Autorizzazioni amministrative: il CdS su applicabilità informativa antimafia

Il Consiglio di Stato, Sez. III, con la sentenza n. 565 del 9 febbraio 2017,  si è pronunciato sull’applicabilità alle autorizzazioni e concessioni amministrative della disciplina prevista dall’art. 89-bis del D. Lgs. 6 settembre 2011, n. 159 (“Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione”).

I giudici di Palazzo Spada, al fine di dirimere la controversia, hanno richiamato l’art. 2, comma 1, lett. c) della l. 13 agosto 2010, n. 136. Tale disposizione ha istituto la Banca dati nazionale unica della documentazione antimafia, con immediata efficacia delle informative antimafia negative su tutto il territorio nazionale, “con riferimento a tutti i rapporti, anche già in essere, con la pubblica amministrazione, finalizzata all’accelerazione delle procedure di rilascio della medesima documentazione e al potenziamento dell’attività di prevenzione dei tentativi di infiltrazione mafiosa nell’attività di impresa”.

La disciplina trova applicazione a tutti i rapporti con la P.A., senza distinguere tra le autorizzazioni e le concessioni o i contratti, come avviene ai casi di cui alle lettere a) e b).

Sulla scorta di tali motivazione è stato infine ritenuto legittimo l’operato della P.A., la quale, nel caso sottoposto all’attenzione del Consiglio di Stato, aveva doverosamente e correttamente richiesto l’informativa antimafia.

Si riporta di seguito il testo della sentenza.

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Pubblicato il 09/02/2017

N. 00565/2017 REG.PROV.COLL.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7324 del 2016, proposto dalla Provincia di La Spezia, in persona del Presidente della Giunta Provinciale pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocato Veronica Allegri, con domicilio eletto presso lo studio dell’Avvocato Giovanni Corbyons in Roma, via Cicerone, n. 44;

contro

-OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocato Daniele Granara e dall’Avvocato Federico Tedeschini, con domicilio eletto presso lo studio dello stesso Avvocato Federico Tedeschini in Roma, largo Messico, n. 7;

nei confronti di

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, e U.T.G. – Prefettura di Reggio Emilia, in persona del Prefetto pro tempore, entrambi rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
Comune di Vezzano Ligure, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per l’Emilia Romagna, sezione staccata di Parma, sez. I, n. 123/2016, resa tra le parti, concernente una informativa interdittiva antimafia e un diniego di iscrizione nella white list;

visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

visti gli atti di costituzione in giudizio di -OMISSIS-, del Ministero dell’Interno, dell’U.T.G. – Prefettura di Reggio Emilia;

viste le memorie difensive;

visti tutti gli atti della causa;

relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 gennaio 2017 il Consigliere Massimiliano Noccelli e uditi per la Provincia di La Spezia, appellante principale, l’Avvocato Giovanni Corbyons, su delega dichiarata dell’Avvocato Veronica Allegri, per l’appellata -OMISSIS- l’Avvocato Daniele Granara e, per il Ministero dell’Interno e per l’ l’Avvocato dello Stato Paola Saulino;

ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Il presente giudizio ha ad oggetto la richiesta di Autorizzazione Unica Ambientale (c.d. AUA), prevista dal d.P.R. n. 59 del 2013, relativa allo scarico di acque reflue industriali, alle emissioni in atmosfera e alla valutazione di impatto acustico, che la odierna appellante incidentale, -OMISSIS- – subentrata alla -OMISSIS- – impresa operante nel settore del commercio all’ingrosso di materiale da costruzione, materiali inerti, prodotti da cava nonché granulati e marmi, ha presentato allo Sportello Unico delle Attività Produttive – SUAP, di qui in avanti – del Comune di Vezzano Ligure.

1.1. La Prefettura di Reggio Emilia, su richiesta della documentazione antimafia da parte del SUAP di Comune di Vezzano Ligure, ai sensi dell’art. 89-bis del d. lgs. n. 159 del 2011 ha emesso il 21 gennaio 2015, con nota prot. n. 2225/2014/Area 1, una informativa antimafia con effetto interdittivo a carico di -OMISSIS-, perché ritenuta contigua ad ambienti criminali di matrice ‘ndranghetista.

1.2. A seguito della comunicazione prot. n. 159 del 6 febbraio 2015 del SUAP del Comune di Vezzano Ligure, che l’ha resa edotta di tale informativa, la Provincia di La Spezia ha emesso le note prot. n. 5311 del 2015 e prot. n. 5312 del 2015, con le quali essa ha comunicato a -OMISSIS- di non poter rilasciare l’AUA per lo scarico delle acque reflue provenienti dagli stabilimenti di via Lagoscuro, n. 84 e n. 123, ove -OMISSIS- esercita la propria attività.

2. Avverso tali provvedimenti e la presupposta informativa del 21 gennaio 2015 a carattere interdittivo, emessa ai sensi dell’art. 89-bis del d. lgs. n. 159 del 2011, come anche del precedente provvedimento di diniego di iscrizione nella white list prot. n. 1844/13 adottato il 3 luglio 2014, -OMISSIS-, odierna appellante incidentale, deducendo cinque motivi di censura, ha proposto ricorso dapprima avanti al T.A.R. per la Liguria e successivamente alla dichiara incompetenza di questo con l’ordinanza n. 390 del 23 aprile 2015, in riassunzione, avanti al T.A.R. per l’Emilia Romagna, sezione staccata di Parma, e ne ha chiesto, previa sospensione, l’annullamento, con conseguente risarcimento del danno patito per effetto di tali provvedimenti.

2.1. Nel primo grado del giudizio si sono costituiti il Ministero dell’Interno, la Provincia di La Spezia e il Comune di Vezzano Ligure, per chiedere la reiezione del ricorso.

2.2. Il T.A.R. per l’Emilia Romagna, sezione staccata di Parma, con l’ordinanza n. 109 del 29 maggio 2015, ha respinto l’istanza cautelare della ricorrente.

2.3. Con l’ordinanza n. 3777 del 28 agosto 2015 questo Consiglio di Stato ha respinto l’appello cautelare proposto da -OMISSIS-

2.4. Infine, con la sentenza n. 123 dell’8 aprile 2016, il T.A.R. per l’Emilia Romagna, sezione staccata di Parma, ha accolto il primo motivo dell’originario ricorso, assorbendo tutti gli altri, e ha annullato l’informativa antimafia del 21 gennaio 2015 e gli atti consequenziali o presupposti, mentre ha dichiarato inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnativa del precedente provvedimento interdittivo di diniego di iscrizione nella c.d. white list.

