Anche il vice presidente e i revisori legali sono obbligati a dichiarare, contestualmente alla presentazione dell’offerta della società, di essere in possesso dei requisiti morali sulla scorta delle previsioni contenute all’art. 80 del Codice appalti, perché rientrano nell’ampio concetto di “qualsiasi persona (…) eserciti il potere di rappresentanza, di decisione o di controllo”.
Lo ha chiarito il TAR Lombardia – Brescia, Sez. II, con la sentenza n. 218 del 26 Febbraio 2018, secondo la quale il revisore legale e il vicepresidente (in particolare se dotato di rappresentanza e di poteri analoghi a quelli del Presidente) sono entrambi riconducibili alla definizione di “qualsiasi persona” che “eserciti il potere di rappresentanza, di decisione o di controllo” dell’impresa.
Tale pronuncia ha ribadito la stessa linea interpretativa adottata dall’ANAC nei comunicati del 26 Ottobre e dell’8 Novembre 2017, pur confermando sia la validità sia il carattere non vincolante degli stessi.
In particolare, gli spunti di riflessione più rilevanti sono legati all’individuazione dei soggetti onerati di tali obblighi dichiarativi, ai sensi dell’art. 80 del D. Lgs. 50/2016. Nel caso di specie, sotto la lente di ingrandimento è passata l’esclusione di un’impresa che non aveva accompagnato alla propria offerta le dichiarazioni del proprio revisore legale e del suo vicepresidente.
L’obbligo di dichiarazione ex art. 80 del revisore contabile
In particolare, i giudici di prime cure hanno rilevato che “nessun esplicito riferimento al revisore legale sia rinvenibile, né nella legge, né nelle linee guida, né nella lettera di invito o nei modelli predisposti dalla stazione appaltante”, ma che tale assunto non può costituire una ragione valida per escludere un tale obbligo dichiarativo.
Infatti, se è vero che la figura del revisore legale non è espressamente contemplata dai soggetti elencati dall’art. 80 del Codice, d’altro canto «l’elencazione dei soggetti tenuti a rilasciare le dichiarazioni richieste dall’art. 80 non è tassativa”.
I giudici del TAR hanno ritenuto, quindi, corretta la scelta adottata dalla stazione appaltante che ha escluso l’impresa, in considerazione del fatto che il revisore legale, nella sua funzione di garante della serietà dell’impresa sul piano contabile, deve dimostrare di essere affidabile ed esente da condanne che possano mettere in discussione o minare la propria credibilità.
L’irrilevanza del c.d. self cleaning successivo
Secondo i giudici bresciani è altresì irrilevante l’adozione di misure di self-cleaning (le dimissioni del revisore contabile e la sua sostituzione da parte dei soci) di poste in essere solo successivamente alla scadenza del termine di presentazione delle domande di partecipazione e cioè tardivamente.
È pacifico in giurisprudenza, infatti, il principio secondo cui le misure di self-cleaning possono ritenersi efficaci solo “pro futuro, relativamente alle gare indette successivamente alla loro adozione (o comunque non oltre il termine fissato per la presentazione delle offerte, secondo quanto chiarito dalle Linee Guida ANAC n. 6 relativamente al nuovo codice dei contratti pubblici), pena la violazione della par condicio dei concorrenti” (TAR Lazio, n. 1092/2018).
Si riporta di seguito la parte in diritto della sentenza n. 218/2018 del Tar Brescia.
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DIRITTO
La revoca dell’aggiudicazione a favore dell’odierna ricorrente è stata da questa impugnata, introducendo tre principali motivi di illegittimità:
a) l’inclusione, in via interpretativa, nel silenzio della norma, del revisore legale tra i soggetti tenuti a dichiarare di non aver riportato condanne per reati incidenti sull’affidabilità del contraente e la conseguente applicazione estensiva della regola escludente in ragione della violazione dell’obbligo dichiarativo di cui all’art. 80, senza aver consentito il soccorso istruttorio. Omissione che, peraltro, sarebbe imputabile, con riferimento al revisore legale, anche alla controinteressata;
b) la riconduzione della fattispecie in esame a una delle ipotesi al cui verificarsi il legislatore ha ricollegato l’automatica esclusione del concorrente e, in particolare, a quella di cui alla lettera c) e cioè l’essere responsabile di gravi illeciti professionali;
c) il disconoscimento della rilevanza delle misure di self cleaning che sarebbero state prontamente adottate dall’impresa non appena venuta a conoscenza della condanna del proprio revisore contabile, immediatamente sollevato dall’incarico.
