Consiglio di Stato: altri chiarimenti sull’interdittiva antimafia

Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 3009 del 7 luglio 2016, ha nuovamente fornito chiarimenti sulla disciplina dell’interdittiva antimafia.

In particolare, ha precisato che la disciplina legislativa in materia non ha attribuito all’informativa antimafia un carattere punitivo: per l’emanazione della interdittiva non occorre l’accertamento di elementi di colpevolezza o di responsabilità nei confronti dei soggetti a cui è rivolta, trattandosi di una misura di tutela avanzata a presidio dell’ordine pubblico, che ben può basarsi su circostanze esclusivamente rilevanti sul piano oggettivo, aventi valore di elemento indiziario e sintomatico, in base alle quali risulti non illogico ed attendibile l’apprezzamento della sussistenza del pericolo di condizionamento dell’impresa derivante dalla infiltrazione mafiosa.

Inoltre, in base alla giurisprudenza, è irrilevante la mancanza del rapporto di affiliazione con le associazioni malavitose (così come di un accertamento di concreti elementi di collusione e di cointeressenza con la malavita), posto che ai fini dell’interdittiva è sufficiente l’accertamento di relazioni di varia natura con la criminalità, anche risalenti nel tempo, che abbiano valore sintomatico ed indiziario.

Infine, in merito ai procedimenti antimafia, il Collegio ha richiamato la giurisprudenza per la quale i procedimenti in materia antimafia sono intrinsecamente caratterizzati da riservatezza ed urgenza, sicché non è necessaria la comunicazione di avvio del procedimento – cfr. Cons. Stato, VI, n. 756/2008; V, n. 3126/2007 e n. 851/2006).

Si riporta di seguito il testo della sentenza.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente
SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 653 del 2015, proposto dal Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

contro

La -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Lorenzo Grisostomi Travaglini, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Civitavecchia, n. 7;

nei confronti di

La s.p.a. Expo 2015, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Guido Greco, Manuela Muscardini e Luigi Manzi, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Luigi Manzi in Roma, via Federico Confalonieri, n. 5;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per la Lombardia, Sede di Milano, Sez. I, n. 3124/2014, resa tra le parti, concernente una informativa interdittiva antimafia e la risoluzione di un contratto;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della -OMISSIS- e della s.p.a. Expo 2015;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 28 aprile 2016 il Cons. Pierfrancesco Ungari e uditi per le parti gli avvocati Lorenzo Grisostomi Travaglini e Luigi Manzi, nonché l’avvocato dello Stato Ettore Figliolia;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Nei confronti della società odierna appellata, il Prefetto di Milano ha adottato l’informazione antimafia interdittiva prot. 12B7/2014-09993 in data 11 settembre 2014.
Conseguentemente, in data 6 ottobre 2014, Expo 2015 S.p.a., in applicazione della clausola risolutiva espressa prevista dall’art. 13 del contratto in attuazione del Protocollo di legalità (ma anche motivando in ordine all’insussistenza dei presupposti per l’applicazione delle misure straordinarie previste dall’art. 32, comma 10, del d.l. 90/2014, convertito nella legge 114/2014), ha disposto la risoluzione del contratto d’appalto stipulato con la società appellata in data 14 luglio 2014 (per i lavori di riqualificazione di un edificio di proprietà del Comune di Milano, per la realizzazione della centrale operativa di sicurezza di Expo 2015 – «Eccc Expo control and command centre»).
2. Il TAR Lombardia, con la sentenza appellata (I, n. 3124/2014), ha dichiarato inammissibile – per difetto di giurisdizione – l’impugnazione della risoluzione ed ha accolto il ricorso per quanto concerne l’impugnazione dell’interdittiva, della sanzione pecuniaria e della comunicazione all’ANAC ai fini dell’inserimento nel casellario informatico e nella banca dati nazionale dei contratti pubblici.
2.1. Il TAR – dopo essersi soffermato sui «consolidati sviluppi delle ricostruzioni sociologiche del fenomeno mafioso, condivise dalla dottrina penalistica» e nel richiamare la giurisprudenza della Cassazione penale sul ‘principio di efficacia causale’ del contributo anche ai fini della connotazione del ‘non affiliato’, contributo che dev’essere diretto alla realizzazione, in tutto o in parte, del programma del sodalizio criminoso – ha ritenuto che l’analisi degli elementi confluiti nell’interdittiva non si sia conformata a detti riferimenti, ma abbia invece dato luogo a valutazioni disancorate da un puntuale esame dei fatti ritenuti rilevanti.
