Avvalimento infragruppo: sussiste onere probatorio e documentale semplificato

Il Consiglio di Stato, Sez. III, con la sentenza n. 4336 del 13 settembre 2017, si è pronunciato sull’onere probatorio e documentale in presenza di un avvalimento infragruppo.

Così i giudici di Palazzo Spada: “Secondo la giurisprudenza più recente, nel caso di avvalimento infragruppo sussiste un onere probatorio e documentale semplificato, non sussistendo neppure l’obbligo di stipulare con l’impresa appartenente allo stesso gruppo un contratto di avvalimento, con il quale l’impresa ausiliaria si obbliga a mettere a disposizione del concorrente le risorse necessarie per tutta la durata del contratto, essendo sufficiente una dichiarazione unilaterale attestante il legame giuridico ed economico esistente nel gruppo (art. 49, comma 2, lett. g) (Cons. Stato Sez. IV 12/1/2017 n. 52)”.

Nel caso di specie, peraltro, era stato regolarmente prodotto anche il contratto di avvalimento in ossequio q a quanto stabilito dal bando di gara e la capogruppo aveva dato piena dimostrazione di possedere il requisito di fatturato per un importo superiore a quello richiesto e si era impegnata a trasferire tale requisito alla propria controllata nell’ambito della relazione infragruppo.

Si riporta di seguito il testo della sentenza.

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Pubblicato il 13/09/2017

N. 04336/2017 REG.PROV.COLL.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 257 del 2017, proposto da:
Engineering Ingegneria Informatica S.p.A., Insiel Mercato S.p.A., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentati e difesi dagli avvocati Stefano Vinti, Elia Barbieri, Filippo Pacciani, con domicilio eletto presso lo studio Stefano Vinti in Roma, via Emilia n. 88;

contro

Intercent ER – Agenzia Regionale Per Lo Sviluppo dei Mercati Telematici, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Alessandro Lolli, Aristide Police, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Aristide Police in Roma, via di Villa Sacchetti, n. 11;
Centro Regionale Sangue, Regione Emilia-Romagna non costituiti in giudizio;

nei confronti di

Mak-System Italia Srl, Noemalife Spa, in persona dei legali rappresentanti p.t., rappresentati e difesi dagli avvocati Nicola Aicardi, Franco Coccoli, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Nicola Aicardi in Roma, viale Parioli, n. 180;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per l’Emilia Romagna, sede di Bologna, Sezione Seconda, n. 1038 del 2016, resa tra le parti.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Intercent ER – Agenzia Regionale Per Lo Sviluppo dei Mercati Telematici e di Mak-System Italia Srl e di Noemalife Spa;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 6 luglio 2017 il Cons. Stefania Santoleri e uditi per le parti gli avvocati Elia Barbieri, Filippo Pacciani, Filippo Degni su delega di Aristide Police e Carlo Baseggio su delega di Nicola Aicardi;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Con bando, pubblicato in GUCE e in GURI rispettivamente il 19 dicembre 2015 e il 28 dicembre 2015, l’Intercent ER ha indetto una procedura aperta per l’acquisizione di una piattaforma per la gestione del sistema informativo dei servizi trasfusionali delle Aziende della Regione Emilia Romagna, per un importo massimo a base di gara di € 5.600.000,00 IVA esclusa.

La convenzione avrebbe avuto durata biennale, salvo rinnovo, fino a un ulteriore anno.

Il criterio di aggiudicazione stabilito era quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa ai sensi dell’art. 83 del codice dei contratti pubblici (d. lgs. n. 163/2006).

Il raggruppamento Engineering, composto dalle società Engineering Ingegneria Informatica S.p.A. e Insiel Mercato S.p.A., ha partecipato alla gara.

Il raggruppamento controinteressato, costituito dalle società Mak-System Italia S.r.l. e Noemalife S.p.A., la cui offerta è risultata la migliore, è stato sottoposto a verifica di anomalia e infine si è aggiudicato la gara in modo definitivo con punti 99,50 seguito dal RTI Ingeneering –Insiel Mercato con punti 86,67.

2. – Il RTI ricorrente ha impugnato gli atti di gara sostenendo che il raggruppamento controinteressato Mak– Noemalife avrebbe dovuto essere escluso dalla gara.

Si sono costituite in giudizio le controparti che hanno concluso per il rigetto dell’impugnativa.

3. – Con sentenza n. 1038 del 2016 il TAR ha respinto il ricorso ponendo a carico delle società ricorrenti le spese di lite, liquidate in favore delle parti resistenti nella somma complessiva di € 30.000,00 (in ragione di € 10.000,00 ciascuna) oltre accessori di legge.

4. – Avverso tale decisione hanno proposto appello le società Ingeneering –Insiel Mercato, ricorrenti in primo grado, chiedendone la riforma.

4.1 – Si sono costituite nel giudizio di appello la stazione appaltante ed il raggruppamento controinteressato che hanno chiesto il rigetto del gravame.

4.2 – In prossimità dell’udienza di discussione le parti hanno depositato memorie e memorie di replica.