3. Avverso tale sentenza, nella parte in cui ha accolto il primo motivo del ricorso originario, ha proposto appello principale la Provincia di La Spezia, deducendo due motivi che di seguito saranno esaminati, e ne ha chiesto, previa sospensione anche inaudita altera parte, la riforma, con conseguente integrale reiezione del ricorso proposto in primo grado da -OMISSIS-

3.1. Il Presidente della III Sezione di questo Consiglio di Stato, con il decreto n. 4184 del 26 settembre 2016, ha accolto la domanda cautelare monocratica e ha sospeso interinalmente l’esecutività della sentenza impugnata fino alla camera di consiglio, che ha fissato per il 13 ottobre 2016.

3.2. Si è costituito il Ministero dell’Interno, con atto depositato l’8 ottobre 2016, per aderire all’appello proposto dalla Provincia.

3.3. Si è costituita altresì l’appellata -OMISSIS- con memoria depositata il 10 ottobre 2016, per resistere all’appello principale, e ha proposto di seguito appello incidentale, con atto notificato il 15 novembre 2016 e depositato il 24 novembre 2016, deducendo tre motivi, che saranno di seguito esaminati.

3.4. Con l’ordinanza n. 4631 del 14 ottobre 2016, all’esito della camera di consiglio fissata dal menzionato decreto n. 4184 del 26 settembre 2016 per la trattazione collegiale, la Sezione, in accoglimento della domanda cautelare proposta dalla Provincia appellante, ha sospeso l’esecutività della sentenza impugnata e ha rinviato, per la sollecita trattazione del merito, all’udienza pubblica del 12 gennaio 2017, successivamente differita, per ragioni d’ufficio, all’udienza del 26 gennaio 2017.

3.5. Infine, nella pubblica udienza del 26 gennaio 2017, il Collegio, sentiti i difensori delle parti, ha trattenuto la causa in decisione.

4. L’appello principale, proposto dalla Provincia di La Spezia, è fondato in entrambi i motivi e merita accoglimento.

5. Il T.A.R. per l’Emilia Romagna, sezione staccata di Parma, nell’accogliere il primo motivo del ricorso, ha ritenuto che la Prefettura di Reggio Emilia non potesse emettere, nei confronti di -OMISSIS-, l’informativa antimafia, in base alla disciplina di cui al d. lgs. n. 159 del 2011, perché l’autorizzazione da essa richiesta «è funzionale all’esercizio di una attività imprenditoriale privata estranea alle ipotesi espressamente previste dalla illustrata normativa non comportando alcun rapporto con la Pubblica Amministrazione» (p. 6 della sentenza impugnata).

6. Tale motivazione non è condivisibile.

6.1. La disciplina dettata dal d. lgs. n. 159 del 2011 (c.d. codice delle leggi antimafia) consente, al contrario di quanto ha ritenuto il primo giudice, l’applicazione delle informazioni antimafia anche ai provvedimenti a contenuto autorizzatorio.

6.2. La tendenza del legislatore muove, in questa materia, verso il superamento della rigida bipartizione tra comunicazioni antimafia, applicabili alle autorizzazioni, e informazioni antimafia, applicabili ad appalti, concessioni, contributi ed elargizioni.

6.3. Questo tradizionale riparto dei rispettivi ambiti di applicazione, tipico della legislazione anteriore al nuovo codice delle leggi antimafia (d. lgs. n. 159 del 2011), si è rilevato inadeguato ed è entrato in crisi a fronte della sempre più frequente constatazione empirica che la mafia tende ad infiltrarsi, capillarmente, in tutte le attività economiche, anche quelle soggetto a regime autorizzatorio (o a s.c.i.a.), e che un’efficace risposta da parte dello Stato alla pervasività di tale fenomeno criminale rimane lacunosa, e finanche illusoria nello stesso settore dei contratti pubblici, delle concessioni e delle sovvenzioni, se la prevenzione del fenomeno mafioso non si estende al controllo e all’eventuale interdizione di ambiti economici nei quali, più frequentemente, la mafia si fa, direttamente o indirettamente, imprenditrice ed espleta la propria attività economica.

6.4. L’esperienza ha mostrato, infatti, che in molti di tali settori, strategici per l’economia nazionale (l’edilizia, le grandi opere pubbliche, lo sfruttamento di nuove fonti energetiche, gli scarichi delle sostanze reflue industriali, come appunto nel caso di specie, relativo all’AUA, e persino la ricostruzione dopo i gravi eventi sismici che funestano il territorio italiano), le associazioni di stampo mafioso hanno impiegato, diretto o controllato ingenti capitali e risorse umane per investimenti particolarmente redditizi finalizzati non solo ad ottenere pubbliche commesse o sovvenzioni, ma in generale a colonizzare l’intero mercato secondo un disegno, di più vasto respiro, del quale l’aggiudicazione degli appalti o il conseguimento di concessioni ed elargizioni costituisce una parte certo cospicua, ma non esclusiva né satisfattiva per le mire egemoniche della criminalità; disegno, quello mafioso, talvolta agevolato dall’omertà, se non persino dalla collusione o dalla corruzione, dei pubblici amministratori.

6.5. La tradizionale reciproca impermeabilità tra le comunicazioni antimafia, richieste per le autorizzazioni, e le informazioni antimafia, rilasciate per i contratti, le concessioni e le agevolazioni, ha fatto sì che le associazioni di stampo mafioso potessero, comunque, gestire tramite imprese infiltrate, inquinate o condizionate da essa, lucrose attività economiche, in vasti settori dell’economia privata, senza che l’ordinamento potesse efficacemente intervenire per contrastare tale infiltrazione, al di fuori delle ipotesi di comunicazioni antimafia emesse per misure di prevenzione definitive con effetto interdittivo ai sensi dell’art. 67 del d. lgs. n. 159 del 2011, anche quando, paradossalmente, a dette imprese fosse stata comunque interdetta la stipulazione dei contratti pubblici per effetto di una informativa antimafia.

6.6. Ciò non di rado ha condotto allo stesso aggiramento della normativa antimafia, nel suo complesso, perché l’organizzazione mafiosa, anche dopo l’interdizione di una impresa mediante una informativa, poteva (e può) servirsi di una nuova, creata ad hoc, per avviare, intanto e comunque, una nuova attività economica privata, soggetta solo al regime della comunicazione antimafia, e nuovamente concorrere alle pubbliche gare, fintantoché non venga emessa una informazione antimafia anche a carico di quest’ultima.

