Acquisizione sanante: sono dimidiati i termini per la proposizione dell’appello

Il Consiglio di Stato, Sez. IV, con la sentenza n. 4661 del 6 ottobre 2017, si è pronunciato in ordine alla possibile applicazione dei termini dimidiati per la proposizione dell’appello in un procedimento relativo alla disciplina dell’acquisizione sanante.

Secondo i giudici di Palazzo Spada, il provvedimento di acquisizione sanante adottata dalla P.A. ai sensi dell’art. 42-bis del d.P.R. n. 327/2001, per i casi in cui vi sia stata utilizzazione del bene immobile privato per scopi di interesse pubblico “modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità”, rientra sicuramente nel novero di quei provvedimenti per i quali l’art. 119 prevede l’applicazione di termini dimidiati per la proposizione dell’appello.

Tesi questa che trova conferma nella giurisprudenza del Consiglio di Stato stesso, la quale “è consolidata nel ritenere l’applicabilità del termine dimidiato alle controversie aventi ad oggetto il provvedimento ex art. 42-bis cit. (Cons. Stato, sez. IV n. 3245 del 2016; da ultimo con specifico riferimento al ricorso in appello, sez. IV, n. 2697 del 2016)”.

Si riporta di seguito il testo della sentenza.

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Pubblicato il 06/10/2017

N. 04661/2017 REG.PROV.COLL.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1605 del 2016, proposto dal signor Ugo Subiaco, in proprio e nella qualità di erede della signora Maria Rosa Tormena, rappresentato e difeso dagli avvocati Primo Michielan e Andrea Manzi, con domicilio eletto presso lo studio Andrea Manzi in Roma, via Federico Confalonieri 5;

contro

Comune di Farra di Soligo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Massimo Colarizi e Maurizio Zanchettin, con domicilio eletto presso lo studio Massimo Colarizi in Roma, viale Bruno Buozzi 87;

per la riforma

della sentenza del T.a.r. per il Veneto – Sezione II – n. 1244 del 20 novembre 2015, resa tra le parti, concernente acquisizionesanante ex art.42-bis d.lgs. n. 327 del 2001.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Farra di Soligo;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 28 settembre 2017 il Cons. Giuseppa Carluccio e uditi per le parti gli avvocati Reggio D’Aci, per delega di Manzi, e Colarizi.

FATTO e DIRITTO

1. Il sig. Ugo Subiaco – nella qualità di proprietario, anche per intervenuta successione mortis causa alla propria moglie Maria Rosa Termena rispetto ad una parte delle aree – propose ricorso dinanzi al T.a.r. avverso la delibera del Comune di Farra di Soligo (n. 40 del 30 dicembre 2013) di approvazione dell’acquisizione sanante, ex art. 42-bis del d.P.R. n. 327 del 2001, delle aree occupate nel 1988 per la sistemazione di alcune strade comunali, i cui lavori erano stati completati nel 1990 senza che fosse stato mai emanato il decreto di esproprio.

1.1. Ai fini che ancora rilevano nella presente controversia, il sig. Subiaco chiese l’annullamento del suddetto atto (e dell’avviso di avvio di procedimento presupposto), deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 42-bis cit. per essersi formato il giudicato restitutorio in esito alla sentenza della Corte di cassazione n. 14609 del 23 agosto 2012, concernente le aree originariamente di proprietà della moglie.

2. Il T.a.r., con la sentenza n. 1244 del 20 novembre 2015, notificata in data 15 dicembre 2015, ha rigettato il ricorso.

3. Avverso la suddetta sentenza, il sig. Subiaco ha proposto appello, avviato per la notifica il 15 febbraio 2016.

3.1. Il Comune si è costituito eccependo preliminarmente la tardività del ricorso in appello, stante il mancato rispetto del termine breve dimezzato di impugnazione (pari 30 giorni) applicabile alla controversia ai sensi dell’art. 119, co. 1, lett. f) e co. 2 c.p.a.

3.2. L’appellante ha depositato memoria in data 28 luglio 2017 e memoria di replica in data 16 settembre 2017.

Il Comune ha depositato memoria in data 7 settembre 2017.

4. Il ricorso in appello è irricevibile, essendo stato violato il termine dimidiato di 30 giorni per la notifica del ricorso in appello, ex art. 119 c.p.a.

4.1. Il gravame è stato notificato ben oltre il termine di giorni 30, richiesto dall’art. 119, co. 1, lett. f) e co. 2 c.p.a.; mentre risulta irrilevante il rispetto del termine dimidiato di deposito del ricorso in appello (appello ricevuto dall’appellato il 17 febbraio 2016 e depositato il 1° marzo successivo), atteso che il tempestivo deposito presuppone logicamente la tempestiva notifica del ricorso.

4.2. L’art. 119, co. 2, c.p.a. prevede, per i giudizi indicati al comma 1 del medesimo articolo – tra i quali, quelli aventi ad oggetto le controversie concernenti “provvedimenti relativi alle procedure di occupazione e di espropriazione delle aree destinate all’esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità . . . (lett. f)” – la dimidiazione dei termini, salvo che per i casi ivi espressamente contemplati, tra i quali non rientra la notifica del ricorso in appello.

