L’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento. Le conseguenze

Nel procedimento di revoca di un’aggiudicazione, il privato non può limitarsi a denunciare la mancata o incompleta comunicazione e la conseguente lesione della propria pretesa partecipativa, ma è anche tenuto ad indicare o allegare gli elementi, fattuali o valutativi, che, se introdotti in fase procedimentale, avrebbero potuto influire sul contenuto finale del provvedimento (Consiglio di Stato, sez. V, 5 giugno 2018, n. 3399)

Il Consiglio di Stato, decidendo sul ricorso dell’ACI contro una revoca dell’aggiudicazione da parte di una concessionaria autostradale per un servizio di pagamento, chiarisce come può assumere rilevanza l’omesso avvio del procedimento, in particolare nel caso di procedimento di revoca.

L’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento e le conseguenze della sua violazione

Ai sensi dell’art. 8 della legge 241 del 1990, l’avvio del procedimento amministrativo è comunicato ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti ed a quelli che per legge debbono intervenirvi, così come tale comunicazione deve essere effettuata nei confronti dei terzi, qualora da un provvedimento possa derivare un pregiudizio a soggetti individuati o facilmente individuabili, diversi dai suoi diretti destinatari.

Tuttavia, ai sensi dell’art. 21 octies della stessa legge sul procedimento amministrativo, il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

Alla luce della normativa in materia di procedimento amministrativo, il Consiglio di Stato chiarisce che la comunicazione di avvio del procedimento, non può ridursi a mero rituale formalistico, con la conseguenza, nella prospettiva del buon andamento dell’azione amministrativa, che il privato non può limitarsi a denunciare la mancata o incompleta comunicazione e la conseguente lesione della propria pretesa partecipativa, ma è anche tenuto ad indicare o allegare gli elementi, fattuali o valutativi, che, se introdotti in fase procedimentale, avrebbero potuto influire sul contenuto finale del provvedimento (Cons. Stato, Sez. IV, 9/12/2015, n. 5577; 15/7/2013, n. 3861, 20/2/2013, n. 1056, 16 febbraio 2012, n. 823 e 28/1/2011, n. 679; Sez. V, 20/8/2013, n. 4192).

In sostanza, se anche la legge sul procedimento amministrativo fa riferimento a una dimostrazione che dovrebbe essere a carico dell’amministrazione, secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato esisterebbe un onere processuale a carico del privato di dimostrare l’utilità di una sua partecipazione al procedimento.

E infatti, onde evitare di gravare la P.A. di una probatio diabolica, quale sarebbe quella consistente nel dimostrare che ogni eventuale contributo partecipativo del privato non avrebbe mutato l’esito del procedimento, i giudici interpretano la norma in esame nel senso che il privato non possa limitarsi a dolersi della mancata comunicazione di avvio, ma debba anche quantomeno indicare o allegare quali sono gli elementi conoscitivi che avrebbero introdotto nel procedimento ove avesse ricevuto la comunicazione. Solo dopo che il ricorrente ha adempiuto questo onere di allegazione (che la norma implicitamente pone a suo carico), la P.A. sarà gravata del ben più consistente onere di dimostrare che anche ove quegli elementi fossero stati valutati, il contenuto dispositivo del provvedimento non sarebbe mutato.

Nel caso di specie l’ACI, ricorrente in giudizio, non ha indicato alcun elemento che se acquisito al procedimento avrebbe potuto verosimilmente influire sul contenuto finale del provvedimento: in particolare non ha tali caratteristiche l’affermazione secondo cui la stazione appaltante, prima di procedere alla revoca, avrebbe potuto “richiedere all’ACI una ulteriore proposta migliorativa della propria offerta”, trattandosi, com’è chiaro, di evenienza rimessa alla volontà della stessa stazione appaltante e non di un argomento che si sarebbe potuto prospettare in seno al procedimento al fine di modificarne l’esito.

In allegato la sentenza integrale Consiglio di Stato, sez. V, 5 giugno 2018, n. 3399

Redazione

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