5. – All’udienza pubblica del 6 luglio 2017 l’appello è stato trattenuto in decisione.

6. – Con il primo motivo di appello le appellanti lamentano l’illegittimo utilizzo dell’avvalimento, la violazione e falsa applicazione dell’art. 49 del D.Lgs. n. 163/06 e degli artt. 88 e 104 del D.P.R. 207/2010 ed i vizi di eccesso di potere sotto diversi profili (per travisamento, difetto dei presupposti e di motivazione).

Lamentano, infatti, le appellanti che:

– l’avvalimento sarebbe generico, e comunque il personale indicato in avvalimento (10 dipendenti) non risulterebbe a disposizione dell’ausiliaria, che ne avrebbe solo 4;

– l’avvalimento inerente al fatturato non sarebbe un avvalimento di garanzia (di natura economica), ma un avvalimentotecnico;

– sussisterebbe per l’ausiliaria l’obbligo di indicare i mezzi aziendali messi a disposizione: la società quindi non potrebbe ausiliare fornendo 10 dipendenti avendone in carico solo 4

– il fatto che il concorrente sia un solido gruppo multinazionale non consentirebbe di dare in ausilio risorse che la specifica consociata non avrebbe.

6.1 – La doglianza non può essere condivisa.

Il TAR ha condivisibilmente ritenuto che:

“il requisito di cui si controverte consiste, secondo la previsione del disciplinare, nell’aver stipulato o nell’avere in corso appalti per fornitura, avvio e manutenzione di sistemi informativi gestionali di servizi trasfusionali (da integrare con sistemi informatici ospedalieri e territoriali), con riguardo al triennio 2012 – 2014, per un fatturato ammontante almeno a € 1.000.000,00 (IVA esclusa), oppure ammontante almeno a € 350.000, 00 (IVA esclusa) per l’anno 2014.

Le dichiarazioni prescritte dal disciplinare di gara sono state presentate da MAK SYSTEM ITALIA.

L’ausiliata ha dichiarato di avvalersi dell’impresa MAK SYSTEM s.a., indicando di aver svolto il servizio di «implementazione di ePROGESA su un data base unico nazionale» per Wales Blood Service (United Kingdom, Galles) nei tre anni richiesti, in relazione a ciascuno dei quali viene in un apposito prospetto specificato l’ammontare, che nel triennio considerato è pari a € 1.260.280,00.

L’ausiliaria a sua volta ha dichiarato di obbligarsi sia verso l’ausiliata, sia verso l’Agenzia e l’amministrazione contraente, a mettere a disposizione per la durata della convenzione le risorse “prestate” alla concorrente, precisando che l’obbligo assunto ha come contenuto dieci risorse a tempo pieno con competenze specifiche nel settore trasfusionale”.

Il primo giudice ha respinto la censura di genericità dell’avvalimento, rilevando – tra l’altro – che:

“il gruppo MAK SYSTEM svolge l’attività oggetto della gara in tutto il mondo, anche presso altre strutture italiane, sicché, in un’ottica di adeguatezza sostanziale, non sembra possa dubitarsi del possesso del requisito richiesto, che, come si è già detto, consisteva soltanto nel possesso di un determinato fatturato”; ha poi aggiunto che non è necessario che “nell’organico dell’ausiliaria siano presenti, al momento della gara, tutte le risorse necessarie allo svolgimento del servizio, non essendo ciò richiesto da alcuna disposizione normativa o della legge di gara (si veda Cons. di Stato, III, n. 2952/2016, in cui a proposito delle risorse “prestate” – in quel caso si trattava di risorse finanziarie, ma il principio è applicabile a diversi casi – si precisa che la quantificazione e, ancor più, il concreto trasferimento di queste dall’ausiliante all’ausiliata non sono necessari al fine dell’integrazione del requisito, posto che la finalità di garanzia dell’avvalimento risulta soddisfatta dal vincolo contrattuale)”.

Il TAR ha poi richiamato i principi espressi dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato 4 novembre 2016 n. 23 in tema di determinabilità dell’oggetto del contratto di avvalimento, ai quali si fa espresso rinvio per ragioni di sinteticità.

6.2 – Le statuizioni del primo giudice sono pienamente condivise dal Collegio, e ad esse si fa dunque rinvio.

A ciò a sufficiente aggiungere che:

– ricorre nel caso di specie l’ipotesi dell’avvalimento infragruppo in quanto la Mak-System Italia S.r.l., partecipando in RTI con Noemalife, si è avvalsa della capogruppo Mak-System s.a. con sede in Belgio;

– il Gruppo di appartenenza è leader a livello mondiale del settore della sicurezza trasfusionale e della forniture di soluzioni software per la gestione dei sistemi informativi dei Centri Raccolta e delle Banche del sangue (ePROGESA) e dei servizi di Immunoematologia e Medicina Trasfusionale (eTRACELINE);

