Il TAR Toscana, Sez. III, con l’ordinanza n. 667 dell’11 maggio 2017, ha rimesso la questione di legittimità costituzionale dell’art. 19, comma 6-ter, della Legge n. 241/1990, nella parte in cui non vi è alcuna indicazione di un termine con il quale soggetti terzi possano sollecitare il controllo della SCIA.
Si legge dall’ordinanza: “Ad avviso del Collegio, l’assoluta illogicità e sproporzione del meccanismo di tutela sine die apprestato dall’art. 19 comma 6-ter alla posizione del soggetto leso dall’altrui SCIA nonché, in definitiva, un’illegittima compressione dei livelli essenziali delle prestazioni riconosciute al segnalante dalla norma nazionale. Alla luce di quanto sopra, dunque, il precetto normativo censurato risulta palesemente incostituzionale. Alla luce delle considerazioni che precedono il Collegio ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 19, comma 6 ter, l. n. 241/90, nella parte in cui non prevede un termine per la sollecitazione da parte del terzo delle verifiche sulla SCIA, per contrasto con gli artt. 3, 11, 97, 117, co. 1 Cost., in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 alla CEDU ed all’art. 6, paragrafo 3, del Trattato UE, e 117 comma 2 lett. m) Cost. Dispone quindi la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la decisione della suddetta questione, sospendendo nelle more il presente giudizio”.
Tale scelta di sollevare alla Consulta la questione di illegittimità costituzionale è motivata dal fatto che la mancata previsione di tali termini è idonea a vanificare del tutto la prestazione somministrata dallo Stato al cittadino sotto forma di semplificazione delle procedure abilitative per lo svolgimento di attività (come quella edilizia) non liberalizzate. Se in teoria infatti la semplificazione dovrebbe consentire di raggiungere il medesimo risultato (assentimento dell’iniziativa privata) con un iter amministrativo più snello di quello ordinario, l’attuale disciplina della SCIA risulta contraddittoria con tali finalità: da un lato invero, essa non assicura sempre una riduzione dell’attività burocratica (poiché il procedimento di verifica dei presupposti della segnalazione può essere avviato più volte a fronte di plurime istanze di soggetti controinteressati); e, d’altro lato, tale disciplina non conduce mai ad una regolamentazione definitiva degli interessi contrapposti nella vicenda amministrativa, residuando sempre un potere-dovere dell’Amministrazione di rimettere in discussione la legittimità originaria dell’intervento segnalato, ogniqualvolta essa riceva una domanda di intervento da parte di un terzo.
Si riporta di seguito il testo dell’ordinanza.
***
Pubblicato il 11/05/2017
N. 00667/2017 REG.PROV.COLL.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 1400 del 2016, proposto da:
Patrizia Mugnaioni, rappresentata e difesa dall’avvocato Flavia Pozzolini, con domicilio eletto presso il suo studio in Firenze, via XX Settembre, n. 60;
contro
Comune di Campi Bisenzio, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Giovanni Genta, con domicilio eletto presso il suo studio in Firenze, via dei della Robbia, n. 66;
nei confronti di
Emanuele Campani, rappresentato e difeso dagli avvocati Leonardo Bianchini, Francesco Bacci, con domicilio eletto presso lo studio Leonardo Bianchini in Firenze, viale Spartaco Lavagnini, n. 42;
per l’accertamento
– (in tesi): della inefficacia della SCIA presentata dal sig. Emanuele Campani al Comune di Campi Bisenzio in data 6 dicembre 2012;
– (in ipotesi): della illegittimità dell’intervento edilizio di cui alla suddetta SCIA quanto alla prevista apertura di finestra;
– (in ulteriore ipotesi): dell’obbligo del Comune di Campi Bisenzio di pronunciarsi espressamente sull’istanza di verifica presentata dalla ricorrente in data 14.9.2016, nonché sulle precedenti istanze indicate in atti.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Campi Bisenzio e di Emanuele Campani;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 28 marzo 2017 il dott. Riccardo Giani e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
1 – Con ricorso notificato in data 23.10.2016 e depositato il successivo 2.11.2016, la sig.ra Patrizia Mugnaioni è insorta avverso il silenzio serbato dal Comune di Campi Bisenzio sull’istanza di inibitoria da essa presentata in data 14 settembre 2016 avverso la SCIA del 6.12.2012, con cui il sig. Emanuele Campani ha comunicato al suddetto ente l’intenzione di procedere a lavori di manutenzione straordinaria (tra cui l’apertura di una finestra) sull’immobile in cui è compresa (anche) l’abitazione della ricorrente.
1.1 – Più in particolare la SCIA edilizia per cui è causa ha ad oggetto la realizzazione di alcune “opere interne ed esterne di manutenzione straordinaria” in un fabbricato terratetto, facente parte di un più ampio complesso immobiliare, poi divenuto condominio, sito in Campi Bisenzio, alla Via degli Allori, n. 79. In particolare, gli interventi progettati dal segnalante consistono: nell’apertura di una finestra a servizio di camera da letto posta al piano primo dell’edificio; nella demolizione di un tramezzo interno del sottoscala; nella diversa conformazione dei gradini di accesso all’abitazione; ed, infine, nella copertura dell’ingresso con una tettoia di modeste dimensioni. Di queste opere, è stata portata a compimento soltanto la finestra, posto che, a seguito dell’istanza rivolta dall’assemblea del condominio di Via degli Allori al Comune di Campi Bisenzio, e diretta a conseguire la sospensione dei predetti lavori per asserito contrasto dei medesimi con l’art. 3 del regolamento condominiale, l’Ente, con ordinanza n. 4 del 14 gennaio 2013, ne ha disposto l’immediata sospensione.
1.2 – In data 12 novembre 2015 la sig.ra Mugnaioni ha inviato all’amministrazione una richiesta di “parere sulla legittimità degli atti e delle procedure promosse con la SCIA” della quale si discute, cui – in assenza di risposta da parte del Comune – è seguito un primo sollecito del 16 dicembre 2015, poi reiterato il 12 aprile 2016. Tutte e tre le richieste sono rimaste inevase, cosicché la Sig.ra Patrizia Mugnaioni, con nota del 23 giugno 2016, ha dapprima invitato l’amministrazione ad accertare l’inefficacia della SCIA presentata dal Sig. Emanuele Campani e ad adottare tutti i conseguenti provvedimenti sanzionatori diretti alla rimessa in pristino dell’edificio e poi, con ulteriore istanza del 14 settembre 2016, proposta ai sensi dell’art. 19, comma 6 ter, della L. 241/1990, ha nuovamente sollecitato l’Ente a svolgere le verifiche ad esso spettanti. Il silenzio serbato dall’amministrazione anche su tale ultima istanza ha condotto alla proposizione da parte della Sig.ra Patrizia Mugnaioni del ricorso in esame, proposto ai sensi dell’art. 31 c.p.a.
1.3 – Nello specifico la sig.ra Mugnaioni rileva che la suddetta SCIA è stata presentata dal sig. Campani senza previa acquisizione del nullaosta previsto dall’art. 3.2. del regolamento edilizio comunale per gli interventi su immobili di interesse “documentale” ai sensi del d.lgs. 490/1999 – quale sarebbe l’edificio de quo – con conseguente inefficacia della segnalazione ai sensi dell’art. 84 l. r. 1/2005. Essa censura, inoltre, il contrasto con l’art. 3.2.2. del suddetto regolamento, poiché quest’ultimo stabilisce che su immobili del tipo in questione siano eseguibili soltanto interventi ripristinatori di aperture preesistenti, mentre il sig. Campani ha realizzato ex novo una finestra. In via preventiva rispetto a possibili eccezioni, la ricorrente ha evidenziato che il gravame dalla stessa proposto risulterebbe tempestivo, poiché l’art. 19 comma 6 ter l. n. 241/90, non prevedendo alcun termine per la proposizione dell’istanza di inibitoria di una SCIA da parte del terzo controinteressato, consentirebbe a quest’ultimo di sollecitare l’intervento repressivo dell’Amministrazione nonché – ove questa non provveda – di proporre l’azione di cui all’art. 31 c.p.a. senza alcun limite di tempo (ad eccezione dell’ordinario termine di prescrizione decennale). A fronte delle suesposte argomentazioni, la sig.ra Mugnaioni ha concluso affinché l’adito Tribunale Amministrativo:
a) in tesi, accerti e dichiari «che la SCIA presentata dal sig. Emanuele Campani al Comune di Campi Bisenzio in data 6 dicembre 2012 è inefficace» e per l’effetto accerti e dichiari «l’obbligo del Comune di Campi Bisenzio di adottare i provvedimenti necessari a sanzionare le opere eseguite in assenza di titolo abilitativo»;
b) in ipotesi, accerti e dichiari «che l’intervento di cui alla SCIA presentata dal sig. Emanuele Campani…è illegittimo quanto alla apertura della finestra» e, per l’effetto, accerti e dichiari «l’obbligo del Comune di Campi Bisenzio di adottare i provvedimenti necessari a sanzionare detto abuso mediante chiusura della finestra suddetta»;
c) in ulteriore ipotesi, dichiari «l’obbligo del Comune di Campi Bisenzio di pronunciarsi espressamente sull’istanza di verifica presentata dalla ricorrente in data 14 settembre 2016, nonché sulle precedenti istanze presentate in atti».
