CdS: no all’avvalimento per il requisito di iscrizione alla CCIAA

Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 2384 del 6 giugno 2016,  ha chiarito che in tema di appalti pubblici, nonostante la portata generale dell’istituto dell’avvalimento, resta salva l’infungibilità dei requisiti ex artt. 38 e 39 del d.lgs. n. 163 del 2006, in quanto di tipo soggettivo, sicché un’impresa, non può giovarsi dell’avvalimento per acquisire il requisito dell’iscrizione alla CCIAA di cui è carente.

Il Collegio, al riguardo precisa, che quando il bando di gara richiede, ai fini dell’ammissione alla procedura, il possesso di una determinata qualificazione dell’attività e l’indicazione nel certificato camerale dell’attività stessa, quest’ultima prescrizione va intesa in senso strumentale, ovvero funzionale all’accertamento del possesso effettivo del requisito soggettivo di esperienza e fatturato, che rappresenta il requisito di interesse sostanziale della stazione appaltante.

Solo se dimostrato, da parte del concorrente, l’effettivo possesso dei requisiti soggettivi di esperienza e qualificazione richiesti dal bando, l’eventuale imprecisione della descrizione dell’attività risultante dal certificato camerale non è sufficiente a determinarne l’esclusione, a pena di una applicazione meramente formalistica della lex specialis(come tale contrastante con il principio di cui all’art. 46, comma 1 bis, del d. lgs. n. 163 del 2006).

Il Collegio inoltre osserva che i requisiti professionali previsti dall’art. 39, del d.lgs. n. 163 del 2006 (tra cui l’iscrizione nel registro della Camera di Commercio) sono cosa diversa da quelli di esperienza tecnica di cui all’art. 42, il quale, alla lett. a) del comma 1, stabilisce che “negli appalti di servizi e forniture la dimostrazione delle capacità tecniche dei concorrenti può essere fornita mediante presentazione dell’elenco dei principali servizi o delle principali forniture prestati negli ultimi tre anni con l’indicazione degli importi, delle date e dei destinatari, pubblici o privati, dei servizi o forniture stessi; se trattasi di servizi e forniture prestati a favore di Amministrazioni o enti pubblici, esse sono provate da certificatori rilasciati e vistati dalle Amministrazioni o dagli enti medesimi; se trattasi di servizi o forniture prestati a privati, l’effettuazione effettiva della prestazione è dichiarata da questi o, in mancanza, dallo stesso concorrente”.

Quindi, mentre alla carenza del requisito di esperienza tecnica può pacificamente porsi rimedio con ricorso allo strumento dell’avvalimento ai sensi dell’art. 49 del Codice dei contratti, per cui il concorrente può soddisfare la richiesta relativa al possesso dei requisiti di carattere economico, finanziario, tecnico, organizzativo, avvalendosi dei requisiti di un altro soggetto, il requisito professionale di cui trattasi non può ritenersi essere validamente oggetto di avvalimento.

Pertanto ad avviso del Collegio, l’aggiudicataria non poteva giovarsi dell’avvalimento per acquisire il requisito dell’iscrizione alla CCIAA di cui era carente.

Si riporta di seguito il testo della sentenza.

***

N. 02384/2016REG.PROV.COLL.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente
SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4621 del 2015, proposto da:
Arco Edil s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Luigi Adinolfi, con domicilio eletto presso la dott.ssa Anna Bei, Studio Commercialista Rosati, in Roma, Via Ovidio n.10;

contro

Fondazione San Giuseppe, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;

nei confronti di

TP Company s.r.l., in persona del legale pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Pasquale Marotta e Giuseppe di Fratta, con domicilio eletto presso l’avvocato Giancarlo Caracuzzo in Roma, Via di Villa Pepoli, n. 4;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. Campania – Napoli, Sezione I, n. 01697/2015, resa tra le parti;

Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della TP Company s.r.l.;
Vista la propria ordinanza 9 luglio 2015 n. 3463;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 15 dicembre 2015 il Cons. Antonio Amicuzzi e udito per la TP Company s.r.l. l’avvocato Pasquale Marotta;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

 