– secondo la giurisprudenza più recente, nel caso di avvalimento infragruppo sussiste un onere probatorio e documentale semplificato, non sussistendo neppure l’obbligo di stipulare con l’impresa appartenente allo stesso gruppo un contratto di avvalimento, con il quale l’impresa ausiliaria si obbliga a mettere a disposizione del concorrente le risorse necessarie per tutta la durata del contratto, essendo sufficiente una dichiarazione unilaterale attestante il legame giuridico ed economico esistente nel gruppo (art. 49, comma 2, lett. g) (Cons. Stato Sez. IV 12/1/2017 n. 52);

– nel caso di specie è stato prodotto anche il contratto di avvalimento rispondente a quanto previsto nella lex specialis di gara, in quanto la capogruppo ha dimostrato di possedere il requisito di fatturato (come ricordato dal primo giudice) per un importo superiore a quello richiesto e si è impegnata a traslare tale requisito alla propria controllata nell’ambito della relazione infragruppo;

– quanto all’indicazione “delle risorse necessarie, dettagliatamente indicate”, alle quali si fa riferimento nel disciplinare di gara, la capogruppo si è impegnata a mettere a disposizione 10 risorse a tempo pieno, ed ha poi provveduto a descrivere il “gruppo di lavoro” incaricato di eseguire l’appalto producendo anche i curricula degli esperti che ne fanno parte;

– rettamente il primo giudice ha ritenuto che “le risorse” prestate potessero essere acquisite mediante molteplici modalità, quali il subappalto, l’assunzione da parte della società, il distacco, e così via, non potendo pretendersi dall’ausiliaria un onere probatorio superiore a quello richiesto all’impresa concorrente che dimostra il possesso del requisito in proprio;

– il contratto di avvalimento non è dunque astratto, meramente cartolare, ma risponde ai requisiti previsti dal disciplinare di gara anche nella parte relativa all’indicazione delle risorse messe a disposizione ed è rispondente ai parametri individuati dall’Adunanza Plenaria n. 23/2016, in quanto contiene un preciso impegno da parte della società ausiliaria a fornire le risorse prestate in sede di esecuzione.

La doglianza va quindi respinta.

7. – Con il secondo motivo di appello le appellanti censurano il capo di sentenza che ha respinto il secondo motivo del ricorso di primo grado con il quale le ricorrenti avevano dedotto la violazione della legge di gara (punto III.2.3 del bando e art. 3, punto 3, del disciplinare), nonché la violazione degli artt. 37/4, 41 e 42 del codice dei contratti pubblici e del principio di necessaria qualificazione.

Nel ricorso avevano infatti rilevato che la mandante Noemalife S.p.A. aveva dimostrato il possesso del fatturato analogo nella misura del 14,46%, volendo assumere, però, la quota esecutiva del 17,68%.

In sostanza non vi sarebbe corrispondenza tra la quota di qualificazione e quella di esecuzione.

Ove la legge di gara fosse interpretabile nel senso di consentire la partecipazione in siffatta ipotesi, le ricorrenti l’avevano impugnata.

7.1 – Il TAR ha respinto la censura rilevando che: “il principio di corrispondenza fra quote di partecipazione e quote di esecuzione (comma tredicesimo dell’art. 37 del d. lgs. n. 163/2006) è stato espunto totalmente dall’ordinamento (si tralascia la ricostruzione delle vicende di tale disposizione perché irrilevanti nel caso in esame): si veda l’art. 12/ 8 d.l. 28 marzo 2014, n. 47 (c.d. decreto casa), convertito, con modificazioni, dalla l. 23 maggio 2014, n. 80.

Nemmeno il motivo in esame può quindi trovare adesione, neppure con riguardo alla subordinata impugnativa della legge di gara”.

7.2 – L’appellante ha dedotto che la società mandante avrebbe violato il principio derivante dall’Adunanza Plenaria 28 aprile 2014 n. 27, in quanto i requisiti di ciascuna impresa del raggruppamento dovevano essere adeguati all’esecuzione della parte di attività assunta.

Ha poi rilevato che l’abrogazione del principio di corrispondenza tra le quote – richiamato dal TAR – sarebbe inconferente in quanto non si lamentava la discrasia tra la quota di partecipazione e quella di esecuzione della mandante, ma l’inadeguatezza dei mezzi da essa posseduti rispetto alla quota di attività assunta in esecuzione.

Nel sistema della contrattazione pubblica, infatti, qualunque esecutore deve essere qualificato per la prestazioni da eseguire.

Nel caso di specie le mandanti dovevano possedere il requisito di qualificazione relativo al fatturato analogo non inferiore al 10%, ma ciò non implica affatto che tale misura fosse la massima richiesta, in quanto c.d. liberalizzazione delle quote non avrebbe fatto venir meno la necessaria corrispondenza tra la quota di qualificazione e quella di esecuzione.

7.3 – La tesi dell’appellante non può essere condivisa.

Dopo l’intervento dell’Adunanza Plenaria n. 27/2014 non può dubitarsi che negli appalti di servizi e forniture “non vige ex lege il principio di necessaria corrispondenza tra la qualificazione di ciascuna impresa e la quota della prestazione di rispettiva pertinenza, essendo la relativa disciplina rimessa alle disposizioni della lex specialis della gara”.

