Importante decisione del CGA di Palermo, depositata oggi, sull’ultima tornata elettorale regionale, svoltasi nel novembre 2017.
Si controverteva, in particolare, sulla legittimità delle candidature dei deputati del Movimento 5 Stelle, difesi dagli avvocati Carmelo Giurdanella, Marco Antoci e Giovanni Antoci, che avevano già seguito con esito favorevole la questione innanzi al TAR Sicilia.
La questione concerneva la corretta dichiarazione delle cause di incandidabilità, disciplinate da ultimo, a livello nazionale, dalla legge Severino (decreto legislativo n. 235/2012).
Secondo i giudici amministrativi, mentre le specifiche cause di incandidabilità previste dalla legge nazionale si applicano in via generalizzata in tutte le Regioni, lo stesso non può dirsi per le norme relative alla verifica delle stesse cause e alle sanzioni per la mancata o carente dichiarazione, in quanto la regione Sicilia ha potestà legislativa riservata in materia di organizzazione ed elezione dell’Assemblea Regionale.
Per questo motivo, l’Assessorato regionale ha agito correttamente nel ritenere inapplicabile la specifica disposizione nazionale secondo cui la semplice omissione del corretto riferimento alle cause di incandidabilità determinerebbe – a prescindere dalla sostanziale sussistenza dei requisiti – la cancellazione del candidato dalla lista. Era infatti pacifico in giudizio il pieno possesso, in capo ai candidati, dei requisiti di candidabilità previsti dalla legge Severino.
Di conseguenza, risultavano del tutto legittime le dichiarazioni dei candidati deputati, anche perché lo stesso Assessorato aveva confermato la correttezza della dichiarazione in ordine alle cause di incandidabilità recepite dalla normativa regionale.
In altri termini, non è stato ritenuto sufficiente un incompleto riferimento normativo, sulle cause di incandidabilità, perché si verifichi una carenza delle dichiarazioni: al massimo le stesse potranno essere considerate irregolari, senza alcuna conseguenza sull’esito elettorale.
Di seguito, la parte motiva della sentenza del CGA,
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Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Sicilia
Sentenza del 3 ottobre 2018
(presidente Giulio Castriota Scanderbeg, estensore Carlo Modica de Mohac)
(…)
In diritto
1.1. Gli artt.7 e 9 del D.lgs. n.235 del 2012 stabiliscono – rispettivamente – quali sono le cause di incandidabilità (art.7) e quali debbano essere le modalità di verifica (presentazione di una autocertificazione preventiva e controllo della veridicità della stessa) e la sanzione (cancellazione dalle liste) per il caso di inosservanza dell’obbligo di dichiarare l’assenza di cause di incandidabilità (art.9). Ora, mentre la norma che enumera tassativamente le cause di incandidabilità (art.7 cit.) costituisce una c.d. “norma di ordine pubblico”, perciostesso applicabile (anche) nella Regione siciliana, altrettanto non può dirsi per le norme volte a disciplinare le “modalità della verifica” in ordine alla candidabilità e la sanzione per il caso di inosservanza dell’obbligo di presentazione della dichiarazione; fattispecie, queste ultime, che attengono alla potestà di autorganizzazione dell’Assemblea Regionale Siciliana, ad essa “riservata” dall’art.4 dello Statuto regionale (che, com’è noto, ha forza e valore di legge costituzionale) proprio per garantire il funzionamento della predetta assemblea parlamentare.