FATTO e DIRITTO

1.- La AR.CO.EDIL s.r.l., seconda classificata nell’appalto indetto per il restauro e la ristrutturazione edilizia di un immobile della fondazione S. Giuseppe – ex IPAB – ha proposto ricorso al T.A.R. Campania, Napoli, lamentando la mancata esclusione dalla gara della aggiudicataria, che non aveva l’oggetto sociale corrispondente a quello dell’appalto, considerato che l’iscrizione alla CCIAA non può essere oggetto di avvalimento e che comunque i relativi contratti, che peraltro non concernevano l’iscrizione alla CCIAA, difettavano dei requisiti previsti dall’art. 88 del d.P.R. n. 287 del 2010.
2.- L’adito T.A.R., con la sentenza impugnata, ritenuto che la mancanza di iscrizione nella Camera di Commercio non poteva considerarsi requisito di partecipazione e che non era condivisibile la sostenuta inidoneità dei contratti di avvalimento stipulati dall’aggiudicataria con il Consorzio CO.CE.R. e con la Salerno Kontrol s.r.l, ha respinto il gravame.
3.- Con il ricorso in appello in esame la Arco Edil s.r.l. ha chiesto l’annullamento o la riforma di detta sentenza deducendo i seguenti motivi:
a) Error in iudicando sulla non necessità della iscrizione alla CCIAA per l’attività oggetto dell’appalto “e sua attivazione”. Error in iudicando sulla violazione e falsa applicazione della legge speciale del concorso con riferimento all’oggetto sociale. Error in iudicando, violazione dell’art. 49 del d. lgs. n. 163 del 2006.
La controinteressata avrebbe dovuto essere esclusa dalla gara in quanto priva del requisito di iscrizione alla CCIAA per un oggetto corrispondente a quello dell’appalto, che sarebbe stato il requisito principale per la partecipazione, insuscettibile di avvalimento.
b) Error in iudicando sulla esaustività dei due contratti di avvalimento.
Erroneamente il T.A.R. avrebbe affermato che i due regolamenti contrattuali erano sufficienti all’avvalimento per le categorie OG1 e OG11.
c) Error in iudicando sui danni.
Sarebbe dovuta la reintegrazione in forma specifica e, in caso di impossibilità di subentro nel contratto, spetterebbe il riconoscimento, con riguardo ai lavori già eseguiti o all’intero ammontare dell’appalto, di un risarcimento pari al 10% della base d’asta o di altra somma ritenuta di giustizia, da quantificarsi anche in via equitativa.
4.- Con memoria depositata il 17 giugno 2015 si è costituita in giudizio la TP Company s.r.l., che ha eccepito l’inammissibilità dell’appello sia perché consistente in una mera riformulazione delle censure prospettate in primo grado; sia per essere stato modificato l’oggetto del gravame; sia per essere stato affermato per la prima volta in appello che le deroghe alla tassatività delle cause di esclusione previste dalla lettera d) del punto VI dell’art. 10 del disciplinare erano riferite solo al contenuto della domanda, della dichiarazione e dei documenti (con inammissibilità o improcedibilità del ricorso per mancata impugnazione del disciplinare di gara). Nel merito ha dedotto l’infondatezza del primo motivo di gravame (precisando di essere in possesso dei requisiti necessari per l’espletamento dei lavori di cui alla categoria OG11 e sostenendo che sarebbe stato contraddittoriamente affermato che l’eccezione prevista da detta lettera d) sarebbe riferibile solo ad eventuali carenze del contenuto delle dichiarazioni), nonché del secondo; ha poi sostenuto l’insussistenza delle condizioni per la declaratoria di inefficacia del contratto ed ha concluso per la reiezione.
5.- Con ordinanza 9 luglio 2015 n. 3463 la Sezione ha accolto l’istanza di sospensione della sentenza impugnata.
6.- Alla pubblica udienza del 15 dicembre 2015 il ricorso in appello è stato trattenuto in decisione alla presenza degli avvocati delle parti come da verbale di causa agli atti del giudizio.
7.- L’appello è fondato.
8.- Innanzi tutto la Sezione deve verificare la fondatezza della eccezione, formulata dalla resistente società, di inammissibilità dell’appello sia per consistere in una mera riformulazione delle censure prospettate in primo grado, senza specifiche censure contro i capi della sentenza gravata, ed in meri rinvii a principi giurisprudenziali affermati dal Consiglio di Stato e non pertinenti alla fattispecie; sia per essere stato modificato l’oggetto del gravame censurando l’omessa attivazione dell’oggetto sociale; sia per essere stato affermato per la prima volta in appello che la previsione della non esclusione dalla gara per violazione del punto di cui alla lettera d) del punto VI dell’art. 10 del disciplinare è riferita al contenuto della domanda, della dichiarazione e dei documenti, ma non al possesso del requisito in quanto tale (con inammissibilità o improcedibilità del ricorso per mancata impugnazione del disciplinare di gara).