Per quanto attiene al primo profilo, parte ricorrente si duole dell’inclusione del revisore legale tra i soggetti, indicati nel terzo comma dell’art. 80 del d. lgs. 50/2016, le cui condanne per i reati espressamente indicati dalla stessa norma debbono portare all’esclusione dell’impresa concorrente cui sono riconducibili e cioè tutti i soggetti dotati di poteri di direzione o di vigilanza o muniti di poteri di rappresentanza, di direzione o di controllo.
La tesi sostenuta in ricorso, però, non può essere condivisa.
Ancorché, come ivi affermato, nessun esplicito riferimento al revisore legale sia rinvenibile, né nella legge, né nelle linee guida, né nella lettera di invito o nei modelli predisposti dalla stazione appaltante, il tenore letterale dello stesso art. 80 citato lascia spazio a pochi dubbi.
Come dalla stessa cooperativa ricorrente ricordato, invero, un accenno alla figura del Revisore come soggetto tenuto alle dichiarazioni di cui all’art. 80 del t.u. compare nei Comunicati del Presidente dell’A.N.A.C. del 26 ottobre 2016 e dell’8 novembre 2017.
Essi, però, non hanno efficacia precettiva. Se, infatti, le linee guida si distinguono in vincolanti (vedi ad es. art. 31 comma 5, D.lgs. 50/2016) e non vincolanti e quest’ultime, invero molto più frequenti, sarebbero assimilabili – secondo una tesi – alla categoria di stampo internazionalistico della c.d. “soft law”(Consiglio di Stato parere n. 1767 del 2 agosto 2016) oppure – seconda altra opzione – alle circolari intersoggettive interpretative con rilevanza esterna, operando il Codice appalti un rinvio formale alle linee guida (es. art. 36 comma 7, D.lgs. 50/2016), la non vincolatività del Comunicato del Presidente dell’ANAC è incontestata (cfr. sul punto la sentenza TAR Lazio, Roma, n. 9195/2017 e la sentenza del TAR Umbria, 428/2017). Esso, infatti, come si legge nella sentenza del TAR Lazio 9195/2017, è riconducibile al “novero di quegli atti, atipici e non vincolanti, con i quali l’Autorità si limita ad esprimere, in funzione collaborativa e di supporto alle stazioni appaltanti, il proprio orientamento in ordine all’applicazione ed interpretazione della normativa di settore”.
Ciononostante, ritornando al testo di legge, dato atto che l’elencazione dei soggetti tenuti a rilasciare le dichiarazioni richieste dall’art. 80 in parola non è tassativa e contiene comunque il riferimento a categorie di soggetti non predefiniti, la loro individuazione nel complesso panorama delle possibili figure rilevanti nell’amministrazione delle imprese deve essere guidata dalla ratio della norma, che è quella di “evitare che l’amministrazione contratti con persone giuridiche governate da persone fisiche sprovviste dei necessari requisiti di onorabilità ed affidabilità morale e professionale” (così la sentenza del TAR Lazio n. 9195/2017). Pertanto, la dichiarazione deve provenire anche dai procuratori speciali, se essi hanno, in realtà, poteri incisivi di particolare ampiezza nella rappresentanza dell’impresa e nel compimento di atti decisionali e, dunque, sulla governance.
Nella fattispecie in esame, la dichiarazione è stata omessa da un vicepresidente, dotato di rappresentanza e di poteri analoghi a quelli del Presidente, e da un revisore legale e cioè da due soggetti che risultano entrambe riconducibili alla definizione della categoria così come rinvenibile, oltre che nel codice, anche nell’art. 45 della Direttiva U.E. 2014/24, che riconduce l’obbligo dichiarativo a “qualsiasi persona” che “eserciti il potere di rappresentanza, di decisione o di controllo” dell’impresa, mirando, conformemente del resto all’orientamento generale del diritto dell’Unione, ad una interpretazione sostanzialista della figura.
In tale ottica era, dunque, senz’altro tenuto alla dichiarazione il Vicepresidente della società, in quanto dotato di ampi poteri di rappresentanza, ma anche il Revisore legale e cioè quel soggetto che, in attuazione del d. lgs. 39/2010 ha sostituito il collegio sindacale e può essere un libero professionista o una società di revisione, avente la funzione di esprimere il giudizio sul bilancio dell’impresa e di controllare la regolare tenuta della contabilità e la corretta rilevazione dei fatti di gestione nelle scritture contabili. Si tratta, dunque, della figura il cui compito è quello di garantire la serietà dell’impresa dal punto di vista contabile e per questa ragione deve ritenersi rilevante, per l’amministrazione contraente, che esso sia un soggetto affidabile e dall’ineccepibile condotta, immune da condanne che possano revocare in dubbio tali qualità.
