I presupposti dell’affidamento in house alla CGE

Il Consiglio di Stato, con due ordinanze, dubita della legittimità della normativa italiana (art. 192 del Codice dei Contratti Pubblici) laddove questa prevede gli affidamenti in house su un piano subordinato ed eccezionale rispetto agli affidamenti tramite gara di appalto.

Due decisioni del Consiglio di Stato, quasi in contemporanea, rimettono alla Corte di Giustizia Europea la questione della compatibilità comunitaria delle disposizioni nazionali in materia di affidamento a società in house, laddove prevedono la priorità dell’affidamento al mercato e l’eccezionalità dell’autoproduzione di un servizio.

Si tratta di una questione già discussa nella giurisprudenza amministrativa, tanto che un Tar ha sollevato la questione di costituzionalità, con riferimento all’obbligo di motivare l’affidamento in house di un servizio pubblico.

Anche nelle due ordinanze in commento viene sollevata la problematica dell’obbligo di motivazione in caso di affidamento in house di un servizio, sia con riferimento al fallimento del mercato che con riferimento ai benefici per la collettività.

Secondo il Consiglio di Stato, le restrittive condizioni poste dal diritto italiano potrebbero giustificarsi in relazione ai princìpi e alle disposizioni del diritto dell’UE solo a condizione che lo stesso diritto dell’Unione riconosca a propria volta priorità sistematica al principio di mesa in concorrenza rispetto a quello della libera organizzazione: nel senso che il mercato ha comunque la priorità perché è mercato.

La prima ordinanza, la 138 del 2019

L’Ordinanza 138 del 7 gennaio 2019 il Consiglio di Stato ha posto alla Corte di giustizia UE due quesiti interpretativi in tema di affidamento in house, chiedendo in particolare se il diritto europeo osti a una disciplina nazionale che colloca gli affidamenti in house su un piano subordinato ed eccezionale rispetto agli affidamenti tramite gara di appalto e impedisce, in talune circostanze, ad una pubblica amministrazione di acquisire una quota di partecipazione in un organismo pluripartecipato da altre amministrazioni.

La seconda Ordinanza, la 293 del 2019

Gli stessi dubbi sono stati sollevati da una seconda Ordinanza, la n. 293 dello stesso anno.

In questa sede i giudici di Palazzo Spada stabiliscono che venga imessa alla Corte di giustizia Ue la questione se il diritto dell’Unione europea (e segnatamente il principio di libera amministrazione delle autorità pubbliche e i principio di sostanziale equivalenza fra le diverse modalità di affidamento e di gestione dei servizi di interesse delle amministrazioni pubbliche) osti a una normativa nazionale (come quella dell’art. 192, comma 2, del ‘Codice dei contratti pubblici, approvato con d.lgs. n. 50 del 2016).

Il contrasto con la normativa comunitaria starebbe nel fatto che la norma italiana colloca gli affidamenti in house su un piano subordinato ed eccezionale rispetto agli affidamenti tramite gara di appalto: i) consentendo tali affidamenti soltanto in caso di dimostrato fallimento del mercato rilevante, nonché ii) imponendo comunque all’amministrazione che intenda operare un affidamento in regìme di delegazione interorganica di fornire una specifica motivazione circa i benefìci per la collettività connessi a tale forma di affidamento.

Anche quest’ultima Ordinanza solleva la questione della partecipazione pluripartecipata, dato che il Testo Unico delle Società Partecipate “impedisce a un’amministrazione pubblica di acquisire in un organismo pluriparecipato da altre amministrazioni una quota di partecipazione (comunque inidonea a garantire controllo o potere di veto) laddove tale amministrazione intende comunque acquisire in futuro una posizione di controllo congiunto e quindi la possibilità di procedere ad affidamenti diretti in favore dell’Organismo pluripartecipate “.

Redazione

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