Per la validità in Italia dei titoli di studio esteri conseguiti fuori dall’U.E., si potrà procedere al riconoscimento generale dei soli titoli in cui si riscontri un certo gap contenutistico, non anche di quelli in cui si registri altresì un gap di natura temporale: il requisito della durata minima del corso di laurea dovrà pertanto essere sempre indefettibilmente rispettato.
TAR Lazio, sez. III Quater, 4 marzo 2019, n. 2845
Nel giudizio davanti al TAR Lazio, veniva impugnato il provvedimento ministeriale con cui era stata rigettata l’istanza di riconoscimento del titolo professionale di specialità medica in medicina interna conseguita dalla ricorrente nella Repubblica di Moldavia, e motivo del diniego era il mancato raggiungimento del numero di ore minime previste nell’ordinamento italiano, corrispondenti a 5 anni di corso nell’ordinamento italiano.
Il TAR Lazio ha tuttavia ritenuto che il corso di laurea sostenuto all’estero (Repubblica Moldavia) aveva una durata (3 anni) sensibilmente inferiore rispetto a quanto richiesto dall’ordinamento italiano, e che questa differenza è un ostacolo insormontabile rispetto al riconoscimento del titolo di studio, alla luce delle norme sul c.d. “Riconoscimento generale” dei titoli di studio all’estero extra-UE.
Il procedimento previsto per il titolo di studio conseguito all’estero, se non è comunitario. Le misure compensative
Per i titoli professionali e di studio conseguiti in un paese extra UE si applica il c.d. riconoscimento generale.
L’art. 49 del DPR n. 394 del 1999 (c.d. Regolamento Immigrazione) prevede per i titoli professionali conseguiti all’estero il solo meccanismo del riconoscimento generale e non anche di quello automatico (riservato ai soli titoli comunitari).
Il comma 3 della citata disposizione opera infatti un espresso riferimento alle “misure compensative” (prova attitudinale o tirocinio formativo) che il Ministero competente deciderà discrezionalmente di adottare dopo avere effettuato la prescritta comparazione tra titolo conseguito all’estero (ossia in paese extra UE) e percorso di formazione previsto dall’ordinamento italiano per le singole professioni.
Pertanto le misure compensative costituiscono pertanto una sorta di strumento idoneo a recuperare la eventuale carenza (gap) di taluni requisiti minimi in capo ai singoli titoli conseguiti all’estero.
L’impossibilità di riconoscere un titolo in presenza di un numero inferiore di ore, il c.d. gap temporale
Premesso il funzionamento generale del riconoscimento generale dei titoli di studio, il TAR Lazio chiarisce la differenza tra i casi di c.d. gap contenutistico e c.d. gap temporale.
Sino alla emanazione del decreto legislativo n. 15 del 28 gennaio 2016 le carenze da recuperare mediante misure compensative potevano sia il gap temporale (durata minima corso di laurea) sia il gap contenutistico (materie affrontate nel corso di studio all’estero).
Tuttavia, osserva la sentenza, in seguito alla entrata in vigore del citato decreto legislativo n. 15 del 2016 è stata abrogata la lettera a) del comma 1 dell’art. 22 del decreto 206, ossia il presupposto relativo al gap temporale.
Di conseguenza, se tale specifico presupposto per la applicazione delle suddette misure compensative (il gap temporale) è dal 2016 venuto meno, lo stesso non potrà più parallelamente mancare, ab origine, in capo al peculiare titolo (estero, in questo caso) di cui ora si chiede il riconoscimento.
In altre parole, conclude il TAR, con la abrogazione della suddetta lettera a) si potrà procedere al riconoscimento generale mediante applicazione di misure compensative dei soli titoli in cui si riscontri un certo gap contenutistico, non anche di quelli in cui si registri altresì un gap di natura temporale: il requisito della durata minima del corso di laurea dovrà pertanto essere sempre indefettibilmente rispettato.
E ciò sarebbe spiegabile, probabilmente, alla luce dello scopo di evitare il riconoscimento di corsi di laurea frequentati all’estero che si rivelino “leggeri” oltre misura, ossia per garantire un certo livello minimo di qualificazione necessario a preservare la qualità delle relative prestazioni professionali (cfr. undicesimo considerando della direttiva 2005/36/CE)”.