, ma dall’esterno ovvero dal pubblico che fruisce del servizio stesso, svolto dall’impresa con assetto organizzativo autonomo e con strumenti privatistici, come è usuale per i servizi alimentari, come quello in esame.
7.7. Sul piano economico, come pure ha rilevato la richiamata giurisprudenza (Cons. St., sez. V, 2.2.2010, n. 445; Cons. St., sez. VI, 16.7.2015, n. 3571), il rapporto complessivo è dunque “trilaterale”, poiché coinvolge l’Amministrazione concedente, che resta titolare della funzione trasferita, il concessionario e il pubblico.
7.8. La distribuzione automatica di alimenti e bevande, dunque, viene ormai ricondotta pressoché in modo unanime e condiviso allo schema della concessione di servizi previsto dall’art. 30 del d. lgs. 163/2006, ora abrogato, come si dirà, dal d. lgs. 50/2016, poiché anche per tale ipotesi, secondo quanto prevede lo stesso art. 30, «la controprestazione a favore del concessionario consiste unicamente nel diritto di gestire funzionalmente e di sfruttare economicamente il servizio».
8. Non altrettanto unanime è, però, l’orientamento della giurisprudenza in ordine all’applicazione del rito speciale degli appalti anche alla specifica ipotesi concessoria qui in esame, dividendosi esso in due opposte tesi intepretative.
8.1. Le due tesi possono così riassumersi.
8.2. Secondo il prevalente orientamento di questo Consiglio (v., ex plurimis, Cons. St., sez. V, 1.8.2015, n. 3775; Cons. St., sez. III, 29.5.2015, n. 2704; Cons. St., sez. VI, 29.1.2015, n. 416; Cons. St., sez. V, 28.7.2014, n. 3989) l’affidamento di una concessione di un pubblico servizio, come quello di gestione dei distributori automatici di alimenti e di bevande, rientrerebbe tra le ipotesi di cui all’art. 119, comma 1, lett. a), c.p.a., dovendo l’espressione “affidamento dei servizi”, usata dal legislatore, intendersi come riferita sia agli appalti che alle concessioni di pubblico servizio, per ragioni testuali e sistematiche.
8.2.1. Tale orientamento valorizza, in particolare, un primo argomento testuale, secondo cui la disposizione considera in modo unitario la procedura di affidamento senza operare alcuna distinzione tra appalti e concessioni di pubblici servizi, sì che essa non può che intendersi riferita anche allo «affidamento di […]servizi mediante concessione» (v. art. 3, comma 36, del d. lgs. 163/2006).
8.2.3. Viene poi enucleata da questo filone giurisprudenziale una seconda ragione, di ordine sistematico, in quanto una disciplina differenziata dei due istituti si porrebbe in palese contrasto con le finalità perseguite dal legislatore, volte ad assicurare la massima speditezza nell’intera materia degli affidamenti pubblici di lavori, servizi e forniture, senza distinzione di sorta (cfr., per tutte, Cons. St., sez. V, 12.2.2013, n. 811).
8.3. Deve tuttavia registrarsi, in seno alla giurisprudenza di questo stesso Consiglio, un diverso orientamento interpretativo secondo il quale all’affidamento del servizio di gestione di distributori automatici, proprio perché riconducibile nella concessione di servizi disciplinata dall’art. 30 del codice del d. lgs. 163/2006 (Cons. St., sez. V, 14.10.2014, n. 5065; Cons. St., sez. VI, 16.1.2014, n. 152), non sarebbe applicabile il rito speciale previsto per gli appalti.
8.3.1. Questo secondo indirizzo muove anch’esso dal presupposto, condiviso, che l’esercizio del servizio di vendita di alimenti e bevande mediante distributori automatici rientri nell’ambito della concessione dei servizi, atteso che la controprestazione a favore del concessionario consiste, come detto, unicamente nel diritto di gestire funzionalmente e di sfruttare economicamente il servizio (Cons. St., sez. VI, 4.9.2012, n. 4682; Cons. St., sez. VI, 20.5.2011, n. 3019).