1.4 – Si sono costituti in giudizio, per resistere al ricorso, il Comune di Campi Bisenzio e il controinteressato, che hanno eccepito la tardività del gravame, per tardiva sollecitazione dei poteri inibitori da parte del terzo, la inammissibilità delle azioni di accertamento e, per quanto concerne l’Amministrazione resistente, anche la inammissibilità del ricorso per carenza di legittimazione di parte ricorrente.
1.5 – Con ordinanza n. 141 del 2017 la Sezione ha evidenziato che con il presente ricorso parte ricorrente ha invero proposto una pluralità di azioni, volte sia all’accertamento della inefficacia della SCIA presentata dal controinteressato, sia all’accertamento della illegittimità dell’intervento edilizio segnalato, sia, infine, all’accertamento della sussistenza dell’obbligo dell’Amministrazione di pronunciarsi sull’istanza di verifica presentata dalla ricorrente in relazione alla SCIA medesima, concludendo che solo l’ultima azione fosse trattabile con il rito camerale di cui all’art. 31 c.p.a. e che fosse quindi necessario, ai sensi dell’art. 32 c.p.a., disporre la congiunta trattazione delle più domande proposte con rito ordinario, a tal uopo fissando l’udienza pubblica a ciò deputata.
1.6 – In esito alla svolta udienza pubblica, con sentenza non definitiva n. 618 del 2017 il Collegio: a) ha esaminato e respinto l’eccezione di inammissibilità dell’intero gravame per difetto di legittimazione attiva, evidenziando come nella specie sussistano i presupposti della c.d. vicinitas, quale peculiare fattore di legittimazione all’azione giurisdizionale amministrativa, in forza del quale chi si trova in un rapporto di contiguità spaziale con un particolare luogo può contestare i provvedimenti che in concreto autorizzino la realizzazione di opere o impianti atti ad incidere sulla sua configurazione; b) ha esaminato e dichiarato inammissibili le due prime azioni di accertamento dispiegate dalla ricorrente nell’atto introduttivo del giudizio, stante il chiaro disposto dell’art. 19, comma 6 ter, l. n. 241/90 a mente del quale “gli interessati possono sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l’azione di cui all’art. 31, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104”, con l’effetto che l’unica azione esperibile dal terzo è l’azione sul silenzio di cui all’art. 31 c.p.a.; c) ha avviato lo scrutinio dell’azione di cui all’art. 31 c.p.a., proposta in via di ulteriore ipotesi dalla sig.ra Mugnaioni, esaminando l’eccezione di tardività della sollecitazione da parte del terzo del potere inibitorio della p.a.; nella suddetta sentenza non definitiva la Sezione è giunta alla conclusione che l’art. 19 l. n. 241/90 non indichi un termine entro il quale il terzo è chiamato, a pena di decadenza, a sollecitare le verifiche amministrative relative alla SCIA presentata e che un simile termine non sia ricavabile dal sistema, giacché i termini di cui all’art. 29 e 31 c.p.a., evocati dalle parti resistenti, hanno natura affatto diversa e non sono quindi richiamabili in via analogica per coprire il segnalato vuoto normativo; la Sezione ha quindi evidenziato che tutto ciò porterebbe al risultato di ritenere infondata l’eccezione di tardività formulata dai resistenti, per mancanza di un termine legale sul quale parametrare la tempestività o meno della sollecitazione del potere di verifica effettuata dalla ricorrente; tuttavia la Sezione medesima ha infine posto in evidenza come l’evocato art. 19, comma 6 ter, l. n. 241/90, nella misura in cui non prevede un termine entro il quale il terzo è legittimato ad esercitare il potere sollecitatorio delle verifiche amministrative previsto dalla stessa disposizione, risulti in contrasto con le disposizioni costituzionali di cui agli artt. 11, 117, comma 1°, 3, 97, 117, comma 2°, lett. m) Cost., anticipando che con separata ordinanza avrebbe provveduto a rimettere la evidenziata questione di legittimità costituzionale alla Corte costituzionale.
2 – E’ necessario richiamare, preliminarmente, l’insieme delle norme attualmente regolanti l’istituto della SCIA e quindi ripercorrere i passaggi fondamentali dell’evoluzione giurisprudenziale riguardante la tutela del terzo controinteressato rispetto all’attività oggetto di segnalazione.
3 – Com’è noto, l’art. 19 della l. n. 241/1990 consente al privato di avviare, mediante semplice SCIA, l’esercizio di un’attività che dipende «esclusivamente dall’accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale» e per la quale «non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale» (comma 1).
Ai sensi di tale norma, l’attività oggetto di SCIA «può essere iniziata…dalla data della presentazione della segnalazione all’amministrazione competente» (comma 2), salvo il potere di quest’ultima di verificare successivamente l’effettiva sussistenza dei presupposti per lo svolgimento dell’attività medesima.
A tal proposito, l’art. 19, comma 3 (come modificato dalla l. n. 124/2015) prevede che, in caso di accertata carenza dei suddetti presupposti, l’Amministrazione possa adottare «motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi» nonché – ove possibili – provvedimenti diretti alla conformazione dell’attività ai requisiti di legge, purché proceda in tal senso entro sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione certificata del privato (comma 3) ovvero trenta giorni «nei casi di SCIA in materia edilizia» (comma 6-bis, introdotto dall’art. 5, co. 2, lett. b del D.L. n. 70/2011).
Viceversa, una volta decorsi i suddetti termini, «l’amministrazione competente adotta comunque i provvedimenti previsti dal medesimo comma 3 (ma in tal caso) alle condizioni previste dall’articolo 21-nonies», che – com’è noto – disciplina il potere di annullamento in autotutela dei provvedimenti illegittimi (cfr. art. 19, comma 4).
4 – Le sopra citate norme fissano i tratti significativi del potere di verifica ufficioso spettante all’amministrazione a seguito della presentazione di una SCIA. Da esse si evince, in particolare, che tale potere assume natura diversa a seconda che venga esercitato prima o dopo il decorso dei suddetti termini di sessanta o trenta giorni.
Invero, nel primo caso, l’amministrazione è tenuta semplicemente ad accertare la sussistenza o meno dei presupposti di legge per lo svolgimento dell’attività segnalata e, pertanto, i poteri repressivi ad essa spettanti sulla SCIA assumono carattere doveroso e vincolato.
Viceversa, una volta scaduti i suddetti termini, il potere dell’amministrazione di inibire gli effetti della SCIA resta soggetto agli stessi presupposti previsti dalla legge per l’annullamento d’ufficio, tra cui – com’è noto – rientra l’obbligo di previa valutazione delle «ragioni di interesse pubblico» giustificative del provvedimento repressivo. Ne deriva che, in quest’ultimo caso, il potere dell’amministrazione di interdire la prosecuzione dell’attività segnalata ha natura discrezionale e non doverosa.
5 – In tale quadro, si inserisce il tema della tutela del terzo pregiudicato dall’intervento oggetto di SCIA, il quale ha costituito oggetto di un serrato dibattito giurisprudenziale negli anni che hanno preceduto l’emanazione del d.l. n. 138/2011.
5.1 – Invero, ancor prima dell’introduzione (ad opera di tale decreto legge) del comma 6 ter dell’art. 19 – il quale ha espressamente disciplinato il potere di reazione del terzo a fronte di una SCIA ritenuta illegittima – la giurisprudenza era suddivisa in più orientamenti.
Il primo, assumendo che il mancato esercizio del potere di verifica dell’Amministrazione desse luogo ad un provvedimento tacito di assenso all’attività segnalata, riteneva che il terzo leso da tale attività potesse esercitare l’ordinaria azione di annullamento avverso il suddetto titolo tacito (Cons. Stato, Sez. IV, 25.11.2008, n. 5811; id., 29.7.2008, n. 3742; id., 12.9.2007, n. 4828: Cons. Stato, Sez. VI, 5.4.2007, n. 1550).
Un secondo orientamento stabiliva che il terzo pregiudicato da una SCIA dovesse proporre un’azione di accertamento negativo dei presupposti dell’attività segnalata. Azione che – in caso di accoglimento – avrebbe obbligato l’Amministrazione a conformarsi ai contenuti della pronuncia giudiziale nel successivo esercizio dei poteri repressivi (Cons. St., sez. VI, 9 marzo 2009, n. 717; Con. Stato, Sez. VI, 15.4.2010, n. 2139; Cons. St., sez. IV, 12 novembre 2015, n. 5161).
Infine, un’ulteriore filone giurisprudenziale reputava che lo strumento appropriato per assicurare protezione giuridica al terzo fosse l’azione (originariamente disciplinata dall’art. 21-bis della l. n. 1034/1971, ossia quella) avverso il silenzio serbato dall’amministrazione nel procedimento di verifica ufficiosa dei presupposti della SCIA. Azione che, qualora accolta dal giudice dopo la scadenza dei termini di cui all’art. 19 comma 3, avrebbe comportato – secondo certe pronunce – la condanna dell’Amministrazione ad esercitare il potere inibitorio avente carattere doveroso e vincolato (Cons. Stato, Sez. V, 22.2.2007, n. 948); viceversa – secondo altri arresti – l’ordine all’amministrazione stessa di attivare l’autotutela decisoria (avente invece contenuto discrezionale: Cons. Stato, Sez. IV, 4.9.2002, n. 4453).