8.1.- Va osservato in proposito che l’appello non contiene la mera riproposizione delle censure formulate in primo grado ma la contestazione della tesi del primo giudice che l’omissione della indicazione della Camera di commercio in cui la aggiudicataria era iscritta, con indicazione dei relativi estremi, della forma giuridica e dell’attività svolta (corrispondente a quella oggetto di gara) non fosse sanzionata con l’esclusione, affermando, a pag. 6 dell’atto d’appello, che il punto 10, u.c. del disciplinare, laddove consentiva l’eccezione al dovere di esclusione con riferimento, tra l’altro, alla ipotesi di cui alla lettera d), che richiedeva detta iscrizione, dovrebbe essere interpretato nel senso che era riferito al contenuto della domanda e non al possesso del requisito in quanto tale; la ulteriore tesi sostenuta in sentenza che i contratti di avvalimento erano idonei in quanto era stata messa dalle società avvalenti ad incondizionata disposizione l’intera azienda, è stata contestata con il gravame in esame, alle pagg. 6 e 7, laddove è stato affermato che essi erano comunque vaghi e generici per mancata precisazione degli elementi qualificati idonei a dimostrare l’effettiva attribuzione del requisito.
8.2.- Quanto alla eccezione che sarebbe stato modificato l’oggetto del gravame censurando l’omessa attivazione dell’oggetto sociale, mentre in primo grado era stato sostenuto che la aggiudicataria avrebbe dovuto essere esclusa per carenza del requisito soggettivo della iscrizione alla Camera di Commercio per un oggetto corrispondente a quello dell’appalto, ne rileva il collegio la incondivisibilità, atteso che la tesi è stata formulata al fine di contestare l’assunto contenuto in sentenza che non sarebbe possibile esigere, a pena di esclusione, che l’iscrizione risulti anche per una attività corrispondente a quella oggetto dell’appalto, con conseguente piena ammissibilità delle relative censure atteso che nel giudizio amministrativo l’appellante ha lo specifico onere di formulare, a pena d’inammissibilità, una critica puntuale della motivazione della sentenza impugnata, posto che l’oggetto di tale giudizio è costituito da quest’ultima e non dal provvedimento gravato in primo grado (Consiglio di Stato, sez. IV, 3 novembre 2015, n. 5013).
8.3.- Quanto alla eccezione che sarebbe stato affermato per la prima volta in appello che le deroghe alla tassatività delle cause di esclusione previste dalla lettera d) del punto VI dell’art. 10 del disciplinare erano riferite al contenuto della domanda, della dichiarazione e dei documenti, ma non al possesso del requisito in quanto tale (con inammissibilità o improcedibilità del ricorso per mancata impugnazione del disciplinare di gara), osserva la Sezione che anche tale censura è volta a contestare l’assunto contenuto nell’impugnata sentenza che era irrilevante l’omissione dell’adempimento della indicazione della Camera di commercio in cui la concorrente era iscritta e della relativa attività corrispondente a quella oggetto del contratto, sicché, per le considerazioni svolte al punto precedente, deve ritenersi che anche l’eccezione in esame sia infondata.
9.- Ciò posto, va osservato nel merito che con il primo motivo di gravame è stato dedotto che la controinteressata avrebbe dovuto essere esclusa dalla gara in quanto priva del requisito di iscrizione alla CCIAA per un oggetto corrispondente a quello dell’appalto, che sarebbe stato il requisito principale per la partecipazione alla gara, atteso che l’art. 9 del bando rinviava per i requisiti di partecipazione al disciplinare di gara, che, al punto 10, sub. lett. d), richiedeva il possesso di detto requisito.
Infatti la sola attività da essa attivata alla data del 4 novembre 2011 sarebbe stata quella relativa alla “installazione di impianti fotovoltaici”e sarebbe stata quindi priva di un requisito soggettivo insuscettibile di avvalimento, in quanto, attenendo ad una situazione personale del soggetto e rappresentando l’adempimento di un obbligo posto dagli artt. 2195 e segg. del c.c. (che garantisce la pubblicità legale delle imprese e di tutti gli atti ad esse connessi), non era passibile di alcuna forma di sostituzione e la sua carenza non poteva essere supplita tramite l’iscrizione di un’altra impresa.
