Le Linee Guida dell’ANAC intervengono sull’applicazione dell’art. 16 comma 1 lett. l-quater del Testo Unico sul Pubblico impiego, dove si prevede che i dirigenti provvedono al monitoraggio delle attività nell’ambito delle quali è più elevato il rischio corruzione svolte nell’ufficio a cui sono preposti, disponendo, con provvedimento motivato, la rotazione del personale nei casi di avvio di procedimenti penali o disciplinari per condotte di natura corruttiva.
Linee Guida sulla Rotazione Straordinaria del Personale. Delibera ANAC n. 215 del 26 marzo 2019
Le attuali disposizioni di legge prevedono l’obbligo per i dirigenti pubblici di disporre, con provvedimento motivato, la rotazione del personale nei casi di avvio di procedimenti penali o disciplinari per condotte di natura corruttiva.
E’ una misura di carattere cautelare e preventivo, e non punitivo, tesa a garantire che, nell’area ove si sono verificati i fatti oggetto del procedimento penale o disciplinare, siano attivate idonee misure di prevenzione del rischio corruttivo.
L’Anac, con le sue Linee Guida, è intervenuta sull’istituto, chiarendo tra gli altri aspetti, i reati presupposti, le amministrazioni obbligate, e le conseguenze della rotazione straordinaria.
Di seguito il testo delle Linee Guida in materia di rotazione straordinaria del personale
“Linee guida in materia di applicazione della misura della rotazione straordinaria di cui all’art. 16, comma 1, lettera l- quater, del d.lgs. n. 165 del 2001”
1. Premessa
L’Autorità si è pronunciata più volte sulla rotazione straordinaria in primo luogo nel PNA 2016, adottato con Delibera n. 831 del 3 agosto 2016, fornendo prime indicazioni sia sull’ambito soggettivo di applicazione, sia sull’ambito oggettivo.
Inoltre, poiché il testo normativo in alcuni punti si presenta lacunoso, sia con riferimento alle fattispecie di illecito che l’amministrazione è chiamata a tenere in conto ai fini della decisione di ricorrere o meno all’applicazione della misura, sia con riferimento al momento del procedimento penale in cui l’amministrazione deve provvedere, l’Autorità ha già fornito prime interpretazioni.
Nel PNA 2016 è stato precisato (§ 7.2.3) che “in attesa di chiarimenti da parte del legislatore, si riterrebbe di poter considerare potenzialmente integranti le condotte corruttive anche i reati contro la Pubblica amministrazione e, in particolare, almeno quelli richiamati dal d.lgs. 39/2013 che fanno riferimento al Titolo II, Capo I «Dei delitti dei pubblici ufficiali contro la Pubblica amministrazione», nonché quelli indicati nel d.lgs. 31 dicembre 2012, n. 235. Oltre ai citati riferimenti, più in generale, l’amministrazione potrà porre a fondamento della decisione di far ruotare il personale la riconduzione del comportamento posto in essere a condotta di natura corruttiva e dunque potranno conseguentemente essere considerate anche altre fattispecie di reato. In ogni caso, l’elemento di particolare rilevanza da considerare ai fini dell’applicazione della norma, è quello della motivazione adeguata del provvedimento con cui viene disposto lo spostamento”.
Nell’ambito dell’attività di vigilanza sulla rotazione straordinaria, l’Autorità in presenza dell’avvio di procedimenti penali con riferimento alla più larga serie di reati sopraindicata, ha, quindi, costantemente richiesto alle amministrazioni notizie sulla effettiva applicazione dell’istituto rilevando un’attuazione carente. Sul punto, alcune Amministrazioni, sollecitate dall’Autorità, hanno obiettato che per alcune tipologie di reato non si riscontravano “condotte di natura corruttiva”, presupposto indicato dalla norma per dar luogo alla rotazione straordinaria.
Nell’Aggiornamento 2017 al PNA (§ 5.1.), adottato con Delibera n. 1208 del 22 novembre 2017, l’Autorità ha raccomandato alle amministrazioni e agli enti di osservare particolare attenzione nel monitorare le ipotesi in cui si verificano i presupposti per l’applicazione di tale forma di rotazione.