In sintesi, riguardo a tali elementi, il TAR ha ritenuto che:
(a) – i precedenti dell’amministratore unico della società ricorrente, -OMISSIS-, sarebbero inidonei a fondare un sospetto di infiltrazione mafiosa, in quanto non è stato accertato un rapporto di affiliazione, e non sono risultati ostativi in sede di verifica dei requisiti ex art. 38 del Codice dei contratti; inoltre la tesi secondo la quale egli eserciterebbe il rilevante ruolo di trait d’union con la malavita calabrese sarebbe inattendibile (per tre ordini di ragioni: – le sue frequentazioni con pregiudicati risultano comprese tra il 1992 ed il 2009, periodo anteriore alla costituzione della società, e mancano rilevazioni successive, e con esse il requisito dell’attualità del quadro indiziario; – non si spiegherebbe il motivo per cui la stazione appaltante abbia invitato la società ricorrente a partecipare alla procedura; – nemmeno si spiegherebbero, sul piano logico-strategico, le accertate carenze esecutive dei lavori, che avrebbero potuto autonomamente condurre alla risoluzione del contratto di appalto);
(b) – quanto alla valutazione, emergente dal verbale della riunione congiunta tra il Gruppo ispettivo antimafia (GIA) e il Gruppo interforze centrale per Expo (GICEX) del 21 agosto 2014, sotteso all’interdittiva, secondo cui l’assenza di controlli più recenti, dopo il trasferimento in Lombardia, si spiegherebbe con il carattere meno pressante e diretto rispetto al controllo del territorio calabrese e non impedirebbe che il ruolo del-OMISSIS- possa essere coerente con un tentativo di infiltrazione del clan nell’economia milanese, si tratterebbe della «attualizzazione in via deduttiva di un risalente giudizio sulla personalità del citato soggetto … fondata su un semplice sospetto, insufficiente, però, a sostanziare la legittimità dell’emessa informativa», ovvero di una «forzatura interpretativa di segno esattamente opposto a ciò che la logica dei fatti sembrerebbe confermare»;
(c) – quanto, poi, -OMISSIS-, soci (ciascuno al 33%), non risultano nei loro confronti né precedenti penali né precedenti di polizia;
(d) – riguardo al padre, -OMISSIS-, fratellastro dell’amministratore unico, il richiamo all’ordinanza di custodia cautelare n. 542/2002 emessa dal Tribunale di Vibo Valentia per reati in materia finanziaria in concorso con altri soggetti (tra i quali anche il-OMISSIS-), è irrilevante, ai fini della prova di un’infiltrazione;
(e) – in ordine all’assunzione a tempo indeterminato da parte della società ricorrente in data 11 ottobre 2010 di –OMISSIS-(destinatario, in data 3 maggio 2012, di un provvedimento di sequestro disposto dal GIP presso il Tribunale di Vibo Valentia per la fittizia intestazione ad esso di un bene di proprietà di pregiudicati, oggetto di un procedimento di confisca ai sensi dell’art. 12-sexies del d.l. 306/1992), mancherebbe un supporto probatorio circa il fatto che tale dipendente possa influenzare le scelte aziendali o l’amministrazione della società, come richiesto dal comma 3 dell’art. 84 del d.lgs. 159/2011.
2.2. Il TAR ha anche esaminato le censure di violazione dell’art. 32, comma 10, del d.l. 90/2014 (convertito nella legge 114/2014), per mancata applicazione delle misure (rinnovazione degli organi sociali mediante la sostituzione del soggetto coinvolto, ovvero straordinaria e temporanea gestione dell’impresa appaltatrice limitatamente alla completa esecuzione del contratto) ivi previste, ed ha sottolineato che – sebbene possa ritenersi che una completa e congrua valutazione da parte della Prefettura avrebbe potuto condurre all’applicazione nei confronti della società ricorrente di tali misure straordinarie – la risoluzione del contratto era stata concorrentemente disposta dalla stazione appaltante in puntuale applicazione di disposizioni regolamentari e clausole contrattuali anteriori al d.l. 90/2014.
2.3. Il TAR ha poi affermato, richiamando i principi affermati dalla sentenza della Adunanza Plenaria n. 14/2014, il difetto di giurisdizione a conoscere della risoluzione contrattuale disposta dalla stazione appaltante ai sensi del citato art. 13 (precisando l’assorbimento di ogni altra censura riguardante tale provvedimento).
