Il Consiglio di Stato, sez. III, con la sentenza 3754 del agosto 2016 n. 3754 ha fornito importanti chiarimenti sulla disciplina dell’interdittiva antimafia.
Questi i principi salienti illustrati dalla sentenza:
1. l’informativa antimafia, ai sensi degli artt. 84, comma 4, e 91, comma 6, del d. lgs. n. 159/2011, presuppone «concreti elementi da cui risulti che l’attività d’impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata»;
2. quanto alla ratio dell’istituto dell’interdittiva antimafia, si tratta di una misura volta – ad un tempo – alla salvaguardia dell’ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della pubblica Amministrazione: l’interdittiva antimafia comporta che il Prefetto escluda che un imprenditore – pur dotato di adeguati mezzi economici e di una adeguata organizzazione – meriti la fiducia delle Istituzioni (vale a dire che risulti ‘affidabile’) e possa essere titolare di rapporti contrattuali con le pubbliche Amministrazioni o degli altri titoli abilitativi, individuati dalla legge; – ai fini dell’adozione del provvedimento interdittivo, rileva il complesso degli elementi concreti emersi nel corso del procedimento: una visione ‘parcellizzata’ di un singolo elemento, o di più elementi, non può che far perdere a ciascuno di essi la sua rilevanza nel suo legame sistematico con gli altri;
3. è estranea al sistema delle informative antimafia, non trattandosi di provvedimenti nemmeno latamente sanzionatori, qualsiasi logica penalistica di certezza probatoria raggiunta al di là del ragionevole dubbio (né – tanto meno – occorre l’accertamento di responsabilità penali, quali il ‘concorso esterno’ o la commissione di reati aggravati ai sensi dell’art. 7 della legge n. 203 del 1991), poiché simile logica vanificherebbe la finalità anticipatoria dell’informativa, che è quella di prevenire un grave pericolo e non già quella di punire, nemmeno in modo indiretto, una condotta penalmente rilevante; – il rischio di inquinamento mafioso deve essere valutato in base al criterio del più ‘probabile che non’, alla luce di una regola di giudizio, cioè, che ben può essere integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali, qual è, anzitutto, anche quello mafioso.
Quindi, gli elementi posti a base dell’informativa possono essere anche non penalmente rilevanti o non costituire oggetto di procedimenti o di processi penali o, addirittura e per converso, possono essere già stati oggetto del giudizio penale, con esito di proscioglimento o di assoluzione.
Quanto ai rapporti di parentela tra titolari, soci, amministratori, direttori generali dell’impresa e familiari che siano soggetti affiliati, organici, contigui alle associazioni mafiose, l’Amministrazione può dare loro rilievo laddove tale rapporto, per la sua natura, intensità, o per altre caratteristiche concrete, lasci ritenere, per la logica del ‘più probabile che non’, che l’impresa abbia una conduzione collettiva e una regìa familiare (di diritto o di fatto, alla quale non risultino estranei detti soggetti) ovvero che le decisioni sulla sua attività possano essere influenzate, anche indirettamente, dalla mafia attraverso la famiglia, o da un affiliato alla mafia mediante il contatto col proprio congiunto.
Infine, l’ampia discrezionalità di apprezzamento del Prefetto in tema di tentativo di infiltrazione mafiosa comporta che la sua valutazione sia sindacabile in sede giurisdizionale in caso di manifesta illogicità, irragionevolezza e travisamento dei fatti, mentre al sindacato del giudice amministrativo sulla legittimità dell’informativa antimafia rimane estraneo l’accertamento dei fatti, anche di rilievo penale, posti a base del provvedimento (in termini, Cons. Stato, n. 4724 del 2001).
Tale valutazione costituisce espressione di ampia discrezionalità che, per giurisprudenza costante, può essere assoggettata al sindacato del giudice amministrativo solo sotto il profilo della sua logicità in relazione alla rilevanza dei fatti accertati (Cons. Stato, n. 7260 del 2010).