7. Il riordino della materia, impresso dalla legge delega, ha posto fine a molte delle gravi lacune evidenziatasi nel sistema precedente della prevenzione antimafia.

7.1. La l. n. 136 del 13 agosto 2010, intitolata «Piano straordinario contro le mafie, nonché delega al Governo in materia di normativa antimafia», ha introdotto, nell’art. 2 che reca la specifica Delega al Governo per l’emanazione di nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, il comma 1, lett. c), il quale ha istituto la Banca dati nazionale unica della documentazione antimafia, con immediata efficacia delle informative antimafia negative su tutto il territorio nazionale e «con riferimento a tutti i rapporti, anche già in essere, con la pubblica amministrazione, finalizzata all’accelerazione delle procedure di rilascio della medesima documentazione e al potenziamento dell’attività di prevenzione dei tentativi di infiltrazione mafiosa nell’attività di impresa».

7.2. È evidente che l’art. 2, comma 1, lett. c) si riferisca a tutti i rapporti con la pubblica amministrazione, senza differenziare le autorizzazioni dalle concessioni e dai contratti, come fanno invece, ed espressamente, le lett. a) e b); dunque, la lettera c) si riferisce anche a quei rapporti – come nel caso di specie l’AUA – che, per quanto oggetto di mera autorizzazione, hanno un impatto fortissimo e potenzialmente devastante su beni e interessi pubblici, come nei casi di scarico di sostanze inquinanti o l’esercizio di attività pericolose per la salute e per l’ambiente.

7.3. Né giova replicare, come fa il primo giudice, che l’espressione «rapporti» si riferisca solo ai contratti e alle concessioni, ma non alle autorizzazioni, che secondo una classica concezione degli atti autorizzatori non costituirebbero un “rapporto” con l’Amministrazione.

7.4. Tale conclusione non solo è smentita dal tenore letterale dell’art. 2, comma 1, lett. c), che non differenzia le une dalle altre come fanno, invece, la lett. a) e la lett. b) (che richiama la lett. a), ma anche a livello sistematico contrasta con una visione moderna, dinamica e non formalistica del diritto amministrativo, quale effettivamente vive e si svolge nel tessuto economico e nell’evoluzione dell’ordinamento, che individua un rapporto tra amministrato e amministrazione in ogni ipotesi in cui l’attività economica sia sottoposta ad attività provvedimentale, che essa sia di tipo concessorio o autorizzatorio o, addirittura soggetta a s.c.i.a., come questo Consiglio, in sede consultiva, ha chiarito nei numerosi pareri emessi in ordine all’attuazione del d. lgs. n. 124 del 1015 (v., in particolare e tra gli altri, il parere n. 839 del 30 marzo 2016 sulla riforma della disciplina della s.c.i.a.).

7.5. Di qui la legittimità, anche prima dell’introduzione dell’art. 89-bis – di cui ora si dirà – con il decreto correttivo n. 153 del 2014, delle originarie previsioni contenute nel d. lgs. n. 159 del 2011 (Codice delle leggi antimafia) attuative dei fondamentali principî già contenuti in nuce nell’art. 2 della legge delega e, in particolare:

– dell’art. 83, comma 1, laddove prevede che le amministrazioni devono acquisire la documentazione, di cui all’art. 84, prima di rilasciare o consentire i provvedimenti di cui all’art. 67 (tra cui rientrano, appunto, le autorizzazioni di cui alla lett. f);

– dell’art. 91, comma 1, laddove prevede che detti soggetti devono acquisire l’informativa prima di rilasciare o consentire anche i provvedimenti indicati nell’art. 67;

– dell’art. 91, comma 7, che prevede che con regolamento, adottato con decreto del Ministro dell’Interno – di concerto con quello della Giustizia, con quello delle Infrastrutture e con quello dello Sviluppo Economico ai sensi dell’art. 17, comma 3, della l. n. 400 del 1988 – siano individuate «le diverse tipologie di attività suscettibili di infiltrazione mafiosa nell’attività di impresa per le quali, in relazione allo specifico settore di impiego e alle situazioni ambientali che determinano un maggiore rischio di infiltrazione mafiosa, è sempre obbligatoria l’acquisizione della documentazione indipendentemente dal valore del contratto, subcontratto, concessione, erogazione o provvedimento di cui all’art. 67», dovendosi ricordare che l’art. 67 tra l’altro prevede, alla lett. f), proprio le «altre iscrizioni o provvedimenti a contenuto autorizzatorio, concessorio o abilitativo per lo svolgimento di attività imprenditoriali, comunque denominate»;

8. L’introduzione dell’art. 89-bis del d. lgs. n. 159 del 2011 ad opera del d. lgs. n. 153 del 2014, dunque, non rappresenta una novità né, ancor meno, una distonia nel sistema, ma è anzi coerente con esso, secondo la chiara tendenza legislativa di cui si è detto, avviata dalla legge delega, che aveva già trovato parziale attuazione, sul piano sostanziale, nelle richiamate disposizioni del codice delle leggi antimafia.

8.1. Tale disposizione prevede, nel comma 1, che «quando in esito alle verifiche di cui all’articolo 88, comma 2, venga accertata la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa, il prefetto adotta comunque un’informazione interdittiva antimafia e ne dà comunicazione ai soggetti richiedenti di cui all’articolo 83, commi 1 e 2, senza emettere la comunicazione antimafia» e in tal caso, come espressamente sancisce il comma 2, «l’informazione antimafia adottata ai sensi del comma 1 tiene luogo della comunicazione antimafia richiesta».

8.2. Con questa previsione, che non ha natura attributiva di un nuovo potere sostanziale, invero già rinvenibile nei dati di diritto positivo sopra evidenziati, ma ha al più carattere specificativo e procedimentale, il codice delle leggi antimafia ha inteso chiarire e disciplinare l’ipotesi nella quale il Prefetto, nell’eseguire la consultazione della Banca dati nazionale unica per il rilascio della comunicazione antimafia, appuri che vi sia il pericolo di infiltrazione mafiosa all’interno dell’impresa.

8.3. L’art. 98, comma 1, del d. lgs. n. 159 del 2011, come è noto, prevede che nella Banca dati nazionale unica, ora operativa, «sono contenute le comunicazioni e le informazioni antimafia, liberatorie ed interdittive» e, dunque, tutti i provvedimenti che riguardano la posizione “antimafia” dell’impresa; tale Banca consente, ai sensi del comma 2, la consultazione dei dati acquisiti nel corso degli accessi nei cantieri delle imprese interessate all’esecuzione di lavori pubblici, disposti dal Prefetto, e tramite il collegamento ad altre banche dati, ai sensi del comma 3, anche la cognizione di eventuali ulteriori dati anche provenienti dall’estero.

