Il CdS su tracciabilità flussi finanziari e informativa antimafia

Il Consiglio di Stato, Sez. III, con la sentenza n. 781 del 21 febbraio 2017, si è pronunciato sulla legittimità della revoca di autorizzazione al subappalto da parte di un Comune e sui requisiti applicativi dell’informazione antimafia della Prefettura, nonché sull’accertamento delle violazioni degli obblighi di tracciabilità dei flussi finanziari.

Si legge dalla sentenza: “Il prefetto può desumere il tentativo di infiltrazione mafiosa da provvedimenti di condanna anche non definitiva per reati strumentali all’attività delle organizzazioni criminali unitamente a concreti elementi da cui risulti che l’attività d’impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata, nonché dall’accertamento delle violazioni degli obblighi di tracciabilità dei flussi finanziari di cui all’articolo 3 della legge 13 agosto 2010, n. 136, commesse con la condizione della reiterazione prevista dall’articolo 8-bis della legge 24 novembre 1981, n. 689. In tali casi, entro il termine di cui all’articolo 92, rilascia l’informazione antimafia interdittiva”.

Secondo i giudici di Palazzo Spada, richiamando la giurisprudenza dello stesso Giudice, l’istituto dell’informativa antimafia si basa su una logica di “anticipazione della soglia di difesa sociale”, che consente di emanare il provvedimento anche in presenza di “elementi sintomatici” di infiltrazioni e condizionamenti del crimine organizzato (cfr. Cons. di Stato, sez. III, 22 giugno 2016 n. 2774).

Si riporta di seguito il testo della sentenza.

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Pubblicato il 21/02/2017

N. 00781/2017 REG.PROV.COLL.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7558 del 2016, proposto da:
-OMISSIS-, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avvocato Valentino Capece Minutolo Del Sasso, con domicilio eletto presso lo studio Valentino Capece Minutolo in Roma, via dei Pontefici N. 3;

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro p.t.
U.T.G. – Prefettura di Caserta, in persona del legale rappresentante p.t.
rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale Dello Stato, domiciliata in Roma via dei Portoghesi 12;
Parco della Musica S.C.A.R.L. non costituito in giudizio;
Comune di Firenze non costituito in giudizio;

per l’annullamento ovvero riforma

della sentenza del TAR Campania sede di Napoli, sezione I 27 maggio 2016 n.2758, resa fra le parti, con la quale è stato respinto il ricorso proposto contro la determinazione dirigenziale 15 aprile 2015 n.2281 del Comune di Firenze e la nota 27 marzo 2015 n.17469 della Prefettura –UTG di Caserta, concernenti rispettivamente revoca di autorizzazione al subappalto e informazione antimafia;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno e dell’U.T.G. – Prefettura di Caserta;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 19 gennaio 2017 il Cons. Francesco Gambato Spisani e uditi per le parti gli avvocati Nico Panio su delega di Valentino Capece Minutolo Del Sasso e l’Avvocato dello Stato Wally Ferrante;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

La ricorrente appellante ha impugnato in primo grado con il ricorso principale il provvedimento del Comune di Firenze meglio indicato in epigrafe, con il quale si è vista revocare l’autorizzazione ad eseguire in subappalto taluni lavori affidati dal Comune alla Parco della Musica S.c.a r.l.; con lo stesso ricorso, ha impugnato anche la presupposta informativa antimafia della Prefettura di Caserta, non immediatamente conosciuta, ma richiamata nella motivazione del provvedimento comunale; una volta conosciuto il testo dell’informativa prefettizia ha poi contro di essa presentato motivi aggiunti.

Con la sentenza impugnata, il TAR ha respinto sia il ricorso principale, sia i motivi aggiunti. Nella sentenza, ha in primo luogo ritenuto accertata una serie di elementi di fatto, posti a fondamento dell’informativa prefettizia, ovvero l’esistenza di una serie di legami fra gli attuali amministratori della ricorrente appellante, meglio detto fra l’amministratore unico e il direttore tecnico, e certo -OMISSIS-, socio e proprietario di altra società, la -OMISSIS-, destinataria di altra informativa antimafia. In particolare, il TAR ha valorizzato un precedente di polizia del 9 gennaio 2015, per cui l’amministratore è stato controllato in compagnia di -OMISSIS-; la circostanza per cui sia l’amministratore, sia il direttore sono stati, il primo nel 2011 e il secondo nel 2011 e 2012, dipendenti della -OMISSIS- percependo le relative retribuzioni; infine la presenza nel capitale sociale della ricorrente appellante di certa -OMISSIS-, persona senza competenze in materia di edilizia, ma sorella di -OMISSIS-. In diritto, il TAR ha poi dichiarato inammissibili le ulteriori censure contenute nell’istanza cautelare notificata il 22 dicembre 2015 e nelle memorie finale e di replica, ritenendole motivi nuovi tardivi; ha parimenti dichiarato inammissibile perché generico il ricorso principale nella parte in cui esso è rivolto contro l’informativa prefettizia; nel merito, ha poi respinto sia il ricorso principale, nella residua parte proposta contro il provvedimento comunale, sia i motivi aggiunti, ritenendo che il provvedimento comunale fosse atto dovuto in presenza dell’informativa prefettizia e che quest’ultima fosse immune da vizi di illogicità, potendosi correttamente desumere un collegamento con la criminalità organizzata in base agli indizi descritti.