Si riporta di seguito il testo della sentenza.
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Pubblicato il 31/08/2016
N. 03754/2016REG.PROV.COLL.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 579 del 2015, proposto dal Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro-tempore, e U.T.G. – Prefettura di Milano, in persona del Prefetto pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;
contro
la S.r.l. Finteco Lavori, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avvocato -OMISSIS-C.F. PSTDNL74S05E379Y, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Pietro Catone in Roma, Via Asiago, n. 2;
nei confronti di
Il Comune di Cormano ed il Comune di Rivarolo Canavese, in persona dei rispettivi Sindaci p.t., non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.a.r. Lombardia, Milano, Sezione I, n. 1823 dell’11 settembre 2014.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della S.r.l. Finteco Lavori;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 maggio 2016 il Cons. Paola Alba Aurora Puliatti e uditi per la parte appellata l’avvocato -OMISSIS-e per il Ministero appellante l’Avvocato dello Stato Maria Vittoria Lumetti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. – Con ricorso al T.a.r. per la Lombardia, sede di Milano, n. r.g. 15 del 2014, la società Finteco Lavori S.r.l. (d’ora in avanti, Finteco) impugnava l’informazione antimafia emessa a suo carico dal Prefetto di Milano su richiesta del Comune di Rivarolo Canavese, in data 19 novembre 2013, nonché gli atti con i quali il Comune di Cormano ha disposto il recesso dal contratto di appalto per lavori di manutenzione straordinaria di copertura delle facciate del palazzo comunale, la determinazione con la quale il Comune di Rivarolo Canavese ha revocato l’aggiudicazione dell’appalto di opere da elettricista e il provvedimento dell’Autorità di vigilanza recante annotazione pregiudizievole nel casellario informatico.
2. – La Società ricorrente contestava le risultanze investigative acquisite a suo carico (note del Dipartimento della Pubblica Sicurezza – Direzione Centrale della Polizia Criminale – Servizio Analisi Criminale Gruppo Interforze Ricostruzione Emilia Romagna, n. MI-123-U-GIRER-1-2013-199 del 3 luglio 2013; della Questura di Aosta n. 1011/Antimafia/IIP.876/A/2011 del 26 lulgio 2013 e della Direzione Investigativa Antimafia – Centro Operativo di Torino, trasmessa dalla Prefettura di Torino con nota del 29 ottobre 2013).
2.1. – Secondo tali risultanze, «le molteplici sostituzioni degli organi sociali e delle quote societarie, i numerosi rapporti sia economici che personali intrattenuti dalla società in argomento con società e personaggi contigui alla criminalità organizzata, l’attuale convivenza di fatto di R.L.T. con il marito, attualmente sottoposto alla misura alternativa degli arresti domiciliari per violazione dell’art. 416-ter c.p. (scambio elettorale politico mafioso)», integrerebbero «un quadro indiziario complessivo ed elementi tali da far ritenere fondata l’esistenza di un condizionamento da parte della criminalità organizzata nei confronti della Finteco Lavori S.r.l.».
3. – La ricorrente a sostegno dell’impugnazione deduceva i seguenti motivi:
1) violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 10 della L. n. 241/90 e di ogni norma e principio in materia di garanzie nell’attuazione del contraddittorio procedimentale;
2) violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della L. n. 241/90 ed eccesso di potere per difetto di motivazione;
3) violazione e falsa applicazione degli artt. 84, 67 e 91 del D.lgs. n. 159/2011; eccesso di potere per difetto d’istruttoria, travisamento delle circostanze di fatto ed errore nei presupposti;
4) invalidità derivata degli atti del Comune di Cormano, della Città di Rivarolo Canavese e dell’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, per violazione e falsa applicazione del D.lgs. n. 159/2011; invalidità propria e derivata per eccesso di potere per difetto d’istruttoria, travisamento delle circostanze di fatto ed errore nei presupposti;
5) violazione e falsa applicazione dell’art. 107 del D.lgs. n. 267/2000, incompetenza della Giunta comunale di Cormano, violazione e falsa applicazione dello Statuto del Comune di Cormano in ordine alle competenze della Giunta comunale, violazione e falsa applicazione dell’art. 94, comma 3, del D.lgs. n. 159/2011;
3.1.- La ricorrente proponeva anche una domanda risarcitoria.