Invero in tema di appalti pubblici, nonostante la portata generale dell’istituto dell’avvalimento, resterebbe salva l’infungibilità dei requisiti ex artt. 38 e 39 del d.lgs. n. 163 del 2006, in quanto di tipo soggettivo, sicché l’aggiudicataria, non avrebbe potuto giovarsi dell’avvalimento per acquisire il requisito dell’iscrizione alla CCIAA di cui era carente.
A nulla varrebbe l’assunto contenuto in sentenza che l’assenza di detta iscrizione non fosse sanzionata con l’esclusione, in quanto il punto 10, u.c., del disciplinare di gara, laddove afferma l’eccezione con riferimento alla lettera d) del punto VI, che, interpretato in maniera sistematica e logica, sarebbe stata chiaramente riferita al contenuto della domanda, della dichiarazione e dei documenti, ma non al possesso del requisito in quanto tale. Infatti con detta disposizione non potrebbe essere stata prevista la facoltatività della iscrizione alla CCIAA, stabilita a pena di esclusione dalla citata lettera d), ma solo che eventuali omissioni nelle dichiarazioni o nelle documentazioni presentate, essendo presenti in certificazioni in possesso di altre amministrazioni facilmente reperibili, non potevano determinare l’esclusione dalla gara, essendo possibile fare riferimento al potere di soccorso.
9.1.- Osserva in proposito il collegio che con la sentenza è stato sostenuto che, anche se il disciplinare di gara al punto d) dell’art. 10 del capitolato imponeva di indicare la camera di commercio nel cui registro la concorrente era iscritta, con indicazione dell’attività per cui si era iscritti (che doveva corrispondere a quella oggetto della gara), tuttavia l’assenza di tale condizione non era sanzionata con l’esclusione, dal momento che l’art. 38 del d.lgs. n. 163 del 2006 commina l’estromissione solo per mancanza di specifici requisiti generali, tra cui non figura l’iscrizione nella Camera di commercio per una determinata attività e dal momento che comunque non sarebbe possibile esigere, a pena di esclusione, che l’iscrizione risulti anche per una attività corrispondente all’oggetto del contratto da stipulare, perché in tal caso si rischierebbe di mutare la significatività dell’iscrizione camerale (condizione soggettiva generale) in requisito speciale.
Va in proposito rilevato che l’art. 9 del bando di gara stabiliva che per partecipare ad essa i concorrenti dovevano essere in possesso dei requisiti di ammissione indicati nel disciplinare di gara, dimostrati con le modalità, le forme ed i contenuti previsti nello stesso.
Il punto 10 del disciplinare prevedeva che nella busta “A” dovevano essere contenuti, oltre a vari documenti, al punto VI), varie dichiarazioni sostitutive e, al punto d) la indicazione da parte del concorrente della Camera di commercio nel cui registro delle imprese era iscritto, precisando gli estremi dell’iscrizione (numero e data), la forma giuridica e l’attività per cui è iscritto, che doveva corrispondere a quella oggetto della procedura di affidamento; infine detto punto 10 prevedeva, all’ultimo comma, che “La domanda, le dichiarazioni e le documentazioni dell’elenco dei documenti, ad eccezione dei punti di cui ai numeri II), VI lett. d), m), n), p), q), r), devono contenere a pena di esclusione dalla gara quanto previsto nelle rispettive disposizioni sopra elencate”.
Concorda il collegio con l’appellante che detta disposizione debba essere interpretata nel senso che era riferita solo al contenuto della domanda, della dichiarazione e dei documenti, sicché solo eventuali omissioni nelle dichiarazioni o nelle documentazioni presentate non potevano determinare l’esclusione dalla gara, essendo possibile fare riferimento al potere di soccorso; non era invece riferita al possesso del requisito.
Infatti quando il bando di gara richiede, ai fini dell’ammissione alla procedura, il possesso di una determinata qualificazione dell’attività e l’indicazione nel certificato camerale dell’attività stessa, quest’ultima prescrizione va intesa in senso strumentale, ovvero funzionale all’accertamento del possesso effettivo del requisito soggettivo di esperienza e fatturato, che rappresenta il requisito di interesse sostanziale della stazione appaltante.
Solo se dimostrato, da parte del concorrente, l’effettivo possesso dei requisiti soggettivi di esperienza e qualificazione richiesti dal bando, l’eventuale imprecisione della descrizione dell’attività risultante dal certificato camerale non è sufficiente a determinarne l’esclusione, a pena di una applicazione meramente formalistica della lex specialis (come tale contrastante con il principio di cui all’art. 46, comma 1 bis, del d. lgs. n. 163 del 2006).