8.4. Si tratta di disposizione quanto mai opportuna, considerato il carattere pervasivo ed espansivo, a livello economico, e la dimensione sovente transnazionale delle attività imprenditoriali da parte delle associazioni mafiose.

8.5. Va qui ricordato che il Prefetto, richiesto di rilasciare la documentazione antimafia, può emettere la comunicazione antimafia liberatoria, attestando che la stessa è stata emessa utilizzando il collegamento alla Banca dati, in due ipotesi.

a) quando non emerge, a carico dei soggetti censiti, la sussistenza di cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all’art. 67 (art. 88, comma 1: c.d. comunicazione de plano);

b) quando, emersa la sussistenza di una di dette cause ed effettuate le necessarie verifiche, di cui all’art. 88, comma 2, per accertare la «corrispondenza dei motivi ostativi emersi dalla consultazione della banca dati nazionale unica alla situazione aggiornata del soggetto sottoposto ad accertamenti», queste abbiano dato un esito negativo e non sussista più, nell’attualità, alcuna causa di decadenza, di sospensione o di divieto (art. 88, comma 1).

8.6. Nel corso di tali verifiche, quando emerga dalla Banca dati la presenza di provvedimenti definitivi di prevenzione, ai sensi dell’art. 67, comma 1, del d. lgs. n. 159 del 2011, o comunque di dati che, ai sensi del richiamato art. 98, impongano una necessaria attività di verifica nell’impossibilità di emettere la comunicazione antimafia de plano, il Prefetto può riscontrare la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa, in base all’art. 89-bis, ed emettere informazione antimafia, sostitutiva della comunicazione richiesta.

8.7. Ciò può verificarsi, ad esempio, quando il Prefetto, nell’eseguire il collegamento alla Banca dati e le verifiche di cui all’art. 88, comma 2, constati l’esistenza di «una documentazione antimafia interdittiva in corso di validità a carico dell’impresa», come ad esempio una pregressa informativa emessa in rapporto ad un contratto pubblico, secondo quanto prevede espressamente l’art. 24, comma 2, del d.P.C.M. n. 193 del 2014 (regolamento recante le modalità di funzionamento, tra l’altro, della Banca dati nazionale unica della documentazione antimafia, istituita ai sensi dell’art. 96 del d. lgs. n. 159 del 2011), o acquisisca dati risultanti da precedenti accessi in cantiere, ai sensi dell’art. 98, comma 2, o informazioni provenienti dall’estero, ai sensi dell’art. 98, comma 3.

8.8. L’istituzione della Banca dati nazionale unica, prevista dall’art. 2 della legge delega sopra ricordato e resa operativa con il d.P.C.M. n. 193 del 2014, consente ora al Ministero dell’Interno, e per esso ai Prefetti competenti, di monitorare, e di “mappare”, le imprese sull’intero territorio nazionale – o, addirittura, anche nelle loro attività svolte all’esterno – e nello svolgimento di qualsivoglia attività economica, che essa sia soggetta a comunicazione o a informazione antimafia, sicché l’autorità prefettizia, richiesta di emettere una comunicazione antimafia liberatoria, ben può venire a conoscenza, nel collegarsi alla Banca dati, che a carico dell’impresa sussista una informativa antimafia o ulteriori elementi di apprezzabile significatività, provvedendo ad emettere, ai sensi dell’art. 89-bis, comma 2, del d. lgs. n. 159 del 2011, una informativa antimafia in luogo della richiesta comunicazione.

8.9. E ciò perfettamente in linea con la richiamata previsione dell’art. 2, comma 1, lett. c) della legge delega che, giova ripeterlo, ha istituto una Banca dati nazionale unica della documentazione antimafia, testualmente, con «immediata efficacia delle informative antimafia negative su tutto il territorio nazionale» e «con riferimento a tutti i rapporti, anche già in essere, con la pubblica amministrazione, finalizzata all’accelerazione delle procedure di rilascio della medesima documentazione e al potenziamento dell’attività di prevenzione dei tentativi di infiltrazione mafiosa nell’attività di impresa».

9. Tale ultima finalità, chiaramente enunciata dal legislatore, pienamente giustifica, ad avviso di questo Consiglio, il potere prefettizio di emettere una informativa antimafia, ricorrendone i presupposti dell’art. 84, comma 4, e dell’art. 91, comma 6, del d. lgs. n. 159 del 2011 in luogo e con l’effetto della richiesta comunicazione antimafia.

9.1. Al riguardo questo stesso Consiglio di Stato, sez. I, nel parere n. 3088 del 17 novembre 2015 ha già evidenziato che «le perplessità di ordine sistematico e teleologico sollevate in ordine all’applicazione di tale disposizione anche alle ipotesi in cui non vi sia un rapporto contrattuale – appalti o concessioni – con la pubblica amministrazione non hanno ragion d’essere, posto che anche in ipotesi di attività soggette a mera autorizzazione l’esistenza di infiltrazioni mafiose inquina l’economia legale, altera il funzionamento della concorrenza e costituisce una minaccia per l’ordine e la sicurezza pubbliche».

9.2. La prevenzione contro l’inquinamento dell’economia legale ad opera della mafia ha costituito e costituisce, tuttora, una priorità per la legislazione del settore, che ha indotto il legislatore delegante e, di seguito, quello delegato, nelle previsioni originarie del codice delle leggi antimafia e dei successivi correttivi, ad estendere la portata delle informazioni antimafia anche ad ambiti tradizionalmente e precedentemente ad esse estranei.

9.3. Questo Collegio non ignora che, con l’ordinanza n. 2337 del 28 settembre 2016, il T.A.R. per la Sicilia, sezione staccata di Catania, ha rimesso alla Corte costituzione la questione di compatibilità dell’art. 89-bis del d. lgs. n. 159 del 2011 in relazione ad un presunto eccesso di delega ai sensi degli art. 76, 77, primo comma, e 3 della Cost.

9.4. Alla Corte competerà, ovviamente, decidere di tale delicata questione quanto al sollevato vizio inerente al presunto eccesso di delega.

9.5. Ritiene tuttavia questo Collegio che tale questione, anche al di là della sua manifesta infondatezza per le ragioni sopra vedute, sia comunque irrilevante nel presente giudizio, perché l’applicazione dell’informativa antimafia alle autorizzazioni si fonda sull’applicazione della stessa legge delega e di disposizioni del codice delle leggi antimafia anche diverse dal richiamato art. 89-bis, che pure costituisce indice significativo ed ulteriore riconferma, sul piano procedimentale, della innovativa impostazione del legislatore in questa materia.