E poiché – in piena conformità a tale assetto di competenze (rectius: riparto di potestà) – nella Regione siciliana il procedimento elettorale è stato disciplinato dalla L. reg. 20.3.1951 n.29 (e non può che essere disciplinato da una legge regionale), ed il procedimento di c.d. “verifica dei poteri” (concernente l’accertamento di eventuali cause di ineleggibilità, incandidabilità e/o incompatibilità idonee ad impedire la proclamazione dei votati o a determinare la decadenza degli eletti) è disciplinato dal Regolamento interno dell’Assemblea Regionale Siciliana, correttamente l’Assessorato regionale ha ritenuto inapplicabile nella Regione la specifica norma contenuta nell’art.9, comma 2, del D.lgs. n.235 del 2012 – concernente un segmento di materia riservata all’autonomia regionale – secondo cui la semplice omissione del riferimento alle cause di incandidabilità previste dal precedente art.7 determina – a prescindere dalla sostanziale sussistenza dei requisiti – la cancellazione del candidato dalla lista.
Del resto, delle due l’una:
– o tale norma è volta a disciplinare il procedimento di verifica dei requisiti dei candidati alle elezioni regionali; ed allora è inapplicabile nella Regione (posto che, come testè accennato, la potestà di autorganizzazione in tale settore spetta a quest’ultima e non allo Stato);
– ovvero la norma in esame è volta ad introdurre una ulteriore causa di ineleggibilità (o di incandidabilità), riconducibile non già alla sostanziale mancanza di requisiti morali, ma al semplice fatto (formale) di non aver correttamente adempiuto un onere (la presentazione della dichiarazione autocertificatoria, in conformità ad un determinato modello); ed allora la norma è da considerare costituzionalmente illegittima in quanto lesiva dell’autonomia regionale perché volta a comprimere il diritto di elettorato passivo per l’accesso alla carica di deputato regionale anche nei confronti di soggetti che sono (e possono dimostrare di essere) in possesso dei requisiti morali per accedere alle cariche parlamentari e pubbliche.
E poiché fra due possibili interpretazioni di una norma, va sempre preferita quella maggiormente aderente ai principii, ai valori ed al dettato costituzionale, sembra al Collegio che occorra optare per la prima soluzione, secondo cui la norma in esame non è comunque applicabile nella Regione siciliana.
Ne deriva che legittimamente l’Assessorato Regionale ha diramato una direttiva con la quale ha confermato la correttezza della formula dichiaratoria espressa nel modulo da Esso fornito ai candidati (riferentesi alle sole cause di incandidabilità previste, in quanto formalmente recepite, dalla normativa regionale) ed ha disposto che le verifiche in ordine alla assenza delle cause di incandidabilità introdotte dal D.lgs. n.235 del 2012 fossero effettuate, d’ufficio, dagli uffici elettorali.
Il che è poi regolarmente avvenuto.
E poiché è risultato che nessuno dei candidati era in posizione di incandidabilità, la pretesa dell’appellante appare priva di ogni pratico e equo fondamento, essere evidente che la ratio della normativa statale posta a presidio dell’ordine pubblico – consistente nel precludere a soggetti ritenuti (dal Legislatore) moralmente inadeguati l’accesso a cariche elettive – è stata perfettamente rispettata.
1.2. Per completezza espositiva va comunque espressa un’ulteriore osservazione in ordine all’art.9 del D.Lgs. n.235 del 2012.
Esso prevede che i soggetti che non abbiano sottoscritto la dichiarazione concernente l’assenza delle cause di incandidabilità (indicate dal precedente art.7) debbano essere cancellati dalle liste.
Ora, a ben guardare, la norma in questione non prescrive affatto che in caso di mancata cancellazione dalle liste (del candidato che non abbia presentato la dichiarazione o che la abbia presentata in forma irregolare; condotta peraltro imputabile all’Autorità verificatrice e non certo al candidato), la sanzione debba inderogabilmente consistere nell’annullamento dell’elezione o della proclamazione dell’eletto (o nella pronunzia della sua decadenza dalla carica).
Al riguardo non può essere ignorato che l’art.7, comma 3, del D.Lgs. n.235 del 2012 sancisce che “l’eventuale elezione o nomina di coloro che si trovano nelle condizioni di cui al comma 1 è nulla”.