5.2 – I suesposti contrasti giurisprudenziali sono stati in parte (e solo temporaneamente) sanati dalla sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato del 29.7.2011, n. 15, la quale ha stabilito:
a) che la scadenza dei termini di cui all’art. 19 commi 3 e 6 bis, senza che l’amministrazione abbia esercitato i poteri inibitori di cui alle medesime norme, dà luogo alla formazione di una determinazione tacita di conclusione negativa dell’accertamento in ordine ad eventuali vizi della segnalazione nonché di diniego di esercizio delle suddette potestà repressive; con conseguente onere per il terzo controinteressato di proporre avverso tale provvedimento l’azione di annullamento entro l’ordinario termine decadenziale, termine che, secondo la Plenaria, decorre dalla data di acquisita conoscenza, da parte del terzo medesimo, dell’iniziativa per lui pregiudizievole;
b) che il controinteressato che abbia impugnato il silenzio negativo, benché siano scaduti i termini per l’adozione dei suddetti provvedimenti inibitori, ha comunque diritto «ad ottenere una pronuncia che impedisca lo svolgimento di un’attività illegittima mediante un precetto giudiziario puntuale e vincolante che non subisca l’intermediazione aleatoria dell’esercizio di un potere discrezionale»; perciò egli può sempre proporre, congiuntamente all’azione di annullamento del diniego tacito, la c.d. azione di adempimento, tesa ad ottenere una pronuncia che imponga all’amministrazione l’adozione del negato provvedimento inibitorio ove non vi siano spazi per la regolarizzazione della denuncia ai sensi del comma 3 dell’art. 19 della legge n. 241/1990»;
c) infine che, nelle more della formazione del titolo tacito, il terzo che abbia avuto conoscenza dell’iniziativa segnalata può proporre un’azione di accertamento autonoma in ordine alla legittimità o meno della SCIA (azione suscettibile di conversione automatica in mezzo impugnatorio in caso di emanazione dell’atto conclusivo del procedimento di verifica) nonché, congiuntamente a tale azione, chiedere la tutela interinale di cui agli artt. 55 e 61 c.p.a.
5.3 – Gli assunti fatti propri dall’autorevole arresto giurisprudenziale richiamato sono stati (pressoché immediatamente) superati con l’introduzione (ad opera dell’art. 6, comma 1, lett. c del D.L. n. 138/2011) del comma 6 ter dell’art. 19, l. n. 241/1990, il quale disciplina espressamente gli strumenti di tutela del terzo a fronte della segnalazione di un’attività privata per esso lesiva.
Tale norma ha anzitutto previsto che «la segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili».
In secondo luogo, il citato comma 6 ter ha precisato che, al fine di contestare la sussistenza dei presupposti dell’attività segnalata da altro soggetto, il terzo ha facoltà:
a) di «sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione»;
b) di «esperire – in caso di inerzia di quest’ultima – esclusivamente l’azione di cui all’art. 31, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104».
In altri termini, il nuovo testo dell’art. 19, comma 6 ter obbliga il privato che intenda contrastare l’attività oggetto di SCIA a sollecitare in via amministrativa l’intervento repressivo dell’Ente pubblico e, in caso di mancata risposta di quest’ultimo, a ricorrere in sede giurisdizionale avverso il silenzio dallo stesso serbato.
La citata previsione esclude quindi radicalmente l’ammissibilità – nell’attuale quadro normativo – degli strumenti di tutela a suo tempo riconosciuti dalla sentenza n. 15/2011 dell’Adunanza Plenaria al soggetto pregiudicato dall’altrui segnalazione.
Tanto si evince, in primo luogo, dall’affermazione per cui «la segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili». Ciò che, evidentemente, nel nuovo contesto disciplinare, manifesta l’intento del legislatore di escludere che l’inerzia dell’Amministrazione nell’attività di verifica abbia il valore di silenzio significativo e, conseguentemente, di espungere l’azione di annullamento dal quadro delle tutele spettanti al terzo avverso l’altrui segnalazione certificata.
In secondo luogo, la suddetta norma precisa che la tutela del controinteressato può essere realizzata «esclusivamente» mediante l’azione avverso il silenzio, ciò che evidentemente rende inammissibili le azioni di accertamento autonome che la sentenza n. 15/2011 consentiva al terzo di esperire nella fase compresa fra la presentazione dell’altrui SCIA e la scadenza dei termini per l’inibitoria ufficiosa.
Ne deriva che l’unico strumento di reazione processuale spettante al terzo in virtù della nuova disposizione è l’azione avverso il silenzio.
6 – L’esposta scelta legislativa impone di stabilire se il potere sollecitato con l’azione avverso il silenzio (proposta dopo il decorso dei termini di cui all’art. 19 commi 3 e 6 bis) sia quello inibitorio ovvero quello di autotutela. Rileva il Collegio come il citato comma 6 ter pare aver (implicitamente) superato le incertezze a suo tempo messe in luce dalla giurisprudenza sotto tale profilo, poiché la formulazione della norma rende evidente che il potere stimolato dal controinteressato mediante il ricorso ex art. 31 c.p.a. è quello inibitorio (avente natura doverosa e vincolata) e non quello di autotutela, caratterizzato invece da alto tasso di discrezionalità. In tal senso depongono molteplici elementi logici e testuali.
6.1 – Il primo di essi è certamente costituito dalla previsione secondo cui il terzo, prima di promuovere l’eventuale ricorso avverso il silenzio, è tenuto a «sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione». Da tale prescrizione si desume infatti che il controinteressato ha onere di attivare un procedimento di verifica dei presupposti della SCIA separato ed autonomo rispetto a quello ufficioso disciplinato dal comma 3 dell’art. 19 (cfr. TAR Campania, Napoli, Sez. VII, 23.10.2015, n. 4998). Dal che deriva, all’evidenza, che il regime dettato dal comma 4 – secondo cui il potere repressivo ufficioso dell’amministrazione degrada in autotutela dopo il decorso dei termini di cui al comma 3 – non è applicabile alla procedura di controllo avviata su istanza del terzo. Al contrario, nell’ambito di tale procedura, l’amministrazione esercita (solo) le proprie potestà inibitorie.
6.2 – Nel senso che il terzo solleciti il potere inibitorio dell’Ente pubblico depone anche il richiamo operato dal comma 6 ter all’art. 31 commi 1 e 2 del d.lgs. n. 104/2010 (d’ora innanzi “c.p.a.”).
Invero, com’è noto, tali norme individuano il presupposto essenziale dell’azione avverso il silenzio nell’inadempimento dell’Ente pubblico all’obbligo di concludere il procedimento amministrativo mediante una determinazione espressa. Obbligo che, com’è noto, non è configurabile rispetto al potere di autotutela, il quale è incoercibile dall’esterno mediante il ricorso contro l’inerzia amministrativa (cfr. ex multis Cons. Stato, Sez. IV, 7.7.2014, n. 3426; id., sez. V, 22.1.2014 n. 322; id., Sez. IV, 22.1.2013, n. 355; con particolare riferimento all’autotutela sulla SCIA: cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 12.11.2015, n. 5161; TAR Campania, Sez. VII, n. 4998/2015).
Ne consegue che il rinvio alle suddette prescrizioni si spiega solo accedendo alla tesi secondo cui terzo – con l’istanza ex art. 19 comma 6 ter – attiva il potere inibitorio dell’Amministrazione.
6.3 – Infine, un’ulteriore (ed ancora più significativa) conferma di tale tesi, è costituita dal richiamo compiuto dal comma 6 ter al comma 3 del citato art. 31 c.p.a., secondo cui il giudice adito con l’azione avverso il silenzio può «pronunciare sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio» nei casi in cui l’Amministrazione ha esaurito le valutazioni discrezionali e gli adempimenti istruttori di sua competenza ovvero quando il potere da essa esercitato ha natura vincolata.
Ora, il riferimento espresso a tale disposizione implica che il terzo esercente la suddetta azione possa richiedere al giudice l’accertamento in ordine alla spettanza o meno del bene della vita oggetto del procedimento (rappresentato, nella specie, dal provvedimento repressivo dell’intervento denunciato) e che, in caso di accertamento positivo, tale giudice possa condannare l’Amministrazione all’emanazione del provvedimento medesimo (cfr. TAR Liguria, Sez. I, 9.4.2013, n. 611). Ciò implica necessariamente che il legislatore – laddove ha richiamato il comma 3 dell’art. 31 c.p.a. – ha implicitamente riconosciuto che gli strumenti di reazione del privato, di cui al comma 6 ter dell’art. 19, sono volti a stimolare la (sola) potestà inibitoria dell’Ente pubblico e non anche il suo intervento in autotutela.
6.4 – In favore di questa soluzione si è peraltro espressa autorevole giurisprudenza, secondo cui «il comma 6 ter dell’art. 19, riservando al terzo la possibilità di sollecitare l’amministrazione ad effettuare le verifiche di sua competenza e contemplando altresì la possibilità che avverso il silenzio mantenuto su tale istanza il terzo possa tutelarsi mediante l’azione ex art. 31 c.p.a., ha evidentemente presupposto che in esito alla presentazione della S.c.i.a. e della D.i.a. non si formi alcun provvedimento espresso o tacito e che pertanto le istanze sollecitatorie del terzo non hanno la finalità di eccitare dei poteri di autotutela amministrativa di secondo grado» (TAR Piemonte, Sez. II, 1.7.2015, n. 1114; TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 30.11.2016, n. 2274; id., 15.4.2016, n. 735; id., 21.1.2014, n. 2799; TAR Campania, Napoli, Sez. III, 5.3.2015, n. 1410; TAR Veneto, Sez. II, 12.10.2015, n. 1038 e n. 1039).