10. Deve questo Collegio solo qui aggiungere, per completezza, che non ritiene che la nuova disciplina contrasti con gli artt. 3, 24, 27, comma secondo, 41 e 42 Cost.

10.1. Lo Stato non riconosce dignità e statuto di operatori economici, e non più soltanto nei rapporti con la pubblica amministrazione, a soggetti condizionati, controllati, infiltrati ed eterodiretti dalle associazioni mafiose.

10.2. Questa valutazione, che ha natura preventiva e non sanzionatoria ed è, dunque, avulsa da qualsivoglia logica penale o lato sensu punitiva (Cons. St., sez. III, 3 maggio 2013, n. 1743), costituisce un severo limite all’iniziativa economica privata, che tuttavia è giustificato dalla considerazione che il metodo mafioso, per sua stessa ragion di essere, costituisce un «danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana» (art. 41, comma secondo, Cost.), già sul piano dei rapporti tra privati (prima ancora che in quello con le pubbliche amministrazioni), oltre a porsi in contrasto, ovviamente, con l’utilità sociale, limite, quest’ultimo, allo stesso esercizio della proprietà privata.

10.3. Il metodo mafioso è e resta tale, per un essenziale principio di eguaglianza sostanziale prima ancora che di logica giuridica, non solo nelle contrattazioni con la pubblica amministrazione, ma anche tra privati, nello svolgimento della libera iniziativa economica.

10.4. Non si può ignorare, e la legislazione antimafia più recente non ha di certo ignorato, che tra economia pubblica ed economia privata sussista un intreccio tanto profondo, anche nell’attuale contesto di una economia globalizzata, che non è pensabile e possibile contrastare l’infiltrazione della mafia “imprenditrice” e i suoi interessi nell’una senza colpire anche gli altri e che tale distinzione, se poteva avere una giustificazione nella società meno complessa di cui la precedente legislazione antimafia era specchio, viene oggi a perdere ogni valore, ed efficacia deterrente, per entità economiche che, sostenute da ingenti risorse finanziarie di illecita origine ed agevolate, rispetto ad altri operatori, da modalità criminose ed omertose, entrino nel mercato con una aggressività tale da eliminare ogni concorrenza e, infine, da monopolizzarlo.

10.5. La tutela della trasparenza e della concorrenza, nel libero esercizio di una attività imprenditoriale rispettosa della sicurezza e della dignità umana, è un valore che deve essere preservato nell’economia sia pubblica che privata.

10.6. La stessa Corte di Giustizia UE, in riferimento alla prassi dei cc.dd. protocolli di legalità, ha ribadito di recente che «va riconosciuto agli Stati membri un certo potere discrezionale nell’adozione delle misure destinate a garantire il rispetto del principio della parità di trattamento e dell’obbligo di trasparenza, i quali si impongono alle amministrazioni aggiudicatrici in tutte le procedure di aggiudicazione di un appalto pubblico» poiché «il singolo Stato membro è nella posizione migliore per individuare, alla luce di considerazioni di ordine storico, giuridico, economico o sociale che gli sono proprie, le situazioni favorevoli alla comparsa di comportamenti in grado di provocare violazioni del rispetto del principio e dell’obbligo summenzionati» (Corte di Giustizia, sez. X, 22 ottobre 2015, in C-425/14).

10.7. Non a caso proprio per tali considerazioni di ordine storico, giuridico, economico e sociale peculiari del nostro ordinamento, come ha correttamente dedotto la Provincia appellante nel secondo motivo (pp. 9-12 del ricorso), la c.d. legge anticorruzione (l. n. 190 del 2012), nell’art. 1, commi 52 e 53, ha istituito la c.d. white list, con la creazione di appositi elenchi, presso le Prefetture, dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa per attività economiche particolarmente sensibili.

10.8. Ad esempio (e l’esempio è quanto mai appropriato, per quanto si dirà, nel caso di specie, che riguarda impresa operante nel territorio emiliano e non inserita nella c.d. white list), per il terremoto che ha colpito le province di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia e Rovigo il 20 e il 29 maggio 2012, l’art. 5-bis, comma 4, del d.l. n. 74 del 2012, inserito in sede di conversione dalla l. n. 122 del 1° agosto 2012, ha previsto che i controlli antimafia, relativi alle imprese iscritte in tali elenchi, si estendessero «sugli interventi di ricostruzione affidati da soggetti privati e finanziati con le erogazioni e le concessioni di provvidenze pubbliche».

10.9. Ulteriore conferma questa, laddove ve ne fosse bisogno, che la distinzione tra economia pubblica ed economia privata, in taluni settori – l’edilizia, lo smaltimento dei rifiuti, il traporto dei materiali in discarica, i noli a freddo, gli autotrasporti per conto terzi, la fornitura di ferro lavorato, il trasporto terra, etc. – è del tutto inidonea e inefficace a descrivere, e a circoscrivere, la vastità e la pervasività del pericolo mafioso in esame.

11. Se ne deve concludere, pertanto, che nell’attuale sistema della documentazione antimafia la suddivisione tra l’ambito applicativo delle comunicazioni antimafia e delle informazioni antimafia, codificata dal d. lgs. n. 159 del 2011, mantiene la sua attualità – del resto ribadita nel codice stesso – se e nella misura in cui essa non si risolva nella impermeabilità dei dati posti a fondamento delle une con quelli posti a fondamento delle altre, soprattutto dopo l’istituzione, in attuazione dell’art. 2 della legge delega, della Banca dati nazionale unica, che consente di avere una cognizione ad ampio spettro e aggiornata della posizione antimafia di una impresa.

11.1. E una simile impermeabilità e incomunicabilità tra i diversi settori economici e i relativi provvedimenti interdittivi, infatti, ha inteso evitare il legislatore con le più recenti modifiche del codice delle leggi antimafia.

11.2. Il Prefetto, pertanto, avrà l’obbligo di rilasciare le informazioni antimafia nelle ipotesi di cui all’art. 91, comma 1, del d. lgs. n. 159 del 2011 e avrà la facoltà, nelle ipotesi di verifiche, procedimentalizzate dall’art. 88, comma 2, e dall’art. 89-bis, di emettere una informativa antimafia, in luogo della richiesta comunicazione antimafia, tutte le volte in cui, nel collegamento alla Banca dati nazionale unica, emergano provvedimenti o dati che lo inducano a ritenere non possibile emettere una comunicazione liberatoria de plano, ma impongano più serie verifiche in ordine al pericolo di infiltrazione mafiosa.