3. Il Ministero dell’interno appella la sentenza, nella parte concernente l’annullamento dell’interdittiva, e ne lamenta l’erroneità, deducendo, in sintesi, che:
– le considerazioni espresse dal TAR – riguardanti il ‘profilo sociologico del fenomeno mafioso’ ed i principi affermati dalla Cassazione in ordine al disvalore della contiguità punibile ed al contributo causale alla conservazione o al rafforzamento dell’organizzazione mafiosa – non sono pertinenti all’oggetto della causa, poiché è assolutamente diverso e non equiparabile il contesto nell’ambito del quale si pone la valutazione del giudice penale rispetto a quello dell’esercizio dei poteri amministrativi del Prefetto, volti al contrasto dell’infiltrazione mafiosa;
– secondo gli orientamenti del giudice amministrativo, gli elementi individuati nell’interdittiva vanno considerati idonei a giustificare la sussistenza del pericolo di condizionamento dell’impresa derivante dalla infiltrazione mafiosa;
– in particolare, è irrilevante la mancanza del rapporto di affiliazione con le associazioni malavitose (così come di un accertamento di elementi di collusione e di cointeressenza con la malavita) nei confronti dell’amministratore unico della società appellata (-OMISSIS–), posto che ai fini dell’interdittiva è sufficiente l’accertamento di relazioni di varia natura con la criminalità, anche risalenti nel tempo, che abbiano valore sintomatico ed indiziario; è inconsistente il rilievo dell’avvenuto invito e dell’aggiudicazione dell’appalto da parte della società committente, posto che essa non ha competenza in materia di prevenzione antimafia e non dispone degli elementi istruttori desumibili dagli accertamenti delle forze dell’ordine; del pari irrilevanti risultano le criticità riscontrate nell’esecuzione dei lavori commissionati; non emerge alcun difetto di istruttoria nell’ambito degli esiti della riunione tenutasi tra il gruppo ispettivo antimafia ed il ‘gruppo interforze per l’Expo’, in quanto vi è invece stata una valutazione complessiva di tutti gli elementi rilevanti; il giudizio di mancanza di attualità del quadro indiziario è contraddetto dagli elementi emersi circa una serie di collegamenti con altre persone ed entità societarie che nella valutazione globale ha consentito di affermare il pericolo di infiltrazione:
– emerge, di contro, l’importanza dei legami parentali e dei collegamenti economici intercorrenti tra l’amministratore-OMISSIS- e la famiglia -OMISSIS-, e soprattutto il collegamento con il dipendente -OMISSIS-, rispetto al quale è stato verificato lo status di intestatario fittizio di beni della criminalità mafiosa; egli risulta essere stato amministratore unico della -OMISSIS-, riconducibile allo stesso-OMISSIS- ed alla famiglia -OMISSIS- (ciò evidenzia situazioni di interessenza, che trascendono la mera qualità di dipendente);
– non convince nemmeno l’affermazione dell’irrilevanza degli elementi nei confronti dei soci, fratelli -OMISSIS-, stante l’intreccio di rapporti con soggetti gravitanti nell’ambito della criminalità organizzata.
4. La società appellata si è costituita in giudizio, ha controdedotto ed ha riproposto anche, ai sensi dell’art. 101, cod. proc. amm., il terzo motivo dei motivi aggiunti del primo grado:
– sussistevano i presupposti per l’applicazione, invece dell’interdittiva, delle misure alternative previste dall’art. 32, comma 10 (rinnovazione organi sociali, straordinaria e temporanea gestione dell’impresa), o 8 (sostegno e monitoraggio dell’impresa), del d.l. 90/2014; sarebbero pertanto illegittime, oltre all’interdittiva, anche la nota della Prefettura prot. 509/U in data 18 settembre 2014, la nota di Expo S.p.a. in pari data con cui si afferma l’insussistenza di elementi idonei a supportare l’adozione di un provvedimento ex art. 32, la nota di presa d’atto della Prefettura prot. 1237/2014-09993 in data 23 settembre 2014;
– la decisione di emettere un’interdittiva, anziché applicare l’art. 32, si porrebbe anche in contrasto con l’art. 14 e il protocollo n. 12, art, 1, della CEDU e con il principio europeo del divieto di discriminazione, ivi sancito, poiché differisce dalle scelte già operate in presenza di situazioni identiche o similari (nei confronti dell’impresa Maltauro, per la costruzione dei padiglioni Expo 2015, e della concessionaria del gioco legale BPlus, per la gestione del ramo d’azienda relativo alle slot machines);
– l’interruzione del rapporto contrattuale sarebbe altresì contraria agli artt. 17 e 18 CEDU (sull’abuso del diritto), posto che la misura sarebbe basata sull’intento di limitare se non addirittura di distruggere il diritto e la libertà di impresa dell’appellata, e questo è l’effetto che deriva dall’interdittiva; anziché la restrizione maggiormente punitiva tra quelle a disposizione, esuberante rispetto all’interesse pubblico da tutelare (anche alla luce delle attività in corso in diversi cantieri e dei livelli occupazionali correlati), si sarebbe dovuta applicare la misura prevista dall’art. 32;
– vi sarebbe anche (sostanzialmente per gli stessi motivi) un eccesso di potere per difetto di proporzionalità, adeguatezza e ragionevolezza;
– infine, vi sarebbe la violazione degli artt. 24, 41 e 97, Cost., atteso che i provvedimenti impugnati non avrebbero consentito l’esercizio pieno del proprio diritto di difesa, né avrebbero rispettato i principi di pubblicità, trasparenza e buon andamento della p.a..