Ne deriva che correttamente la stazione appaltante ha ritenuto che l’omessa dichiarazione della presenza, nella compagine societaria, di tali due figure, integrasse una violazione dell’obbligo di dichiarazione implicante l’effetto caducatorio dall’aggiudicazione.
Se, invece, la loro presenza fosse stata puntualmente indicata, ciò avrebbe consentito alla S.A. di valutare la rilevanza della loro posizione e di concedere la possibilità di regolarizzarla.
Peraltro, appare irrilevante, nella fattispecie, il fatto che l’omissione dichiarativa in parola sia imputabile, con riferimento al revisore contabile, anche alla controinteressata. In primo luogo perché la ricorrente ha omesso di dichiarare anche la presenza di un Vicepresidente, ma soprattutto perché, con riferimento all’odierna ricorrente, la violazione dell’obbligo dichiarativo risulta, in questo caso, superata, quanto a rilevanza ed effetti, dal fatto che il revisore legale della ricorrente ha subìto una condanna rilevante ai fini che qui interessano. Avendo omesso di palesare il pregiudizio penale del proprio revisore contabile, rispetto alla ricorrente non può trovare applicazione il principio del “falso innocuo” che, invece, può trovare applicazione a fronte dell’accertamento della carenza di fatti rilevanti in capo al revisore legale della controinteressata.
Così respinta la prima censura, miglior sorte non può essere riservata alla seconda, articolata in più specifiche ragioni per cui la condanna del revisore legale non avrebbe comunque potuto essere rilevante ai fini dell’esclusione dalla gara dell’odierna ricorrente.
In primo luogo, la ricorrente sostiene la violazione della norma secondo cui le condanne che debbono condurre all’esclusione dell’operatore economico ai sensi dell’art. 80, comma 5, lettera c) possono essere solo quelle riportate dall’impresa, quale soggetto giuridico autonomo e non anche dal singolo amministratore o soggetto dotato di potere di indirizzo o di controllo sull’impresa stessa. L’esame della doglianza deve necessariamente prendere le mosse dall’analisi del testo del comma 3 del citato articolo 80.
Secondo tale disposizione, l’esclusione è disposta se la condanna con sentenza definitiva o decreto penale di condanna divenuto irrevocabile o sentenza di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale sono stati emessi nei confronti: del titolare o del direttore tecnico, se si tratta di impresa individuale; di un socio o del direttore tecnico, se si tratta di società in nome collettivo; dei soci accomandatari o del direttore tecnico, se si tratta di società in accomandita semplice; dei membri del consiglio di amministrazione cui sia stata conferita la legale rappresentanza, ivi compresi institori e procuratori generali, dei membri degli organi con poteri di direzione o di vigilanza o dei soggetti muniti di poteri di rappresentanza, di direzione o di controllo, del direttore tecnico o del socio unico persona fisica, ovvero del socio di maggioranza in caso di società con meno di quattro soci, se si tratta di altro tipo di società o consorzio.
Le condanne rilevanti ai sensi di tale comma non possono essere solo quelle di cui ai commi 1 e 2 (che riguardano ipotesi di reati particolarmente gravi collegati all’associazione a delinquere e altre specifiche fattispecie), ma anche quelle che, ai sensi del comma 5, incidono comunque sull’affidabilità dell’impresa, tra cui, come si chiarisce anche nelle linee guida, non possono non rientrare quelle fattispecie di reato che erano prima elencate nell’art. 38 del d. lgs. 163/2016 e oggi non sono più specificamente richiamate, come l’abusivo esercizio della professione, i delitti contro la fede pubblica, i delitti contro l’industria e il commercio, i reati fallimentari, tra cui in primo luogo la bancarotta fraudolenta e semplice, i reati tributari, societari e ambientali.
Il fatto che tali reati siano stati citati espressamente solo nelle linee guida dell’11 ottobre 2017 non significa che essi non fossero da considerarsi rilevanti prima di tale momento, dovendosi attribuire alle linee guida un valore ricognitorio ed esplicativo del generico riferimento operato dalla norma.
Quindi, una lettura della disposizione, coerente con la disciplina comunitaria e con i principi fondamentali della materia già elaborati in vigenza della precedente normativa, non può che condurre a un’interpretazione estensiva, nel senso che l’esclusione può essere disposta dalla stazione appaltante anche nel caso in cui la sentenza di condanna ritenuta rilevante sia relativa a un reato come la bancarotta fraudolenta e anche se essa riguardi non l’impresa in sé, ma uno dei soggetti di cui al comma 3 dell’art. 80 del d. lgs. 50/2016.
Non è dato comprendere, peraltro, per quale ragione dovrebbero essere escluse dalla rilevanza le condanne pronunciate in attuazione della disposizione di cui all’art. 444 cpp, espressamente equiparate dal legislatore, per ognuna delle fattispecie considerate, alle condanne con rito ordinario.