Ha proposto appello l’originaria ricorrente, con atto in cui chiede la riforma della sentenza impugnata sostenendo in sintesi:

– anzitutto, che il Giudice di primo grado avrebbe errato nel dichiarare inammissibili le censure ulteriori di cui si è detto, che avrebbero semplicemente meglio illustrato i motivi già formulati;

– in secondo luogo, che il Giudice di primo grado avrebbe errato anche nel dichiarare parzialmente inammissibile il ricorso principale, che avrebbe contenuto specifiche censure contro l’informativa prefettizia;

– infine, nel merito, ripropone i motivi respinti in primo grado e sostiene che l’informativa prefettizia sarebbe illegittima perché sostanzialmente immotivata. Evidenzia in particolare che -OMISSIS-, anche se destinatario di informativa antimafia relativamente alla sua società, sarebbe persona incensurata: il mero rapporto di frequentazione fra lui, da una parte, e l’amministratore e il direttore tecnico dall’altra, non integrerebbe allora alcune delle fattispecie di cui agli artt. 84 e 91 d. lgs. 6 settembre 2011 n°159; evidenzia poi che -OMISSIS- avrebbe ceduto la propria partecipazione.

Ha resistito all’appello l’amministrazione degli Interni, con memoria formale 21 ottobre 2016, e chiesto che esso sia respinto.

Con memoria 15 dicembre 2016 la ricorrente appellante ha insistito sulle proprie asserite ragioni; ha replicato l’amministrazione con memoria 29 dicembre 2016, in cui ha ribadito le precedenti conclusioni.

Alla udienza del giorno 19 gennaio 2017, la Sezione ha trattenuto il ricorso in decisione.

DIRITTO

1. L’appello è fondato e va accolto, per le ragioni di seguito esposte.

2. L’informativa antimafia impugnata si fonda, testualmente, sulla previsione degli artt. 84 comma 4 e 91 comma 6 del d. lgs. 6 settembre 2011 n.159, che si riportano per chiarezza.

3. Ai sensi della prima norma, “Le situazioni relative ai tentativi di infiltrazione mafiosa che danno luogo all’adozione dell’informazione antimafia interdittiva di cui al comma 3 sono desunte: a) dai provvedimenti che dispongono una misura cautelare o il giudizio, ovvero che recano una condanna anche non definitiva per taluni dei delitti di cui agli articoli 353, 353-bis, 629, 640-bis, 644, 648-bis, 648-ter del codice penale, dei delitti di cui all’articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale e di cui all’articolo 12-quinquies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306 convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356; b) dalla proposta o dal provvedimento di applicazione di taluna delle misure di prevenzione; c) salvo che ricorra l’esimente di cui all’articolo 4 della legge 24 novembre 1981, n. 689, dall’omessa denuncia all’autorità giudiziaria dei reati di cui agli articoli 317 e 629 del codice penale, aggravati ai sensi dell’articolo 7 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, da parte dei soggetti indicati nella lettera b) dell’articolo 38 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, anche in assenza nei loro confronti di un procedimento per l’applicazione di una misura di prevenzione o di una causa ostativa ivi previste; d) dagli accertamenti disposti dal prefetto anche avvalendosi dei poteri di accesso e di accertamento delegati dal Ministro dell’interno ai sensi del decreto-legge 6 settembre 1982, n. 629, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 ottobre 1982, n. 726, ovvero di quelli di cui all’articolo 93 del presente decreto; e) dagli accertamenti da effettuarsi in altra provincia a cura dei prefetti competenti su richiesta del prefetto procedente ai sensi della lettera d); f) dalle sostituzioni negli organi sociali, nella rappresentanza legale della società nonché nella titolarità delle imprese individuali ovvero delle quote societarie, effettuate da chiunque conviva stabilmente con i soggetti destinatari dei provvedimenti di cui alle lettere a) e b), con modalità che, per i tempi in cui vengono realizzati, il valore economico delle transazioni, il reddito dei soggetti coinvolti nonché le qualità professionali dei subentranti, denotino l’intento di eludere la normativa sulla documentazione antimafia