Nell’Aggiornamento 2018 al PNA adottato con Delibera n. 1074 del 21 novembre 2018 l’Autorità è tornata sull’argomento (§ 10) sottolineando che “al fine di stabilire l’applicabilità della rotazione straordinaria al singolo caso, l’amministrazione è tenuta a verificare la sussistenza: a) dell’avvio di un procedimento penale o disciplinare nei confronti del dipendente, ivi inclusi i dirigenti, b) di una condotta, oggetto di tali procedimenti, qualificabile come “corruttiva” ai sensi dell’art. 16, co. 1, lett. l- quater del d.lgs. 165/2001.
La valutazione della condotta del dipendente da parte dell’Amministrazione è quindi obbligatoria ai fini dell’applicazione della misura. …. L’amministrazione è tenuta alla revoca dell’incarico dirigenziale ovvero al trasferimento del dipendente ad altro ufficio nel momento in cui, all’esito della valutazione effettuata, rilevi che la condotta del dipendente oggetto del procedimento penale o disciplinare sia di natura corruttiva (art. 16, co. 1, lett. l-quater, d.lgs. 165/2001). Si ribadisce che l’elemento di particolare rilevanza da considerare ai fini dell’applicazione della norma è quello della motivazione adeguata del provvedimento con cui viene disposto lo spostamento.”
Con specifico riferimento ai reati presupposto all’applicazione della misura l’Autorità, nel richiamato atto, si è riservata di adottare una specifica delibera.
Quanto al momento del procedimento penale in cui deve essere effettuata la valutazione, l’Autorità, viste le incertezze registrate sul punto, ha ritenuto che tale momento potesse coincidere “con la conoscenza della richiesta di rinvio a giudizio (art. 405-406 e segg. Codice procedura penale) formulata dal pubblico ministero al termine delle indagini preliminari, ovvero di atto equipollente (ad esempio, nei procedimenti speciali, dell’atto che instaura il singolo procedimento come la richiesta di giudizio immediato, la richiesta di decreto penale di condanna, ovvero la richiesta di applicazione di misure cautelari)” (Aggiornamento 2018 al PNA, §10).
Alla luce della normativa rilevante e a seguito degli esiti dell’attività di vigilanza svolta l’Autorità ritiene di dover precisare e, ove necessario, rivedere i propri precedenti orientamenti.
2. Analisi della normativa rilevante
Ai fini di una compiuta valutazione delle tematiche sopra rappresentate si ritiene opportuno procedere, di seguito, all’analisi di alcune norme con l’intento di valutare le conseguenze previste dall’ordinamento sull’accesso o sulla permanenza in determinati uffici di dipendenti di pubbliche amministrazioni in caso di procedimento penale. Le norme prese in considerazione indicano i reati in presenza dei quali derivano conseguenze sugli incarichi e sul rapporto di lavoro.
Tale analisi consentirà di estrapolare alcuni elementi utili per interpretare in modo coerente con lo scopo della norma l’istituto della rotazione straordinaria, specie con riferimento alle due problematiche sopra evidenziate che riguardano: a) il momento del procedimento penale in cui deve essere effettuata la valutazione della condotta del dipendente da parte dell’amministrazione, obbligatoria ai fini dell’applicazione della misura della rotazione straordinaria; b) i reati presupposto che l’amministrazione è chiamata a tenere in conto ai fini della decisione di ricorrere o meno alla misura della rotazione straordinaria.
Legge 27 marzo 2001, n. 97 recante “Norme sul rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare ed effetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni”.
In questa direzione in primo luogo va ricordata la legge n. 97 del 2001, “Norme sul rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare ed effetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni”.
In particolare, l’articolo 3, comma 1, della richiamata legge stabilisce che “quando nei confronti di un dipendente di amministrazioni o di enti pubblici ovvero di enti a prevalente partecipazione pubblica è disposto il giudizio per alcuni dei delitti previsti dagli articoli 314, primo comma, 317, 318, 319, 319- ter, 319-quater e 320 del codice penale e dall’articolo 3 della legge 9 dicembre 1941, n. 1383, l’amministrazione di appartenenza lo trasferisce ad un ufficio diverso da quello in cui prestava servizio al momento del fatto, con attribuzione di funzioni corrispondenti, per inquadramento, mansioni e prospettive di carriera, a quelle svolte in precedenza”.
