Il Consiglio di Stato, Sez. V, con la sentenza n. 4300 del 12 settembre 2017, si è pronunciato sull’ipotesi di esclusione da una gara d’appalto di un’impresa aderente ad un’ATI e ammessa al concordato preventivo e sul divieto o meno di modificazioni soggettive nei casi di raggruppamenti temporanei.
Secondo i giudici di Palazzo Spada, il provvedimento di esclusione impugnato sia stato adottato dopo l’ammissione dell’impresa al concordato preventivo, ma è fondato sulla mancata produzione, da parte dell’ATI ammessa a concordato preventivo dopo la proposizione della domanda di partecipazione alla gara, delle garanzie previste dalla legge fallimentare, “quindi senza la necessaria autorizzazione del tribunale fallimentare a proseguire nella partecipazione alla gara”.
Il Collegio ha concluso, pertanto, nel senso che “l’impresa ammessa a concordato non ha tempo per produrre le dichiarazioni di cui ai commi 5 e 6 dell’art. 186-bis L.F. fino al momento dell’eventuale aggiudicazione della gara, atteso che, trattandosi di requisito di partecipazione, esso deve sussistere al momento della proposizione della relativa domanda e permanere per tutto l’iter procedìmentale di gara e fino all’aggiudicazione definitiva”.
Per quanto concerne la possibilità o meno di modificazioni soggettive durante una gara d’appalto, il Consiglio di Stato ha rilevato la sussistenza del divieto delle stesse in quanto “il recesso di una o più imprese dell’ATI è consentito soltanto se quelle rimanenti siano in possesso dei requisiti di qualificazione per le prestazioni oggetto dell’appalto: infatti il divieto legislativo riguarderebbe solo l’aggiunta o la sostituzione di componenti, non anche il venir meno senza sostituzioni di taluno”.
Si riporta di seguito il testo della sentenza.
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Pubblicato il 12/09/2017
N. 04300/2017 REG.PROV.COLL.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 6835 del 2016, proposto da:
Gesco, Consorzio di Cooperative Sociali, e Tecton Soc. Coop. in proprio e quale mandante ATI costituita con Ceif Soc. Coop. (mandataria) e Gesco (mandante), ciascuno in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dagli avvocati Ferdinando Scotto e Lucio Perone, con domicilio eletto presso lo studio Ferdinando Scotto in Roma, via G.G. Belli, n. 39;
contro
Asia Azienda Servizi Igiene Ambientale di Napoli, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Andrea Napolitano e Alfonso Erra, con domicilio eletto presso lo studio Roberta Niccoli in Roma, via Alberico II, n. 4;
nei confronti di
Ceif Soc. Coop., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Massimiliano Czmil, con domicilio eletto presso lo studio Luigi Fedeli Barbantini in Roma, via Caio Mario, n. 7;
GBM Finanziaria Spa, non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CAMPANIA – NAPOLI: SEZIONE I n. 03473/2016, resa tra le parti, concernente l’affidamento della progettazione definitiva ed esecutiva, realizzazione e gestione dell’impianto di trattamento della frazione umida finalizzato alla produzione di compost di qualità a biometano.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Asia Azienda Servizi Igiene Ambientale di Napoli e di Ceif Soc. Coop.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 22 giugno 2017 il Cons. Paolo Giovanni Nicolò Lotti e uditi per le parti gli avvocati Francesco Mangazzo, su delega degli avv. Scotto e Perone, Alfonso Erra e Luigi Fedeli Barbantini, su delega dell’avv. Czmil;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
FATTO
Il Tribunale amministrativo regionale per la Campania, Napoli, Sez. I, con la sentenza 7 luglio 2016, n. 3473, nella resistenza di ASIA, ha respinto il ricorso proposto da Grsco e Tecton per l’annullamento del provvedimento di esclusione dell’ATI Ceif, Tecton e Gescodalla procedura per l’affidamento in concessione della progettazione, esecuzione e gestione di un impianto di trattamento della frazione umida da raccolta differenziata finalizzato alla produzione di compost di qualità a biometano in Napoli, Scampia, viale della Resistenza, e della conseguente escussione della cauzione provvisoria per un importo di euro 157.689,68.