4. – Con la sentenza n. 1823 del 2014, il T.a.r. adito (previa sospensione degli effetti dell’interdittiva con ordinanza cautelare n. 174 del 2014, confermata in appello, e conseguente ripresa dei lavori) ha ritenuto la propria competenza territoriale in relazione a tutti i provvedimenti impugnati; ha dichiarato la cessata materia del contendere con riferimento alle domande proposte contro il Comune di Cormano, atteso che quest’ultimo, in esecuzione dell’ordinanza cautelare n. 174/2014, ha autorizzato la ripresa dei lavori di cui è causa; ha accolto il ricorso avverso l’informativa del Prefetto per difetto di istruttoria e di motivazione; ha annullato gli atti del Comune di Rivarolo Canavese e dell’Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici; ha rigettato la domanda risarcitoria; ha compensato le spese di giudizio, salvo quelle del contributo unificato.
5. – Con atto notificato in data 16 gennaio 2014, il Ministero ha interposto appello avverso la sentenza.
5.1 – Il Ministero lamenta l’erroneità della decisione per violazione delle norme del codice antimafia, consistente nella inaccettabile equiparazione degli accertamenti del giudice penale strumentali al riconoscimento della colpevolezza degli imputati alle verifiche funzionali alla individuazione di elementi solo indiziari circa il collegamento dell’impresa con organizzazioni criminali.
L’Amministrazione deduce l’inidoneità delle circostanze di fatto valorizzate dalla sentenza impugnata ad inficiare il quadro sintomatico esistente a carico della società.
6. – Si è costituita la società appellata, eccependo la tardività dell’appello, notificato oltre il termine lungo dimezzato di tre mesi per la notifica degli appelli in materia di appalti, e, nel merito, la sua infondatezza.
7. – All’udienza pubblica del 26 maggio 2016, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. – L’appello è fondato.
2. – Preliminarmente, va rigettata l’eccezione di tardività sollevata dall’appellata.
L’appello, notificato in data 12 marzo 2015 al procuratore costituito in primo grado presso il suo studio “nel verde canavese”, e all’impresa in data 8 aprile 2015, sarebbe stato proposto oltre il termine semestrale decorrente dalla pubblicazione della sentenza, che scadeva, compreso il periodo feriale di 45 gg. ante riforma, in data 26 febbraio 2015.
In ogni caso, ad avviso dell’appellata, andava applicato il dimezzamento dei termini processuali, tra cui il termine per proporre l’appello, così come in primo grado, secondo le norme del rito appalti di cui agli artt. 119 e 120 c.p.a..
3. – Rileva il Collegio che dagli atti di causa risulta che in data 16 gennaio 2015 l’atto di appello è stato consegnato all’ufficiale giudiziario per la notifica alla Finteco, presso lo studio dell’Avv.-OMISSIS-di Viale Caldara n. 41 in Milano, domicilio eletto in primo grado, mediante servizio postale, ai sensi dell’art. 149 c.p.c..
Risulta anche che in data 19 gennaio 2015 è stata effettuata la consegna del plico affidato per la notifica, a mezzo del servizio postale, lo stesso 16 gennaio 2015, al comune di Cormano, presso il domicilio eletto, ossia presso gli Avvocati -OMISSIS-e -OMISSIS-in via Filippo Corridoni, n. 39.