In altri termini, per i servizi e forniture, per i quali non vi è un sistema di qualificazione SOA normativo, spetta alla stazione appaltante decidere se introdurre sistemi di qualificazione e in che misura disporne la ripartizione in sede di ATI.

Nel caso di specie la lex specialis non richiedeva la corrispondenza tra le quote di qualificazione e quelle di esecuzione limitandosi ad esigere, per la mandante, l’attestazione del possesso del fatturato specifico “almeno nella misura minima del 10%”, senza però correlare la quota di fatturato specifico dichiarata alla quota di esecuzione dell’appalto.

Nella fattispecie la mandante disponeva di un fatturato superiore al minimo richiesto nella lex specialis di gara e dunque non poteva essere esclusa.

Né può sussistere l’illegittimità della lex specialis di gara (anch’essa impugnata) per non aver previsto la corrispondenza tra le quote: non vi è, infatti, alcuna disposizione normativa che la impone.

Così come rientra nella discrezionalità della stazione appaltante stabilire il fatturato necessario per la qualificazione delle imprese, allo stesso modo spetta ad essa stessa stabilire le quote che devono essere possedute dalle imprese partecipanti ai raggruppamenti.

Pertanto se la stazione appaltante non ha ritenuto di inserire una clausola di tale tenore, ritenendo sufficiente limitarsi a prevedere una quota minima del 10% a prescindere dalla quota di esecuzione della prestazione, non può disporsi l’esclusione di una concorrente da una gara di appalto per la mancanza di un requisito non previsto dalla lex specialis di gara, e neppure stabilito dalla legge mediante eterointegrazione.

La doglianza va dunque respinta.

8. – Con il terzo motivo di appello le appellanti censurano il capo di sentenza che ha respinto la doglianza relativa alla violazione dei limiti del subappalto, lamentando anche l’indeterminatezza dell’offerta.

Secondo le ricorrenti, l’a.t.i. aggiudicataria aveva proposto in offerta un gruppo di lavoro composto di 51 professionisti, ma 28 persone non sarebbero state dipendenti dell’aggiudicataria: ciò avrebbe comportato il ricorso al subappalto, per una quota superiore al 30%, in violazione dei limiti massimi con conseguente esclusione dalla gara.

Inoltre, in questo modo l’offerta avrebbe contenuto tecnico incerto e perciò non valutabile.

8.1 – Il TAR ha respinto il vizio dedotto rilevando – tra l’altro – che “la censura si risolve in un mero processo alle intenzioni, in quanto le risorse necessarie all’esecuzione dell’appalto possono essere impiegate dalla mandataria anche mediante ricorso a strumenti diversi dal subappalto (personale proprio appositamente assunto, distacco, altri strumenti contrattuali)”.

8.2 – La decisione del primo giudice è pienamente condivisibile.

Il fatto che l’aggiudicatario non avesse in organico i lavoratori che ha dichiarato di offrire nell’esecuzione dell’appalto non significa – come è evidente – che debba ricorrere al subappalto.

Correttamente la difesa della stazione appaltante ha rilevato che le imprese serie non investono cifre rilevanti per sostenere la realizzazione di appalti che non hanno ancora vinto, solo all’esito della gara si organizzano per la sua esecuzione.

Nessuna norma dunque, né di legge né di lex specialis, prevedeva di disporre di unità minime di personale alla data di offerta e tanto meno di dichiararlo.

La lex specialis non imponeva ai concorrenti di indicare le modalità con le quali avrebbero ingaggiato le risorse necessarie per fornire l’esecuzione della prestazione, sicchè l’aggiudicataria avrebbe potuto ricorrere non solo al subappalto, ma anche al distacco a ad altri subcontratti.

Infine, trattandosi di azienda appartenente ad un gruppo leader nel settore oggetto di gara, non potevano sussistere grossi problemi per la ricerca del personale specializzato per lo svolgimento del servizio.

Va quindi ribadito che il subappalto rappresenta solo una modalità possibile di esecuzione delle prestazioni oggetto dell’appalto aggiudicato, e la verifica sul rispetto delle condizioni di legge per la sua autorizzazione è rimessa alla stazione appaltante in fase di esecuzione e non può essere oggetto di valutazione ex ante.

Quanto ai profili di indeterminatezza dell’offerta, la doglianza è inammissibile per violazione dell’art. 104, comma 1, c.p.a., come rettamente rilevato dalla difesa della controinteressata.

9. – Con il quarto motivo di appello l’appellante censura il capo di sentenza con il quale è stata respinta la doglianza relativa alla proprietà, al momento della presentazione dell’offerta, del “codice sorgente” del software offerto in sede di gara.

9.1 – Il primo giudice ha respinto la censura rilevando che: “Si tratta di una condizione essenziale da realizzare dopo il collaudo, onde garantire all’amministrazione la gestione autonoma del sistema, indipendente dal fornitore (…) sicché è sufficiente che vi sia l’impegno al trasferimento dei codici, senza che la mancanza di proprietà del sistema possa in alcun modo assurgere a causa di esclusione dalla gara. Del resto, il capitolato tecnico al punto 3.2 richiede non già la proprietà del sistema bensì che il fornitore abbia «accesso diretto, completo e autonomo a tutti i codici sorgenti di ogni componente della soluzione offerta.»