11.3. Il sistema così delineato, che risponde a valori costituzionali ed europei di preminente interesse e di irrinunciabile tutela, non attenua le garanzie che la tradizionale ripartizione tra le comunicazioni e le informazioni antimafia prima assicurava, consentendo alle sole comunicazioni antimafia, emesse sulla base di un provvedimento di prevenzione definitivo adottato dal Tribunale con tutte le garanzie giurisdizionali, di precludere l’ottenimento di licenze, autorizzazioni o di qualsivoglia provvedimento, comunque denominato, per l’esercizio di attività imprenditoriali (art. 67, comma 1, lett. f) del d. lgs. n. 159 del 2011).

11.4. Il timore che, estendendo l’applicazione delle informative antimafia alle attività economiche soggette al regime autorizzatorio, si schiuda la via all’arbitrio dell’autorità prefettizia nella valutazione della permeabilità mafiosa e quindi anche nell’accesso alle attività economiche (solo) private, senza che tale valutazione sia assistita da preventive garanzie procedimentali o, comunque, dalle stesse garanzie delle misure di prevenzione emesse dal Tribunale, è del tutto infondato.

11.5. La valutazione prefettizia – questa Sezione deve ancora una volta e con più convinzione qui ribadirlo – deve fondarsi su elementi gravi, precisi e concordanti che, alla stregua della «logica del più probabile che non», consentano di ritenere razionalmente credibile il pericolo di infiltrazione mafiosa in base ad un complessivo, oggettivo, e sempre sindacabile in sede giurisdizionale, apprezzamento dei fatti nel loro valore sintomatico.

11.6. Gli elementi di inquinamento mafioso, ben lungi dal costituire un numerus clausus, assumono forme e caratteristiche diverse secondo i tempi, i luoghi e le persone e sfuggono, per l’insidiosa pervasività e mutevolezza, anzitutto sul piano sociale, del fenomeno mafioso, ad un preciso inquadramento (v., sul punto, la già richiamata sentenza di questo Cons. St., sez. III, 3 maggio 2016, n. 1743), ma essi devono pur sempre essere ricondotti ad una valutazione unitaria e complessiva, che imponga all’autorità e consenta al giudice di verificare la ragionevolezza o la logicità dell’apprezzamento discrezionale, costituente fulcro e fondamento dell’informativa, in ordine al serio rischio di condizionamento mafioso.

11.7. In tale senso il criterio civilistico del «più probabile che non», seguito costantemente dalla giurisprudenza di questo Consiglio, si pone quale regola, garanzia e, insieme, strumento di controllo, fondato anche su irrinunciabili dati dell’esperienza, della valutazione prefettizia e, in particolare, consente di verificare la correttezza dell’inferenza causale che da un insieme di fatti sintomatici, di apprezzabile significato indiziario, perviene alla ragionevole conclusione di permeabilità mafiosa, secondo una logica che nulla ha a che fare con le esigenze del diritto punitivo e del sistema sanzionatorio, laddove vige la regola della certezza al di là di ogni ragionevole dubbio per pervenire alla condanna penale.

11.8. Questa ultima regola, come è stato di recente chiarito, si palesa «consentanea alla garanzia fondamentale della “presunzione di non colpevolezza”, di cui all’art. 27 Cost. , comma 2, cui è ispirato anche il p. 2 del citato art. 6 CEDU», sicché è evidente come la vicenda in esame in alcun modo possa essere ricondotta nell’alveo del principio anzidetto, desunto dalla giurisprudenza di Strasburgo dall’art. 6 CEDU, in quanto «non attiene ad ipotesi di affermazione di responsabilità penale», è«estranea al perimetro delle garanzie innanzi ricordate» (v., in questi significativi termini, Cass., sez. I, 30 settembre 2016, n. 19430, per la responsabilità civile), ma riguarda la prevenzione amministrativa antimafia.

12. L’equilibrata ponderazione dei contrapposti valori costituzionali in gioco, la libertà di impresa, da un lato, e la tutela dei fondamentali beni che presidiano il principio di legalità sostanziale sopra richiamati, richiedono alla Prefettura un’attenta valutazione di tali elementi, che devono offrire un quadro chiaro, completo e convincente del pericolo di infiltrazione mafiosa, e a sua volta impongono al giudice amministrativo un altrettanto approfondito esame di tali elementi, singolarmente e nella loro intima connessione, per assicurare una tutela giurisdizionale piena ed effettiva contro ogni eventuale eccesso di potere da parte del Prefetto nell’esercizio di tale ampio, ma non indeterminato, potere discrezionale.

12.1. La delicatezza di tale ponderazione intesa a contrastare in via preventiva la minaccia insidiosa ed esiziale delle organizzazioni mafiose, richiesta all’autorità amministrativa, può comportare anche un’attenuazione, se non una eliminazione, del contraddittorio procedimentale, che del resto non è un valore assoluto, slegato dal doveroso contemperamento di esso con interessi di pari se non superiore rango costituzionale, né un bene in sé, o un fine supremo e ad ogni costo irrinunciabile, ma è un principio strumentale al buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.) e, in ultima analisi, al principio di legalità sostanziale (art. 3, comma secondo, Cost.), vero e più profondo fondamento del moderno diritto amministrativo.

12.2. E d’altro canto, occorre qui ricordare, il contraddittorio procedimentale non è del tutto assente nemmeno nelle procedure antimafia, se è vero che l’art. 93, comma 7, del d. lgs. n. 159 del 2011 «il prefetto competente al rilascio dell’informazione, ove lo ritenga utile, sulla base della documentazione e delle informazioni acquisite invita, in sede di audizione personale, i soggetti interessati a produrre, anche allegando elementi documentali, ogni informazione ritenuta utile».

12.3. Infine deve essere qui anche ribadito, come questa Sezione ha più volte chiarito, che il bilanciamento tra i valori costituzionali rilevanti in materia – l’esigenza, da un lato, di preservare i rapporti economici dalle infiltrazioni mafiose in attuazione del superiore principio di legalità sostanziale e, dall’altro, la libertà di impresa – trova nella previsione dell’aggiornamento, ai sensi dell’art. 91, comma 5, del d. lgs. n. 159 del 2011, un punto di equilibrio fondamentale e uno snodo della disciplina in materia, sia in senso favorevole che sfavorevole all’impresa, poiché impone all’autorità prefettizia di considerare i fatti nuovi, laddove sopravvenuti, o anche precedenti – se non noti – e consente all’impresa stessa di rappresentarli all’autorità stessa, laddove da questa non conosciuti (v., ex plurimis,Cons. St., sez. III, 5 ottobre 2016, n. 4121).