Altra copia, adabundantiam, è stata consegnata all’UNEP per la notifica a mezzo del servizio postale alla Finteco, nella sua sede di via Pantano, n. 15, in Milano, nonché presso la Segreteria del TAR per la Lombardia e presso l’Avvocato -OMISSIS-in via Bastioni n. 2 Rivara (Torino), in data 10 marzo 2015.
E’ stata poi richiesta una rinotifica dell’atto di appello in data 3 aprile 2015 alla Finteco, presso la sede di Salassa (Torino) via ex Internati, n. 2.
Ritiene, pertanto, il Collegio che, considerando la prima notifica effettuata il 16/19 gennaio 2015, l’atto di appello sia stato notificato correttamente nel termine semestrale dalla pubblicazione della sentenza impugnata, che scadeva il 26 febbraio 2015.
3.1. – Inoltre, il Collegio rileva che non trova applicazione nella fattispecie l’art. 119, commi 2 e 7, c.p.a., che dimezza i termini per la proposizione dell’appello: infatti, non vengono impugnati, unitamente all’informativa antimafia, atti inerenti alla procedura di gara (ex art. 119, comma 1, lett. a), per i quali sussiste l’interesse pubblico specifico alla sollecita definizione delle relative controversie, sotteso alla disposizione che dimezza i termini processuali.
Nella fattispecie, la fase di affidamento si era in precedenza esaurita con la stipulazione dei contratti oggetto dei contestati atti risolutivi (recesso dal contratto di appalto disposto dal Comune di Cormano e determina di revoca dell’aggiudicazione disposta dal Comune di Rivarolo Canavese).
Poiché gli atti impugnati – unitamente all’informativa – attengono alla fase esecutiva del rapporto, trovano applicazione le regole del rito ordinario (C.d.S., Sezione VI, n. 3999 del 4 luglio 2011).
4. – Nel merito, sono fondate le doglianze del Ministero.
4.1 – Il TAR ha ritenuto che «gli elementi posti a base dell’impugnata informazione interdittiva prefettizia siano privi del necessario carattere dell’oggettiva significatività, sicché il riscontrato pericolo di infiltrazioni mafiose riposa su elementi dubbi e non univoci, che non danno adeguato e preciso conto dei legami e della contiguità con esponenti della criminalità organizzata, incapaci pertanto di corroborare sufficientemente il giudizio di possibilità che l’attività imprenditoriale possa, anche in maniera indiretta, agevolare le attività criminali o esserne in qualche modo condizionata».
Secondo il primo giudice, il Prefetto non avrebbe adeguatamente valutato alcune circostanze di fatto anteriori all’emissione dell’interdittiva e, in particolare, che:
– la Corte di Cassazione penale, Sez. I, con sentenza n. 27655 dell’11 luglio 2012, ha annullato, con rinvio, l’ordinanza n. 1208/2011 del Tribunale della Libertà di Torino, ritenendo non configurabile a carico del ricorrente l’aggravante di cui all’art. 7 del D.L. n. 152/1991 ed esprimendo perplessità in ordine alla stessa possibilità di qualificare il reato ascritto a -OMISSIS- come delitto di cui all’art. 416 – ter c.p.;
– il Tribunale di Torino, Sezione V penale, in data 6 novembre 2012 ha revocato la misura cautelare dell’obbligo di dimora imposta a -OMISSIS-.;
– il trasferimento, da parte di M.A., in data 23 luglio 2010, delle proprie quote della Finteco Lavori S.r.l. a V.A., è stato dichiarato inefficace nei confronti della Finteco Lavori S.r.l. a seguito di lodo arbitrale pronunciato su ricorso ex art. 825 c.p.c., proposto il 27 febbrao 2012 da Finteco Lavori S.r.l., da M.A. e da F.lli -OMISSIS- S.r.l.;
– l’acquisto da parte della Finteco del ramo d’azienda di Foglia Costruzioni S.r.l. è avvenuto tramite procedura fallimentare, nel rispetto della relativa disciplina.