L’ultimo capoverso del punto 10 del disciplinare non poteva quindi che essere interpretato nel senso sostenuto dall’appellante; ciò considerato pure che non è condivisibile l’eccezione della società resistente che l’appellante abbia affermato che quanto richiesto a detto punto d) fosse solo una “dichiarazione”, atteso che ha invece sostenuto che era invece richiesto proprio l’effettivo possesso del requisito.
Non aveva dimostrato, quindi, l’aggiudicataria il possesso di un essenziale requisito di capacità professionale richiesto e prescritto dalla lex specialis, considerato che nelle gare pubbliche indette per l’affidamento di appalti, l’iscrizione del partecipante alla Camera di Commercio e la sua coerenza rispetto al contenuto contrattuale è requisito di ammissione, perché consente di verificare la corrispondenza dell’oggetto dell’iscrizione con quello dell’appalto e, di conseguenza, la specifica capacità tecnica posseduta dai contraenti (Consiglio di Stato, sez. V, 14 aprile 2015, n. 1874).
Peraltro, poiché il requisito atteneva alle necessarie capacità soggettive per partecipare alla gara, il suo difetto da parte della‘aggiudicataria comportava, ex se, l’esclusione, indipendentemente dalla previsione nella legge di gara, poiché tale carenza integrava l’ipotesi di cui all’art. 46, comma 1- bis del d.lgs. n.163 del 2006 relativa alla mancanza “degli elementi essenziali ” dell’offerta.
Aggiungasi che i requisiti professionali previsti dall’art. 39, del d.lgs. n. 163 del 2006 (tra cui l’iscrizione nel registro della Camera di Commercio) sono cosa diversa da quelli di esperienza tecnica di cui all’art. 42, il quale, alla lett. a) del comma 1, stabilisce che “negli appalti di servizi e forniture la dimostrazione delle capacità tecniche dei concorrenti può essere fornita mediante presentazione dell’elenco dei principali servizi o delle principali forniture prestati negli ultimi tre anni con l’indicazione degli importi, delle date e dei destinatari, pubblici o privati, dei servizi o forniture stessi; se trattasi di servizi e forniture prestati a favore di Amministrazioni o enti pubblici, esse sono provate da certificatori rilasciati e vistati dalle Amministrazioni o dagli enti medesimi; se trattasi di servizi o forniture prestati a privati, l’effettuazione effettiva della prestazione è dichiarata da questi o, in mancanza, dallo stesso concorrente”.
Quindi, mentre alla carenza del requisito di esperienza tecnica può pacificamente porsi rimedio con ricorso allo strumento dell’avvalimento ai sensi dell’art. 49 del Codice dei contratti, per cui il concorrente può soddisfare la richiesta relativa al possesso dei requisiti di carattere economico, finanziario, tecnico, organizzativo, avvalendosi dei requisiti di un altro soggetto, il requisito professionale di cui trattasi non può ritenersi essere validamente oggetto di avvalimento.
Pertanto, come dedotto dall’appellante, l’aggiudicataria non poteva giovarsi dell’avvalimento per acquisire il requisito dell’iscrizione alla CCIAA di cui era carente.
Le censure in esame devono quindi essere accolte.
10.- Con il secondo motivo d’appello è stato sostenuto che erroneamente il T.A.R. avrebbe affermato che i due regolamenti contrattuali intercorsi con le avvalenti fossero sufficienti all’avvalimento per le categorie OG1 e OG11 per essere stata messa a disposizione incondizionata l’intera azienda; ciò in quanto, a prescindere dall’impossibilità di applicare l’istituto dell’avvalimento al requisito soggettivo dell’iscrizione alla CCIAA, i contratti stipulati con il CO.Ce.R. e con la Salerno Kontrol s.r.l., prevedendo al punto 2 solo che “L’ausiliaria mette a disposizione dell’avvalente la categoria OG1 e OG11”, sarebbero stati vaghi, generici e soggetti a condizione, con non conformità al dettato dell’art. 88 del d.P.R. n. 207 del 2010, essendo inadatti ad integrare uno schema minimale di diritti, obblighi e garanzie di una sicura attuazione dell’avvalimento e dello stesso appalto pubblico, in condizioni di chiarezza e trasparenza. Inoltre i contratti sarebbero stati “eventuali”.