12.4. L’ordinamento positivo in materia, dalla legge-delega al cd. “Codice antimafia” sino alle più recenti integrazioni di quest’ultimo, ha voluto apprestare, per l’individuazione del pericolo di infiltrazione mafiosa nell’economia e nelle imprese, strumenti sempre più idonei e capaci di consentire valutazioni e accertamenti tanto variegati e adeguabili alle circostanze, quanto variabili e diversamente atteggiati sono i mezzi che le mafie usano per cercare di moltiplicare i loro illeciti profitti.

12.5. Nella ponderazione degli interessi in gioco, tra cui certo quello delle garanzie per l’interessato da una misura interdittiva è ben presente, non può pensarsi che gli organi dello Stato contrastino con “armi impari” la pervasiva diffusione delle organizzazioni mafiose che hanno, nei sistemi globalizzati, vaste reti di collegamento e profitti criminali quale “ragione sociale” per tendere al controllo di interi territori.

13. Per le complesse ragioni sin qui esposte deve essere, quindi, accolto l’appello principale proposto dalla Provincia di La Spezia, con conseguente riforma della sentenza impugnata, laddove erroneamente ha negato che le informative antimafia non possano inibire, secondo la legislazione vigente, provvedimenti a contenuto autorizzatorio.

14. Devono essere ora esaminati i motivi dell’appello incidentale, proposto da -OMISSIS-, che va in toto respinto alla luce delle argomentazioni sin qui esposte e di quelle, aggiuntive, che seguiranno.

15. Con il primo motivo (pp. 8-13 dell’appello incidentale) -OMISSIS- deduce e ribadisce che, sia per il valore che per il tipo di attività svolta nel Comune di Vezzano Ligure, in relazione alla quale è stata richiesta l’AUA, non doveva essere richiesta l’informazione antimafia.

15.1. Si tratterebbe, infatti e anzitutto, di lavorazione di ciottoli in marmo, nell’impianto di Lagoscuro, n. 84, e di frantumazione di marmo per la realizzazione di graniglie, in quello di via Lagoscuro, n. 123, che non rientrerebbero nella disciplina delle informazioni antimafia.

15.2. L’assunto è infondato, alla luce delle argomentazioni sopra svolte che qui, per obbligo si sintesi (art. 3, comma 2, c.p.a.), si richiamano, e certo non può essere corroborato dalla circostanza, irrilevante alla luce del chiaro dettato legislativo, che tuttora non sia stato emanato il regolamento di cui al sopra richiamato art. 91, comma 7, del d. lgs. n. 159 del 2011 (p. 12 dell’appello incidentale).

15.3. Sarebbe davvero contraddittoria con la descritta, crescente attenzione del legislatore alla penetrazione della mafia nei sistemi economici, una interpretazione – quale quella sostenuta nell’appello incidentale – che conduca alla paralisi applicativa delle norme primarie (in cui si fa riferimento all’art. 67 per indicare i provvedimenti diversi da contratto, subcontratto, concessione o erogazione) sino a quando il decreto interministeriale non sia stato adottato.

15.4. Sino a tale momento, infatti, proprio perché la conclusione adombrata dall’appellante incidentale contrasterebbe in pieno con la “ratio” del sistema, deve ritenersi che “tutti” gli atti indicati all’art. 91, comma 7 (e dunque “tutti” i provvedimenti ex art. 67) siano soggetti alle procedure che possono condurre a una misura interdittiva.

15.5. Non può, questo Consiglio, neppure immaginare che dalla inerzia governativa nella adozione del regolamento derivi un “periodo di franchigia” di cui si avvantaggino soggetti di cui si dimostri contiguità con organizzazioni mafiose.

15.6. Quanto poi al rapporto della concessione demaniale, relativo solo allo stabilimento di via Lagoscuro, n. 123, che non attingerebbe la soglia di € 150.000,00 prevista dall’art. 83, comma 3, lett. e), e quindi non sarebbe soggetto ai controlli antimafia, si deve qui ribadire che tale disposizione deve essere interpretata nel senso che non è obbligatorio, per le pubbliche amministrazioni, richiedere la documentazione antimafia anche per i provvedimenti, gli atti e contratti inferiori a tale soglia, e non nel senso che ad esse sia vietato farlo, con un esito paradossale che conduce, di fatto, alla impenetrabilità di tali atti ai controlli antimafia, che non corrisponde affatto all’intenzione del legislatore, come la consolidata giurisprudenza di questa Sezione da tempo ha chiarito (v., ex plurimis, Cons. St., sez. III, 20 luglio 2016, n. 3300).

16. È infondato anche il secondo motivo dell’appello incidentale (pp. 13-18), con il quale -OMISSIS- deduce che il primo giudice abbia errato nel ritenere inammissibile l’impugnazione del diniego di iscrizione nella c.d. white list del 3 luglio 2014 e delle comunicazioni ai sensi dell’art. 1-septies della l. n. 786 del 1982 perché prive di effetti inibitori in ordine al rilascio delle autorizzazioni ambientali richieste.

16.1. Il motivo va respinto perché, se è vero che detto diniego è richiamato nell’informativa, questa si fonda purtuttavia anche e soprattutto su di un autonomo, per quanto sintetico, apprezzamento dei fatti sintomatici dell’infiltrazione mafiosa, sicché la menzione di detto provvedimento nell’informativa non fa assumere ad esso alcuna rilevanza decisiva né alcuna autonoma lesività ai fini del presente giudizio, che riguarda il diniego dell’AUA fondato su autonomo provvedimento prefettizio a carattere interdittivo.

16.2. Di qui, come ha correttamente ritenuto il T.A.R. per l’Emilia Romagna, l’inammissibilità, per difetto di interesse, della impugnativa contro il diniego di iscrizione nella white list, peraltro non autonomamente impugnato a suo tempo da -OMISSIS- in riferimento al relativo procedimento, non potendo certo la menzione di esso nell’informativa qui gravata, al di là della sua irrilevanza ai fini che qui interessano, rimettere in termini l’odierna appellante incidentale, alla quale il diniego di iscrizione nella white list del 3 luglio 2014 era stato regolarmente notificato il 10 luglio 2014 senza che esso abbia provveduto ad impugnarlo, come emerge dalla nota della Prefettura di Reggio Emilia depositata dall’Avvocatura Generale dello Stato il 13 gennaio 2017.