Sicchè, il T.a.r. ha concluso nel senso che «la valutazione rimessa alle cure dell’autorità di pubblica sicurezza non risulta congruamente effettuata e si palesa affetta, pertanto, dai denunciati vizi di carenza di istruttoria in ordine ai presupposti legittimanti la misura e di difetto di motivazione».
5. – Il Ministero contesta tali conclusioni e ribadisce che l’esistenza di un condizionamento da parte della criminalità organizzata si fonda su una pluralità di indizi, indicati nell’annullato provvedimento prefettizio e segnatamente:
– sulle molteplici sostituzioni degli organi sociali e delle quote societarie;
– sui numerosi rapporti sia economici che personali intrattenuti dalla Finteco Lavori S.r.l. con società e personaggi contigui alla criminalità organizzata;
– sull’attuale convivenza di fatto dell’amministratrice della società con il marito -OMISSIS-.
5.1. – La circostanza che la Cassazione nella sentenza n. 27655 dell’11 luglio 2012 abbia escluso l’aggravante di cui all’art. 7 del D.L. 152/1991 (consistente nell’aver commesso il reato di cui all’art. 416 ter c.p.– corruzione elettorale – al fine di agevolare l’associazione mafiosa) e la perplessità espressa in ordine alla possibilità di qualificare il reato ascritto a -OMISSIS-. come delitto di cui all’art. 416 ter c.p. costituiscono, secondo il Ministero, indubbiamente, elemento idoneo a far ritenere legittimo l’operato dell’Amministrazione, posto che il reato per cui egli è stato poi condannato (scambio di voti) costituisce in ogni caso un chiaro riscontro della fondatezza del giudizio di condizionamento.
Secondo la giurisprudenza penale, i reati di corruzione elettorale si pongono in un contesto di possibile configurazione di concorso interno o esterno alle finalità politiche-elettorali di associazioni mafiose.
5.2. – Anche il provvedimento del Tribunale di Torino, Sezione V Penale, del 6 novembre 2012, di revoca della misura cautelare dell’obbligo di dimora imposta a -OMISSIS-. non può costituire un elemento idoneo a decantare il quadro di forte influenza criminale nel quale si trova inserita la Finteco.
5.3 – Le finalità di deterrenza anticipata dell’informativa antimafia fanno escludere che sia necessario l’accertamento in sede penale – con carattere di certezza e definitività – della collusione e della cointeressenza con la malavita: da qui l’irrilevanza delle risultanze cui è pervenuta la Cassazione penale nella richiamata sentenza.
5.4. – A ulteriore sostegno delle proprie argomentazioni, il Ministero cita l’Osservatorio centrale sugli appalti della Direzione investigativa antimafia, che, con riferimento alla compravendita di quote societarie della Finteco a favore di -OMISSIS-., effettuata in data 5 agosto 2012, ha rilevato come con l’anzidetta operazione di cessione sia stato posto in essere un tentativo di eludere la normativa antimafia, attraverso l’intestazione fittizia di quote ad un terzo non riconducibile alla famiglia -OMISSIS-., tentando l’acquisizione di lavori pubblici di manutenzione elettrica presso il Comune di Rivarolo Canavese.
5.5. – L’elusione della normativa per l’affidamento degli appalti parrebbe riproporsi con l’acquisizione delle quote da parte di -OMISSIS-., moglie di -OMISSIS-., di fatto con lo stesso convivente.
5.6. – Il Ministero deduce ancora che l’equivalenza del prezzo di acquisto e di vendita dell’intero capitale della Finteco (euro 15.000) ha escluso ogni profitto a favore del -OMISSIS-.; sicchè le operazioni di cessione del luglio 2012 e del giugno 2013 costituiscono, di fatto, parte di un piano preordinato volto ad aggirare la normativa antimafia, tendendo all’acquisizione dei lavori pubblici di manutenzione elettrica presso il Comune di Rivarolo Canavese in seguito aggiudicati.