6.5. Del resto, l’opposta tesi giurisprudenziale – secondo cui, decorsi i termini di cui all’art. 19 comma 3, il terzo attiva il (mero) potere di autotutela (Cons. Stato, Sez. VI, n. 4610/2016; id., 22.9.2014, n. 4780; Cons. Stato, Sez. IV, 19.3.2015, n. 1493; TAR Calabria, Sez. I, n. 1533/2016) – oltre ad essere incompatibile con il disposto dell’art. 19 comma 6 ter per le suesposte ragioni, contrasta con l’interpretazione conforme a Costituzione della norma stessa.
A quest’ultimo proposito, giova ricordare che, secondo il condivisibile principio affermato dalla Plenaria n. 15/2011 (in questa parte non scalfita dall’introduzione del comma 6 ter dell’art. 19), i caratteri dell’interesse pretensivo del terzo impongono «in un’ottica costituzionalmente orientata, di accedere ad una lettura del sistema delle tutele che consenta al terzo stesso di esperire un’azione idonea ad ottenere il risultato della cessazione dell’attività lesiva non consentita dalla legge mediante il doveroso intervento dell’amministrazione titolare del potere di inibizione». In altri termini, secondo la Plenaria, il controinteressato rispetto all’altrui SCIA ha diritto «ad ottenere una pronuncia che impedisca lo svolgimento di un’attività illegittima mediante un precetto giudiziario puntuale e vincolante che non subisca l’intermediazione aleatoria dell’esercizio di un potere discrezionale».
Ebbene, è evidente che la tesi che riconduce l’intervento dell’amministrazione su istanza del terzo al mero potere di autotutela è incompatibile col suddetto principio, poiché subordina integralmente la tutela del terzo stesso ad una valutazione discrezionale dell’Amministrazione in ordine alla sussistenza o meno di un interesse pubblico alla rimozione degli effetti della SCIA contestata.
7 – Il meccanismo di tutela del terzo congegnato dall’art. 19, comma 6 ter, l. n. 241/90 richiede, per la sua concreta operatività, l’individuazione di tre distinti termini: il primo è il termine entro il quale il terzo deve sollecitare le verifiche spettanti all’amministrazione, presentando la relativa istanza; il secondo è il termine concesso all’amministrazione per pronunciarsi su tale istanza, ovvero quel lasso temporale decorso il quale, come dice la norma, essa deve considerarsi inerte; l’ultimo è il termine entro il quale il terzo deve esperire l’azione avverso il silenzio mantenuto dall’amministrazione sulla sua richiesta di provvedere. Osserva il Collegio come il secondo e terzo termine siano agevolmente rinvenibili; il termine concesso all’amministrazione per pronunciarsi sull’istanza sollecitatoria del privato, ancorché non fissato espressamente dalla norma in considerazione, è tuttavia agevolmente rinvenibile dal sistema con richiamo alla disciplina generale codificata dall’art. 2 l. n. 241/1990, secondo cui, in mancanza di una diversa previsione normativa espressa, i procedimenti amministrativi ad istanza di parte devono tutti concludersi entro trenta giorni dal ricevimento della domanda da parte dell’amministrazione competente; il termine per la proposizione dell’azione sul silenzio è invece fissato espressamente dall’art. 31 c.p.a., il cui secondo comma precisa che quest’ultima può proporsi fintanto che perdura l’inadempimento e, comunque, non oltre un anno dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento. Non risulta invece fissato dall’art. 19, comma 6 ter, l. n. 241/90, né ricavabile dal sistema, il termine entro il quale il terzo deve presentare la propria istanza di sollecitazione delle verifiche amministrative, con apertura della possibilità interpretativa in base alla quale il terzo resterebbe sempre libero di presentare l’istanza sollecitatoria dei poteri amministrativi inibitori nonché di agire ex art. 31 c.p.a avverso il silenzio eventualmente serbato dall’Amministrazione, che è esattamente la lettura offerta dalla ricorrente (che richiama solo il termine prescrizionale decennale).
8 – Ritiene il Collegio che, prima di analizzare l’opzione ermeneutica da ultimo evocata – che, come si vedrà, espone la norma a censure di incostituzionalità – sia necessario procedere ad un’attenta verifica interpretativa circa la possibilità di rinvenire la delimitazione temporale del potere sollecitatorio del terzo da altre previsioni regolanti la materia in questione.
8.1 – Una prima soluzione interpretativa è quella di ritenere che il termine concesso al controinteressato per presentare l’istanza sollecitatoria sia lo stesso che la norma assegna all’amministrazione per l’esercizio del potere inibitorio ufficioso, cioè sessanta ovvero trenta giorni dalla presentazione della SCIA, secondo quanto disposto dai commi 3 e 6 bis dell’art. 19 della L. 241/1990; in tale lettura una volta che l’amministrazione è decaduta dalle potestà inibitorie ufficiose ex art. 19 commi 3 e 6 bis, sarebbe anche definitivamente preclusa la possibilità per il terzo di ottenere un intervento repressivo, con conseguente onere per lo stesso di presentare l’istanza sollecitatoria prima della scadenza dei suddetti termini, onde conservare l’aspettativa alla soddisfazione del suo interesse pretensivo.
Si tratta tuttavia di opzione ermeneutica non convincente, in quanto manifestamente illogica.
I termini in considerazione sono strutturati con riferimento all’esercizio del potere di verifica ufficiosa, il che giustifica che il loro dies a quo sia fatto coincidere con il <ricevimento della segnalazione> da parte dell’amministrazione; ma essi finirebbero per risultare di pratica inoperatività ove applicati all’esercizio del potere sollecitatorio del terzo, atteso che nessuna norma assicura al medesimo la tempestiva comunicazione della presentazione della SCIA né tanto meno dell’inizio dell’attività segnalata; il terzo finirebbe quindi per rimanere privo di qualsiasi forma di tutela ove apprendesse della lesività dell’intervento dopo il decorso del termine concesso all’amministrazione per provvedere; d’altra parte, anche laddove il terzo fosse tempestivo, ma la sua istanza intervenisse in prossimità della scadenza di tale termine, ben difficilmente egli otterrebbe l’intervento di tutela cui aspira, restringendosi l’arco temporale entro il quale l’amministrazione dovrebbe accertare l’illegittimità dell’attività oggetto di SCIA nonché inibirne la prosecuzione.
8.2 – Una seconda prospettiva interpretativa sostiene che la facoltà del controinteressato di proporre l’istanza inibitoria ex art. 19 comma 6 ter sarebbe soggetta al termine decadenziale di sessanta giorni, valido anche per la proposizione dell’ordinario ricorso annullatorio, termine che, in caso di SCIA, decorrerebbe dalla data in cui l’istante ha avuto notizia della segnalazione per esso lesiva. La tesi è sostenuta da Cons. Stato, Sez. IV, n. 5161/2015 cit. e ripresa dalle sentenze del TAR Lombardia (Milano) Sez. II, 30.11.2016, n. 2274, 15.4.2016, n. 735 e 5.12.2016, n. 2301, le quali precisano inoltre che il terzo, una volta decorso il suddetto termine decadenziale, non rimane del tutto privo di strumenti di reazione, ma conserva, nei confronti dell’Amministrazione, il potere di diffida all’adozione di atti di autotutela.
Il Collegio ritiene non condivisibile la proposta interpretazione.
Si tratta di statuizioni giurisdizionali sicuramente apprezzabili nel loro tentativo di eliminare le incertezze applicative della norma in commento, ma che risultano prive di base normativa, alla luce delle norme sull’interpretazione, e danno conseguentemente luogo ad una inammissibile integrazione pretoria del precetto normativo. Il problema in esame riguarda infatti l’individuazione del termine assegnato al terzo per sollecitare l’intervento di verifica da parte dell’amministrazione sulla SCIA presentata da altro soggetto; si tratta quindi di termine inerente l’esercizio di una facoltà di attivazione del privato, funzionale a mettere in moto l’esecuzione di verifiche amministrative ad istanza di parte, sulla legittimità della SCIA presentata da altri; l’operazione ermeneutica che ritiene qui applicabile l’ordinario termine di sessanta giorni per la proposizione del ricorso giurisdizionale avverso provvedimenti amministrativi, non tiene conto della diversità ontologica della disciplina invocata (termine per le proposizione di atto “processuale”) rispetto all’ambito di attività in esame (ricerca di termine per attivazione del privato in sede “amministrativa”); non sussiste quindi nella specie il presupposto di “casi simili o materie analoghe” solo ricorrendo il quale è possibile l’utilizzo dell’analogia ai sensi dell’art. 12 delle Disposizioni sulla legge in generale.
8.3 – Una terza tesi richiama il termine annuale di cui all’art. 31, comma 2, c.p.a., ritenendo che il terzo debba sollecitare l’amministrazione nell’anno dal deposito della SCIA presso i competenti uffici.
Anche questa tesi non convince, posto che il termine richiamato è concesso al terzo, non per stimolare l’intervento dell’amministrazione, ma per la proposizione dell’azione avverso il silenzio eventualmente formatosi sulla sua istanza; la richiesta di provvedere avanzata dal terzo apre, infatti, una nuova fase procedimentale, all’esito della quale l’amministrazione ha l’obbligo di pronunciarsi con un provvedimento espresso, sia esso di accoglimento (caso della SCIA illegittima) oppure di rigetto (caso della SCIA legittima); nell’ipotesi in cui poi essa rimanga inerte, lasciando inutilmente decorrere il termine di trenta giorni assegnatole, secondo la regola generale di cui all’art. 2 l. n. 241/1990, per la conclusione dei procedimenti amministrativi ad istanza di parte, il terzo potrà proporre l’azione di cui all’art. 31 c.p.a. entro un anno dalla formazione del silenzio. Ne consegue che anche l’operazione ermeneutica qui evocata, nella misura in cui trasporta il termine annuale dall’art. 31 c.p.a. alla disciplina dell’esercizio della sollecitazione amministrativa del terzo, compie una interpretazione non consentita e che, ancora una volta, confonde un termine processuale (quello dell’art. 31 c.p.a.) con un termine amministrativo (quello per la sollecitazione delle verifiche da parte della p.a.).
