I contratti continuativi di cooperazione e il subappalto

I contratti continuativi di cooperazione sono strumenti attraverso i quali i soggetti affidatari della gara possono porre in essere le prestazioni che costituiscono oggetto dell’appalto, in sostituzione del subappalto. Tali contratti hanno solo rilievo nella fase dell’esecuzione del contratto, e quindi non possono essere utilizzati per ottenere un punteggio maggiore o per soddisfare i requisiti di partecipazione. Secondo la giurisprudenza di merito, le prestazioni alle quali fà riferimento la lett c-bis del comma 3 dell’art. 105 devono essere limitate ad attività sussidiarie e secondarie rispetto a quelle propriamente rientranti nell’oggetto dell’appalto.

Consiglio di Stato, sez. V, 27 dicembre 2018, n. 7256

Tar Sicilia, sez. III, 6 dicembre 2018, n. 2583

Tar Lazio, sez. III, 29 gennaio 2019, n. 1135

Tar Veneto, sez. I, 15 febbraio 2019, n. 198

I contratti continuativi di cooperazione sono stati previsti dall’art. 105 del D.lgs 50/2016, quali formule contrattuali mediante le quali è possibile eseguire per mezzo di terzi delle prestazioni oggetto di un contratto di appalto pubblico, senza ricorrere al subappalto, e quindi senza sottostare ai limiti previsti per quest’ultimo (in particolare, superando il limite massimo del 30 per cento del valore complessivo dell’appalto).

Al comma 3 dell’art. 105 si legge che:

“Le seguenti categorie di forniture o servizi, per le loro specificità, non si configurano come attività affidate in subappalto: (…)

c-bis) le prestazioni rese in favore dei soggetti affidatari in forza di contratti continuativi di cooperazione, servizio e/o fornitura sottoscritti in epoca anteriore alla indizione della procedura finalizzata alla aggiudicazione dell’appalto. I relativi contratti sono depositati alla stazione appaltante prima o contestualmente alla sottoscrizione del contratto di appalto.”

A quasi due anni dal Decreto Correttivo, l’istituto dei contratti di cooperazione stenta a decollare, probabilmente alla luce della perplessità delle imprese nell’utilizzare uno strumento che risulta piuttosto atipico nel contesto del diritto degli appalti, e con una regolamentazione normativa estremamente sintetica.

Infatti, al di là della necessità che il contratto di cooperazione sia preesistente rispetto all’indizione alla gara, e che quindi preveda una regolamentazione generale dei rapporti tra le due imprese “cooperanti” (e non specificamente rivolta ad una singola commessa), il Codice Appalti non prevede altro sui requisiti e sul funzionamento di tali contratti.

Tuttavia vi sono alcuni punti sui quali si registrano delle pronunce interessanti, che affrontano alcuni dei problemi più pressanti, come il rapporto con il subappalto e l’oggetto dei contratti di cooperazione.

Come si vedrà, alcune di queste pronunce – e in particolare quella del TAR Sicilia e del TAR Lazio – danno un’interpretazione che si allontana dalla lettera della norma, e probabilmente avranno l’effetto di scoraggiare ulteriormente le imprese dall’utilizzare uno strumento che apparentemente doveva servire per superare gli stretti limiti del subappalto nell’ordinamento italiano.

A chi sono rivolte le prestazioni? La differenza tra i contratti di cooperazione e contratti di subappalto

Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 7256 del 2018 ha chiarito una differenza fondamentale tra contratti di cooperazione e contratti di subappalto, dal punto di vista del destinatario delle prestazioni contrattuali.

Mentre nel contratto di subappalto le prestazioni contrattuali sono svolte a favore dell’amministrazione, nel caso del contratto continuativo di cooperazione la prestazione sarebbe svolta solamente a favore del privato, affidatario del contratto pubblico, e solo indirettamente a favore contraente pubblico.