Il TAR ha in sintesi rilevato che:
– l’atto espulsivo, pur proposto dall’amministratore unico di ASIA s.p.a., era stato fatto proprio dalla commissione di gara nella seduta del 2 febbraio 2016, il che escludeva la sussistenza del dedotto difetto di competenza;
– in data 23 dicembre 2015 il Tribunale di Forlì aveva decretato l’apertura della procedura di concordato preventivo della CEIF ai sensi dell’art. 163 della legge fallimentare, previa trasmissione della proposta e del piano concordatario e, quindi, spettava solo al tribunale fallimentare l’autorizzazione all’ammissione o meno alla procedura di evidenzia pubblica della predetta impresa ai sensi dell’art. 186-bis, comma 4, R.D. n. 267-1942;
– nel caso specifico non risultava che la commessa pubblica, di cui alla gara in questione, fosse stata inserita nel piano di concordato di cui agli artt. 161, comma 2, lett. e), e 186-bis, comma 1, della legge fallimentare e tanto meno vi era prova dell’avvenuta presentazione al giudice fallimentare della domanda di autorizzazione alla partecipazione alla procedura di cui si controverte, né che tale autorizzazione fosse stata rilasciata, né infine che fosse stata prodotta la documentazione prevista dall’art. 186-bis, comma 5, della legge fallimentare (relazione del professionista e dichiarazione di impegno di altro operatore economico);
– la sanzione espulsiva era stata pertanto legittimamente disposta dal seggio di gara ex art. 38, comma 1, lett. a), del Codice degli appalti pubblici;
– era superfluo l’esame del profilo di illegittimità drl segmento motivazionale del provvedimento di esclusione badato sulla c.d. “frattura” del rapporto fiduciario che, secondo l’amministrazione, consegue alla mancata tempestiva comunicazione da parte dell’ATI dell’avvio della procedura di ammissione a concordato preventivo;
– sussisteva peraltro il divieto di modificazione soggettiva dei raggruppamenti temporanei e dei consorzi ordinari di concorrenti rispetto all’impegno presentato in sede di offerta, stabilito dall’art. 37, comma 9, d.lgs. n. 163-2006;
– infine l’incameramento della cauzione si configura come conseguenza automatica del provvedimento di esclusione.
Le appellanti hanno chiesto la riforma della predetta sentenza del TAR, deducendone l’erroneità alla stregua degli stessi motivi del ricorso di primo grado (ivi compresi quelli non esaminati per assorbimento).
Si è costituita in giudizio la stazione appaltante appellata, chiedendo la reiezione dell’appello.
Ha proposto intervento ad adiuvandum la CEIF, società cooperativa in concordato preventivo, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso di primo grado.
All’udienza pubblica del 22 giugno 2017 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. La Sezione osserva, in punto di fatto, che le appellanti, in ATI, avevano proposto domanda di partecipazione alla procedura per cui è controversia in data 6.7.2015 e successivamente, in data 20.7.2015, la mandataria aveva proposto istanza di ammissione a concordato preventivo “misto”, in parte liquidatorio e in parte in continuità, in ragione di una situazione finanziaria compromessa.
Il decreto di apertura della procedura di concordato preventivo della CEIF appellante è stato adottato dal Tribunale di Forlì in data 23.12.2015.
La stazione appaltante ASIA Napoli ha avviato il procedimento per l’esclusione dell’ATI dalla gara in data 11.9.2015; l’esclusione è stata disposta in data 26.1.2016.