8.4 – Una diversa lettura del sistema è fornita da una pronuncia (Cons. Stato, Sez. VI, n. 4610/2016 cit.) che supera invero il problema del termine per la proposizione dell’istanza sollecitatoria, affermando che il soggetto leso dall’iniziativa segnalata è comunque tenuto a proporre il ricorso di cui all’art. 31 c.p.a. entro il termine complessivo di un anno dalla data di acquisita «piena conoscenza dei fatti idonei a determinare un pregiudizio nella sua sfera giuridica».
La tesi non convince.
Essa utilizza il termine annuale dell’art. 31 c.p.a. non come termine per la presentazione della diffida del terzo, ma come termine per la proposizione dell’azione ex art. 31 c.p.a., da proporsi anche prescindendo dalla presentazione della diffida di cui all’art. 19 comma 6 ter l. n. 241/90, termine che decorrerebbe dalla piena conoscenza della SCIA. Da un primo punto di vista tale ricostruzione risulta contraddire la natura propria del ricorso ex art. 31 c.p.a, il quale presuppone l’avvenuta presentazione di un’istanza di avvio (ovvero l’attivazione ufficiosa) di un procedimento amministrativo e la formazione del c.d. silenzio-inadempimento dell’amministrazione procedente. D’altra parte essa contrasta con il chiaro disposto del comma 2 del medesimo art. 31, secondo cui l’azione avverso il silenzio «può essere proposta fintanto che perdura l’inadempimento e, comunque, non oltre un anno dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento».
Pertanto, anche la suddetta impostazione non appare al Collegio idonea a superare le criticità riscontrate.
8.5 – Né varrebbe a sanare la criticità in esame il richiamo del termine di 18 mesi previsto per l’annullamento d’ufficio dall’art. 21 nonies (come modificato dalla l. 124/2015) ed oggi applicabile anche all’intervento in autotutela sulla SCIA in base al combinato disposto della suddetta norma con l’art. 19, comma 4, l. n. 241/1990.
Invero, tale soluzione risulterebbe in contrasto con il disposto dell’art. 19 comma 6 ter, in primo luogo, poiché quest’ultimo consente al terzo di stimolare l’esercizio del potere inibitorio puro (e non dell’autotutela) dell’Ente pubblico. In secondo luogo, perché tale termine, riferendosi all’autotutela ufficiosa, risulta difficilmente conciliabile con le caratteristiche di un procedimento ad istanza di parte, come quello attivato dal terzo ai sensi dell’art. 19 comma 6 ter.
Tanto appare, peraltro, confermato da quanto prevede oggi l’art. 2 comma 4 del d.lgs. n. 222/2016, secondo cui, nei casi di autotutela sulla SCIA, il suddetto periodo di 18 mesi «decorre dalla data di scadenza del termine previsto dalla legge per l’esercizio del potere ordinario di verifica da parte dell’amministrazione competente». Ciò che chiarisce la riferibilità del suddetto limite temporale alle (sole) potestà repressive esercitate dall’Amministrazione in via ufficiosa.
Da tutto ciò consegue, che l’applicazione della suddetta disposizione al procedimento di cui all’art. 19 comma 6 ter esorbiterebbe totalmente dai limiti che l’art. 12 delle Disposizioni sulla legge in generale impone all’interpretazione analogica del giudice e, in definitiva, si tradurrebbe in una inammissibile modificazione pretoria dell’ambito applicativo del precetto legislativo.
9 – Le considerazioni che precedono evidenziano chiaramente che l’attuale regime della SCIA non prevede un termine per la presentazione da parte del terzo dell’istanza sollecitatoria delle verifiche amministrative di cui all’art. 19 comma 6 ter l. n. 241/1990 e che tale termine non è desumibile dal sistema normativo, con la conseguenza che la diffida del terzo dovrebbe ritenersi tempestiva anche se proposta a notevole distanza di tempo dall’avvenuto deposito della segnalazione presso l’Ente competente.
Ritiene tuttavia il Collegio che una simile lettura si porrebbe in evidente contrasto con l’esigenza di tutelare l’affidamento del segnalante circa la legittimità dell’iniziativa intrapresa, con il principio di buon andamento della pubblica amministrazione nonché con il generale principio di certezza dei rapporti tra cittadino e Pubblica Amministrazione. Ne consegue che, ad avviso del Collegio, l’art. 19, comma 6 ter, l. n. 241/90, nella misura in cui non prevede un termine per la sollecitazione da parte del terzo dei poteri di verifica amministrativa della SCIA presentata da altri, si espone a dubbi di legittimità costituzionale che risultano rilevanti nella presente fattispecie e non manifestamente infondati.
10 – La prospettata questione di legittimità costituzionale dell’art. 19, comma 6 ter, cit. risulta connotata dal requisito della rilevanza, ai fini della proposizione della questione incidentale di costituzionalità.
La rilevanza discende dalla diretta applicabilità al caso concreto della norma la cui costituzionalità è messa in discussione (cfr. Corte Cost., ordd. nn. 264/2015; 111/2009) e deve valutarsi alla stregua del criterio della pregiudizialità, in virtù del quale la rilevanza va affermata ogniqualvolta la causa non possa essere definita indipendentemente dalla risoluzione della questione (cfr. Corte Cost., sentt. nn. 270/2010; 151/2009; 303/2007; 50/2007; 84/2006).
Non è dubitabile che nella fattispecie in esame debba farsi applicazione della disciplina di cui all’art. 19, comma 6 ter, l. n. 241/90 e che la questione controversa non possa essere definita senza fare applicazione della suddetta norma e affrontando da parte del giudice il tema del termine entro il quale il terzo può porre in essere l’intervento sollecitatorio delle verifiche spettanti all’amministrazione. In primo luogo, infatti, come risulta dalla narrativa in fatto, la ricorrente sig.ra Patrizia Mugnaioni ha posto in essere una serie di atti di sollecitazione del potere di verifica da parte dell’amministrazione della legittimità della SCIA presentata dal sig. Emanuele Campani in data 6.12.2012; essa in particolare ha sollecitato il Comune di Campi Bisenzio ad effettuare le suddette verifiche con note del 12.11.2015, 16.12.2015, 12.4.2016, 23.6.2016 e 14.9.2016, quest’ultima istanza proposta anche espressamente ai sensi del comma 6 ter dell’art. 19 l. n. 241/90. In secondo luogo, come chiarito nella narrativa in fatto, nel giudizio di merito questo Tribunale Amministrativo, sciolte altre questioni pregiudiziali, ha dovuto affrontare l’eccezione di tardiva sollecitazione dei poteri di verifica da parte del terzo, sollevata dalla parti resistenti, ed ha ritenuto che tale questione non fosse risolvibile senza la proposizione della presente questione di costituzionalità. Allo stato della legislazione la suddetta eccezione dovrebbe essere respinta. Come già ampiamente illustrato, il comma 6 ter non prevede un termine entro il quale il terzo debba sollecitare l’intervento dell’amministrazione, né tale termine, come sopra evidenziato, può ricavarsi dal sistema, con la conseguenza che, stando così le cose, appare del tutto irrilevante la circostanza che, rispetto alla data di presentazione della SCIA edilizia da parte del Sig. Emanuele Campani, avvenuta il 6 dicembre 2012, la Sig.ra Patrizia Mugnaioni abbia atteso ben due anni ed undici mesi per rivolgersi al Comune di Campi Bisenzio (la prima richiesta di intervento è del 12 novembre 2015) ed addirittura tre anni e nove mesi (se si considera l’istanza del 14 settembre 2016) prima di stimolare l’Ente ad esercitare i poteri inibitori ai sensi del comma 6 ter dell’art. 19 l. n. 241/1990. D’altra parte l’azione giudiziaria ai sensi dell’art. 31 c.p.a. risulta proposta nell’anno dalla formazione del silenzio sulla richiesta di provvedere rivolta dalla medesima all’amministrazione; dagli atti di causa si rileva infatti che la Sig.ra Patrizia Mugnaioni ha notificato il proprio ricorso in data 23 ottobre 2016 e, quindi, anche considerando la prima delle istanze dalla stessa formulate, ovvero quella del 12 novembre 2015, entro il prescritto termine di un anno; posto, infatti, che su tale istanza il silenzio si è formato il 12 dicembre 2015 (e cioè, secondo quanto disposto dall’art. 2 della L. 241/1990, decorsi trenta giorni dalla presentazione dell’istanza senza che l’amministrazione si sia pronunciata su di essa) e che il menzionato termine di un anno è cominciato a decorrere proprio da tale data, la ricorrente avrebbe avuto a disposizione sino al 12 dicembre 2016 per proporre l’azione avverso il silenzio mantenuto dal Comune di Campi Bisenzio. Ne consegue, come già rilevato, che in applicazione della disciplina vigente, questo Tribunale Amministrativo dovrebbe dichiarare la infondatezza dell’avanzata eccezione di tardività. Ma, ad avviso del Collegio, la mancata fissazione di un termine entro il quale il terzo debba sollecitare le verifiche spettanti all’amministrazione si pone in contrasto, come meglio si vedrà di seguito, con una serie di parametri costituzionali. La pronuncia della Corte costituzionale che dovesse accogliere la questione di legittimità costituzionale, come di seguito proposta, avrebbe sicuri effetti sulla decisione della presente questione, sia nell’ipotesi di pronuncia additiva, con la quale cioè la Corte dovesse fornire al giudice remittente il parametro temporale sulla cui base verificare la tardività o meno della sollecitazione dei poteri inibitori da parte del terzo, sia nell’ipotesi di declaratoria pura della illegittimità dell’art. 19, comma 6 ter, cit. per mancata previsione del termine di sollecitazione da parte del terzo dei poteri di verifica dell’amministrazione, la quale ultima renderebbe inoperativo, sino all’intervento additivo del legislatore, il sistema del silenzio-inadempimento, imponendo all’interprete, al fine di decidere la controversia, di applicare il diritto vivente così come ricostruito dalla giurisprudenza anteriormente all’introduzione del comma 6 ter da parte del legislatore medesimo.