5. Si è costituita in giudizio anche la Expo s.p.a., rimarcando la mancata impugnazione della sentenza nella parte in cui essa ha dichiarato il difetto di giurisdizione sull’impugnazione della risoluzione contrattuale, e nella parte in cui ha respintoa la domanda risarcitoria; essa deduce pure che la causa non è stato riassunta dinanzi al giudice ordinario e quindi l’appellante non avrebbe interesse a contestare la risoluzione del contratto.
6. Occorre anzitutto esaminare l’appello dell’Amministrazione, alla luce degli orientamenti della Sezione in materia (cfr. in ultimo, riassuntivamente, Cons. Stato, III, n. 1743/2016).
6.1. Le considerazioni espresse dal TAR riguardanti il «profilo sociologico del fenomeno mafioso» ed i principi affermati dalla Cassazione in ordine alle condotte punibili in sede penale, ed in particolare alla necessità del riscontro di un contributo causale alla conservazione o al rafforzamento dell’organizzazione mafiosa, non risultano attinenti all’oggetto della causa.
E’ infatti del tutto diverso e non equiparabile il contesto nell’ambito del quale si pone la valutazione del giudice penale rispetto a quello dell’esercizio dei poteri di contrasto dell’infiltrazione mafiosa, di cui è titolare il Prefetto.
La disciplina legislativa in materia non ha attribuito all’informativa antimafia un carattere punitivo: per l’emanazione della interdittiva non occorre l’accertamento di elementi di colpevolezza o di responsabilità nei confronti dei soggetti a cui è rivolta, trattandosi di una misura di tutela avanzata a presidio dell’ordine pubblico, che ben può basarsi su circostanze esclusivamente rilevanti sul piano oggettivo, aventi valore di elemento indiziario e sintomatico, in base alle quali risulti non illogico ed attendibile l’apprezzamento della sussistenza del pericolo di condizionamento dell’impresa derivante dalla infiltrazione mafiosa.
6.2. Un secondo profilo, rispetto al quale la valutazione del TAR non è condivisibile, è quello della considerazione separata degli elementi indiziari, laddove invece l’orientamento della giurisprudenza è pacifico nel senso che si debba operare una valutazione complessiva, valorizzando i collegamenti tra i diversi elementi, anche sulla base di deduzioni logiche basate sul principio del «più probabile che non», alla luce di una regola di giudizio, cioè, che ben può essere integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali, qual è, anzitutto, anche quello mafioso.
6.3. L’errore di partenza, in ordine ai criteri di valutazione del significato degli elementi riscontrati nei confronti dell’impresa e dei soggetti ad essa in qualche modo collegati, ha condotto il TAR a sottovalutare l’univoco significato indiziario e sintomatico degli elementi evidenziati nell’interdittiva.
In una corretta prospettiva, tali elementi assumono un significato ben diverso da quello, di sostanziale irrilevanza, ad essi attribuito dal TAR.
6.3.1. Quanto all’amministratore unico della società appellata, -OMISSIS–, a suo carico, risultano: nel 1996 una denuncia dei Carabinieri di Nicotera (VV) per porto abusivo e detenzione di armi; nel 1998 la misura di prevenzione dell’avviso orale emessa dal Questore di Vibo Valentia; nel 2004 una condanna ad 1 anno e 4 mesi di reclusione per bancarotta fraudolenta da parte del Tribunale di Vibo Valentia; nel 2001 un’indagine (proc. penale 2380/2001) della Guardia di Finanza di Vibo Valentia in concorso con il padre -OMISSIS–, la madre -OMISSIS-, nonché con il “fratellastro” -OMISSIS-anche arrestato a seguito di ordinanza cautelare del Tribunale di Vibo Valentia) e sua moglie -OMISSIS-, per bancarotta fraudolenta, emersa nell’ambito di verifiche fiscali condotte nei confronti della -OMISSIS-
In base alla giurisprudenza, è irrilevante la mancanza del rapporto di affiliazione con le associazioni malavitose (così come di un accertamento di concreti elementi di collusione e di cointeressenza con la malavita), posto che ai fini dell’interdittiva è sufficiente l’accertamento di relazioni di varia natura con la criminalità, anche risalenti nel tempo, che abbiano valore sintomatico ed indiziario.