Il provvedimento di acquisizione, che la pubblica amministrazione adotta ai sensi dell’art. 42-bis del d.P.R. n. 327/2001, per i casi in cui vi sia stata utilizzazione del bene immobile privato per scopi di interesse pubblico “modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità”, è certamente provvedimento che rientra tra quelli per i quali l’art. 119 in argomento contempla la dimidiazione dei termini. Oltre alla lettera della disposizione che individua i giudizi “relativi” alle procedure di occupazione e di espropriazione (art. 119, co. 1, lett. f), c.p.a.) e alla sua significativa collocazione nel d.P.R n. 327 del 2001 (recante il Testo Unico delle disposizioni in tema di espropriazione per pubblica utilità), rileva il generale riconoscimento del procedimento ex art. 42-bis cit. quale autonomo procedimento espropriativo semplificato, da parte della Corte costituzionale (sentenza n. 71 del 2015) e dalla consolidata giurisprudenza di questo Consiglio (a partire da Ad. plen. n. 2 del 2016;) e della Corte di cassazione (tra le tante, cfr. sentenza n. 22096 del 2015), trattandosi di un provvedimento che determina una acquisizione in via autoritativa del bene al patrimonio della pubblica amministrazione, e certamente afferisce a “procedure di occupazione e di espropriazione”.

Inoltre, la giurisprudenza di questo Consiglio è consolidata nel ritenere l’applicabilità del termine dimidiato alle controversie aventi ad oggetto il provvedimento ex art. 42-bis cit. (Cons. Stato, sez. IV n. 3245 del 2016; da ultimo con specifico riferimento al ricorso in appello, sez. IV, n. 2697 del 2016).

4.3. Neppure ha pregio la tesi dell’appellante, articolata con le memorie, secondo la quale avrebbe esercitato un’azione di nullità e non di annullamento, come sarebbe desumibile dal petitum sostanziale, avendo fatto valere il giudicato restitutorio implicito derivante dalla sentenza della Corte di cassazione n. 14609 del 2012; qualificazione che sarebbe stata di spettanza del giudice e, non avendovi provveduto quello di primo grado, ora spetterebbe al giudice di appello.

A tal fine è assorbente rilevare che la deduzione di un giudicato restitutorio, attinendo alla sussistenza o meno dei presupposti previsti dall’art. 42-bis cit. per la legittimità del provvedimento di acquisizione sanante, non trasforma l’azione di annullamento in azione di nullità.

Tanto risulta dalla piana lettura del complesso degli argomenti in fatto e diritto sviluppati dal signor Subiaco nel ricorso di primo grado e in quello di appello.

4.4. La richiesta di rimessione in termini non può essere accolta.

Non sussistono le condizioni per la concessione del beneficio della rimessione in termini per errore scusabile previsto dall’art. 37 c.p.a., perché tale istituto riveste carattere eccezionale (cfr. Ad. plen., nn. 22 del 2016, 33 del 2014, 32 del 2012, 10 del 2011, 3 del 2010), risolvendosi in una deroga al principio fondamentale di perentorietà dei termini processuali, ed è soggetto a regole di stretta interpretazione. Infatti, i termini in generale, e quelli dei riti speciali abbreviati in particolare, sono stabiliti dal legislatore per ragioni di interesse generale e hanno applicazione oggettiva. In definitiva, i presupposti per la concessione dell’errore scusabile sono individuabili esclusivamente nella oscurità del quadro normativo, nelle oscillazioni della giurisprudenza, in comportamenti ambigui dell’amministrazione, nell’ordine del giudice di compiere un determinato adempimento processuale in violazione dei termini effettivamente previsti dalla legge, nel caso fortuito e nella forza maggiore.

4.4.1. Nella specie, la richiesta di remissione non può trovare fondamento, come sostiene l’appellante, nell’obiettiva incertezza in ordine alla qualificazione degli atti adottati ai sensi dell’art. 42-bis in argomento, quale emergente – all’epoca della presentazione del ricorso dinanzi al T.a.r. – dall’ordinanza n. 441 del 2014 della Corte di cassazione, che sollevò questione di costituzionalità della norma.

Infatti, rilevano i termini per la proposizione dell’appello, instaurato nel 2016, quando la Corte costituzionale, la Corte di cassazione e il Consiglio di Stato si erano già pronunciati (con le sentenze richiamate al § 4.2).

Peraltro:

a) ai sensi dell’art. 119, co. 2 in argomento, i termini per la proposizione del ricorso introduttivo di primo grado non sono dimidiati;

b) non è mai stata seriamente in discussione la natura espropriativa del provvedimento emanato ai sensi dell’art. 42-bis (ovvero del suo antecedente art. 43 t.u. espr.).

5. In conclusione, il ricorso in appello è irricevibile.

6. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo dichiara irricevibile.

Condanna l’appellante al pagamento delle spese di giudizio in favore del Comune appellato, che liquida nell’importo di euro 5.000,00, oltre agli accessori di legge (15% a titolo di rimborso delle spese generali, I.V.A. e C.P.A.).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 settembre 2017 con l’intervento dei magistrati:

Vito Poli, Presidente

Giuseppe Castiglia, Consigliere

Luca Lamberti, Consigliere

Nicola D’Angelo, Consigliere

Giuseppa Carluccio, Consigliere, Estensore

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Giuseppa Carluccio Vito Poli

IL SEGRETARIO

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