11 – Ritiene il Collegio che la mancanza di indicazione di un termine entro il quale il terzo possa sollecitare le verifiche amministrative sulla SCIA presentata da altri renda l’art. 19, comma 6 ter, l. n. 241/90 costituzionalmente illegittimo. In punto di non manifesta infondatezza, il Collegio evidenzia come la citata disposizione normativa contrasta con svariati principi di rilievo costituzionale, tra cui, in primo luogo, quello di tutela dell’affidamento del segnalante (quale desumibile dagli articoli 3, 11 e 117, co. 1 Cost., in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 alla CEDU ed all’art. 6, paragrafo 3, del Trattato UE), in secondo luogo, quello del buon andamento dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.) ed infine quello di ragionevolezza (art. 3 Cost.) e di tutela dei livelli essenziali di cui all’art. 117 comma 2 lett. m) Cost.
11.1 – In primo luogo il Collegio ritiene non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 19, comma 6 ter, l. n. 241/90, laddove non prevede un termine per la sollecitazione da parte del terzo delle verifiche amministrative, per violazione della necessaria tutela dell’affidamento del segnalante, come desumibile dagli artt. 3, 11 e 117, comma 1, Cost., in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 alla CEDU ed all’art. 6, paragrafo 3, del Trattato UE.
L’esigenza di tutelare l’affidamento circa la stabilità dei rapporti tra privato e pubblica amministrazione costituisce principio cardine dell’attività amministrativa in tutti i settori dell’intervento pubblico.
A questo proposito, già con la sentenza del 12.7.1957, Algera, C-7/56 e C- 3-7/57, la Corte di Giustizia Europea ha riconosciuto che l’affidamento del privato circa la stabilità del provvedimento amministrativo a lui favorevole dev’essere tutelato anche laddove l’Amministrazione disponga di un potere amministrativo repressivo del provvedimento stesso (quale quello di revoca e/o annullamento d’ufficio). In particolare, tale principio impone che i suddetti poteri vengano esercitati dall’Ente pubblico «almeno entro un limite di tempo ragionevole» dal rilascio dell’atto ampliativo della sfera giuridica del privato. Tale principio è stato poi ripetutamente confermato dalla giurisprudenza comunitaria (ex multis CGCE, 3.3.1982, Alpha Steel Ltd. c. Commissione, C-14/81; id., 26.2.1987, Consorzio Cooperative d’Abruzzo c. Commissione, C-15/85).
Com’è noto, peraltro, il suddetto assunto ha trovato riconoscimento espresso nell’ordinamento nazionale, il quale, con varie disposizioni, ha sancito un limite temporale alla possibilità per l’Amministrazione di tornare su decisioni precedentemente adottate ed incidenti sulla sfera giuridica di soggetti privati. Così ad esempio l’art. 1, comma 136 della l. 311/2004 (non più vigente), stabiliva che l’annullamento d’ufficio di provvedimenti amministrativi incidenti su rapporti negoziali non potesse «essere adottato oltre tre anni dall’acquisizione di efficacia del provvedimento, anche se la relativa esecuzione sia perdurante».
Analogamente, l’art. 21 nonies l. n. 241/1990 ha sancito che l’annullamento ufficioso di un (qualsivoglia) atto amministrativo debba intervenire «entro un termine ragionevole». Peraltro, a seguito delle modifiche introdotte a tale norma dalla l. 124/2015, si è precisato che il suddetto termine ragionevole non può comunque eccedere i «diciotto mesi dal momento dell’adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici».
Ebbene, il citato principio di affidamento trova applicazione anche in materia di SCIA.
Al riguardo, si ricorda che l’art. 19 comma 4 l. n. 241/1990 prevede che «decorso il termine per l’adozione dei provvedimenti di cui al comma 3, primo periodo, ovvero di cui al comma 6 bis (cioè degli atti propriamente inibitori), l’amministrazione competente adotta comunque i provvedimenti previsti dal medesimo comma 3 alle condizioni previste dall’articolo 21 nonies»: e cioè (tra l’altro) nel rispetto del suddetto termine ragionevole.
Ebbene, come recentemente chiarito dalla Corte costituzionale (pronunciatasi in un caso di SCIA edilizia), le suddette previsioni «debbono considerarsi il necessario completamento della disciplina dei titoli abilitativi, poiché la individuazione della loro consistenza e della loro efficacia non può prescindere dalla capacità di resistenza rispetto alle verifiche effettuate dall’Amministrazione successivamente alla maturazione degli stessi». Più nello specifico, la Corte ha chiarito che il rinvio all’autotutela (e conseguentemente al termine ragionevole di cui all’art. 21 nonies) contenuto in suddette norme «si colloca allo snodo delicatissimo del rapporto fra il potere amministrativo ed il suo riesercizio, da una parte, e la tutela dell’affidamento del privato, dall’altra» (Corte Cost. n. 49/2016).
In altri termini – secondo la Corte – le suddette previsioni hanno espressamente tutelato l’affidamento del segnalante in ordine alla legittimità dell’intervento denunciato, prevedendo che il mancato esercizio dei poteri inibitori puri entro i termini perentori di cui all’art. 19 commi 3 e 6 bis, fondi una legittima aspettativa del privato circa la legittimità dell’iniziativa intrapresa. Aspettativa che può essere nuovamente posta in discussione dall’Ente pubblico solo mediante ricorso alle forme (aggravate) dell’autotutela decisoria e che si consolida definitivamente con il decorso dell’ulteriore termine di 18 mesi per l’esercizio di tale autotutela.
È ben vero che il sistema introdotto dal citato art. 19 comma 4 non può operare laddove la verifica dei presupposti della SCIA sia stata sollecitata dal terzo ai sensi del comma 6 ter del medesimo articolo (infatti, come sopra chiarito, l’attuale testo dell’art. 19 consente al controinteressato di attivare un autonomo procedimento di controllo sulla legittimità della segnalazione, il quale deve concludersi, in caso di accertata insussistenza dei presupposti di legge, con un provvedimento di repressione dell’attività abusiva).
Tuttavia, è evidente che le esigenze di salvaguardia dell’affidamento del segnalante si ripropongono (con analoga cogenza) anche nei rapporti tra quest’ultimo ed il terzo proponente l’istanza di cui all’art. 19 comma 6 ter. Sarebbe infatti irragionevolmente discriminatoria l’interpretazione che riconoscesse tutela all’affidamento dell’autore della segnalazione solo nei confronti dell’iniziativa repressiva ufficiosa dell’amministrazione e non anche rispetto alle verifiche che quest’ultima effettua su richiesta del controinteressato.
Pur a fronte di ciò, tuttavia, la norma in esame non prevede un termine per la proposizione dell’istanza diretta a stimolare tali verifiche e conseguentemente espone il segnalante al rischio permanente dell’inibizione dell’attività iniziata. Così facendo, l’attuale meccanismo legislativo, da un lato esaspera la tutela del terzo, d’altro lato pretermette quella del segnalante e, in definitiva, vanifica l’intento (chiaramente palesato dal testo complessivo dell’art. 19) di favorire il consolidamento dell’aspettativa del segnalante stesso per effetto del mero decorso del tempo.
Da quanto sopra, ad avviso del Collegio, emerge la violazione dei principi nazionali e comunitari in materia di affidamento, nonché la violazione dell’art. 3 Cost., essendo irragionevole che la tutela dell’affidamento venga espressamente contemplata (con la temporizzazione dell’intervento) a fronte dell’esercizio dell’autotutela amministrativa e non a fronte dell’esercizio dei poteri di verifica attivati dal terzo.
La SCIA è infatti idonea ad ingenerare nel segnalante – a fronte del mancato esercizio dei poteri amministrativi repressivi – un certo affidamento in ordine alla legittimità dell’intervento avviato. Affidamento che dev’essere garantito – sia nei confronti dell’amministrazione che in quelli del controinteressato – mediante la fissazione di precisi termini entro (e non oltre) i quali i controlli amministrativi sulla regolarità della SCIA non possono più essere attivati né in via ufficiosa, né su istanza di parte.
Alla luce di quanto sopra, dunque, risulta evidente l’illegittimità costituzionale dell’art. 19 comma 6 ter, il quale – in aperto contrasto con i suddetti principi – attribuisce al terzo un potere di sollecito a tempo indeterminato nei confronti dell’Ente pubblico e, conseguentemente, restituisce a quest’ultimo una potestà di intervento sine die sull’iniziativa denunciata.