In questa prospettiva, -OMISSIS– risulta essere stato ‘controllato’ in Calabria in compagnia di pluripregiudicati e legati alla famiglia dei Mancuso (di) Limbadi-Nicotera, anche con il genero ed il nipote del capo clan Giuseppe Mancuso (secondo la difesa dell’Amministrazione, non specificamente confutata sul punto da controparte, vi sarebbero 96 segnalazioni; in ogni caso, dalla nota della DIA di Milano prot. 125/MI/2°/H7/135/8252, ne vengono elencate cinquanta).
Tali frequentazioni sistematiche, non casuali od occasionali, pertanto costituiscono un indizio eloquente di vicinanza alla criminalità organizzata.
6.3.2. Quanto ai collegamenti tra il-OMISSIS- e la famiglia -OMISSIS-, il capitale sociale della società appellante è interamente detenuto dai tre -OMISSIS-OMISSIS-, figli di -OMISSIS-
I collegamenti economici, oltre che parentali, del-OMISSIS- con lo -OMISSIS- e la sua famiglia sono dimostrati dalle vicende relative alla -OMISSIS-, di cui-OMISSIS- è stato procuratore speciale e socio al 49%, mentre-OMISSIS– ne è socio al 51%, per avere acquisito nel 1995 dalla moglie di quest’ultimo, -OMISSIS-, le relative quote.
Anche il trasferimento delle attività economiche al nord, a partire dal 2009, è suscettibile di essere interpretato nel senso prospettato nell’interdittiva, vale a dire come elemento che non esclude la continuità dei collegamenti con la criminalità organizzata.
Iinfatti, in Lombardia ha raggiunto -OMISSIS-il quale lo aveva sostituito nella carica di amministratore unico della -OMISSIS- – il cui capitale era detenuto al 99% da-OMISSIS–) per continuare a svolgere la propria attività imprenditoriale in un contesto di legami parentali e consolidati rapporti economici con la famiglia -OMISSIS-.
Non è affatto irragionevole postulare che l’attività di controllo nel territorio milanese avvenga in modo meno pressante e diretto che non in Calabria (o comunque con modalità del tutto diverse), e questo può spiegare come da quel momento manchino ulteriori segnalazioni con soggetti controindicati.
Ad ulteriore conferma dei collegamenti in esame, vi è l’assunzione del-OMISSIS– come dipendente (quale responsabile commerciale di area) della società odierna appellata (anche a non voler considerare l’accertata presenza in cantiere dello -OMISSIS-, intento a dirigere i lavori delle maestranze – secondo quanto riporta la nota della Polizia Locale di Milano, prot. 146/14 Unità Expo in data 8 agosto 2014, non espressamente menzionata nell’interdittiva).
6.3.3. I legami parentali ed i collegamenti economici intercorrenti tra-OMISSIS- e -OMISSIS-, ed i collegamenti di entrambi con la criminalità organizzata, trovano conferma nella circostanza dell’assunzione a tempo indeterminato nel 2010 da parte della società appellata del-OMISSIS–, rispetto al quale è stato verificato (attraverso un provvedimento di sequestro disposto dal GIP di Vibo Valentia, in relazione a beni oggetto di confisca ai sensi dell’art. 12-sexies, del d.l. 306/1992) il ruolo di intestatario fittizio di beni della criminalità mafiosa, e che risulta altresì essere stato amministratore unico e poi anche socio dominante della -OMISSIS-, in precedenza amministrata dagli stessi-OMISSIS- e -OMISSIS-.
Il ‘delicato’ ruolo affidato al -OMISSIS- in quell’occasione rende plausibile l’ipotesi che, anche per la società appellata, non si trattasse di un semplice assunzione di un dipendente, e smentisce le considerazioni del TAR circa la mancanza di prova della sua capacità di condizionamento dell’impresa.