2. Ciò premesso non è seriamente dubitabile che il provvedimento di esclusione impugnato sia stato adottato dopo l’ammissione della CEIF al concordato preventivo con continuità disposta dal Tribunale di Forlì e che esso sia fondato sulla mancata produzione, da parte dell’ATI ammessa a concordato preventivo dopo la proposizione della domanda di partecipazione alla gara, delle garanzie di cui ai comma 5 e 6 dell’art. 186-bis L.F., quindi senza la necessaria autorizzazione del tribunale fallimentare a proseguire nella partecipazione alla gara.
Sono pertanto infondati i motivi d’appello (segnatamente di parte del secondo motivo, nonché del quarto e quinto motivo) con i quali si assume in punto di fatto che il provvedimento di esclusione sarebbe stato adottato esclusivamente sul presupposto della pendenza di una procedura di concordato in continuità aziendale, ex art. 181, comma 6, della legge fallimentare che di per sé, infatti, non costituisce motivo di esclusione per perdita dei requisiti di carattere generale ex art. 38 d.lgs. n. 163-2006: occorre infatti ribadire che nel caso di specie è la mancanza della predetta autorizzazione a integrare la fattispecie dell’assenza dei requisiti ex art. 38 citato.
L’impresa ammessa a concordato non ha tempo per produrre le dichiarazioni di cui ai commi 5 e 6 dell’art. 186-bis L.F. fino al momento dell’eventuale aggiudicazione della gara, atteso che, trattandosi di requisito di partecipazione, esso deve sussistere al momento della proposizione della relativa domanda e permanere per tutto l’iter procedìmentale di gara e fino all’aggiudicazione definitiva.
3. Anche il primo motivo di appello è infondato giacché, come correttamente rilevato dal TAR, il provvedimento di esclusione è stato in ogni caso ratificato/convalidato dalla commissione di gara (cfr. verbale 2.2.2016 in atti), che fatto il contenuto dei provvedimenti estromissivi adottati d’urgenza dal Presidente, non rinvenendosi così alcun vizio ascrivibile ad un presunto difetto di competenza .
4. Ugualmente infondato è il secondo motivo di appello , atteso che (fermo quanto già osservato al precedente al punto 2)e, seguendo la tesi dell’appellante e dando tempo all’impresa in concordato di produrre l’autorizzazione del giudice fallimentare fino all’eventuale aggiudicazione, si determinerebbe un insanabile contrasto con i principi di buon andamento, celerità e non aggravio dei procedimenti amministrativi, tenuto anche conto che, nel caso di specie, l’autorizzazione di cui si discute non risulta nemmeno essere mai stata richiesta dall’appellante in concordato.
Tutto ciò a maggior ragione nell’ambito di un procedimento di project-financing come quello in oggetto, l’ATI di cui facevano parte le appellanti poteva rivestire la qualifica di promotore con diritto di prelazione, ex art. 153 d.lgs. n. 163-2006.
5. Anche il terzo motivo di appello è infondato, posto che il divieto di modificazione soggettiva dei concorrenti imposto dal legislatore riguarda invero qualsiasi modificazione, fatta eccezione per le ipotesi eccezionali espressamente previste dalla norma, essendosi voluto escludere in una materia delicata quale quella di cui si discute l’esercizio di un potere discrezionale da parte dell’amministrazione, che avrebbe potuto sfociare in provvedimenti (di ammissione o di esclusione) estemporanei e non coerenti, capaci di violare i fondamentali principi di par condicio e di concorrenza che presiedono alla svolgimento delle procedure ad evidenza pubblica.
Sono in definitiva da ritenersi precluse nella materia de qua interpretazioni che ammettano ipotesi di modificazione soggettiva dei concorrenti, risolvendosi l’interpretazione “meno rigida” delle norme vigenti in una “operazione non già di interpretazione normativa, bensì di (non consentita) integrazione della norma, di per sé compiutamente disciplinante il caso considerato” (cfr. Consiglio di Stato, Ad. Pl., 4 maggio 2012, n. 8 e Consiglio di Stato, Sez. IV, 22 dicembre 2014, n 6311).