Tale norma ha introdotto per tutti i dipendenti a tempo determinato e indeterminato (non solo i dirigenti) l’istituto del trasferimento ad ufficio diverso da quello in cui prestava servizio per il dipendente rinviato a giudizio per i delitti richiamati. Si tratta di una serie di reati molto più ristretta rispetto all’intera gamma di reati previsti dal Titolo II Capo I del Libro secondo del Codice Penale
Il trasferimento è obbligatorio, salva la scelta, lasciata all’amministrazione, “in relazione alla propria organizzazione”, tra il “trasferimento di sede” e “l’attribuzione di un incarico differente da quello già svolto dal dipendente, in presenza di evidenti motivi di opportunità circa la permanenza del dipendente nell’ufficio in considerazione del discredito che l’amministrazione stessa può ricevere da tale permanenza” (art. 3, comma 1).
“Qualora, in ragione della qualifica rivestita, ovvero per obiettivi motivi organizzativi, non sia possibile attuare il trasferimento di ufficio, il dipendente è posto in posizione di aspettativa o di disponibilità, con diritto al trattamento economico in godimento salvo che per gli emolumenti strettamente connessi alle presenze in servizio, in base alle disposizioni dell’ordinamento dell’amministrazione di appartenenza” (art. 3, comma 2).
Il trasferimento perde efficacia se interviene sentenza di proscioglimento o di assoluzione, ancorché non definitiva, “e in ogni caso, decorsi cinque anni” dalla sua adozione (art. 3, comma 3). Ma l’amministrazione, “in presenza di obiettive e motivate ragioni per le quali la riassegnazione all’ufficio originariamente coperto sia di pregiudizio alla funzionalità di quest’ultimo”, “può non dare corso al rientro” (art. 3, comma 4).
In caso di condanna, per gli stessi reati di cui all’art. 3, comma 1, anche non definitiva, i dipendenti “sono sospesi dal servizio” (art. 4). La norma chiarisce poi che la sospensione perde efficacia se per il fatto è successivamente pronunciata sentenza di proscioglimento o di assoluzione anche non definitiva e, in ogni caso, decorso un periodo di tempo pari a quello di prescrizione del reato1(art. 4).
In caso di condanna definitiva alla reclusione per un tempo non inferiore ai due anni per gli stessi delitti, è disposta l’estinzione del rapporto di lavoro o di impiego (art. 5)2.
Nel caso di condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a tre anni si applica il disposto dell’articolo 32-quinquies del codice penale
Dall’esame della norma, con riferimento alle conseguenze del procedimento penale sul sottostante rapporto di lavoro, si può ritenere che, con riferimento ai delitti previsti dagli articoli 314, primo comma, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater e 320 del codice penale e dall’articolo 3 della legge 9 dicembre 1941, n. 1383: a) in caso di rinvio a giudizio, per i reati previsti dal citato art. 3, l’amministrazione sia tenuta a trasferire il dipendente ad un ufficio diverso da quello in cui prestava servizio al momento del fatto, con attribuzione di funzioni corrispondenti, per inquadramento, mansioni e prospettive di carriera, a quelle svolte in precedenza. In caso di impossibilità (in ragione della qualifica rivestita, ovvero per obiettivi motivi organizzativi), il dipendente è invece posto in posizione di aspettativa o di disponibilità, con diritto al trattamento economico in godimento; b) in caso di condanna non definitiva, i dipendenti sono sospesi dal servizio (ai sensi del richiamato art. 4); c) nel caso sia pronunciata sentenza penale irrevocabile di condanna, ancorché a pena condizionalmente sospesa, l’estinzione del rapporto di lavoro o di impiego può essere pronunciata a seguito di procedimento disciplinare (ai sensi del richiamato art. 5).