Il che significa, se le parole hanno un senso, che la nullità dell’elezione può essere pronunziata solamente nei confronti ed a carico di chi risulti non essere in possesso dei requisiti e non anche nei confronti di chi sia in possesso degli stessi, ma abbia omesso di produrre una regolare dichiarazione in tal senso.
Nulla impedisce, dunque – e la norma testè richiamata impone – che prima di procedere all’annullamento di una proclamazione di un eletto (o alla declaratoria della sua decadenza), l’Autorità competente alla verifica accerti se il soggetto illo tempore indebitamente non cancellato dalle liste, avesse o meno i requisiti morali per candidarsi.
Ed è evidente che ove tale accertamento conduca ad un esito fausto, non v’è alcuna ragione – e né la lettera né la ratio della norma fa propendere per la soluzione opposta – per pronunciare la sua decadenza o per annullare la sua proclamazione. Da tutto quanto fin qui osservato consegue che quand’anche si ritenesse applicabile nella Regione siciliana l’art.9 del D.lgs. n.235 del 2012 nella sua interezza (e cioè anche nella parte in cui pretende di imporre alla Regione le modalità di verifica e la sanzione per il caso di omessa verifica da parte dell’Autorità pubblica verificatrice), la conclusione cui pervenire per la fattispecie in esame non muterebbe.
Poiché, infatti, gli accertamenti svolti dall’Amministrazione hanno acclarato che nessun candidato difettava dei requisiti morali tassativamente indicati dall’art.7 del D.lgs. n.235 del 2012, non v’è ragione per accogliere la pretesa – rigidamente formalistica – dell’appellante.
1.3. Vi è, inoltre, un’ulteriore ragione per la quale l’appello non merita condivisione.
Come correttamente eccepito dall’Amministrazione e dagli appellanti incidentali, nel caso in esame sarebbe stato (e sarebbe) comunque applicabile – prima di pervenire all’annullamento della proclamazione degli eletti – l’istituto della “regolarizzazione documentale”, peraltro espressamente previsto dall’art.16 bis, comma 8, della L. reg. n.29 del 1951.
Non appare revocabile in dubbio, infatti, che nella fattispecie non si verte nell’ipotesi di “mancanza assoluta” della dichiarazione, ma di avvenuta produzione di una dichiarazione non perfettamente conforme alla prescrizione legislativa.
Si è in presenza, dunque, non già di inesistenza della dichiarazione, ma di una dichiarazione irregolare, perciostesso integrabile (cfr., proprio per un caso di contenzioso elettorale, C.S., III^, 16.5.2016 n.1983).
E poiché, come più volte sottolineato, l’integrazione avrebbe condotto alla dimostrazione della sussistenza dei requisiti morali in capo agli eletti, non vi è alcun profilo di doglianza che meriti accoglimento.
1.4. Le superiori osservazioni si conformano ad un consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui “l’erroneo riferimento, nelle dichiarazioni tempestivamente depositate dai candidati alle elezioni, alle cause di incandidabilità già previste dall’abrogato art.58 del D.lgs. 18.8.2000 n.267, anziché a quelle disposte dall’art.10 del D.lgs. 31.12.2012 n.235, non può assurgere a carenza sostanziale e, dunque, ad effettiva ed insanabile carenza delle predette dichiarazioni, ma va qualificato come mera irregolarità formale; né osta a tale qualificazione la diversità e, comunque, la non perfetta coincidenza delle cause di incandidabilità ora previste dall’art.10 del D.lgs. n.235 del 2012 rispetto a quelle previste dal citato art.58 se è incontestabile la volontà dei candidati, al di là dell’erroneo riferimento normativo, di certificare l’assenza, in via generale, delle cause che ostino all’incandidabilità per concorrere alle attuali elezioni secondo la legislazione vigente …” (C.S., III^, 16.5.2016 n.1983; Id., 23.5.2016 n.2123).
(…)