8.3.2. Esso però obietta che alle concessioni di servizi sarebbero applicabili, sul piano sostanziale, solo i principî generali dettati dall’abrogato codice dei contratti pubblici, ai sensi dell’art. 30, commi 1 e 3, del d. lgs. 163/2006, ma non già, sul piano processuale, il rito abbreviato di cui agli artt. 119 e 120 c.p.a., la cui natura “eccezionale”, di «stretta interpretazione» (Cons. St., sez. VI, 28.5.2015, n. 2679) e, comunque, derogatoria rispetto alle regole dell’ordinario rito amministrativo – soprattutto per quanto concerne la dimidiazione dei termini processuali – ne impedirebbe l’estensione alla concessione dei servizi, stante la «tassativa elencazione» di cui agli artt. 119 e 120 c.p.a. (Cons. St., sez. VI, 21.5.2014, n. 2620).
9. Le ragioni di questo controverso panorama interpretativo non sono solo di ordine squisitamente giuridico, non toccando esse il complesso e talvolta problematico discrimine, sul piano sostanziale, tra lavori e concessioni di servizi, ma attengono anche e si intrecciano a quelle di ordine storico, che hanno visto mutare rapidamente, e forse per questo non sempre coerentemente, il quadro della disciplina processuale negli ultimi anni.
9.1. Occorre per maggior precisione, pur con la sintesi imposta dall’attuale codice di rito (art. 3, comma 2, c.p.a.), premettere qui un breve excursus storico della questione in una più vasta e forse più chiarificatrice visione diacronica del tema.
9.2. L’antecedente storico e, per così dire, “l’archetipo” della disciplina processuale relativa al rito degli appalti e, in particolare, dell’art. 23-bis della l. 1034/1971 (v., sul punto, Cons. St., sez. V, 13.6.2008, n. 2969) è stato, in origine, l’art. 19 del d.l. 67/1997, convertito con modificazioni nella l. 135/1997, il quale prevedeva che «nei giudizi davanti ai tribunali amministrativi regionali ed al Consiglio di Stato aventi ad oggetto provvedimenti relativi a procedure di affidamento di incarichi di progettazione e attività tecnico-amministrative ad essa connesse e provvedimenti di aggiudicazione, affidamento ed esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità, ivi comprese le procedure di occupazione ed espropriazione delle aree ad esse destinate, si applicano le disposizioni di cui al presente articolo».
9.3. La giurisprudenza di questo Consiglio aveva chiarito che tale disposizione non fosse applicabile, proprio per la sua letterale formulazione, alle concessioni di servizi (v., ex plurimis, Cons. St., sez. V, 16.6.2003, n. 3354).
9.4. E circa tale disposizione la stessa Corte costituzionale, nel respingere la censura di costituzionalità per asserita violazione, tra gli altri parametri, degli artt. 24 e 113 Cost., aveva osservato, del resto, che «il termine introduttivo, pur ridotto a trenta giorni, appare congruo anche perché è funzionale alla rapida definizione del giudizio nel delicato settore delle opere pubbliche» (Corte cost., 10.11.1999, n. 427), con ciò precisando e, insieme, delimitando l’ambito applicativo del nuovo e innovativo rito al tempo introdotto, non senza aggiungere che «la specialità della materia ben può conformare la disciplina legislativa del diritto di difesa alle speciali caratteristiche della struttura dei singoli procedimenti, anche in relazione alla materia del contendere, purché non sia pregiudicato lo scopo e la funzione del processo e non sia compromessa l’effettività della tutela giurisdizionale».
9.5. L’art. 19 del d.l. 67/1997 è stato poi abrogato dall’art. 4, comma 2, della l. 205/2000, che ha inserito nella legge sui Tribunali amministrativi regionali (l. 1034/1971) l’art. 23-bis e generalizzato, con più ampia formulazione,il rito speciale e accelerato inizialmente riservato alle sole opere pubbliche o di pubblica utilità.
9.6. L’art. 23-bis, comma 1, lett. c), della l. 1034/1971 prevedeva che il rito speciale da esso previsto si applicasse, infatti, anche «ai provvedimenti relativi alle procedure di aggiudicazione, affidamento ed esecuzione di servizi pubblici e forniture, ivi compresi i bandi di gara e gli atti di esclusione dei concorrenti».
9.7. La specialità della materia, per usare le parole della Corte costituzionale sopra richiamate, ha trovato nella nuova e più ampia previsione dell’art. 23-bis della l. 1034/1971, come novellato dalla l. 205/2000, una applicazione estesa anche agli affidamenti di servizi pubblici e forniture.