4. A sua volta, la seconda delle norme richiamate dispone che “Il prefetto può, altresì, desumere il tentativo di infiltrazione mafiosa da provvedimenti di condanna anche non definitiva per reati strumentali all’attività delle organizzazioni criminali unitamente a concreti elementi da cui risulti che l’attività d’impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata, nonché dall’accertamento delle violazioni degli obblighi di tracciabilità dei flussi finanziari di cui all’articolo 3 della legge 13 agosto 2010, n. 136, commesse con la condizione della reiterazione prevista dall’articolo 8-bis della legge 24 novembre 1981, n. 689. In tali casi, entro il termine di cui all’articolo 92, rilascia l’informazione antimafia interdittiva”.

5. Nel caso di specie, l’ipotesi che secondo logica rileva è quella prevista dalla seconda parte di quest’ultima norma: l’informativa per cui è causa è in ipotesi fondata su “elementi da cui risulti che l’attività di impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata”. In proposito, vanno quindi richiamati in sintesi i principi interpretativi fissati dalla giurisprudenza di questo Giudice.

6. Com’è noto, l’istituto dell’informativa antimafia si basa su una logica di “anticipazione della soglia di difesa sociale”, che consente di emanare il provvedimento anche a semplici “elementi sintomatici” di infiltrazioni e condizionamenti del crimine organizzato: così per tutte, da ultimo C.d.S. sez. III 22 giugno 2016 n.2774. Sussiste quindi in proposito una discrezionalità dell’amministrazione la quale, per quanto ampia, non è però senza limiti: deve essere esercitata sulla base non di meri sospetti, ma di specifici elementi di fatto, idonei a dimostrare un rischio di collegamenti con la criminalità organizzata in questione, elementi da considerare non isolatamente, ma nel quadro indiziario che nel loro complesso vanno a delineare: così espressamente C.d.S. sez. III 27 febbraio 2016 n.868.

7. Assumono poi potenziale rilievo per il caso di specie alcune situazioni frequentemente poste a fondamento della misura interdittiva. In primo luogo, è noto che in proposito possono rilevare i rapporti tra i soggetti che, in senso ampio, governano l’impresa e loro familiari che risultino organici, affiliati, organici o semplicemente contigui alle associazioni mafiose. In proposito, si è chiarito che il mero rapporto di parentela non è sufficiente -non essendo possibile affermare che il parente di un mafioso sia per ciò solo mafioso- ma occorre che esso si atteggi in modo tale da far pensare, anche solo in termini di maggior probabilità, che l’impresa sia gestita dal soggetto criminale mediante il contatto con il proprio congiunto (così C.d.S. sez. III 3 maggio 2016 n.1743).

8. In secondo luogo, possono rilevare anche rapporti non di parentela, ma di semplice frequentazione, fra gli stessi soggetti preposti all’impresa o da essa dipendenti e persone soggette a provvedimenti di carattere penale o a misure di prevenzione antimafia, quando si tratti di rapporti non dovuti al caso, ovvero ad una necessità di vita. Occorre in altre parole una “consapevolezza”, anche non tradotta in condotte penalmente rilevanti, dell’imprenditore di “frequentare soggetti mafiosi e di porsi su una pericolosa linea di confine tra legalità e illegalità”, come ritenuto sempre dalla citata C.d.S. 1743/2016.

9. In terzo luogo, possono rilevare vicende anomale di qualsiasi tipo nella struttura formale o nella concreta gestione dell’impresa, vicende spiegabili, anche qui semplicemente in una logica di maggiore probabilità, con “con la permeabilità mafiosa dell’impresa e il malcelato intento di dissimularla”, di cui è tipico esempio l’intestazione di quote sociali o l’attribuzione della carica di amministratore ad una cd. “testa di legno”: così ancora C.d.S. 1743/2016.

10. Si è in particolare ritenuta legittima l’adozione di un’informativa antimafia cd. a cascata, ovvero fondata soltanto su “legami associativi stabili” tra l’impresa colpita dall’informativa ostativa e quella gravata da un’interdittiva precedente e senza, quindi, diversi e ulteriori addebiti rivolti alla prima, nel momento in cui “la natura, la consistenza e i contenuti delle modalità di collaborazione tra le due imprese siano idonei a rivelare il carattere illecito dei legami stretti tra i due operatori economici”: così C.d.S. sez. III 22 giugno 2016 n.2774.