Laddove una contiguità emerga da elementi risalenti nel tempo, per togliere ad essi significato occorre che venga dimostrata, o possa essere ipotizzata, una discontinuità nei comportamenti e nelle attività economiche; nel caso in esame, tale discontinuità non è stata dimostrata e comunque l’assunzione del -OMISSIS-, soggetto nei cui confronti sussistevano elementi significativi, al contrario dimostra tale continuità.
6.3.4. Altre considerazioni svolte dal TAR per escludere la rilevanza sintomatica degli elementi raccolti dalla Prefettura risultano adeguatamente superate dalle argomentazioni dell’appello.
Infatti, l’invito e l’aggiudicazione dell’appalto non possono dimostrare alcunché in ordine alla posizione dell’impresa, non conseguendo ad una approfondita valutazione sotto il profilo antimafia, che qui interessa.
Così come la circostanza che i lavori, al momento dell’interdittiva, risultassero eseguiti in misura assai inferiore a quanto previsto nel cronoprogramma, in quanto il ritardo, se esponeva ad un autonomo rischio di risoluzione contrattuale, non è stato ricondotto ad un comportamento intenzionale dell’impresa, tale quindi da essere da essa evitato qualora avesse timore di poter incorrere in un’interdittiva.
7. Gli elementi sopra rilevati sono idonei a sostenere la valutazione, operata dalla Prefettura di Milano, di sussistenza di pericoli di infiltrazione o di condizionamenti della criminalità organizzata nei confronti della società appellata.
7.1. Nei propri scritti, oltre agli elementi sopra richiamati, l’Amministrazione ha posto in evidenza come i signori -OMISSIS- abbiano cominciato formalmente la loro attività imprenditoriale nel 2005, entrando a far parte della -OMISSIS-. e costituendo la -OMISSIS-alle cui dipendenze vi è stato dal settembre al dicembre 2009, -OMISSIS-, nei cui confronti sono stati riscontrati elementi di evidente collegamento mafioso.
Infatti, costui risulta segnalato in Calabria nel 1997 con pregiudicati appartenenti alla consorteria Mancuso (tra i quali Domenico Mancuso, lo stesso assiduamente frequentato dal-OMISSIS-), socio della -OMISSIS-colpita da interdittiva della Prefettura di Milano in data 17 settembre 2014, e tratto in arresto unitamente al fratello -OMISSIS- dalla Squadra mobile di Lecco nell’ambito della «operazione ROXI», che ha riguardato un’organizzazione criminale operante tra il Comune di Valmadrera e la Brianza lecchese, attiva nel traffico di stupefacenti, in cui i fratelli -OMISSIS-avrebbero avuto il compito di recuperare i crediti mediante l’impiego di attività intimidatorie.
7.2. Osserva la Sezione che è irrilevante trattare la questione di carattere generale sul se in sede giurisdizionale – per supportare la complessiva ragionevolezza di un provvedimento – si possa attribuire rilievo a circostanze fattuali ulteriori, rispetto a quelle richiamate nell’atto.
Infatti, il provvedimento impugnato in primo grado risulta immune dai dedotti vizi di legittimità, per le ragioni già poste sopra in evidenza.
8. Da quanto esposto discende la fondatezza dell’appello dell’Amministrazione.
9. Occorre quindi esaminare le censure riproposte dalla società appellata.
9.1. La prospettazione dell’appellata presuppone (testualmente e attraverso il riferimento alle complessive attività in essere della impresa) che le misure previste dall’art. 32, comma 10, del d.l. n. 90 del 2014, di cui lamenta la non applicazione, costituiscano misure alternative all’interdittiva.
Ma non è così.
Infatti, l’art. 32, comma 10, del d.l. 90/2014 ha previsto che le disposizioni dei commi precedenti (sull’ordine di rinnovazione degli organi sociali mediante la sostituzione del soggetto coinvolto e sulla straordinaria e temporanea gestione dell’impresa limitatamente alla completa esecuzione del contratto d’appalto, ovvero dell’accordo contrattuale o della concessione e le modalità procedimentali ed attuative di tali misure) «si applicano anche nei casi in cui sia stata emessa dal Prefetto un’informazione antimafia interdittiva» in presenza di determinati ulteriori presupposti, quali (secondo la formulazione, precedente alle modifiche apportate dal d.l. 179/2015 e dall’art. 1, commi 704 e 705, della legge 208/2015, vigente al momento dell’adozione dell’interdittiva in questione) «l’urgente necessità di assicurare il completamento dell’esecuzione del contratto, ovvero la sua prosecuzione al fine di garantire la continuità di funzioni e servizi indifferibili per la tutela di diritti fondamentali, nonché per la salvaguardia dei livelli occupazionali o dell’integrità dei bilanci pubblici”.