9.8. Nella formula della lettera c) il riferimento ai servizi si presentava invero piuttosto ambiguo, come la dottrina non aveva mancato di osservare, potendosi intendere come impreciso richiamo alla categoria degli “appalti di servizi”.
9.9. La giurisprudenza aveva costantemente affermato, peraltro, il principio secondo cui l’art. 23-bis della l. 241/1990 trovasse applicazione non solo nelle ipotesi di procedure contrattuali relative all’affidamento di appalti di servizi, ma anche in tutti i casi in cui la controversia riguardasse l’affidamento di un pubblico servizio in senso ampio.
9.10. Basti pensare, a tale proposito, che anche il diniego tacito di assegnazione di una sede di farmacia fosse stato ricondotto all’ambito applicativo dell’articolo 23-bis della l. 241/1990 da parte del Consiglio di Stato, poiché «il servizio farmaceutico è espressamente considerato servizio pubblico dalla legge ai fini della riconduzione delle relative controversie alla giurisdizione esclusiva del g.a. » (Cons. St., sez. V, 21.6.2005, n. 3268).
9.11. Nello stesso senso si poneva la pronuncia secondo cui, poiché è indubbio che il servizio di smaltimento dei rifiuti costituisca servizio pubblico in senso proprio, dovesse essere dichiarato inammissibile l’appello che, avendo ad oggetto il regolamento e le tariffe dei rifiuti urbani, non fosse stato depositato nel termine dimidiato, previsto dall’art. 23-bis, comma 1, lett. c), della l. 1034/1971, per i giudizi aventi ad oggetto provvedimenti relativi a procedure di esecuzione di servizi pubblici (Cons. St., sez. V, 16.6.2009, n. 3852).
9.12. La concitata riscrittura dell’articolo 245 del codice dei contratti pubblici entrato in vigore nel 2006, prima, e degli articoli 119 e 120 del codice del processo nel 2010, dopo, hanno poi determinato qualche problema di coordinamento della disposizione con le previgenti norme.
9.13. Il rinvio effettuato dall’art. 245 del d. lgs. 163/2006 – inserito nella parte IV del d. lgs. 163/2006, le cui disposizioni, giova qui ricordare, l’art. 30, comma 7, dello stesso d. lgs. 163/2006 estendeva e rendeva applicabili alle concessioni di servizi – all’art. 23-bis della l. 1034/1971 e l’ampia e inequivoca formulazione letterale di tale ultima disposizione non sembravano lasciare almeno inizialmente dubbi, come si è visto dal rapido esame della giurisprudenza formatasi al riguardo, sul fatto che alle concessioni dei servizi pubblici si applicasse il rito degli appalti pubblici, con conseguente dimezzamento dei termini processuali.
9.14. Il quadro è però nuovamente mutato per effetto del d. lgs. 53/2010, emanato in attuazione della Direttiva 2007/66/CE – che ha modificato le Direttive 89/665/CEE e 92/13/CEE per quanto riguarda il miglioramento dell’efficacia delle procedure di ricorso in materia d’aggiudicazione degli appalti pubblici – poiché l’art. 8 del citato d. lgs. 53/2010 ha novellato l’art. 245, comma 1, del d. lgs. 163/2006, prevedendo che il nuovo rito dallo stesso art. 245 disciplinato fosse applicabile «agli atti delle procedure di affidamento, ivi comprese le procedure di affidamento di incarichi e concorsi di progettazione e di attività tecnico-amministrative ad esse connesse, relativi a lavori, servizi o forniture, di cui all’articolo 244, nonché i connessi provvedimenti dell’Autorità», e l’art. 15, comma 2, del medesimo d. lgs. 53/2010 ha soppresso la lett. c) del comma 1 dell’art. 23-bis della l. 1034/1971.
9.15. La nuova formulazione dell’art. 245 del d. lgs. 163/2006, ad opera del d. lgs. 53/2010, ha posto sin da subito il problema se essa si applicasse anche alle concessioni dei servizi, facendo esso riferimento agli atti delle procedure di affidamento relativi a lavori, servizi e forniture, e tale problema si è riproposto immutato, in seguito all’entrata in vigore, di lì a poco, del nuovo codice del processo amministrativo e all’abrogazione della l. 1034/1971, anche per il rito abbreviato previsto dagli artt. 119, comma 1, lett. a), e dall’art. 120 c.p.a., recanti previsione analoga a quella dell’art. 245 del d. lgs. 163/2006, siccome riformulato dal d. lgs. 53/2010.