Quanto alla natura dei provvedimenti adottati occorre rilevare che il trasferimento di ufficio conseguente a rinvio a giudizio e la sospensione dal servizio in caso di condanna non definitiva, non hanno natura sanzionatoria, ma sono misure amministrative, sia pure obbligatorie, a protezione dell’immagine di imparzialità dell’amministrazione (si vede l’esplicito riferimento al “discredito” citato nel comma 1 dell’art. 3), mentre solo l’estinzione del rapporto di lavoro ha carattere di pena accessoria (l’estinzione viene aggiunta alle pene accessorie di cui all’art. 19 del codice penale, proprio dall’art. 5, co. 1, della legge n. 97).
Ciò che rileva per l’applicazione della norma è il rinvio a giudizio per uno dei reati specificamente indicati.
Il nuovo art. 35-bis del d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165, introdotto dall’art.1, comma 46, della legge 6 novembre 2012, n. 190
La legge 190/2012 ha introdotto una nuova disposizione all’interno del d.lgs. 165/2001, rubricata
“Prevenzione della corruzione nella formazione di commissioni e delle assegnazioni agli uffici”.
In applicazione di questa norma la condanna, anche non definitiva, per i reati previsti nel Titolo II Capo I del Libro secondo del Codice penale comporta una serie di inconferibilità di incarichi (partecipazione a commissioni di reclutamento del personale, incarichi di carattere operativo con gestione di risorse finanziarie, commissioni di gara nei contratti pubblici). La durata illimitata di tale inconferibilità ha dato luogo a perplessità già evidenziate dall’Autorità nelle Delibere n. 78 del 21 ottobre 2015, n. 960 del 7 settembre 2016 e n. 1292 del 23 novembre 2016, rispetto alle quali l’Autorità si è riservata di inoltrare una segnalazione al Governo e al Parlamento.
La conseguenza dell’inconferibilità ha natura di misura preventiva, a tutela dell’immagine dell’amministrazione, e non sanzionatoria.
Ciò che rileva per l’applicazione della norma è la condanna non definitiva per i reati previsti nel Titolo II Capo I del Libro secondo del Codice penale.
Il decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235 “Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi, a norma dell’articolo 1, comma 63, della legge 6 novembre 2012, n. 190”
Il d.lgs. 235/2012 è frutto di delega legislativa contenuta nella legge n. 190 del 2012 e prevede conseguenze (incandidabilità, inconferibilità e decadenze da cariche elettive) derivanti da sentenze penali definitive per un’ampia serie di delitti, specificamente elencati, a seconda delle categorie di cariche elettive e, per condanne superiori a una determinata durata, per delitti diversi da quelli elencati.
Sulla natura non sanzionatoria di queste conseguenze sono recentemente intervenute le sentenze
n. 236 del 2015, n. 276 del 2016 e n. 214 del 2017 della Corte Costituzionale, cui si rinvia.
Trattandosi di conseguenze su cariche elettive, si è, in realtà, al di fuori dell’ambito oggettivo che qui rileva (le conseguenze sulla permanenza in un ufficio o in servizio di dipendenti pubblici in senso ampio). Tuttavia, il riferimento a questa normativa è utile perché essa si inserisce pienamente nella legislazione anticorruzione avviata con la legge n. 190/2012 e ne sposa l’approccio preventivo a tutela dell’immagine di imparzialità dell’amministrazione, che deve essere garantita salvaguardando l’immagine di tutti coloro che esercitano le funzioni pubbliche (elettive o amministrative), in applicazione dell’art. 54 della Costituzione.
A differenza dei casi indicati nei punti precedenti, le conseguenze derivano da sentenze definitive. Il che sembra giustificare il rilevante ampliamento dei reati che ne costituiscono il presupposto.
Va comunque segnalato che, mentre per le cariche elettive, l’ambito oggettivo dei reati presupposto tende ad ampliarsi, per i dipendenti pubblici l’estinzione del rapporto di lavoro in caso di condanna definitiva (che è misura accessoria di carattere penale) è disposta dall’art. 32-quinquies del codice penale (come modificato dall’art. 5 della legge n. 97 del 2001) solo con riferimento agli stessi reati di cui all’articolo 3 della legge n.97 (i delitti previsti dagli articoli 314, primo comma, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater e 320 del codice penale).