La prima operazione a favore del-OMISSIS-. è avvenuta quando -OMISSIS-., amministratore unico e titolare del 95% del capitale della Fratelli -OMISSIS-. srl, si trovava a convivere stabilmente con il -OMISSIS-. che, all’epoca, era agli arresti domiciliari.
Inoltre, le quote di-OMISSIS-. sono state interamente riacquistate dalla Ruat. solo in seguito alla sentenza della Cassazione che ha escluso la configurabilità dell’aggravante di cui all’art. 7 D.L. 152/1991.
5.7 – Il Ministero deduce l’irrilevanza ai fini dell’informativa dell’ulteriore elemento considerato dal primo giudice, ovvero l’acquisto mediante procedura fallimentare del ramo di azienda di Fogl. Costruzioni s.r.l., atteso il complessivo contesto illecito in cui versano le società e i loro amministratori e la serie di collegamenti sintomatici della permeabilità delle società stesse all’infiltrazione criminale.
5.8. – Del pari, non ha rilevanza secondo il Ministero che il trasferimento di quote della Finteco da -OMISSIS-. Alb. a -OMISSIS-. sia stato dichiarato inefficace nei confronti della Finteco a seguito di lodo arbitrale.
5.9. – Né a conclusioni diverse potrebbe giungersi in relazione alle circostanze sopravvenute nelle more del giudizio: la sentenza della Cassazione n. 27655 del 2012 di cui si è detto; la sentenza del 22 novembre 2013 del Tribunale di Torino, in sede di rinvio, che ha riqualificato il reato attribuito al -OMISSIS-. contestandogli la diversa ipotesi delittuosa del ‘voto di scambio’ (non risultando la prova della dazione del denaro), ipotesi che non risulta contemplata tra quelle tipizzate di cui all’art. 10 DPR 252 cit.
Il Ministero osserva, a tal proposito, che il reato attribuito al -OMISSIS-. è comunque sintomatico della disponibilità dell’uomo politico a venire a patti con la consorteria mafiosa, in vista del concreto adempimento dell’impegno assunto in cambio dell’appoggio elettorale.
6. – Il Collegio condivide le considerazioni del Ministero appellante circa l’inidoneità dei fatti sopra puntualmente richiamati, considerati decisivi dal primo giudice ai fini dell’annullamento dell’informativa impugnata, ad inficiare il valore complessivamente sintomatico degli elementi posti a base dell’informativa.
7. – E’ opportuno ricordare che, secondo la più recente giurisprudenza di questa Sezione, in materia trovano applicazione i seguenti principi (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 3 maggio 2016, n. 1743):
– l’informativa antimafia, ai sensi degli artt. 84, comma 4, e 91, comma 6, del d. lgs. n. 159/2011, presuppone «concreti elementi da cui risulti che l’attività d’impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata»;
– quanto alla ratio dell’istituto dell’interdittiva antimafia, si tratta di una misura volta – ad un tempo – alla salvaguardia dell’ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della pubblica Amministrazione: l’interdittiva antimafia comporta che il Prefetto escluda che un imprenditore – pur dotato di adeguati mezzi economici e di una adeguata organizzazione – meriti la fiducia delle Istituzioni (vale a dire che risulti ‘affidabile’) e possa essere titolare di rapporti contrattuali con le pubbliche Amministrazioni o degli altri titoli abilitativi, individuati dalla legge;
– ai fini dell’adozione del provvedimento interdittivo, rileva il complesso degli elementi concreti emersi nel corso del procedimento: una visione ‘parcellizzata’ di un singolo elemento, o di più elementi, non può che far perdere a ciascuno di essi la sua rilevanza nel suo legame sistematico con gli altri;