9.16. L’incertezza della questione, dunque, è acuita dalla considerazione che l’art. 30, comma 7, del d. lgs. 163/2006 prevedesse l’applicazione delle disposizioni della Parte IV del medesimo d. lgs. 163/2006 e, in particolare, dell’art. 245, ma le disposizioni contenute nella Parte IV, come detto, sono state poi modificate per effetto dell’entrata in vigore, prima, del d. lgs. 53/2010 (art. 8) e, poi, del codice del processo amministrativo, alle cui previsioni l’art. 245 del medesimo d. lgs. 163/2006 ha rimesso la disciplina della tutela giurisdizionale in questa materia.
9.17. La disciplina processuale degli appalti è stata, dunque, in gran parte scorporata dalla Parte IV del d. lgs. 163/2006 e collocata nella più idonea sedes materiae del codice del processo amministrativo, alla cui disciplina le stesse disposizioni del d. lgs. 163/2006 rinviano.
10. In un quadro normativo così cangiante e composito, dovute alle riforme del diritto sostanziale e processuale, intervenute in rapida successione, e non sempre precedute da un organico e più meditato coordinamento della materia, il primo degli orientamenti interpretativi sopra ricordati ha ritenuto, comunque, che la trasposizione della disciplina processuale dalla Parte IV del codice dei contratti pubblici al codice del processo amministrativo non abbia sottratto le gare per l’affidamento di concessione di servizi alle regole generali, tra le quali quella relativa al termine per l’impugnazione prevista dall’art. 120 c.p.a. (Cons. St., sez. V, 1.8.2015, n. 3775).
10.1. Il Consiglio di Stato si è quindi in prevalenza orientato a ritenere applicabile l’art. 119 c.p.a. anche alle procedure di affidamento dei servizi pubblici.
10.2. Tra le altre pronunce, oltre a quelle sopra già ricordate, appare significativa la pronuncia di Cons. St., sez. V, 2.8.2013, n. 4053, secondo cui il dimezzamento dei termini previsto dall’art. 23-bis della l. 1034/1971 (e ora dagli artt. 119 e 120 c.p.a.) si applica anche nel caso di gara bandita per l’affidamento in uso di un locale all’interno del palazzo di giustizia per la gestione del bar, rientrando nell’ipotesi, contemplata dalla disposizione, dell’affidamento ed esecuzione di un servizio pubblico.
10.3. Ciò in quanto, secondo tale sentenza, per l’individuazione del servizio pubblico occorre far riferimento ad un criterio misto, dovendo essere coinvolta, anche indirettamente, l’Amministrazione e, al tempo stesso, il servizio essere erogato alla generalità degli utenti, secondo un modulo procedimentale prestabilito, costruito all’insegna dell’imparzialità e dell’accessibilità dell’utente.
10.5. Il diverso orientamento interpretativo, sopra menzionato, ha affermato invece che la specifica applicazione del rito ai soli «provvedimenti concernenti le procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture», di cui all’art. 119 c.p.a., non possa che riferirsi agli appalti di pubblici lavori, servizi e forniture, perché esso non comprende le concessioni, aventi una ratio, una struttura giuridica e una finalità economica ben diversa da quella degli appalti, come si evince chiaramente dall’art. 30 del d. lgs. 163/2006, e ad essi non assimilabili sia sul piano della disciplina sostanziale, se si eccettuano i principi generali, e ancor meno su quello della disciplina processuale.