Si legge nella sentenza che “le prestazioni oggetto di contratti continuativi di cooperazione, servizio e/o fornitura (ora, come detto, espressamente così definite dall’art. 105, comma 3, lett. c-bis) del codice) sono rivolte a favore dell’operatore economico affidatario del contratto di appalto con il soggetto pubblico, e non, invece, direttamente a favore di quest’ultimo come avviene nel caso del subappalto (che, non a caso è definito dall’art. 105, comma 2, come “Il contratto con il quale l’appaltatore affida a terzi l’esecuzione di parte delle prestazioni o lavorazioni oggetto del contratto di appalto”.

Ne deriva, secondo i giudici di Palazzo Spada, che dei contratti in cui le prestazioni sono svolte direttamente a favore dell’amministrazione affidatrice, e non a favore dell’operatore originario affidatario, non possono essere qualificati quali contratti di cooperazione, ma realizzano un subappalto.

Conseguentemente tali prestazioni sono assoggettate al regime del subappalto, compreso il limite del 30 per cento e la necessaria autorizzazione.

L’oggetto dei contratti di cooperazione: tutte le prestazioni o le solamente prestazioni “secondarie”?

Sulla base di un’interpretazione letterale della norma, il contratto di cooperazione non dovrebbe avere delle limitazioni con riferimento all’oggetto: l’art. 105 comma 3 parla di “prestazioni”, senza ulteriori precisazioni o limiti.

Tuttavia su tale questione si è pronunciato il T.A.R. Sicilia che ha optato per un’interpretazione più limitativa, e in qualche modo adeguatrice, della disposizione introdotta dal Correttivo.

Secondo questa impostazione, intendere l’oggetto del contratto di cooperazione come estendibile a tutte le prestazioni dell’appalto pubblico renderebbe l’art. 105 comma 3 contrario alle norme comunitarie e a quelle costituzionali.

In base alla sentenza n. 2583 del 6 dicembre 2018 (che è stata ripresa alla lettera anche dalla sentenza Tar Lazio n. 1135/2019) la norma che viene in considerazione deve essere adeguatamente interpretata alla luce del centrale e fondante principio, valevole in materia di appalti pubblici, in ragione del quale “le attività oggetto di appalto devono, in linea di principio, essere eseguite dal soggetto che risulta aggiudicatario delle stesse, con le eccezioni, e le correlate cautele, espressamente previste per legge”.

Sulla base di tali principi fondamentali, si è ritenuto che le prestazioni” a cui fa riferimento la lett c-bis del comma 3 dell’art. 105 in questione, “debbano essere limitate ad attività sussidiarie e secondarie rispetto a quelle propriamente rientranti nell’oggetto dell’appalto”.

Secondo la sentenza dei giudici siciliani, diversamente opinando si avrebbe una vistosa deviazione rispetto al principio di personalità nell’esecuzione dell’appalto, in assenza di alcuna forma di tutela degli interessi pubblici immanenti nell’aggiudicazione ed esecuzione di un appalto, tanto che non potrebbe non dubitarsi seriamente della congruenza della norma con le disposizioni comunitarie e financo costituzionali incidenti sulla materia.

E tuttavia c’è da dire che il principio della personalità dell’esecuzione dell’appalto difficilmente sembra rappresentare un principio generale, mentre al contrario vi sono diverse pronunce, in particolare della Corte di Giustizia, che hanno criticato le limitazioni al subappalto proprio perché limitative della concorrenza (tanto che la Commissione Europea ha aperto la procedura di infrazione nei confronti dello Stato italiano su questo aspetto).

I contratti continuativi di cooperazione non possono essere utilizzati per soddisfare i requisiti di partecipazione

La giurisprudenza, in particolare il TAR Veneto, ha chiarito che lo strumento dei contratti continuativi non potrebbe essere utilizzato per ovviare alla carenza dei requisiti di partecipazione, rilevando esclusivamente in sede esecutiva

In presenza di una gara che richiedeva l’iscrizione all’Albo Nazionale Gestori Ambientali,  l’intervenuta sottoscrizione di un contratto continuativo di cooperazione ex art. 105, comma 3, lettera c-bis) del D.Lgs. n. 50/2016 con una Società terza iscritta alla categoria 4 dell’ANGA, non può soddisfare il requisito di partecipazione richiesto dagli atti di gara a pena di esclusione.