– è estranea al sistema delle informative antimafia, non trattandosi di provvedimenti nemmeno latamente sanzionatori, qualsiasi logica penalistica di certezza probatoria raggiunta al di là del ragionevole dubbio (né – tanto meno – occorre l’accertamento di responsabilità penali, quali il ‘concorso esterno’ o la commissione di reati aggravati ai sensi dell’art. 7 della legge n. 203 del 1991), poiché simile logica vanificherebbe la finalità anticipatoria dell’informativa, che è quella di prevenire un grave pericolo e non già quella di punire, nemmeno in modo indiretto, una condotta penalmente rilevante;
– il rischio di inquinamento mafioso deve essere valutato in base al criterio del più ‘probabile che non’, alla luce di una regola di giudizio, cioè, che ben può essere integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali, qual è, anzitutto, anche quello mafioso;
– pertanto, gli elementi posti a base dell’informativa possono essere anche non penalmente rilevanti o non costituire oggetto di procedimenti o di processi penali o, addirittura e per converso, possono essere già stati oggetto del giudizio penale, con esito di proscioglimento o di assoluzione;
– quanto ai rapporti di parentela tra titolari, soci, amministratori, direttori generali dell’impresa e familiari che siano soggetti affiliati, organici, contigui alle associazioni mafiose, l’Amministrazione può dare loro rilievo laddove tale rapporto, per la sua natura, intensità, o per altre caratteristiche concrete, lasci ritenere, per la logica del ‘più probabile che non’, che l’impresa abbia una conduzione collettiva e una regìa familiare (di diritto o di fatto, alla quale non risultino estranei detti soggetti) ovvero che le decisioni sulla sua attività possano essere influenzate, anche indirettamente, dalla mafia attraverso la famiglia, o da un affiliato alla mafia mediante il contatto col proprio congiunto;
– nei contesti sociali in cui attecchisce il fenomeno mafioso, all’interno della famiglia si può verificare una ‘influenza reciproca’ di comportamenti e possono sorgere legami di cointeressenza, di solidarietà, di copertura o quanto meno di soggezione o di tolleranza;
– una tale influenza può essere desunta non dalla considerazione (che sarebbe in sé errata e in contrasto con i principi costituzionali) che il parente di un mafioso sia anch’egli mafioso, ma per la doverosa considerazione, per converso, che la complessa organizzazione della mafia ha una struttura clanica, si fonda e si articola, a livello particellare, sul nucleo fondante della ‘famiglia’, sicché in una ‘famiglia’ mafiosa anche il soggetto che non sia attinto da pregiudizio mafioso può subire, nolente, l’influenza del ‘capofamiglia’ e dell’associazione;
– hanno dunque rilevanza circostanze obiettive (a titolo meramente esemplificativo, ad es., la convivenza, la cointeressenza di interessi economici, il coinvolgimento nei medesimi fatti, che pur non abbiano dato luogo a condanne in sede penale) e rilevano le peculiari realtà locali, ben potendo l’Amministrazione evidenziare come sia stata accertata l’esistenza – su un’area più o meno estesa – del controllo di una ‘famiglia’ e del sostanziale coinvolgimento dei suoi componenti (a fortiori se questi non risultino avere proprie fonti legittime di reddito).