In tali casi, il Prefetto adotta le misure “di propria iniziativa”, informandone il presidente dell’ANAC. E la relativa valutazione presenta, alla luce della complessità e della varietà degli interessi da considerare, un carattere ampiamente discrezionale.
9.2. La prospettazione dell’appellata non è condivisibile, neanche intendendo le censure come volte semplicemente a lamentare la errata ovvero la mancata considerazione dei presupposti per disporre la “straordinaria e temporanea gestione”, quale soluzione adeguata e proporzionata a tutelare tutti gli interessi coinvolti, senza necessità di interrompere l’esecuzione del contratto.
Infatti, come ha rilevato il TAR, risulta che, dopo l’emissione dell’informativa interdittiva dell’11 settembre 2014:
– il Prefetto ha, in pari data, chiesto alla s.p.a. Expo 2015 «informazioni utili ai fini della valutazione» eventualmente finalizzata all’applicazione delle misure di cui all’art. 32, comma 10;
– con disposizione di servizio del 12 settembre 2014, «ai fini di effettuare le valutazioni richieste (…) il responsabile del procedimento ha (…) ordinato al direttore dei lavori di produrre entro il giorno 15 settembre u.s. una dettagliata relazione in merito allo stato di avanzamento dei lavori e al comportamento tenuto dall’appaltatore ed ogni altro elemento istruttorio utile a verificare l’eventuale sussistenza dei presupposti di cui all’art. 32, comma 10 D.L. 90/2014, convertito in L. 114/2014»;
– il direttore dei lavori ha trasmesso la propria relazione in data 16 settembre 2014, riferendo che l’esecuzione sarebbe stata caratterizzata «da un andamento non rispettoso dell’obiettivo di garantire l’ultimazione dei lavori al 26 ottobre», e che, in particolare, egli avrebbe contestato all’impresa appaltatrice «un avanzamento dei lavori del 18% rispetto alla percentuale del 72% prevista nel contratto»;
– il r.u.p. della s.p.a. Expo 2015 non avrebbe ritenuto sussistenti i presupposti per il commissariamento, manifestando tale avviso con la nota (non allegata in atti) del 18 settembre 2014, trasmessa in pari data alla Prefettura di Milano;
– infine, quest’ultima, con nota del 23 settembre 2014, avrebbe preso atto dei contenuti della comunicazione trasmessa dalla stazione appaltante.
Il TAR, dalla descritta sequenza procedimentale, ha tratto la conclusione che, in mancanza di una espressa conclusione del procedimento da parte della Prefettura, sostituita da una mera presa d’atto delle valutazioni istruttorie degli organi tecnici della stazione appaltante, potrebbe prospettarsi un vizio procedimentale.
Il Collegio non ritiene condivisibile tale conclusione.
Lo stesso TAR ha precisato che la circostanza secondo la quale (non essendo stata acquisita agli atti la nota del r.u.p.) la ragione posta a fondamento della negativa valutazione circa un possibile commissariamento della commessa sia stata individuata nell’insufficiente stato di avanzamento dei lavori, e tale circostanza può ritenersi incontestata tra le parti ai sensi dell’art. 64, comma 4, cod. proc. amm., in mancanza di confutazioni da parte della società ricorrente.
Il TAR ha però dubitato che tale conclusione risulti dirimente, in quanto i profili attinenti al rispetto del cronoprogramma dei lavori avrebbero rilevanza esclusivamente ai fini del «completamento dell’esecuzione del contratto», ovvero per stabilire se l’appaltatore fosse «sostituibile in tempi rapidi» (sul presupposto, in quest’ultimo caso, che la disciplina sulla fornitura di beni e servizi – di cui all’art. 94, comma 3 del d.lgs. 159/2011 – sia estensibile, per analogia, agli appalti di lavori), e, comunque, in quanto lo stimato avanzamento dei lavori al 18% non poteva ritenersi, in assoluto, preclusivo per l’adozione delle misure straordinarie, alla luce del commissariamento disposto dalla Prefettura di Milano, nei confronti di altre imprese appaltatrici nell’area Expo, in presenza di situazioni di avanzamento lavori a percentuali ancora inferiori di quelle riscontrate nel cantiere della società odierna appellata.
Viceversa, deve ritenersi che la Prefettura abbia implicitamente fatta propria la valutazione del r.u.p., e che lo scarto esistente tra lo stato di avanzamento lavori previsto dal contratto e quello realizzato abbia legittimamente motivato un giudizio negativo sulla possibilità di completare proficuamente l’esecuzione del contratto entro i termini previsti.