11. Occorre segnalare, peraltro, che molte di tali problematiche sono state ora superate dalla recente disciplina del nuovo codice dei contratti pubblici, di cui al d. lgs. 50/2016, che nell’art. 164, comma 2, prevede che «alle procedure di aggiudicazione di contratti di concessione di lavori pubblici o di servizi si applicano, per quanto compatibili, le disposizioni contenute nella parte I e nella parte II, del presente codice» (relativamente, in particolare, «ai principi generali, alle esclusioni, alle modalità e alle procedure di affidamento, alle modalità di pubblicazione e redazione dei bandi e degli avvisi, ai requisiti generali e speciali e ai motivi di esclusione, ai criteri di aggiudicazione, alle modalità di comunicazione ai candidati e agli offerenti, ai requisiti di qualificazione degli operatori economici, ai termini di ricezione delle domande di partecipazione alla concessione e delle offerte, alle modalità di esecuzione»), sicché l’avvenuta “contrattualizzazione” delle concessioni di lavori o di servizi e la loro tendenziale strutturazione secondo il generale modello dell’evidenza pubblica valido per gli appalti di lavori o di servizi sembra far ritenere superato, allo stato della legislazione vigente, ogni dubbio circa l’applicabilità del rito degli appalti, peraltro recentemente novellato dall’art. 204 dello stesso d. lgs. 50/2016, anche alle concessioni dei servizi, perché rientranti tra gli atti delle procedure di affidamento relativi a pubblici servizi.
11.1. Si tratta, indubbiamente, di una delle più significative novità, sul piano sistematico, del nuovo codice dei contratti pubblici.
11.2. In sede consultiva questo stesso Consiglio di Stato, con il parere n. 855 del 1.4.2016 reso dalla Commissione speciale sul nuovo codice dei contratti pubblici, ha di recente evidenziato che, per effetto della Direttiva 2014/23/UE, il legislatore nazionale è stato chiamato, infatti, ad «ampliare il proprio orizzonte», sicché l’istituto concessorio viene ad assumere, nel nuovo codice, una connotazione potenzialmente diversa da quella tradizionale – seppure incentrata, ancora, sul fondamentale criterio discretivo della traslazione del rischio in capo al concessionario («caratteristica precipua delle concessioni») – e ad innestarsi in un contesto giuridico europeo di “libertà”, che vede questa tipologia contrattuale seguire, pur con tutte le peculiarità delle sue caratteristiche, «gli schemi degli appalti di lavori e di servizi» (pp. 166-167 del parere testé richiamato).
12. Il quadro del diritto attuale sembra dunque far ritenere che la vexata quaestio dell’applicabilità del rito degli appalti alle concessioni dei servizi, proprio per l’omogeneizzazione di queste, anche sul piano sostanziale, alla disciplina degli appalti, possa dirsi risolta nel senso che il rito dell’evidenza pubblica, se così si può definirlo, sia applicabile e non possa non essere applicato anche alle concessioni dei servizi pubblici, proprio per le analoghe esigenze di speditezza e di più efficace tutela giurisdizionale che connotano, o dovrebbero connotare, tale rito.
13. In ogni caso, potendo persistere un contrasto interpretativo circa la delicata questione qui dibattuta con i consequenziali e gravi corollari applicativi (e, prima fra tutti, il dimezzamento dei termini ai sensi e nei limiti di cui all’art. 120 c.p.a. e la conseguente irricevibilità del ricorso proposto da Sogeda s.r.l. in primo grado), quantomeno con riferimento alla previgente disciplina dell’art. 30 del d. lgs. 163/2006 e alla sua interrelazione con gli artt. 119 e 120 c.p.a., ritiene il Collegio di dover rimettere la questione, ai sensi dell’art. 99 c.p.a., all’Adunanza Plenaria.
14. Il Collegio ritiene necessario, laddove l’Adunanza si determini per l’adesione al primo orientamento interpretativo favorevole ad applicare il rito degli appalti anche alle concessioni dei servizi, sottoporre ad essa anche la questione, anch’essa costituente motivo di impugnazione (pp. 7-10 del ricorso) da parte di Sogeda s.r.l. e, dunque, rilevante ai fini del presente giudizio, relativa all’applicabilità della rimessione in termini per errore scusabile e, dunque, alla corretta interpretazione dell’art. 37 c.p.a.
14.1. Sogeda s.r.l. ha lamentato, infatti, che non solo il provvedimento di aggiudicazione comunicatole non contenesse l’indicazione dell’autorità giudiziaria alla quale proporre ricorso e il termine entro il quale impugnare, in violazione dell’art. 3, comma quarto, della l. 241/1990, ma che proprio il contrasto interpretativo sull’applicazione del rito speciale alle concessioni dei servizi giustificherebbe, in un quadro normativo non perspicuo e, comunque, controverso, l’applicazione dell’art. 37 c.p.a.