A ciò si aggiunga che, con specifico riguardo alla materia edilizia, la suesposta soluzione normativa dà luogo ad un’irragionevole disparità di trattamento dei privati il cui intervento sia assoggettato, rispettivamente, al regime della SCIA ovvero a quello del permesso a costruire, ponendo ulteriore questione di violazione dell’art. 3 Cost.
Invero, com’è noto, in quest’ultimo caso lo strumento di tutela azionabile dal controinteressato è l’azione di annullamento del titolo abilitativo eventualmente rilasciato al richiedente. In tale ipotesi, dunque, l’affidamento di quest’ultimo è garantito dalla previsione del termine decadenziale generale di sessanta giorni per l’esperimento della suddetta azione, decorso il quale il permesso diventa inoppugnabile e l’aspettativa del richiedente stesso si consolida definitivamente (almeno nei confronti dei controinteressati).
Viceversa, in caso di SCIA, l’art. 19 comma 6 ter codifica il principio opposto: di fronte ai terzi lesi dall’iniziativa segnalata, l’interesse del segnalante alla prosecuzione di quest’ultima non si consolida mai e, al contrario, recede sempre a fronte della pretesa dei terzi stessi alla rimozione dell’attività per essi lesiva.
Orbene, pur non potendosi predicare la necessaria parificazione delle tutele del segnalante e del soggetto richiedente il permesso di costruire, data la notevole differenza dei citati meccanismi abilitativi, è pur vero che tale diversità non giustifica la totale pretermissione (ma casomai il diverso bilanciamento) dell’affidamento maturato in capo all’autore della SCIA. Pena il crearsi di un’irragionevole disparità di trattamento tra posizioni soggettive aventi contenuto (se non analogo, quantomeno) affine.
Da quanto sopra deriva, ad avviso di questo Tribunale, la violazione dei principi costituzionali sopra richiamati.
11.2 – La prospettata questione di illegittimità costituzionale risulta del pari non manifestamente infondata per contrasto della norma in questione con i principi di ragionevolezza e buon andamento di cui agli artt. 3 e 97 Cost.
A questo proposito, merita anzitutto osservare che il meccanismo introdotto dall’art. 19 comma 6 ter impone all’amministrazione, su semplice istanza del terzo, di avviare un procedimento di verifica a contenuto (in tutto e per tutto) analogo a quello già svolto in via ufficiosa ai sensi dell’art. 19 comma 3.
Peraltro, come sopra chiarito, la citata norma non prevede un termine per la presentazione della suddetta istanza, con la conseguenza che l’Ente pubblico è tenuto a verificare nuovamente i presupposti dell’attività segnalata anche qualora sia trascorso un notevole lasso di tempo dalla relativa comunicazione.
Ora, è chiaro che il suesposto modello si pone in contrasto con i principi di cui alle citate norme costituzionali, nella misura in cui impone all’amministrazione, quale che sia il momento in cui sopravviene l’istanza del controinteressato, di rivedere la posizione assunta in precedenza (in sede di verifica ufficiosa) circa la legittimità dell’iniziativa segnalata.
Sul punto, si rileva anzitutto che la fissazione di precisi limiti temporali entro cui devono essere adottati i provvedimenti definitivi in ordine alle procedure (ivi comprese quelle di verifica) di competenza dell’amministrazione costituisce «applicazione generale…, sia pure non esaustiva, del principio costituzionale di buon andamento dell’amministrazione (art. 97 della Costituzione) negli obiettivi di tempestività, pubblicità, partecipazione dell’azione amministrativa, quali valori essenziali in un ordinamento democratico» (Corte cost. n. 262/1997). Invero, è evidente che il rispetto dei termini perentori entro cui devono essere conclusi gli accertamenti e le valutazioni rimessi agli apparati pubblici incentiva l’efficienza degli apparati stessi nonché la ponderazione delle scelte adottate, stante l’impossibilità del loro ripensamento.
Viceversa, la possibilità incondizionata di rivalutare – anche a notevole distanza di tempo – l’assetto di interessi raggiunto con le precedenti determinazioni produce un effetto deflattivo sull’efficienza, aumenta il rischio di adozione di decisioni contraddittorie da parte dello stesso Ente e, in definitiva, pregiudica il buon andamento dell’azione pubblica.
Peraltro, si evidenzia che, riguardo al controllo ufficioso sulla legittimità o meno della SCIA, il legislatore ha fissato precisi termini alle facoltà di intervento dell’amministrazione (tanto in via inibitoria quanto in via di autotutela). Dacché si desume che lo stesso regime del controllo ufficioso prevede un limite temporale oltre il quale l’interesse pubblico all’eliminazione delle attività abusive viene meno, prevalendo su di esso l’esigenza di certezza dei rapporti tra privati e Pubblica Amministrazione.
E’ dunque evidente che la riapertura del procedimento di verifica dei presupposti della SCIA a fronte di un’istanza presentata dal terzo oltre i suddetti limiti temporali non può dirsi funzionale alla tutela di alcun interesse pubblico, il quale invece recede a fronte delle suddette esigenze di certezza.
Al contrario, il riavvio del suddetto procedimento si traduce in un inutile dispendio di attività per l’Ente pubblico, il quale, dopo un periodo di tempo (anche notevole) dalla presentazione della SCIA, sarebbe tenuto ad intraprendere una complessa attività istruttoria volta ad accertare l’originaria legittimità o meno dell’attività segnalata.
Peraltro tale ulteriore aggravio non trova assolutamente giustificazione nel rango dell’interesse tutelato dall’art. 19 comma 6 ter.
Infatti tale norma salvaguarda (solo) un’aspettativa individuale: quella del terzo leso dall’iniziativa segnalata a che la stessa iniziativa venga interrotta. Nondimeno, l’Ente pubblico, quando procede su istanza del controinteressato è sempre tenuto a provvedere in via inibitoria (anche a discapito del buon andamento amministrativo e dell’affidamento del segnalante). Viceversa, quando procede alle verifiche ufficiose – le quali assicurano il ben più pregnante interesse collettivo al controllo sul legittimo avviamento delle attività regolamentate – l’Ente stesso è tenuto a rispettare gli stringenti limiti temporali imposti dall’art. 19 commi 3, 4 e 6 bis. Ciò che evidentemente configura un meccanismo di tutela sproporzionatamente asimmetrico in capo al segnalante a seconda che l’attivazione delle verifiche amministrative avvenga in via ufficiosa o ad istanza del terzo.
Né in senso contrario può sostenersi che l’esclusione di una simile potestà di intervento sine die pregiudicherebbe le esigenze di contrasto agli illeciti commessi dai privati nei vari settori di attività in cui trova applicazione l’istituto della SCIA. Invero, per tutelare tali esigenze l’Amministrazione dispone di autonomi poteri repressivi sottratti al regime generale dell’art. 19 della l. n. 241/1990 (così ad esempio, nella materia che ci occupa, l’Amministrazione stessa dispone di poteri c.d. di “vigilanza edilizia” – cfr. artt. 27, 30-34, 37 del D.P.R. n. 380/2001 – che sfuggono anche al «termine ragionevole» di cui all’art. 21-nonies: ex multis TAR Lazio, Roma, Sez. I-quater, 22.4.2016, n. 4713). Ma tali poteri non comportano un riesame della legittimità originaria dell’intervento già assentito con il precedente titolo abilitativo. Bensì attengono al riscontro di eventuali successive violazioni del titolo stesso ovvero alla repressione di iniziative intraprese senza previa consultazione dell’autorità competente.
Con la conseguenza che neanche la generale esigenza di repressione degli abusi nei settori di attività non liberalizzate (quale è in buona parte l’attività edilizia) giustifica il modello di tutela del terzo introdotto dall’art. 19 comma 6 ter.
Orbene, le suesposte considerazioni mostrano già come tale modello costituisca un ostacolo al buon andamento dell’azione amministrativa, traducendosi potenzialmente in un notevole aggravio di attività per l’Amministrazione coinvolta, con effetti pregiudizievoli per i valori di celerità, stabilità ed efficienza sopra richiamati.
Vi è tuttavia un altro dato che rende evidente il contrasto tra la citata norma ed il suddetto principio costituzionale, ossia il rischio di un vero e proprio stallo delle Amministrazioni preposte al controllo delle attività oggetto di SCIA, a causa delle incertezze interpretative derivanti dall’attuale formulazione dell’art. 19 comma 6 ter.
A questo proposito, giova premettere che – come ripetutamente chiarito dal Giudice delle leggi – il principio del buon andamento sancito dall’art. 97 Cost. rappresenta, non solo un parametro di legittimità dell’azione amministrativa, ma anche un canone per il corretto esercizio della potestà normativa, in virtù del quale il legislatore deve assicurare quanto più possibile la chiarezza ed univocità interpretativa delle norme che l’amministrazione è tenuta ad applicare nell’esercizio del potere pubblico. Configurandosi, in caso contrario, un vizio capace di inficiare la stessa legittimità costituzionale della legge approvata.
Ed invero, la Corte costituzionale ha più volte sancito che «non è conforme a tale disposizione (art. 97 Cost.) l’adozione, per regolare l’azione amministrativa, di una disciplina normativa “foriera di incertezza”, posto che essa può tradursi in cattivo esercizio delle funzioni affidate alla cura della pubblica amministrazione» (Corte Cost., 16.4.2013, n. 70; Corte Cost., 22.12.2010, n. 364; in termini – anche se con riguardo alla violazione dell’art. 3 Cost. – Corte Cost., 20.7.2012, n. 200).