Non appare sostenuta né dal dato letterale, né da alcuna specifica ratio, infine, l’affermazione contenuta sempre nella seconda censura, secondo cui la rilevanza della sentenza avrebbe dovuto essere esclusa a causa della mancata irrogazione di una sanzione accessoria quale l’interdizione o l’inabilitazione. Del tutto irrilevante risulta, dunque, il fatto che il revisore legale in questione abbia continuato a rimanere iscritto negli appositi albi: il fatto che la sua condanna non abbia comportato anche la sua radiazione dall’albo non fa venire meno, infatti, la rilevanza in ordine all’affidabilità dell’impresa che si avvalga, come proprio revisore contabile, di un soggetto condannato per un reato così grave, nell’ottica di garantire proprio la serietà dell’imprenditore, quale la bancarotta fraudolenta.
In ogni caso, la parte conclusiva del comma 5 dell’art. 80 prevede che l’esclusione possa essere disposta anche in relazione al tentativo di influenzare le decisioni della stazione appaltante in ordine al possesso dei requisiti di partecipazione: tentativo che appare senz’altro configurabile nella fattispecie in esame, in cui è stata pianamente omessa la dichiarazione della condanna del soggetto esercitante il potere di controllo sull’odierna ricorrente.
L’impugnata revoca appare, dunque, adeguatamente motivata dal riferimento anche alle fattispecie di cui al comma 5 dell’art. 80 del d. lgs. 50/2016, implicitamente effettuato nel richiamare la rilevanza della mancata comunicazione alla stazione appaltante della sentenza in questione, nonostante la stessa rientrasse nelle ipotesi di gravi illeciti professionali come descritti al punto 2.1.2. delle linee guida n. 6 dell’ANAC.
Ciò chiarito, nemmeno la terza censura può condurre all’accoglimento del ricorso, atteso che la possibilità di integrare i modelli A e B in relazione alle due figure per cui è stata omessa la dichiarazione è stata correttamente esclusa a fronte dell’omissione dell’indicazione della loro presenza. Ciò non può che condurre a classificare il comportamento dell’impresa dichiarante come omissivo e, quindi, insuscettibile di un’integrazione ammissibile solo nei confronti di una dichiarazione esistente, ma incompleta.
Peraltro, rispetto al revisore legale, in ragione di tutto quanto già anticipato circa la rilevanza della condanna dallo stesso subita, l’ammissione del soccorso istruttorio non avrebbe potuto produrre alcun effetto, il che porterebbe addirittura a qualificare il motivo come inammissibile per carenza di interesse.
In ogni caso, la suddetta interpretazione risulta essere conforme alla posizione assunta dalla Corte di Giustizia nella sentenza 6.11.2014, n. 42, nella quale ha ritenuto legittima la mancanza di soccorso istruttoria in relazione alla produzione tardiva della documentazione relativa a una condanna penale di cui è stata omessa la dichiarazione.
Infine, considerato che la revoca è stata disposta non solo quale sanzione per l’infedele dichiarazione, ma anche e soprattutto poiché la condanna riportata dal Revisore legale della cooperativa risultata aggiudicataria è stata ritenuta ostativa alla partecipazione, in ragione di una compiuta valutazione dell’ente aggiudicatario e non anche per automatismo, del tutto irrilevante risultano essere le azioni preordinate al c.d. meccanismo del self cleaning, in quanto poste in essere, nella fattispecie, solo successivamente alla scadenza del termine di presentazione delle domande di partecipazione e cioè tardivamente.
È pacifico in giurisprudenza, infatti, il principio secondo cui le misure di self-cleaning possono ritenersi efficaci solo “pro futuro, relativamente alle gare indette successivamente alla loro adozione (o comunque non oltre il termine fissato per la presentazione delle offerte, secondo quanto chiarito dalle Linee Guida ANAC n. 6 relativamente al nuovo codice dei contratti pubblici), pena la violazione della par condicio dei concorrenti” (così, da ultimo, TAR Lazio, n. 1092/2018).
Cosi respinto il ricorso, le spese del giudizio debbono seguire l’ordinaria regola della soccombenza.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che liquida, a favore delle due Amministrazioni resistenti e della controinteressata, nella somma di euro 2.000,00 (duemila/00) ciascuna, per un totale di euro 6.000,00 (seimila/00) oltre ad accessori, se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 22 febbraio 2018 con l’intervento dei magistrati:
Alessandra Farina, Presidente
Mara Bertagnolli, Consigliere, Estensore
Alessio Falferi, Consigliere
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Mara Bertagnolli Alessandra Farina