Infatti il contratto continuativo di cooperazione, pur non essendo configurabile come subappalto, è un particolare strumento contrattuale attraverso il quale i soggetti affidatari della gara possono porre in essere le prestazioni che costituiscono oggetto dell’appalto.

Si tratta dunque di un istituto che viene in rilievo nella fase di esecuzione del contratto, come il subappalto. E, come il subappalto, non può essere utilizzato per sopperire alla carenza dei requisiti soggettivi di partecipazione.

Nel caso di specie si trattava di un requisito, l’iscrizione all’ANGA, che non può essere oggetto di avvalimento. Ammettendo la possibilità di integrare la carenza dei requisiti di partecipazione attraverso il subappalto o il contratto di cooperazione, si finirebbe per aggirare il divieto di avvalimento espressamente previsto per l’iscrizione all’ANGA e ne sarebbe frustrata la ratio sottostante, volta ad assicurare un efficace controllo sul possesso dei requisiti professionali di idoneità degli operatori economici e sul corretto svolgimento di un’attività caratterizzata da importanti risvolti anche sul piano della sicurezza, della tutela della salute e dell’ambiente.

 

AGGIORNAMENTO:  Consiglio di Stato, sez. III, 18 luglio 2019, n. 5068

Di tenore completamente diverso dalla sentenze citate è quella successiva del Consiglio di Stato, n. 5068 del 2019, la quale ha spinto verso un’interpretazione più permissiva, volta a garantire l’effetto utile della previsione.

Il Consiglio di Stato parte dal presupposto che non è possibile “circoscrivere l’utilizzazione dell’istituto (…) con riferimento alle prestazioni “secondarie” e/o “sussidiarie”, ovvero a quelle non direttamente rivolte alla stazione appaltante e non coincidenti contenutisticamente con la prestazione dedotta in contratto.

Secondo il Consiglio di Stato, l’istituto de quo, proprio perché si configura come derogatorio rispetto alla generale disciplina del subappalto, è evidentemente ancorato ai medesimi presupposti applicativi, a cominciare dalla determinazione contenutistica della prestazione eseguibile mediante il ricorso all’impresa “convenzionata”.

Pertanto, in tale ottica, il riferimento della disposizione alle “prestazioni rese in favore dei soggetti affidatari” non assume valenza restrittiva (della portata applicativa della previsione), come avverrebbe se si ritenesse che esso implica la necessità che l’utilità della prestazione ridondi ad esclusivo vantaggio, in senso materiale, dell’impresa affidataria (piuttosto che dell’Amministrazione), ma allude alla direzione “giuridica” della prestazione, ovvero al fatto che l’unica relazione giuridicamente rilevante, anche agli effetti della connessa responsabilità, è quella esistente tra stazione appaltante e soggetto affidatario.

Applicando le citate coordinate ermeneutiche alla fattispecie oggetto di giudizio, il Consiglio di Stato ha riconosciuto che il requisito de quo, connesso alla disponibilità di una “sede operativa” avente le indicate caratteristiche geografiche e destinata alla esecuzione del servizio oggetto di affidamento, si presta astrattamente ad essere garantito mediante un “contratto continuativo di cooperazione, servizio e/o fornitura sottoscritto in epoca anteriore alla indizione della procedura finalizzata alla aggiudicazione dell’appalto”.

Andrea Giurdanella

Laureato a Catania con 110 e lode, dopo un master in diritto amministrativo alla Sapienza ed alcuni stage tra Roma e Milano, si abilita e svolge la professione a Catania nello studio Giurdanella & Partners, dove si occupa anche di formazione e di editoria. Ultimo libro pubblicato "I nuovi parametri forensi dopo il DM 37/2018", con Maggioli editore.