L‘ art.3 del decreto legislativo 8 aprile 2013 n. 39 recante “Disposizioni in materia di inconferibilita’ e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, a norma dell’articolo 1, commi 49 e 50, della legge 6 novembre 2012, n. 190”
Il d.lgs. 39/2013 è frutto di delega legislativa contenuta nella legge n. 190/ 2012 e prevede conseguenze per condanne, anche non definitive, per i reati previsti nel Titolo II Capo I del Libro secondo del Codice penale (i reati contro la p.a.), comportando una serie di inconferibilità e incompatibilità di incarichi dirigenziali nelle pubbliche amministrazioni, negli enti pubblici e negli enti di diritto privato in controllo pubblico.
Le inconferibilità hanno durata determinata (a differenza delle inconferibilità di cui all’art. 35-bis del d.lgs. n. 165/2001) e graduata: più lunga se la condanna è intervenuta per i reati previsti dall’art. 3, co. 1, della legge n. 97/2001), meno lunga se è intervenuta per tutti gli altri reati contro la p.a.
Quanto all’ambito soggettivo, le conseguenze riguardano i titolari di determinati incarichi amministrativi e non si estendono a tutti i pubblici dipendenti. L’intervento di una condanna, anche se non definitiva, e la limitazione a figure dirigenziali sembrano giustificare l’ampiezza dei reati presupposto.
Le inconferibilità e incompatibilità rientrano tra le misure di natura preventiva (a tutela dell’immagine di imparzialità dell’amministrazione) e non sanzionatoria.
L’Autorità ha segnalato al Governo e al Parlamento la non coerenza tra la individuazione dei reati presupposto nelle diverse discipline prima richiamate, con particolare riferimento alla discrasia tra il decreto legislativo n. 39 del 2013 e il decreto legislativo n. 235 del 2012. (Atto di segnalazione n. 6 del 23 settembre 2015).
Il nuovo periodo aggiunto all’art. 129, comma 3, del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 recante “Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale” dall’art. 7 della legge 7 maggio 2015, n. 69 recante “Disposizioni in materia di delitti contro la pubblica amministrazione, di associazioni di tipo mafioso e di falso in bilancio”
L’art. 129, co. 3, del d.lgs. 271/1989 si inserisce nella disciplina riguardante l’informazione sull’azione penale e stabilisce che il presidente dell’ANAC sia destinatario delle informative del pubblico ministero quando quest’ultimo esercita l’azione penale per i delitti di cui agli articoli 317, 318, 319, 319-bis, 319-ter, 319-quater, 320, 321, 322, 322-bis, 346-bis, 353 e 353-bis del codice penale.
L’Autorità informata, dunque, dell’esistenza di fatti corruttivi, potrà esercitare i poteri previsti ai sensi dell’art. 1, co. 3, della l. 190/2012, chiedendo all’amministrazione pubblica coinvolta nel processo penale l’attuazione della misura della rotazione.
La disposizione, inoltre, si rivela particolarmente utile, come si dirà più avanti, per meglio definire e limitare anche i reati che l’amministrazione è chiamata a tenere in conto ai fini della decisione di far scattare o meno la misura della rotazione straordinaria. L’obbligo di comunicazione, infatti, è disposto in caso di “esercizio dell’azione penale”, solo per i “delitti di cui agli articoli 317, 318, 319, 319-bis, 319-ter, 319-quater, 320, 321, 322, 322-bis, 346-bis, 353 e 353-bis del codice penale”.
L’analisi della normativa appena effettuata consente di concludere che l’ordinamento ha predisposto, con ritmo crescente, tutele, di tipo preventivo e non sanzionatorio, volte ad impedire l’accesso o la permanenza nelle cariche pubbliche di persone coinvolte in procedimenti penali, nelle diverse fasi di tali procedimenti.
Si è anche constatato che le discipline non appaiono sempre ben coordinate tra loro sotto diversi profili. In primo luogo quanto alla individuazione delle amministrazioni interessate. In secondo luogo quanto ai soggetti interni alle amministrazioni interessati dalle diverse norme. In terzo luogo quanto ai reati che impongono l’adozione di queste misure. E, infine, vi è diversità di disciplina quanto alle conseguenze del procedimento penale, in particolare sulla durata e sull’ampiezza delle misure interdittive.