14.2. Questo Collegio non ignora, invero, che la stessa Adunanza Plenaria si è più volte pronunciata sull’applicazione dell’errore scusabile, in almeno cinque occasioni (sentt. n. 1 del 14.2.2001, n. 3 del 2.12.2010, n. 10 del 3.6.2011, n. 32 del 9.8.2012, n. 33 del 10.12.2014), e in particolare affermando, nella prima di tali pronunce, che «la mancanza, nella comunicazione del provvedimento, delle indicazioni richieste dall’art. 3, 4º comma, l. 241/90, concernenti il termine per l’impugnazione e l’autorità cui ricorrere, non giustifica, di per sé, la concessione del beneficio della rimessione in termini per errore scusabile», sicché, proprio in riferimento alla mancata impugnazione di un atto nei termini dimezzati allora previsti dall’art. 19, comma 3, del d.l. 67/1997, sopra richiamato, «limitare la scusabilità del mancato rispetto dei termini di impugnazione alle sole ipotesi ricadenti nella previsione dell’art. 3, quarto comma, della legge n. 241/1990 significherebbe determinare una disparità di trattamento in una materia assoggettata a principi processuali rigorosi, dal momento che situazioni soggettive identiche sotto il profilo di assenza di esplicita informativa condurrebbero a conseguenze discriminatorie sul delicato tema delle preclusioni processuali» (Ad. Plen., 14.2.2001, n. 1).
14.3. Ancora la stessa Adunanza, nella sentenza n. 3 del 2.12.2010, ha affermato la necessità che una interpretazione strettamente attinente al testo delle disposizioni rimane un dovere ineludibile ogniqualvolta il giudice sia chiamato ad applicare una disciplina che non si presenti ambigua o lacunosa e che non residuano, pertanto, spazi per l’intervento del principio di effettività in funzione correttiva laddove il precetto recato da una disposizione processuale sia chiaro e finanche presidiato da una sanzione di decadenza, non senza rilevare che l’art. 37 c.p.a., nella parte in cui stabilisce che la rimessione in termini per errore scusabile possa essere disposta solo in presenza di oggettive ragioni di incertezza su questioni di diritto o di gravi impedimenti di fatto, è norma di stretta interpretazione, dal momento che un uso eccessivamente ampio della discrezionalità giudiziaria che essa presuppone, lungi dal rafforzare l’effettività della tutela giurisdizionale, potrebbe alla fine risolversi in un grave vulnus del pariordinato principio di parità delle parti richiamato dall’art. 2, comma 1, dello stesso codice, sul versante del rispetto dei termini perentori stabiliti dalla legge processuale.
14.4. La stessa Adunanza Plenaria, nella sentenza n. 10 del 3.6.2011, ha aggiunto che, al fine della verifica se una determinata controversia rientri o meno nel rito speciale al tempo previsto dall’art. 23-bis della l. 1034/1971 e applicabile ratione temporis, è del tutto irrilevante anche il comportamento processuale delle stesse parti.
14.5. Nella sentenza n. 32 del 9.8.2012 ancora l’Adunanza ha chiarito che «i riti speciali e il loro ambito applicativo sono stabiliti dalla legge, per ragioni che rientrano nelle scelte discrezionali del legislatore (nel caso del rito dell’art. 23bis, l. Tar, ora artt. 119 e 120 cod. proc. amm., per la esigenza di interesse generale di una celere definizione di determinate tipologie di controversie), e pertanto l’applicazione del rito è doverosa ed oggettiva, e non vi è spazio per una scelta del rito, o sua disapplicazione, ad opera delle parti o del giudice».
14.6. Infine nella pronuncia n. 33 del 10.12.2014 l’Adunanza Plenaria, proprio ribadendo l’eccezionalità del rimedio previsto dall’art. 37 c.p.a., ha precisato che l’errore rispetto al quale dev’essere accertata la scusabilità è quello relativo all’omessa, tempestiva attivazione di un potere processuale, e che non v’è dubbio che le ragioni che l’hanno impedita devono riferirsi a difficoltà interpretative della normativa di riferimento circa i presupposti, le modalità, i termini o gli effetti dell’esercizio della potestà in questione ovvero a cause di forza maggiore che hanno materialmente impedito l’adempimento processuale scaduto.