Ebbene, è evidente che la norma in questione pone l’Ente pubblico – chiamato a provvedere sull’istanza sollecitatoria del terzo – in stato di totale incertezza in ordine all’esistenza (o meno) di un obbligo a provvedere sull’istanza medesima.
Invero, a seconda dell’interpretazione data dall’Ente alla disposizione in esame, il sollecito del privato può ritenersi, di volta in volta, tardivo ovvero tempestivo. Con la conseguenza che, nel primo caso, l’Amministrazione è legittimata a dichiarare l’irricevibilità dell’istanza senza previo svolgimento di alcuna istruttoria (cfr. art. 2 comma 1, l. 241/1990). Viceversa, nel secondo caso, essa è tenuta a svolgere la verifica sui presupposti della SCIA ed a concluderla tramite l’emanazione di un atto espresso, pena la proposizione dell’azione di cui all’art. 31 c.p.a. da parte del terzo pretermesso.
Del resto, la molteplicità delle tesi proposte dalla giurisprudenza in ordine all’individuazione del termine per la presentazione dell’istanza del controinteressato, da un lato, acuisce le difficoltà interpretative poste dall’art. 19 comma 6 ter a carico dell’amministrazione e, d’altro lato, conferma la sostanziale incertezza del disposto di tale articolo. Dacché emerge, plasticamente, il contrasto di quest’ultimo con i suesposti principi costituzionali.
11.3 – Fermo quanto sopra, il Collegio ritiene che la non manifesta infondatezza della questione in oggetto emerga altresì dal contrasto tra la norma censurata ed il canone di ragionevolezza delle scelte legislative sancito nell’art. 3 Cost, in relazione all’art. 117, co. 2, lett. m, Cost..
Sul punto, si osserva anzitutto che svariate disposizioni di legge riconducono la normativa nazionale in materia di SCIA ai «livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale» e che, com’è noto, sono rimessi alla competenza legislativa esclusiva dello Stato ai sensi dell’art. 117, co. 2, lett. m), Cost. (cfr. art. 29, comma 2-quater l. 241/1990; art. 49, comma 4-ter, d.l. 78/2010, conv. con l. 122/2010).
Peraltro, nel condividere il suddetto assunto legislativo, la Corte Costituzionale ha chiarito che tutto il meccanismo della segnalazione certificata di inizio attività costituisce «prestazione specifica» dello Stato nei confronti del cittadino anche laddove viene tutelato «il diritto dell’interessato ad un sollecito esame, da parte della pubblica amministrazione competente, dei presupposti di diritto e di fatto che autorizzano l’iniziativa medesima» (Corte Cost., 27.6.2012, n. 164).
Tale assunto si riferisce evidentemente ai controlli amministrativi sulla legittimità o meno della SCIA che, secondo il Giudice delle leggi, devono essere assistiti dalla previsione legislativa di puntuali limiti temporali, diretti ad assicurare il «sollecito esame» dell’iniziativa denunciata e, in quanto tali, rientranti nei “livelli essenziali” di tutela della posizione del segnalante ex art. 117, comma 2, lett. m) Cost.
La suddetta affermazione – benché espressa dalla Corte con precipuo riferimento ai controlli ufficiosi di cui all’art. 19 commi 3, 4 e 6-bis – non può non valere anche riguardo alle verifiche amministrative svolte su istanza del terzo. Invero, rispetto a queste ultime, la posizione del segnalante presenta le stesse esigenze di sollecita definizione del procedimento inibitorio che le citate norme tutelano quando il procedimento stesso è avviato d’ufficio dall’Ente pubblico.
Senonché, mentre rispetto a tali controlli ufficiosi il segnalante può contare sulla previsione di specifici termini decadenziali entro cui i controlli stessi devono necessariamente concludersi (e che, come detto, costituiscono “livelli essenziali” ex art. 117, co. 2, lett. m, Cost.), l’art. 19 comma 6 ter non prevede alcun limite temporale alla possibilità che il terzo solleciti il potere inibitorio dell’amministrazione. Con la conseguenza che il termine per il compimento di tale sollecito resta escluso dal novero dei livelli essenziali di cui all’art. 117 comma 2, lett. m) Cost.
Tale soluzione normativa è palesemente irragionevole, poiché omette di disciplinare un elemento indispensabile alla tenuta complessiva del meccanismo semplificatorio introdotto dal legislatore e da quest’ultimo ascritto ai livelli essenziali delle prestazioni garantite su scala nazionale.
A questo proposito, è appena il caso di accennare che – secondo l’interpretazione datane dalla giurisprudenza costituzionale – l’art. 117 comma 2, lett. m) Cost. pone, in materia di livelli essenziali, una riserva di legge (relativa, ma) rinforzata «in quanto vincola il legislatore ad apprestare una garanzia uniforme sul territorio nazionale» (Corte Cost., 19.12.2012, n. 297). In particolare, nell’attuazione di tale riserva, il legislatore è tenuto a determinare gli «standard strutturali e qualitativi delle prestazioni da garantire (come detto, in modo uniforme) agli aventi diritto» (Corte Cost. 10.6.2010, n. 207; id., 5.4.2013, n. 62; id., 15.1.2010, n. 10), dacché deriva che la riserva stessa, oltre a ripartire le competenze normative in materia di livelli essenziali, impone al legislatore di prevedere standards minimi uniformi delle prestazioni riconducibili ai livelli stessi.
È evidente che nei suddetti standards minimi non possono non rientrare anche i termini per la conclusione dei controlli amministrativi sui presupposti della SCIA tanto nei casi in cui l’iniziativa repressiva è avviata d’ufficio dall’Ente pubblico (come del resto già affermato dalla citata sentenza n. 164/2012) quanto nelle ipotesi in cui il procedimento inibitorio è avviato su istanza del terzo.
Invero, la mancata previsione di tali termini è idonea a vanificare del tutto la prestazione somministrata dallo Stato al cittadino sotto forma di semplificazione delle procedure abilitative per lo svolgimento di attività (come quella edilizia) non liberalizzate. Se in teoria infatti la semplificazione dovrebbe consentire di raggiungere il medesimo risultato (assentimento dell’iniziativa privata) con un iter amministrativo più snello di quello ordinario, l’attuale disciplina della SCIA risulta contraddittoria con tali finalità: da un lato invero, essa non assicura sempre una riduzione dell’attività burocratica (poiché il procedimento di verifica dei presupposti della segnalazione può essere avviato più volte a fronte di plurime istanze di soggetti controinteressati); e, d’altro lato, tale disciplina non conduce mai ad una regolamentazione definitiva degli interessi contrapposti nella vicenda amministrativa, residuando sempre un potere-dovere dell’Amministrazione di rimettere in discussione la legittimità originaria dell’intervento segnalato, ogniqualvolta essa riceva una domanda di intervento da parte di un terzo.
Peraltro, si evidenzia che l’esclusione dal novero dei livelli essenziali del termine per l’esercizio del potere sollecitatorio di cui all’art. 19 comma 6 ter rischia di pregiudicare l’esigenza di uniformità normativa che caratterizza l’istituto della SCIA nel suo complesso. Invero, tale opzione legislativa, data la peculiare natura della riserva posta dall’art. 117 comma 2 lett. m) Cost. (la quale consente l’intervento regionale sugli aspetti di dettaglio del regime dei livelli essenziali: cfr. Corte Cost. n. 297/2012 cit.), apre la strada a discipline territoriali eterogenee del suddetto termine, con conseguente disomogeneità degli standards di tutela a livello nazionale.
Da tali considerazioni emerge, ad avviso del Collegio, l’assoluta illogicità e sproporzione del meccanismo di tutela sine die apprestato dall’art. 19 comma 6 ter alla posizione del soggetto leso dall’altrui SCIA nonché, in definitiva, un’illegittima compressione dei livelli essenziali delle prestazioni riconosciute al segnalante dalla norma nazionale.
Alla luce di quanto sopra, dunque, il precetto normativo censurato risulta palesemente incostituzionale.
12 – Alla luce delle considerazioni che precedono il Collegio ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 19, comma 6 ter, l. n. 241/90, nella parte in cui non prevede un termine per la sollecitazione da parte del terzo delle verifiche sulla SCIA, per contrasto con gli artt. 3, 11, 97, 117, co. 1 Cost., in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 alla CEDU ed all’art. 6, paragrafo 3, del Trattato UE, e 117 comma 2 lett. m) Cost. Dispone quindi la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la decisione della suddetta questione, sospendendo nelle more il presente giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, Sezione Terza, visti gli artt. 1 della L. cost. 9.2.1948, n. 1 e 23 della L. 11.3.1953, n. 87, ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell’art. 19, comma 6 ter, l. n. 241/90, in relazione agli artt. 3, 11, 97, 117, comma 1, in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 alla CEDU ed all’art. 6, paragrafo 3, del Trattato UE, e 117 comma 2 lett. m) Cost.;
sospende il giudizio in corso;
ordina, a cura della Segreteria, l’immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale;
ordina che, a cura della Segreteria, la presente ordinanza sia notificata alle parti ed alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, e sia comunicata alla Presidenza del Senato della Repubblica ed alla Presidenza della Camera dei Deputati.
Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 28 marzo 2017 con l’intervento dei magistrati:
Rosaria Trizzino, Presidente
Riccardo Giani, Consigliere, Estensore
Giovanni Ricchiuto, Primo Referendario
L’ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
Riccardo Giani | Rosaria Trizzino | |
IL SEGRETARIO