9.2 – Lamenta l’appellante l’erroneità della sentenza di primo grado rilevando che, sebbene l’obbligazione del passaggio dei “sorgenti” dovesse essere adempiuta dopo il collaudo, ciò non escludeva che il concorrente dovesse garantire efficacemente detto trasferimento fin dal momento dell’offerta.

Poiché la trasmissione dei “sorgenti” era espressamente imposta come condizione di fornitura, il relativo adempimento doveva costituire l’oggetto di una specifica obbligazione assunta dal concorrente al momento della presentazione dell’offerta, al fine di garantire il relativo passaggio.

Poiché le aggiudicatarie non sono proprietarie del sistema, non avrebbero potuto assumere l’obbligo a trasferire i relativi codici sorgente: l’obbligo assunto si sarebbe risolto nell’obbligazione del fatto del terzo, e quindi nella assoluta aleatorietà.

L’offerta sarebbe stata quindi condizionata e come tale inammissibile.

9.3 – La sentenza del primo giudice è condivisibile.

La lex specialis (punto 3.8 del Capitolato tecnico), prevedeva che “il sistema oggetto di fornitura è richiesto nel formato sorgente”, pertanto “dopo il collaudo,…. il fornitore deve depositare …l’intero codice sorgente del sistema incluse tutte le documentazioni e le specifiche tecniche”.

Come ha correttamente rilevato il TAR, ciò non implica che il sistema debba essere di proprietà del concorrente al momento della presentazione dell’offerta, essendo sufficiente che l’offerente si impegni a rispettare tale condizione in sede di esecuzione del contratto ed in particolare, dopo il collaudo del sistema fornito.

Si tratta, quindi, di una condizione attinente all’esecuzione dell’appalto (e non relativa all’ammissione alla gara), la cui eventuale violazione costituirebbe inadempimento di un’obbligazione contrattuale, ma non potrebbe comportare l’illegittimità dell’aggiudicazione, il che implica l’inammissibilità della doglianza.

Peraltro, il raggruppamento aggiudicatario si è espressamente impegnato a rispettare tale previsione, e ciò era sufficiente per poter conseguire l’aggiudicazione, non potendo disporsi l’esclusione dalla gara sulla base della mera ipotesi dell’ipotetico mancato adempimento di un obbligo assunto, relativo alla fase di esecuzione dell’appalto.

Peraltro, se si considera che la Mak-System Italia S.r.l. fa parte del Gruppo Mak-System, ed in quanto tale, ha la disponibilità dei software ePROGESA ed eTRACELINE oggetto della propria offerta (che sono di proprietà della capogruppo Mak-System s.a. controllante totalitaria della Mak-System Italia), ci si avvede della mera ipoteticità della prospettazione delle appellanti.

10. – Con il quinto motivo di appello le appellanti censurano il capo di sentenza che ha respinto la doglianza relativa alla esclusione della controinteressata a causa della mancanza della “marcatura CE”.

10.1 – Il TAR, nel respingere la censura proposta in primo grado, ha ritenuto che: “Trattandosi non già di materiali trasfusionali (che sono dispositivi medici), bensì di sistemi informatici, che non sono tali, la marcatura CE non era necessaria, ai sensi della legge di gara e della normativa nazionale e comunitaria.

La legge di gara (punto 5.8 del capitolato tecnico), la direttiva 2005/62/CE del 30 settembre 2005 e il d. lgs. n. 46/1997 (attuativa della direttiva 93/42/CE relativa ai dispositivi medici) non prevedono la marcatura CE per hardware, software e procedure di backup, bensì soltanto che essi siano sottoposti a controlli regolari di affidabilità, convalida prima dell’uso e manutenzione.

In particolare il capitolato prevede, in assenza della marcatura CE, che il sistema sia progettato e fabbricato in conformità all’allegato VII della direttiva 2007/47/CE relativa ai dispositivi medici per tutti i moduli per i quali il fornitore dichiari una destinazione d’uso che richieda tale certificazione (segue un’elencazione espressamente qualificata come esemplificativa di moduli di tal fatta).

Tuttavia, la disposizione in esame prosegue in questi termini: «Ovvero, anche in assenza di marcatura, il sistema deve soddisfare i requisiti essenziali richiesti da tale direttiva ed essere progettato e fabbricato in conformità alle disposizioni applicabili dell’allegato VII della direttiva medesima»; richiede di evidenziare, ove presente, la certificazione ISO 9001/ISO 13485 e indica ulteriori contenuti della direttiva su menzionata da tenere presenti (più in forma di raccomandazione e suggerimento di buona prassi da seguire che di stringente requisito da accertare).

Ciò che i concorrenti sono tenuti a fare (pagina 36 del capitolato, in fine) è di dar conto del livello di rispondenza del sistema offerto rispetto ai requisiti essenziali richiesti dalla normativa e, con nota a piè di pagina n. 12, si fa riferimento a tal proposito ad «altre specifiche quali GAMP5».