17. Destituito di fondamento, infine, è anche il terzo motivo dell’appello incidentale (pp. 18-34), con il quale -OMISSIS-, lamentando che la sentenza abbia erroneamente dichiarato inammissibili per carenza di interesse i motivi dell’originario ricorso individuati rispettivamente sub 2), 3), 4) e 5), ed abbia omesso di esaminarli, li ha qui riproposti, chiedendone l’accoglimento in ragione della loro fondatezza, obliterata dal primo giudice.

17.1. Tali motivi, non esaminati dal primo giudice che ha, come visto, erroneamente accolto il primo motivo dell’originario ricorso, sono tutti infondati e vanno respinti.

17.2. Con essi, in sintesi, l’odierna appellante incidentale, deducendo plurime violazioni di parametri costituzionali e della legislazione in subiecta materia, lamenta l’insussistenza degli elementi che giustificherebbero, ai sensi dell’art. 84, comma 4, e dell’art. 91, comma 6, del d. lgs. n. 159 del 2011, la valutazione di permeabilità mafiosa di -OMISSIS- da parte del Prefetto.

17.3. Ma tali censure, alla luce della consolidata giurisprudenza della Sezione in questa materia, non possono qui trovare accoglimento.

17.4. L’informativa prot. n. 2225/14/Area I – Comunicazione del 21 gennaio 2015 qui impugnata, oltre ad evidenziare che l’impresa risulta gravata da provvedimento n. 1844/13 avente natura interdittiva antimafia di diniego di iscrizione nella c.d. white list, si fonda sulla considerazione che -OMISSIS-, titolare della impresa, è coniugata con -OMISSIS-, gravato da precedenti penali per violazioni in materia della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro nonché da rapporti di famiglia o contiguità con esponenti della malavita di stampo mafioso.

17.5. Né il rapporto di coniugio – al di là della circostanza, irrilevante, che i coniugi, residenti in Comuni diversi, avrebbero avviato le pratiche per separarsi (p. 24 dell’appello incidentale) – né l’esistenza di tali rapporti tra -OMISSIS- (e la sua famiglia) e la criminalità ‘ndranghetista, quali peraltro emergono, e in modo molto consistente, dal già menzionato provvedimento di diniego di iscrizione nella white list, sono stati efficacemente smentiti, nella loro indubbia oggettiva e pregnante rilevanza sintomatica, dall’odierna appellante incidentale, che si è limitata a censure generiche e, comunque, ininfluenti ai fini del decidere.

17.6. L’impressionante ed estesa rete di rapporti tra la famiglia -OMISSIS- di autotrasportatori residenti a -OMISSIS-, ritenuti molto vicini alla cosca di -OMISSIS-, con imprese già colpite da interdittive antimafia lascia ritenere, secondo la logica del “più probabile che non”, estremamente verosimile che anche -OMISSIS- rientri nell’orbita di tale regia familiare e sia riconducibile al centro di interessi facente capo alla famiglia -OMISSIS-, contigua ad ambienti di stampo mafioso di elevata pericolosità sociale.

17.7. Si tratta di elementi che, a differenza di quanto sostiene l’appellante incidentale che nemmeno, come detto, ha tempestivamente impugnato il precedente diniego di iscrizione nella white list, pienamente giustificano, ed anzi impongono, l’emissione di una informativa antimafia a carico di -OMISSIS-, orbitante nella galassia di imprese legate alla cosca di -OMISSIS-, infiltratasi nelle attività economiche dell’Emilia Romagna, anche in occasione della ricostruzione successiva agli eventi sismici del 2012.

18. Di qui, stante la solidità del grave quadro indiziario a carico di -OMISSIS- e dei soggetti che la gestiscono e controllano, la legittimità dell’informativa antimafia qui impugnata.

19. Ne segue, pertanto, la reiezione di tutte le censure proposte in primo grado e qui riproposte con il terzo motivo dell’appello incidentale, sia per vizi propri dell’informativa che per invalidità derivata dei provvedimenti consequenziali rispettivamente adottati dalla Provincia di La Spezia e dal Comune di Vezzano Ligure.

20. In conclusione deve essere accolto l’appello principale proposto dalla Provincia di La Spezia e respinto quello incidentale proposto da -OMISSIS-, sicché, in parziale riforma della sentenza impugnata (che ha correttamente dichiarato inammissibile l’impugnativa contro il diniego di iscrizione nella c.d. white list), va respinto nella sua interezza il ricorso proposto in primo grado da -OMISSIS- contro l’informativa antimafia adottata dalla Prefettura di Reggio Emilia il 21 gennaio 2015 e i consequenziali, vincolati, provvedimenti autorizzatori di segno negativo.

21. Le spese del doppio grado di giudizio, attesa la novità delle questioni qui trattate, possono essere interamente compensate tra le parti.

21.1. Rimane definitivamente a carico di -OMISSIS- il contributo unificato richiesto per la proposizione del ricorso in primo grado e dell’appello incidentale.

21.2. -OMISSIS-, attesa comunque la sua soccombenza sostanziale, deve essere condannata a rimborsare in favore della Provincia di La Spezia il contributo unificato effettivamente corrisposto per la proposizione dell’appello principale.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello principale, come proposto dalla Provincia di La Spezia, nonché sull’appello incidentale, come proposto da -OMISSIS-, accoglie il primo e respinge il secondo e per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, respinge integralmente il ricorso proposto in primo grado da -OMISSIS- contro l’informativa antimafia adottata il 12 gennaio 2015 dalla Prefettura di Reggio Emilia e conferma la legittimità sia di questa che dei provvedimenti consequenziali adottati dalla Provincia di La Spezia e dal Comune di Vezzano Ligure.

Compensa interamente tra le parti le spese del doppio grado del giudizio.

Pone definitivamente a carico di -OMISSIS- il contributo unificato corrisposto per la proposizione del ricorso in primo grado e dell’appello incidentale.

Condanna -OMISSIS- a rimborsare il contributo unificato richiesto per la proposizione dell’appello principale da parte della Provincia di La Spezia.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1, del d. lgs. n. 196 del 2003, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 26 gennaio 2017, con l’intervento dei magistrati:

Franco Frattini, Presidente

Francesco Bellomo, Consigliere

Manfredo Atzeni, Consigliere

Giulio Veltri, Consigliere

Massimiliano Noccelli, Consigliere, Estensore

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Massimiliano Noccelli Franco Frattini

IL SEGRETARIO

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