Codice del Terzo Settore: il parere del CdS

Il Consiglio di Stato, Comm. Speciale, ha reso il parere n. 1405 del 14 giugno 2017 sullo schema di decreto legislativo sul c.d. “Codice del Terzo settore”,  in attuazione dell’art. 1, comma 2, lett. b), Legge n. 106 del 2016.

Il parere ha dato esito favorevole, ma con osservazioni

La Commissione speciale ha espresso apprezzamento sulle finalità del provvedimento, che mira a conferire al fenomeno del non profit una disciplina autonoma e unitaria, in particolare se si guarda alla definizione degli enti del Terzo settore nelle loro forme tipiche e atipiche o all’armonizzare della disciplina applicabile (soprattutto fiscale); e ancora la configurazione del Registro Unico Nazionale, con proprie condizioni di accesso e permanenza e l’introduzioni di meccanismi di trasparenza, pubblicità, di controlli e vigilanza.

Tuttavia, il Consiglio di Stato, ha rilevato che sarebbe stato preferibile un più incisivo ed esaustivo sviluppo della legge delega, sulla parte relativa «alla revisione della disciplina del titolo II del libro primo del codice civile in materia di associazioni, fondazioni e altre istituzioni di carattere privato senza scopo di lucro, riconosciute come persone giuridiche o non riconosciute».

Altra criticità rilevata concerne l’articolo 4, comma 3, dello schema di decreto, il quale prevede che “solo alle confessioni religiose che hanno stipulato patti, accordi o intese con lo Stato si applicano (limitatamente allo svolgimento delle attività di cui all’articolo 5) le disposizioni del Codice del terzo settore”.

Secondo la Corte Costituzionale: «[…] nel sistema costituzionale, le intese non sono una condizione imposta dai pubblici poteri allo scopo di consentire alle confessioni religiose di usufruire della libertà di organizzazione e di azione, o di giovarsi dell’applicazione delle norme, loro destinate, nei diversi settori dell’ordinamento. A prescindere dalla stipulazione di intese, l’eguale libertà di organizzazione e di azione è garantita a tutte le confessioni dai primi due commi dell’articolo 8 Cost. (sentenza n. 43 del 1988) e dall’articolo 19 Cost, che tutela l’esercizio della libertà religiosa anche in forma associata”.

Questo perché la giurisprudenza della Consulta ha affermato costantemente (vd. da ultimo sent. 52/2016) che il legislatore non può attuare discriminazioni tra confessioni religiose in base alla sola circostanza che esse abbiano o non abbiano stipulato o meno accordi o intese con lo Stato italiano.

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Redazione

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