Nell’offerta tecnica del raggruppamento aggiudicatario il punto 12 è appunto dedicato alla marcatura CE e alle certificazioni. In esso si legge che i moduli software ePROGESA ed eTRACELINE sono classificati come dispositivi medici autorizzati dall’agenzia governativa americana FDA (510k), che la marcatura CE necessaria è correlata alla certificazione ISO 13485, attualmente sottoposta a revisione con previsione del rilascio di una nuova versione nel corso del 2016; ivi si precisa anche che «Quanto previsto dalla nuova normativa è già adottato nelle procedure di qualità del RTI e nelle metodologie e policy di sviluppo, poiché presente tra i requisiti FDA per la classificazione come dispositivo medico e dalla linee guida GAMP5. L’obiettivo del RTI è quello di ottenere la nuova versione della certificazione ISO 13485 e di procedere con i processi utili all’ottenimento della marcatura CE non appena la nuova edizione della norma ISO troverà applicazione. Si allegano alla presente offerta le certificazioni ISO 9001:2008 e 13485:2012 in possesso del RTI. »

Non si ravvisano pertanto ragioni di esclusione dell’offerta del raggruppamento aggiudicatario sotto il profilo considerato”.

10.2 – Le appellanti censurano tale statuizione rilevando che:

– l’art. 5.8 del Capitolato tecnico stabiliva che “…il sistema proposto deve possedere la marcatura CE ai sensi del D.Lgs. 25/1/2010 n. 37 di recepimento della Direttiva 2007/47/CE “Dispositivi medici” per tutti i moduli per i quali il fornitore dichiara una destinazione d’uso che richieda tale certificazione”; inoltre stabiliva che: “Anche ove la certificazione come dispositivo medico del software proposto o di parti di esso non risultasse necessaria all’atto della proposta, il fornitore deve impegnarsi a ottenere le necessarie certificazioni e registrazioni al modificarsi della legislazione nazionale o europea….o in seguito ad aggiornamento della destinazione d’uso e senza oneri aggiuntivi per la ASRER”;

– la nozione di “dispositivo medico” discende dalle destinazioni d’uso ed il Capitolato speciale conteneva l’esemplificazione delle destinazioni d’uso che implicano la qualifica di dispositivo medico;

– la stessa offerta tecnica del RTI aggiudicatario attestava la natura di dispositivi medici dei moduli ePROGESA ed eTRACELINE essendo così classificati dall’Agenzia governativa americana FDA, precisando che sarebbero stati “sottoposti ai processi utili per l’ottenimento della marcatura CE non appena la nuova edizione della norma ISO troverà applicazione”;

– la stessa offerta aveva quindi attestato che i due moduli offerti costituivano dispositivi medici e come tali avrebbero dovuto essere muniti della marcatura CE;

– questo tipo di software, infatti, avrebbe natura di dispositivo medico in base alla Direttiva 2007/47/CE secondo cui “un software è un dispositivo medico quando è specificamente destinato dal fabbricante ad essere impiegato per una o più delle finalità mediche stabilite nella definizione di dispositivo medico;

– la clausola del Capitolato speciale imponeva, quindi, ai concorrenti di garantire che anche i moduli privi della specifica destinazione d’uso fossero progettati e realizzati in sostanziale conformità ai requisiti prescritti per il rilascio della marcatura CE.

10.3 – La tesi delle appellanti non può essere condivisa.

Correttamente le controparti hanno rilevato che:

– la direttiva 2007/47/CE concernente la registrazione dei dispositivi medici (recepita in Italia dal D.Lgs. 25/1/2010 n. 37) non contempla i software trasfusionali tra i prodotti soggetti ad obbligo di marcatura CE;

– la successiva direttiva 2016/1214/UE, relativa si sistemi di qualità per i servizi trasfusionali, stabilisce che “quando sono utilizzati sistemi informatici, software e procedure di back-up devono essere sottoposti a controlli regolari di affidabilità, essere convalidati prima dell’uso ed essere mantenuti in uno stato convalidato” (Allegato, punto 4.5);

– il D.M. del Ministero della Salute del 2 novembre 2015 (art. 30, commi 3 e 4) dispone che «I sistemi gestionali informatici adottati nei servizi trasfusionali e nelle unità di raccolta del sangue e degli emocomponenti sono convalidati prima del loro impiego e sottoposti a controlli regolari di affidabilità e a periodica manutenzione ai fini del mantenimento dei requisiti e delle prestazioni previsti. (…) Fino all’entrata in vigore di tale decreto, per le attività di convalida, incluse le procedure di convalida retrospettiva dei software e dei sistemi informatici già in uso, si fa riferimento in generale alle Linee guida riconosciute a livello internazionale per lo specifico settore”;

– il Centro nazionale del Sangue, in una pubblicazione ufficiale del febbraio 2014, afferma che tali Linee Guida sono preferibilmente le c.d. GAMP5, quelle applicate dall’aggiudicatario;

– i software trasfusionali non sono contemplati nella “Classificazione Nazionale Dispositivi Medici” curata dal Ministero della Salute nella quale devono essere censiti tutti i dispositivi medici prima di essere immessi in commercio in Italia;

– la normativa italiana richiede soltanto che il software sia “convalidato” e che tale stato sia mantenuto durante tutto il periodo di uso presso la struttura trasfusionale.