11.- Il collegio, ribadito al riguardo che il ricorso all’istituto dell’avvalimento non era nel caso di specie consentito, osserva che comunque è da condividere l’assunto dell’appellante che, laddove i contratti di avvalimento in questione si limitavano ad prevedere la messa a disposizione dell’avvalente, con riguardo alla categoria OG1 (Co.Ce.R.) e alla categoria OG11 (Tecno service s.r.l.), l’“Attestazione SOA intesa come messa a disposizione dell’intera azienda ivi compreso il complesso di beni organizzato per l’esercizio dell’impresa” e “Ogni altro utile elemento” come “eventualmente minuteria betoniera, motocarriola, recinzioni e 1 autovettura”, nonché, “ove necessario”, “la direzione tecnica”, non potevano considerarsi idonei a garantire l’affidabilità del concorrente, non essendo state adeguatamente specificate le risorse e i mezzi aziendali messi a disposizione tali da rendere concreto e verificabile dalla s.a. il requisito astratto prestato, soprattutto perché il loro conferimento non era assistito dal carattere della certezza, stanti gli avverbi “eventualmente” e “ove necessario” che ne subordinavano la prestazione.
Invero l’avvalimento deve comportare l’effettivo trasferimento all’impresa ausiliata delle specifiche competenze tecniche acquisite e delle concrete risorse messe a disposizione; trasferimento che, per sua natura, ne implica l’esclusività per tutto il periodo preso in considerazione dalla lex specialis di gara e non deve risolversi nel prestito di un valore puramente cartolare e astratto, essendo invece necessario, anche alla luce del chiaro disposto dell’art. 88, d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207, che dal contratto risulti chiaramente l’impegno dell’impresa ausiliaria di prestare le proprie risorse e il proprio apparato organizzativo in tutte le parti che giustificano l’attribuzione del requisito di qualità, come i mezzi, il personale, la prassi e tutti gli altri elementi aziendali qualificanti (Consiglio di Stato, sez. V, 27 gennaio 2016, n. 264). Ragionando diversamente, il contributo dell’ausiliario si risolverebbe nel prestare una sorta di garanzia per eventuali insufficienze nello svolgimento delle prestazioni, senza fornire alcun contributo oggettivo, affinché l’opera dell’ausiliato sia migliorata in virtù del concreto apporto dei requisiti di capacità tecnica considerati rilevanti dal bando di gara.
Anche l’esaminata censura deve quindi ritenersi fondata.
12.- Con il terzo motivo di gravame è stato sostenuto che sarebbe dovuta la reintegrazione in forma specifica e, in caso di impossibilità di subentro nel contratto, il riconoscimento, con riguardo ai lavori già eseguiti o all’intero ammontare dell’appalto di un risarcimento pari al 10% della base d’asta o di altra somma ritenuta di giustizia, da quantificarsi anche in via equitativa.
12.1.- Il Collegio, exart. 122 del c.p.a., deve in proposito valutare lo stato di esecuzione del contratto, la possibilità per il ricorrente di conseguire l’aggiudicazione e di subentrare nel contratto, nonché gli interessi di tutte le parti.
Nel caso di specie, essendo la ricorrente seconda classificata e non essendo stata dimostrata la non anomalia della sua offerta, non sussiste la certezza che essa avrebbe titolo a conseguire l’aggiudicazione e il contratto in luogo della TP Company s.r.l..
Comunque si tratta di contratto ad avanzato stato di esecuzione, rilevato che con la memoria di costituzione in giudizio detta s.r.l. ha evidenziato che, stante l’urgenza dei lavori legati alla tempistica per poter fruire dei finanziamenti comunitari, con determinazione n. 23 del 4 dicembre 2014 la s.a. le aveva consegnato anticipatamente i lavori.
Pertanto il subentro nel contratto, stante il tempo trascorso e nonostante l’accoglimento, nelle more, della domanda di sospensione della efficacia della sentenza impugnata, non appare conforme all’interesse della stazione appaltante, né all’interesse generale, sicché appare corretto mantenere il contratto e accordare il risarcimento solo per equivalente, in termini di perdita di chance, che non si identifica con la perdita di un risultato utile sicuro, ma con il semplice venire meno di un’apprezzabile possibilità di conseguirlo, in particolare per essere stato l’interessato privato della stessa possibilità concreta di aggiudicarsi un appalto (Cons. Stato, sez, V, 15 aprile 2013, n. 2038).
L’accesso a quest’ultima opzione implica la necessità di provvedere alla determinazione di criteri valutativi astratti e presuntivi della misura del pregiudizio risarcibile, nella configurazione sopra tratteggiata.
Innanzi tutto la risarcibilità della chance non può essere subordinata all’offerta in giudizio di una sua prova rigorosa, ciò essendo logicamente incompatibile con la natura di tale voce di danno, risultando invece sufficiente che gli elementi addotti consentano una prognosi concreta e ragionevole circa la possibilità di vantaggi futuri (Cons. Stato, sez. V, 8 aprile 2014, n. 1672 e 2 maggio 2013, n. 2399).