E’ infatti evidente che, in base alla norma, non è sufficiente un giudizio di semplice possibilità di completare o proseguire il contratto, al fine di evitare la soluzione di continuità nell’impresa appaltatrice conseguente all’interdittiva che l’ha colpita, ma è necessario un giudizio di “urgente necessità”, legata ai vantaggi derivanti dal mantenere in cantiere l’impresa appaltatrice, rispetto all’ipotesi alternativa di far subentrare una diversa impresa, alla luce dei prevedibili effetti delle soluzioni alternative sugli interessi pubblici (obiettivi o finalità) menzionati al comma 10 – come esposto, «garantire la continuità di funzioni e servizi indifferibili per la tutela di diritti fondamentali, nonché per la salvaguardia dei livelli occupazionali o dell’integrità dei bilanci pubblici».
La relativa valutazione costituisce espressione di poteri tecnico-discrezional, di per sé insindacabili in sede di giurisdizione di legittimità.
Peraltro, risulta ragionevole che da uno scarto nella percentuale di lavori realizzati dell’entità contestata dal direttore dei lavori sia scaturita una prognosi negativa sulle prospettive del cantiere esistente, tale da giustificare la non applicazione delle misure previste dal comma 10, cit.
9.3. Resta da aggiungere che le censure dell’appellata riferite alla violazione di principi costituzionali e sovranazionali presuppongono, nella formulazione proposta, una discriminazione tra imprese in situazione analoga e un intento soppressivo della libertà di iniziativa economica.
Tuttavia, nella specie la Prefettura ha adottato una misura dimostratasi adeguata e proporzionata, alla luce dei presupposti relativi al pericolo di infiltrazione mafiosa ed alla concreta situazione di cantiere. Del resto, una disparità di trattamento o una discriminazione presuppongono l’identità delle situazioni trattate diversamente, e l’appellante non ha fornito elementi circostanziati per poter valutare detta identità.
Risulta poi infondata la censura di violazione del diritto di difesa, ovvero dei principi di pubblicità, trasparenza e buon andamento della p.a.
In primo luogo, va richiamata la giurisprudenza per la quale i procedimenti in materia antimafia sono intrinsecamente caratterizzati da riservatezza ed urgenza, sicché non è necessaria la comunicazione di avvio del procedimento – cfr. Cons. Stato, VI, n. 756/2008; V, n. 3126/2007 e n. 851/2006).
In secondo luogo, rilevano le connessioni stabilite dalla legge (e in particolare dall’art. 91 del codice n. 159 del 2011), tra il procedimento ‘presupposto’ – riguardante la stipula di un contratto o di un subcontratto ovvero l’emanazione di uno degli atti indicati dall’art. 67 del medesimo codice – e quello ‘consequenziale’ che termina con il provvedimento del Prefetto.
Infatti, tale secondo procedimento va attivato ex lege necessariamente: in un sistema nel quale gli operatori del settore sono necessariamente sottoposti alle valutazioni della competente Prefettura, non occorre che all’impresa sia segnalata l’attivazione della ulteriore e necessaria fase procedimentale (nel corso della quale essa comunque può fornire alla competente Prefettura gli elementi che ritenga di sottoporre alla sua valutazione).
10. In conclusione, le censure riproposte dall’appellata sono infondate e devono essere respinte.
11. Pertanto, in accoglimento dell’appello dell’Amministrazione e previa reiezione delle censure riproposte in questa sede, la sentenza appellata va riformata, con rigetto del ricorso di primo grado.
11. Considerata la relativa novità di alcune delle questioni affrontate, le spese del doppio grado di giudizio possono essere interamente compensate tra le parti.
L’appellata dovrà rimborsare all’Amministrazione il contributo unificato che ha anticipato per la proposizione del gravame, ai sensi dell’art. 13, comma 6-bis. 1., del d.P.R. 115/2002.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello n. 653 del 2015, come in epigrafe proposto, lo accoglie, e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, respinge il ricorso proposto in primo grado.
Spese del doppio grado di giudizio compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1, del d. lgs. 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le persone fisiche e giuridiche private menzionate nella sentenza.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 aprile 2016, con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti, Presidente
Carlo Deodato, Consigliere
Lydia Ada Orsola Spiezia, Consigliere
Pierfrancesco Ungari, Consigliere, Estensore
Stefania Santoleri, Consigliere

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 07/07/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

Redazione

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