Ne consegue che la sentenza di primo grado è corretta in quanto non occorreva per i software offerti la marcatura CE, non essendo prevista obbligatoriamente né dalla normativa vigente, né dalla lex specialis di gara, la quale nulla prevedeva al riguardo.

I software offerti sono stati correttamente ritenuti conformi ai requisiti richiesti dalla normativa nazionale in precedenza richiamata.

Né può ritenersi che la natura di dispositivo medico discenda dalla dichiarazione resa in sede di offerta, in quanto la società concorrente si è limitata a richiamare la normativa americana, differente sul punto da quella italiana.

La doglianza deve essere pertanto respinta.

11. – Con il sesto motivo di appello le appellanti censurano il capo di sentenza che ha respinto la doglianza relativa alla presunta anomalia dell’offerta dell’aggiudicataria.

In primo grado le ricorrenti avevano sostenuto che i documenti prodotti in sede di verifica dal raggruppamento aggiudicatario sarebbero affetti da «macroscopica diseconomia» e da «incongruenze», con particolare riguardo al costo delle risorse, assumendosi che tale costo non sarebbe remunerativo di tutte le risorse indicate dal raggruppamento stesso.

I conteggi effettuati da parte ricorrente erano stati contestati da parte controinteressata, che aveva rilevato l’erroneità dei dati presi in considerazione da controparte, sia sotto il profilo dell’individuazione del costo come costo orario e non giornaliero, sia sotto il profilo del numero di ore complessive erogate mensilmente (venti giorni lavorativi, ciascuno di otto ore).

11.1 – Il TAR ha respinto la censura ritenendo le giustificazioni adeguate, ed ha osservato che –

con riguardo al costo del lavoro -, che «sono dettagliati i costi del personale (numero operatori impiegati distinti per qualifica/ruolo, costo medio orario del lavoro del personale dipendente, numero di ore previste mensilmente, costo medio aziendale mensile) sostenuti per le differenti figure professionali previste, in funzione delle attività che le stesse devono svolgere nell’ambito della fornitura. Dal confronto del costo medio del lavoro, riferito ai contratti collettivi applicati, si è verificata la congruenza con quanto dichiarato.»

11.2 – La doglianza è infondata.

Secondo il costante orientamento della giurisprudenza, “Il giudizio sull’anomalia dell’offerta ha natura globale e sintetica sulla serietà o meno dell’offerta nel suo insieme, con conseguente irrilevanza di eventuali singole voci di scostamento. Altresì, non ha per oggetto la ricerca di specifiche e singole inesattezze dell’offerta economica, essendo invero finalizzato ad accertare se l’offerta nel suo complesso sia attendibile. In merito al procedimento di verifica dell’anomalia delle offerte, il giudice amministrativo può sindacare le valutazioni compiute dalla pubblica amministrazione sotto il profilo della loro logicità e ragionevolezza e della congruità dell’istruttoria, ma non può operare autonomamente la verifica della congruità dell’offerta presentata e delle sue singole voci, poiché, così facendo, invaderebbe una sfera propria della pubblica amministrazione, in esercizio di discrezionalità tecnica” (cfr., ex multis, Cons. St., Sez. IV, 26 febbraio 2015, n. 963).

“Il procedimento di verifica dell’anomalia di cui agli artt. 86 e 89 del d.lgs n. 163/2006 è avulso da formalismi, è improntato alla collaborazione tra l’offerente e l’amministrazione a mezzo dello strumento del contradittorio, non ha carattere sanzionatorio e non ha ad oggetto la ricerca di specifiche inesattezze dell’offerta economica , ma mira ad accertare se in concreto l’offerta nel suo complesso sia attendibile e/o affidabile o meno in relazione alla corretta esecuzione del contratto (cfr, tra le tante, Sez. III 14/12/2012 n.6442; Sez. IV 30/5/2013 n. 5956; Sez. V 18/2/2013 n.973; idem 1574/2013 n. 2063)”(Consiglio di Stato sez. IV 22/6/2016 n. 2751).

Il vaglio del giudice amministrativo sulle giustificazioni presentate dal soggetto sottoposto al giudizio di verifica dell’anomalia dell’offerta è limitato al riscontro di errori di valutazione evidenti e gravi restando per il resto la capacità di giudizio confinata entro i confini dell’apprezzamento tecnico proprio di tale tipo di discrezionalità (cfr. ex plurimis, Cons. Stato A.P. 29/12/2012 n. 36; Sez. V 26/9/2013 n. 4761).

Quanto alla motivazione, nel caso di esito positivo del giudizio di anomalia, la giurisprudenza è costante nel ritenere non necessaria una motivazione analitica (cfr., ex plurimis, Cons. Stato Sez.V 17/1/2014 n. 162).

Nel caso di specie, non è condivisibile la ricostruzione operata dalle appellanti, in quanto fondata su calcoli errati, come dimostrato dalla difesa della controinteressata (cfr. pag. 20 della memoria del 21 febbraio 2017), e come correttamente ritenuto dal primo giudice.