Tuttavia la misura del 10% invocata dalla parte appellante non è più considerata dalla giurisprudenza come parametro automatico in applicazione analogica del criterio del 10% del prezzo a base d’asta ai sensi dell’art. 345 della l. n. 2248/1865, All. F (Cons. Stato, Sez. V, 20 aprile 12, n. 2317).
Ciò sia perché tale criterio di liquidazione è riferito a disposizione in tema di lavori pubblici che riguarda un istituto specifico, quale l’indennizzo dell’appaltatore nel caso di recesso dell’Amministrazione committente, sia perché, quando impiegato al mero fine risarcitorio residuale in una logica equitativa, conduce tuttavia, almeno di regola, all’abnorme risultato che il risarcimento dei danni finisce per essere, per l’imprenditore, più favorevole dell’impiego del capitale.
Occorre, quindi, distinguere la fattispecie in cui il ricorrente riesce a dimostrare che, in mancanza dell’adozione del provvedimento illegittimo, avrebbe vinto la gara (ad esempio perché, se fosse stata esclusa la società aggiudicataria, sarebbe stata selezionata la sua offerta) dai casi in cui non è possibile acquisire alcuna certezza su quale sarebbe stato l’esito della procedura in mancanza della violazione riscontrata.
La dimostrazione della spettanza dell’appalto all’impresa danneggiata risulta ovviamente configurabile nei soli casi in cui il criterio di aggiudicazione si fonda su parametri vincolati e matematici (come, ad esempio, nel caso del massimo ribasso in un pubblico incanto in cui l’impresa vincitrice avrebbe dovuto essere esclusa), mentre si rivela impossibile là dove la selezione del contraente viene operata sulla base di un apprezzamento tecnico-discrezionale dell’offerta (come nel caso di specie, in cui l’affidamento dell’appalto era basato sul criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa).
Nella prima ipotesi spetta, evidentemente, all’impresa danneggiata un risarcimento commisurato all’utile che effettivamente avrebbe conseguito ove fosse risultata aggiudicataria, mentre, quando la parte ricorrente allega solo la perdita di una chance a sostegno della pretesa risarcitoria (e cioè quando, come nel caso di specie, non prova che l’aggiudicazione dell’appalto spettava proprio ad essa, secondo le regole di gara, in quanto, pur essendo seconda classificata, non è stata dimostrata la non anomalia della sua offerta), la somma commisurata all’utile d’impresa deve essere proporzionalmente ridotta in ragione delle concrete possibilità di vittoria risultanti dagli atti della procedura.
Ciò posto va rilevato che nel caso di specie il risarcimento del danno da riconoscersi all’impresa appellante va limitato alla sola perdita di chance per quanto riguarda il lucro cessante, non essendo nella specie stato espressamente chiesto nulla a titolo di danno emergente e a titolo di impossibilità di far valere nelle future contrattazioni il requisito economico legato all’esecuzione dei lavori.
La perdita di chance va rapportata in termini percentuali all’utile in astratto conseguibile in ipotesi di aggiudicazione della gara rinnovata, presuntivamente quantificato nel 3 % dell’importo a base d’asta, come ribassato dall’offerta presentata, perché, nella fattispecie, l’impresa non ha dimostrato con certezza di aver titolo all’aggiudicazione, né di non aver potuto utilizzare mezzi e maestranze per l’espletamento di altri servizi.
12.2.- La misura presunta del lucro cessante può, ai fini della liquidazione di tale danno, essere stabilita mediante lo strumento previsto dall’art. 35, comma 2, del D. Lgs. n. 80 del 1998, come sostituito dall’art. 7 della L. n. 205 del 2000, che, appunto, consente al giudice amministrativo di stabilire i criteri in base ai quali l’Amministrazione deve proporre a favore dell’avente titolo il pagamento della somma entro un congruo termine, prevedendo che, qualora permanga il disaccordo, le parti possano rivolgersi nuovamente al giudice per la determinazione delle somme dovute nelle forme del giudizio di ottemperanza.
12.3.- In conclusione il collegio, premesso che la condanna al risarcimento deve essere pronunciata esclusivamente nei confronti dell’Amministrazione soccombente, Fondazione San Giuseppe, in considerazione del comportamento che ha dato causa all’illecito, dispone che detta Fondazione corrisponda alla appellante, a titolo di lucro cessante e secondo i criteri appresso indicati, entro il termine massimo di sessanta giorni dalla data di comunicazione, o, se anteriore, da quella di notifica, della presente decisione, il risarcimento del danno da computarsi come segue:
a) Nulla è dovuto quanto al pregiudizio per danno emergente e per perdita di chance legata all’impossibilità di far valere, nelle future contrattazioni, il requisito economico legato all’esecuzione dei lavori, non essendo stati espressamente richiesti.
b) Quanto al lucro cessante, vale a dire l’utile economico che sarebbe derivato dall’esecuzione dell’appalto in caso di aggiudicazione non avvenuta per illegittimità dell’azione amministrativa, non può essere riconosciuta la spettanza nella di percentuale richiesta dall’impresa, non avendo essa dimostrato con certezza di aver titolo all’aggiudicazione e non avendo documentato di non aver potuto utilizzare le maestranze ed i mezzi, lasciati disponibili, per l’espletamento di altri servizi, sicché può ritenersi che possa aver ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per lo svolgimento di altri analoghi lavori, così vedendo in parte ridotta la propria perdita di utilità; in tale ipotesi il risarcimento può essere quantificato in via equitativa e può essere riconosciuto per perdita di chance in misura pari al 3% dell’importo a base d’asta come ribassato dall’offerta presentata.
c) Sulle somme dovute sulla base degli indicati criteri, che riguardano tutte il risarcimento del danno e che consistono, perciò, in un debito di valore, deve riconoscersi la rivalutazione monetaria, secondo gli indici ISTAT, da computarsi dalla data della stipula del contratto da parte dell’impresa che è rimasta illegittimamente aggiudicataria e fino alla data di deposito della presente decisione (data quest’ultima che costituisce il momento in cui, per effetto della liquidazione giudiziale, il debito di valore si trasforma in debito di valuta).
d) Sulle somme progressivamente e via via rivalutate, sono altresì dovuti gli interessi nella misura legale secondo il tasso vigente all’epoca della stipulazione del contratto, a decorrere dalla data della stipulazione medesima e fino a quella di deposito della presente decisione; ciò in funzione remunerativa e compensativa della mancata tempestiva disponibilità della somma dovuta a titolo di risarcimento del danno.
e) Su tutte le somme dovute ai sensi delle precedenti lettere decorrono, altresì, gli interessi legali dalla data di deposito della presente decisione e fino all’effettivo soddisfo.
13.- L’appello deve essere conclusivamente accolto e, in riforma della prima decisione, va accolto il ricorso introduttivo del giudizio e vanno annullati i provvedimenti con esso impugnati. La richiesta di risarcimento danni è accolta nei termini di cui in motivazione.
14.- Le spese del doppio grado di giudizio seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo, tenuto conto dei parametri stabiliti dal regolamento 10 marzo 2014, n. 55.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente decidendo, accoglie l’appello in esame e, per l’effetto, in riforma della sentenza di primo grado, accoglie il ricorso originario proposto dinanzi al T.A.R. ed annulla i provvedimenti con esso impugnati. La richiesta di risarcimento danni è accolta nei termini di cui in motivazione.
Pone in solido a carico degli appellati Fondazione San Giuseppe e TP Company s.r.l., con ripartizione interna in parti uguali, le spese del doppio grado, liquidate a favore della Arco Edil s.r.l. nella complessiva misura di € 8.000,00 (ottomila/00), oltre ai dovuti accessori (I.V.A., C.P.A. e 15% a titolo di rimborso di spese generali).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 dicembre 2015 con l’intervento dei magistrati:
Alessandro Pajno, Presidente
Antonio Amicuzzi, Consigliere, Estensore
Fabio Franconiero, Consigliere
Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere
Sabato Guadagno, Consigliere

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 06/06/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

Redazione

Lo studio legale Giurdanella & Partners dedica, tutti i giorni, una piccola parte del proprio tempo all'aggiornamento del sito web della rivista. E' un'attività iniziata quasi per gioco agli albori di internet e che non cessa mai di entusiasmarci. E' anche l'occasione per restituire alla rete una parte di tutto quello che essa ci ha dato in questi anni. I giovani bravi sono sempre i benvenuti nel nostro studio legale. Per uno stage o per iniziare la pratica professionale presso lo studio, scriveteci o mandate il vostro cv a segreteria@giurdanella.it