Il divieto di integrazione giudiziale della motivazione non ha carattere assoluto, in quanto non sempre i chiarimenti resi nel corso del giudizio valgono quale inammissibile integrazione postuma della motivazione: è il caso degli atti di natura vincolata di cui all’art. 21-octies L. n. 241 del 1990, nei quali l’Amministrazione può dare anche successivamente l’effettiva dimostrazione in giudizio dell’impossibilità di un diverso contenuto dispositivo dell’atto, oppure quando le ragioni del provvedimento sono chiaramente intuibili sulla base della parte dispositiva del provvedimento impugnato.
Tar Abruzzo, sez. I, 23 febbraio 2019, n. 116
La domanda di iscrizione di due studenti all’università di medicina, provenienti da un corso di laurea equivalente in Romania, veniva rigettata dall’Università, e tuttavia solamente nel corso del giudizio di impugnazione al TAR l’amministrazione dimostrava che la motivazione di tale rigetto era l’assenza di posti messi a concorso per studenti comunitari.
Il Tar Abruzzo ha ritenuto che in questo caso non vi è vizio di carenza di motivazione dell’atto amministrativo, vista la natura vincolata del procedimento.
La natura relativa del divieto di motivazione postuma
Quanto al ricorso per motivi aggiunti, entrambi i motivi di ricorso attengono alla asserita illegittimità dell’integrazione postuma della motivazione.
Il Tar Abruzzo richiama la giurisprudenza amministrativa che ha messo in luce che il divieto di integrazione giudiziale della motivazione non ha carattere assoluto, in quanto non sempre i chiarimenti resi nel corso del giudizio valgono quale inammissibile integrazione postuma della motivazione: è il caso degli atti di natura vincolata di cui all’art. 21-octies L. n. 241 del 1990, nei quali l’Amministrazione può dare anche successivamente l’effettiva dimostrazione in giudizio dell’impossibilità di un diverso contenuto dispositivo dell’atto.
Un altro caso, sempre presente in giurisprudenza, è quello concernente la possibilità di una successiva indicazione di una fonte normativa non prima menzionata nel provvedimento, quando questa, per la sua notorietà, ben avrebbe potuto e dovuto essere conosciuta da un operatore professionale.
Infatti, sebbene il divieto di motivazione postuma, costantemente affermato dalla giurisprudenza amministrativa, meriti di essere confermato, rappresentando l’obbligo di motivazione il presidio essenziale del diritto di difesa, non può ritenersi che l’Amministrazione incorra nel vizio di difetto di motivazione quando le ragioni del provvedimento siano chiaramente intuibili sulla base della parte dispositiva del provvedimento impugnato o si verta in ipotesi di attività vincolata (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 27 agosto 2012, n. 4610 e sez. IV, 7 giugno 2012, n. 3376).
L’argomentazione difensiva dell’amministrazione in giudizio può integrare la motivazione se non lede il diritto di difesa del privato
Inoltre, conclude il TAR, la facoltà dell’Amministrazione di dare l’effettiva dimostrazione dell’impossibilità di un diverso contenuto dispositivo dell’atto, nel caso di atti vincolati, esclude in sede processuale che l’argomentazione difensiva dell’Amministrazione, tesa ad assolvere all’onere della prova, possa essere qualificata come illegittima integrazione postuma della motivazione sostanziale, cioè come un’indebita integrazione in sede giustiziale della motivazione stessa.
Pertanto, alla luce dell’attuale assetto normativo, devono essere attenuate le conseguenze del principio del divieto di integrazione postuma, dequotando il relativo vizio tutte le volte in cui l’omissione di motivazione successivamente esternata
-non abbia leso il diritto di difesa dell’interessato;
– nei casi in cui, in fase infraprocedimentale, risultano percepibili le ragioni sottese all’emissione del provvedimento gravato;
– nei casi di atti vincolati.