Il recesso di una o più imprese dell’ATI è consentito soltanto se quelle rimanenti siano in possesso dei requisiti di qualificazione per le prestazioni oggetto dell’appalto: infatti il divieto legislativo riguarderebbe solo l’aggiunta o la sostituzione di componenti, non anche il venir meno senza sostituzioni di taluno; solo in tali ipotesi, infatti, non si verificherebbe “una violazione della par condicio dei concorrenti, perché non si tratta di introdurre nuovi soggetti in corsa, ma solo di consentire a taluno degli associati o consorziati il recesso, mediante utilizzo dei requisiti dei soggetti residui, già comunque posseduti”.
Circostanza che non ricorre nel caso di specie, poiché le mandanti, per loro stessa ammissione, sono sprovviste dei requisiti necessari.
Né, infine, assume rilievo il disposto di cui all’art. 37, comma 19, d.lgs. n. 163-2006, atteso che tale norma, di carattere derogatorio e, quindi, di stretta interpretazione, testualmente prevede che in caso di fallimento del mandatario la stazione appaltante può proseguire il rapporto di appalto.
Testualmente, dunque, tale norma si applica soltanto in fase di esecuzione del contratto.
6. Come ha correttamente affermato il TAR, l’incameramento della cauzione si configura come una conseguenza automatica del provvedimento di esclusione.
Infatti alla stazione appaltante non è concesso alcun margine di apprezzamento discrezionale in ordine alla necessità o meno di escutere la cauzione al verificarsi delle condizioni direttamente previste dalla legge, atteso che, si ribadisce, l’incameramento della cauzione costituisce l’automatica conseguenza della violazione di regole e doveri contrattuali espressamente accettati (cfr. Consiglio di Stato, Ad. Plen., 10 dicembre 2014, n. 34) e comprende anche il difetto di requisiti generali di cui all’art. 38 del Codice citato (Ad. Plen. n. 34-2014 citata).
Peraltro, nel caso in esame, l’art. 3, punto 6, del disciplinare di gara, non impugnato, rinvia esplicitamente e per intero alla disciplina di cui all’art.75 d.lgs. n. 163-2006, che non risulta non derogata per le procedure in esame.
Peraltro, il disposto di cui all’art. 153, comma 17, d.lgs. n. 163-2006 si limita ad ampliare la tutela dell’ente concedente, prevedendo espressamente tra gli eventi da “coprire” con la cauzione provvisoria, anche la mancata partecipazione alla gara da parte del proponente, non sovrapponendosi affatto alla disciplina di cui al precedente art. 75, ma ampliandola, appunto.
Dalla natura vincolata del provvedimento di escussione deriva la piena sufficienza della motivazione resa con riferimento ai fondamenti del provvedimento estromissivo.
7. Deve essere respinta anche l’istanza istruttoria formulata dalle appellanti, giacché essa tende ad acquisire documenti che la Sezione non si ritiene utili e necessari ai fini della definizione del giudizio
8. Conclusivamente, alla luce delle predette argomentazioni, l’appello deve essere respinto in quanto infondato, restando così assorbita anche ogni questione sull’ammissibilità dell’atto di intervento ad adiuvandum spiegato da Ceif.
Le spese di lite del presente grado di giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza con riguardo all’appellata Asia, mentre possono essere compensate con Ceif Soc. Coop.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello come in epigrafe indicato, lo respinge.
Condanna l’appellante al pagamento in favore di Asia delle spese del presente grado di giudizio che si liquidano in euro 4.000,00 (quattromila), oltre accessori di legge; dichiara compensate le spese tra l’appellante e Ceif.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 giugno 2017 con l’intervento dei magistrati:
Carlo Saltelli, Presidente
Paolo Giovanni Nicolo’ Lotti, Consigliere, Estensore
Fabio Franconiero, Consigliere
Raffaele Prosperi, Consigliere
Alessandro Maggio, Consigliere
L’ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
Paolo Giovanni Nicolo’ Lotti | Carlo Saltelli | |
IL SEGRETARIO