7.1. – A questi principi enucleati di recente dalla Sezione, occorre aggiungere quelli che sono stati costantemente affermati dalla giurisprudenza:
– non è richiesta la prova dell’attualità delle infiltrazioni mafiose, dovendosi solo dimostrare la sussistenza di elementi dai quali è deducibile – secondo il principio del ‘più probabile che non’ – il tentativo di ingerenza, o una concreta verosimiglianza dell’ipotesi di condizionamento sulla società da parte di soggetti uniti da legami con cosche mafiose, e dell’attualità e concretezza del rischio (Cons. Stato, Sez. III, 5 settembre 2012, n. 4708; Cons. Stato n. 3057/10; 1559/10; 3491/09);
– la valutazione del pericolo di infiltrazioni mafiose, di competenza del Prefetto, è connotata, per la specifica natura del giudizio formulato, dall’utilizzo di peculiari cognizioni di tecnica investigativa e poliziesca, che esclude la possibilità per il giudice amministrativo di sostituirvi la propria, ma non impedisce ad esso di rilevare se i fatti riferiti dal Prefetto configurino o meno la fattispecie prevista dalla legge e di formulare un giudizio di logicità e congruità con riguardo sia alle informazioni acquisite, sia alle valutazioni che il Prefetto ne abbia tratto (Cons. Stato, n. 5130 del 2011; Cons. Stato, n. 2783 del 2004; Cons. Stato, n. 4135 del 2006);
– l’ampia discrezionalità di apprezzamento del Prefetto in tema di tentativo di infiltrazione mafiosa comporta che la sua valutazione sia sindacabile in sede giurisdizionale in caso di manifesta illogicità, irragionevolezza e travisamento dei fatti, mentre al sindacato del giudice amministrativo sulla legittimità dell’informativa antimafia rimane estraneo l’accertamento dei fatti, anche di rilievo penale, posti a base del provvedimento (in termini, Cons. Stato, n. 4724 del 2001).
Tale valutazione costituisce espressione di ampia discrezionalità che, per giurisprudenza costante, può essere assoggettata al sindacato del giudice amministrativo solo sotto il profilo della sua logicità in relazione alla rilevanza dei fatti accertati (Cons. Stato, n. 7260 del 2010).
8. – Alla luce di tali criteri, il Collegio ritiene che:
– sia irrilevante la circostanza che la sentenza della Corte di Cassazione n. 27655 dell’11 luglio 2012 abbia ritenuto non configurabile l’aggravante di cui all’art. 7 del D.L. n. 152/1991;
– sia irrilevante che il Tribunale di Torino, Sezione V penale in data 6 novembre 2012 abbia revocato la misura cautelare dell’obbligo di dimora imposta allo stesso -OMISSIS-.;
– sia irrilevante che il trasferimento di quote della società da -OMISSIS-. Alb. a -OMISSIS-. sia stato dichiarato inefficace nei confronti della stessa Finteco s.r.l.;
– sia irrilevante che l’acquisto da parte di Finteco del ramo di azienda di Fog. Costruzioni s.r.l. sia avvenuto tramite procedura fallimentare;
– sia irrilevante che il reato attribuito al -OMISSIS-. sia stato riqualificato in voto di scambio (art. 96 DPR 30 marzo 1957, n. 361);
8.1. – Il contesto di criminalità organizzata in cui si è consumato il reato per cui il -OMISSIS-. (marito convivente dell’attuale amministratrice della Finteco) ha riportato condanna, unitamente alle vicende di cessione di quote della società a terzi e di trasferimento dell’intero capitale sociale e della carica di amministratore unico in favore di -OMISSIS-., sono elementi sufficienti a far ritenere sorretta da idonea motivazione e istruttoria la valutazione compiuta dal Prefetto di Milano.
9. – In conclusione, l’appello va accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, vanno respinte le censure formulate in primo grado avverso gli atti impugnati.
10. – Le spese dei due gradi di giudizio si compensano tra le parti, in considerazione della complessità della vicenda.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello n. 579 del 2015, come in epigrafe proposto, lo rigetta e, per l’effetto, in riforma della sentenza del T.a.r. Lombardia, sede di Milano, n. 1823 dell’11 settembre 2015 appellata, dichiara la legittimità degli atti impugnati.
Spese compensate dei due gradi.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità, nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare i soggetti privati.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 26 maggio 2016, con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti, Presidente
Carlo Deodato, Consigliere
Lydia Ada Orsola Spiezia, Consigliere
Paola Alba Aurora Puliatti, Consigliere, Estensore
Pierfrancesco Ungari, Consigliere
L’ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
Paola Alba Aurora Puliatti | Luigi Maruotti | |
IL SEGRETARIO