Tenendo conto dei parametri corretti non si evincono quelle divergenze nei costi tali da giustificare l’insostenibilità economica dell’offerta.

La doglianza va dunque respinta.

12. – Con il settimo motivo di appello censurano le appellanti la condanna alle spese rilevando che essa sarebbe sproporzionata ed irragionevole.

Inoltre, le due controinteressate – pur essendosi costituite entrambe – hanno svolto le medesime difese sicchè la liquidazione delle spese per ciascuna di esse sarebbe del tutto irragionevole.

12.1 – La doglianza è fondata e va, dunque accolta.

Devono richiamarsi a questo proposito i principi espressi dalla Sezione in una fattispecie similare (cfr. Cons. Stato, Sez. Terza, 3 novembre 2016, n. 4612), nella quale ha innanzitutto precisato che la questione relativa all’individuazione del valore della controversia ai fini della liquidazione delle spese di giudizio relative al primo grado, non investe l’individuazione del valore della controversia né in relazione all’art. 29 del D.Lgs. 163/06, né ai fini del pagamento del contributo unificato.

Ha quindi precisato che per l’individuazione del valore della controversia occorre deve tener conto di quanto stabilito nel D.M. 10 marzo 2014 n. 55, contenente il “Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense, ai sensi dell’articolo 13, comma 6, della legge 31 dicembre 2012, n. 247”, ed in particolare, di quanto previsto negli artt. 4 e 5 del predetto decreto.

L’art. 5, comma 2 del citato decreto stabilisce che: “Nella liquidazione dei compensi a carico del cliente si ha riguardo al valore corrispondente all’entità della domanda. Si ha riguardo al valore effettivo della controversia quando risulta manifestamente diverso da quello presunto anche in relazione agli interessi perseguiti dalle parti”.

Il successivo comma 3, ultimo periodo, dispone che: “In relazione alle controversie in materia di pubblici contratti, l’interesse sostanziale perseguito dal cliente privato è rapportato all’utile effettivo o ai profitti attesi dal soggetto aggiudicatario o dal soggetto escluso”.

Ne consegue che per la commisurazione delle spese di lite occorre tener conto di dette specifiche disposizioni.

Il primo giudice ha liquidato le spese di lite in € 30.000,00, somma ritenuta abnorme dalle appellanti.

Nel caso di specie, la sentenza di primo grado nella parte dispositiva che ha respinto il ricorso di primo grado è stata confermata.

E’ stato però proposto specifico motivo di appello avverso il capo di sentenza che ha regolato le spese di giudizio, il che implica la possibilità per il giudice di secondo grado di pronunciarsi su detto motivo.

Secondo il costante orientamento della giurisprudenza “la sindacabilità in appello della condanna alle spese di lite comminata dal primo giudice, in quanto espressiva della discrezionalità di cui dispone il giudice in ogni fase del processo, è limitata solo all’ipotesi in cui venga modificata la decisione principale, salvo la manifesta abnormità” (cfr. ex multis, Cons. Stato Sez. III, 21 ottobre 2015, n. 4808): nel caso di specie, ricorre l’ipotesi della manifesta abnormità, poiché l’importo è stato calcolato erroneamente sul valore dell’appalto fissato ai sensi dell’art. 29 del D.Lgs. 163/06, non tenendo conto della specifica disposizione recata dal combinato disposto degli artt. 4 e 5 del D.M. n. 55/2014.

La statuizione del primo giudice sulla condanna alle spese di lite deve essere quindi riformata nella sola parte relativa all’importo liquidato, in quanto sussistendo la soccombenza delle ricorrenti in primo grado, le spese sono state poste correttamente a loro carico.

Per quanto attiene all’importo da liquidarsi per il primo grado di giudizio, non essendo facilmente determinabile l’effettivo utile, ritiene il Collegio di dover liquidare l’importo in via forfettaria secondo la prassi seguita dalla Sezione, così come stabilito nel dispositivo.

12.2 – Le spese del grado di appello possono essere compensate, tenendo conto della soccombenza reciproca delle parti e, in ogni caso, della particolare complessità delle questioni trattate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, così dispone:

– respinge in parte l’appello e, per l’effetto, conferma la sentenza di primo grado nella parte in cui ha respinto il ricorso di primo grado;

– accoglie l’appello limitatamente al solo capo di sentenza che ha liquidato le spese del giudizio di primo grado, confermando per il resto la sentenza impugnata;

– per l’effetto, in parziale riforma della sentenza appellata, ridetermina in euro novemila la misura delle spese del giudizio dinanzi al TAR poste a carico della parte ricorrente, soccombente in primo grado;

– compensa tra le parti le spese del presente grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 luglio 2017 con l’intervento dei magistrati:

Marco Lipari, Presidente

Manfredo Atzeni, Consigliere

Lydia Ada Orsola Spiezia, Consigliere

Stefania Santoleri, Consigliere, Estensore

Oswald Leitner, Consigliere

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Stefania Santoleri Marco Lipari

IL SEGRETARIO

Redazione

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