Mobbing nel rapporto di lavoro: cos’è il danno biologico da costrittività lavorativa?

di Elena Zisa

Il danno biologicodi origine lavorativa” deve essere indennizzato.

Lo aveva previsto il decreto legislativo n. 38/2000 (disciplina sugli infortuni sul lavoro e malattie professionali) che ha sancito l’indennizzabilità di questo particolare  danno, a condizione che l’infortunio subito, nel corso del rapporto di lavoro, abbia causato un’invalidità permanente.

Ma andiamo con ordine, anzitutto, cos’è il danno biologico?

L’art. 13 lo definisce “la lesione all’integrità psico-fisica, suscettibile di valutazione medico legale, della persona”.

E l’art. 10, comma 4 definisce malattie professionali anche quelle non comprese nelle tabelle di cui al comma 3 del TU (d.p.r. n. 1124/65) delle quali il lavoratore dimostri comunque l’origine professionale.

Tale principio, già sancito dalla Corte Costituzionale n. 179/88, che aveva appunto dichiarato l’illegittimità costituzionale del d.p.r. 1124/65 nella parte in cui non prevedeva l’assicurazione obbligatoria anche per malattie diverse da quelle “tabellate”.

E, tra le malattie professionali, vanno indubbiamente ricomprese anche le patologie da stress dell’ambiente di lavoro, tra cui il “mobbing“.

Il D.M. 14 gennaio 2008 prevede tra “le malattie la cui origine lavorativa è di limitata probabilità”, anche le “malattie psichiche e psicosomatiche da disfunzione dell’organizzazione del lavoro”, consistenti nel disturbo dell’adattamento cronico (con ansia, depressione, reazione mista, alterazione della condotta e/o della emotività, disturbi somatiformi) e nel disturbo post-traumatico cronico da stress, derivanti da disfunzioni dell’organizzazione del lavoro.

Dunque, le malattie psichiche e psicosomatiche rilevano ai fini assicurativi se ricollegabili a fattori di rischio, oggettivamente collegati all’organizzazione del lavoro.

Tra le ipotesi di costrittività organizzativa rientrano, a fini esemplificativi:
– la marginalizzazione dalla attività lavorativa;
– lo svuotamento delle mansioni;
– la mancata assegnazione dei compiti lavorativi, con inattività forzata;
– la mancata assegnazione degli strumenti di lavoro;
– i ripetuti trasferimenti ingiustificati;
– la prolungata attribuzione di compiti dequalificanti rispetto al profilo professionale posseduto;
– la prolungata attribuzione di compiti esorbitanti o eccessivi anche in relazione a eventuali condizioni di handicap psicofisici;
– l’impedimento sistematico e strutturale all’accesso alle notizie;
– l’inadeguatezza strutturale e sistematica delle informazioni inerenti l’ordinaria attività di lavoro;
– l’esclusione reiterata del lavoratore rispetto ad iniziative formative, di riqualificazione e aggiornamento professionale;
– l’esercizio esasperato ed eccessivo di forme di controllo.

La categoria della costrittività organizzativa ricomprende anche il “mobbing strategico“, ossia l’insieme di azioni poste in essere nell’ambiente di lavoro con lo scopo di allontanare o emarginare il lavoratore.

Il diritto all’indennizzo richiede però la prova del nesso causale tra la patologia e la costrittività lavorativa.

Ai sensi dell’art. 13, comma 2, del decreto legislativo n. 38/2000, l’indennizzo del danno biologico viene erogato in forma capitale per gradi di invalidità pari o superiore al 6% ed inferiori al 16%; mentre viene erogato in forma di rendita per gradi di invalidità superiore al 16%.

Per gradi di invalidità inferiore al 6%, il danno biologico non è indennizzabile.

Entro quindici anni, se trattasi di malattia professionale, qualora le condizioni dell’assicurato, dichiarato guarito senza postumi d’invalidità permanente o con postumi che non raggiungano il minimo indennizzabile, dovessero aggravarsi in conseguenza della malattia professionale in misura da raggiungere la soglia di indennizzabilità (pari o superiore al 6%), l’assicurato stesso può chiedere all’istituto assicuratore la liquidazione dell’indennizzo secondo quanto disposto dall’art. 13, comma 4, d.lgs. n. 38/2000.

La misura della rendita (per gradi di invalidità superiore al 16%) può essere rivista o soppressa, nel caso di recupero dell’integrità psicofisica ovvero sostituita con l’indennizzo in capitale (art. 13, comma 7, d.lgs. n. 83/2000).

Nell’ipotesi in cui, a causa delle condizioni della lesione, non sia ancora accertabile il grado di menomazione dell’integrità psicofisica e sia, comunque, presumibile che questa rientri nei limiti dell’indennizzo in capitale, l’istituto assicuratore potrà liquidare un indennizzo in capitale in misura provvisoria, con riserva di procedere a liquidazione definitiva (art. 13, comma 8, d.lgs. cit.)

Ricordiamo, infine che, nel caso in cui la malattia professionale sia causata dal comportamento del datore di lavoro o di un terzo, il lavoratore può esperire l’azione di risarcimento del danno ulteriore rispetto a quello indennizzato, mentre l’ente assicuratore può esercitare l’azione surrogatoria nei confronti del datore di lavoro o del terzo ai fini del recupero, parziale o totale, dell’importo delle prestazioni erogate in favore del lavoratore.

Elena Zisa

Avvocato, laureatasi in giurisprudenza nel 2009 presso l'Università degli Studi di Catania, nel 2011 ha conseguito il diploma di Specialista in Professioni Legali. Collabora con lo studio Giurdanella&Partners dal 2015. Si occupa di diritto amministrativo, appalti pubblici e diritto del lavoro.