11. A questo punto, i principi sopra delineati vanno applicati al caso di specie. Prima di far ciò, è necessario chiarire che la questione, illustrata in premesse, della inammissibilità delle censure contenute nell’istanza cautelare notificata il 22 dicembre 2015 e nelle memorie finale e di replica del primo grado, inammissibilità ritenuta dalla sentenza impugnata e contestata in questa sede, risulta non rilevante ai fini del decidere. Infatti, il ricorso principale e i motivi aggiunti di primo grado, i cui contenuti sono riproposti nell’appello, contengono già il nucleo essenziale delle difese della ricorrente appellante, la quale in sintesi estrema contesta che la motivazione dell’atto impugnato sia congrua, e ritiene irrilevanti gli elementi in essa contenuti, che nei motivi aggiunti puntualmente enumera.

12. In tal senso, la prospettazione della ricorrente appellante va condivisa. Come detto in premesse, gli elementi posti a carico della stessa sono essenzialmente due. In primo luogo, vi è la circostanza che l’amministratore e il direttore tecnico della stessa siano stati a suo tempo dipendenti dell’impresa del citato -OMISSIS-, con il quale hanno mantenuto un qualche rapporto, nel senso che in epoca successiva l’amministratore è stato controllato una volta assieme a lui. Inoltre, la circostanza che la sorella di -OMISSIS- risultasse socia dell’impresa del ricorrente appellante.

13. In proposito, ritiene però il Collegio che il quadro indiziario così delineato sia troppo labile per giustificare l’adozione dell’informativa. E’ infatti vero quanto correttamente evidenzia la difesa della ricorrente appellante, ovvero che -OMISSIS- è persona incensurata, è certamente titolare di una società per conto suo assoggettata a interdittiva, ma non risulta personalmente affiliato o contiguo al crimine organizzato, e lo stesso va detto di sua sorella.

14. Con specifico riguardo ad -OMISSIS-, va poi detto che i rapporti fra lei e il fratello non risultano specificamente descritti, unico elemento offerto è la residenza nella stessa via a due numeri civici diversi, e che la stessa (doc. 3 in primo grado ricorrente appellante, riferito all’elenco allegato alla domanda cautelare notificata il 22 dicembre 2015, visura CCIAA) è uscita dalla compagine sociale della ricorrente appellante: sull’eventuale carattere fraudolento di questa cessione, in astratto anche ipotizzabile, ma non dedotto, nulla si dice.

15. In tali termini, ritenere legittima l’informativa impugnata integrerebbe un caso particolare di informativa “a cascata”, fondato appunto sul semplice rapporto dei titolari con il titolare di società raggiunta per suo conto da similare interdittiva. Mancherebbero però nel caso di specie i rapporti di affari in qualche modo significativi fra le due imprese, dovendosi notare che l’impresa ricorrente appellante risulta aver incominciato l’attività dopo che l’amministratore ed il direttore tecnico cessarono di essere dipendenti della società di -OMISSIS-, e che ulteriori rapporti di affari non sono documentati.

16. Per sola completezza, dalla lettura delle relazioni allegate all’interdittiva impugnata, emerge un ulteriore elemento non espressamente richiamato nei “considerato” della motivazione, ovvero che la ricorrente appellante ha concluso con altro soggetto, nel 2013, un acquisto di ramo di azienda. La nota, atto 18 marzo 2015 del Comando CC di Caserta, non dice però che questa persona sia in qualche modo legata alla famiglia -OMISSIS-, e dà atto soltanto che egli è fratello, ma non convivente, di persona destinataria di informativa antimafia. Si tratta quindi di elemento che nulla aggiunge, anche volendolo ritenere parte della motivazione, a quanto si è detto.

17. In conclusione, l’appello va accolto e vanno annullati gli atti impugnati in primo grado, salvo e impregiudicato il potere dell’amministrazione di riesaminare la fattispecie con istruttoria ulteriore.

18. Le spese di entrambi i gradi si possono compensare.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto (ricorso n.7558/2016 R.G.), lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, annulla i provvedimenti impugnati in primo grado. Spese di entrambi i gradi compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le parti e gli altri soggetti menzionati in sentenza.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 gennaio 2017 con l’intervento dei magistrati:

Lanfranco Balucani, Presidente

Raffaele Greco, Consigliere

Lydia Ada Orsola Spiezia, Consigliere

Luca Lamberti, Consigliere

Francesco Gambato Spisani, Consigliere, Estensore

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Francesco Gambato Spisani Lanfranco Balucani

IL SEGRETARIO

Redazione

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