14.7. Per riassumere, dunque, la giurisprudenza di questo Consiglio ammette la rimessione in termini solo allorché sia apprezzabile una qualche giustificata incertezza sugli strumenti di tutela utilizzabili da parte del destinatario dell’atto, dovuta ad una situazione normativa obiettivamente ambigua o confusa, ad uno stato di obiettiva incertezza per le oggettive difficoltà di interpretazione di una norma, alla particolare complessità della fattispecie concreta, a contrasti giurisprudenziali o al comportamento dell’Amministrazione idoneo, perché equivoco, ad ingenerare convincimenti non esatti (v., ex plurimis, Cons. St., sez. V, 10.2.2015, n. 671; Cons. St., sez. IV, 30.11.2015, n. 5408).
14.8. Nemmeno ignora il Collegio che il beneficio della rimessione in termini sia stato negato da questa stessa Sezione III nella sentenza n. 2704 del 29.5.2015, sopra menzionata, proprio con riferimento ad un caso analogo al presente, per il motivo, però, che il quadro normativo, in materia, sarebbe chiaro, univoco e incontroverso, ciò che, invece, non è o, almeno, si ritiene non essere alla luce dell’analisi sin qui condotta.
14.9. Ritiene il Collegio che nel caso presente la questione dell’errore scusabile solleciti un ulteriore riesame dell’art. 37 c.p.a. da parte dell’Adunanza Plenaria, anche solo per meglio chiarire e specificare il suo orientamento.
14.10. Non è la mancata indicazione dell’autorità alla quale ricorrere o del termine di impugnazione nel provvedimento comunicato a Sogeda s.r.l., alla luce del costante orientamento seguito dal Consiglio in materia, ciò che impone un approfondimento del tema in relazione al caso di specie, quanto, e piuttosto, proprio il contrasto giurisprudenziale sull’applicabilità del rito degli appalti alle concessioni dei servizi e la delicatezza del tema di fondo qui controverso a far ritenere quantomeno incerta e, comunque, bisognosa di un ulteriore approfondimento da parte dell’Adunanza, che dissipi ogni dubbio in funzione nomofilattica, l’applicazione dell’art. 37 c.p.a. nell’ipotesi, invero eccezionale, in cui l’applicabilità del rito ordinario o speciale sia dibattuta nella stessa giurisprudenza di questo Consiglio.
15. Richiamando quanto sopra chiarito dalla sentenza n. 33 del 10.12.2014 della stessa Adunanza, infatti, l’errore rispetto al quale dev’essere accertata la scusabilità è, in questo caso, quello relativo all’omessa, tempestiva attivazione di un potere processuale, quale quello dell’impugnazione, entro il termine dimidiato di 30 giorni, dell’aggiudicazione definitiva in favore di Sigma s.r.l., e le ragioni che l’hanno impedita potrebbero qui proprio riferirsi a difficoltà interpretative della normativa di riferimento circa i presupposti, le modalità, i termini o gli effetti dell’esercizio della potestà in questione, difficoltà che, per tutte le ragioni vedute, compete all’Adunanza Plenaria dirimere.
15.1. È dalla chiarezza del quadro normativo, infatti, che dipende la scusabilità dell’errore processuale, sicché quando è questo stesso quadro ad apparire incerto o sfumato, come nel caso di specie, l’ignorantia legis non sembra ascrivibile ad una inescusabile negligenza della parte, ove la specialità del rito, che certo deroga alle ordinarie regole processuali e costituisce un limite, pur giustificato da esigenze di speditezza connesse a specifiche materie, al diritto di difesa, appaia controversa nel suo stesso presupposto applicativo.
15.2. Il dubbio circa tale problematico aspetto, con tutte le gravi conseguenze che esso implica nel caso di specie, impone a questo Collegio, per l’importanza della questione, di rimetterne l’esame all’Adunanza Plenaria.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) respinge l’istanza cautelare di sospensione proposta da Sogeda s.r.l.
Rimette nel merito il ricorso all’esame dell’Adunanza Plenaria di questo Consiglio.
Manda la Segreteria della Sezione per gli adempimenti di competenza.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 aprile 2016 con l’intervento dei magistrati:
Marco Lipari, Presidente
Lydia Ada Orsola Spiezia, Consigliere
Massimiliano Noccelli, Consigliere, Estensore
Paola Alba Aurora Puliatti, Consigliere
Pierfrancesco Ungari, Consigliere
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 12/05/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)