Sempre sul piano dei reati presupposto, si registra la tendenza, condivisibile, a circoscrivere il numero dei reati allorché si prevede l’adozione di misure nelle fasi del tutto iniziali del procedimento penale, mentre le fattispecie rilevanti aumentano di numero per le fasi successive, fino ad assumere un’ampiezza notevole in presenza di una sentenza definitiva (si vedano i reati rilevanti per l’applicazione delle misure di cui al d.lgs. n. 235/2012).
Poiché, come si dirà più avanti, la rotazione straordinaria è un provvedimento adottato in una fase del tutto iniziale del procedimento penale, il legislatore ne circoscrive l’applicazione alle sole “condotte di natura corruttiva”, le quali, creando un maggiore danno all’immagine di imparzialità dell’amministrazione, richiedono una valutazione immediata.
Queste conclusioni consentono di inquadrare, in modo sistematico, opzioni interpretative sulla normativa relativa alla rotazione straordinaria che, come sopra anticipato, si presenta non del tutto esaustiva.
3. L’istituto della rotazione straordinaria previsto dall’articolo 16, comma 1, lett. l-quater, del d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165
3.1. Finalità dell’istituto
L’art. 16, co. 1, lett. l-quater) del d.lgs. 165/2001 (lettera aggiunta dall’art. 1, co. 24, del decreto legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135 recante “Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini”), dispone che i dirigenti degli uffici dirigenziali generali “provvedono al monitoraggio delle attività nell’ambito delle quali è più elevato il rischio corruzione svolte nell’ufficio a cui sono preposti, disponendo, con provvedimento motivato, la rotazione del personale nei casi di avvio di procedimenti penali o disciplinari per condotte di natura corruttivi” senza ulteriori specificazioni.
Dalla disposizione si desume l’obbligo per l’amministrazione di assegnare il personale sospettato di condotte di natura corruttiva, che abbiano o meno rilevanza penale, ad altro servizio. Si tratta di una misura di natura non sanzionatoria dal carattere eventuale e cautelare, tesa a garantire che nell’area ove si sono verificati i fatti oggetto del procedimento penale o disciplinare siano attivate idonee misure di prevenzione del rischio corruttivo al fine di tutelare l’immagine di imparzialità dell’amministrazione.
Fermo restando che la rotazione straordinaria è disposta direttamente dalla legge, è necessario che nei Piani triennali per la prevenzione della corruzione (PTPC) delle Amministrazioni si prevedano adeguate indicazioni operative e procedurali che possano consentirne la migliore applicazione. L’ANAC vigila sulla introduzione di tali indicazioni e sull’attuazione della rotazione straordinaria.
3.2. Ambito soggettivo di applicazione
Di seguito si affronta il tema dell’ambito soggettivo di applicazione della norma con riferimento alle amministrazioni a cui essa si applica e ai soggetti che possono essere sottoposti a rotazione straordinaria.
A) Amministrazioni cui si applica la norma
Il provvedimento di cui all’art 16, co. 1, lett. l-quater) del d.lgs. 165/2001 è attribuito alla competenza dei dirigenti generali nelle amministrazioni dello Stato, ma, trattandosi di norma di principio, è sicuramente applicabile a tutte le amministrazioni di cui all’art. 1, co. 2, dello stesso d.lgs. n. 165 (in virtù dell’art. 27 del medesimo decreto).
Invece, più di un dubbio è sollevabile circa il fatto che sia applicabile obbligatoriamente per tutti gli altri soggetti esclusi dall’applicazione diretta del d.lgs. 165/2001, tra cui rientrano gli enti pubblici economici e gli enti di diritto privato in controllo pubblico. Resta fermo che a questi soggetti, espressamente richiamati dall’art. 3 dalla legge n. 97/2001, si applicano, invece, le misure del trasferimento ad altro ufficio a seguito di rinvio a giudizio, nelle ipotesi ivi previste.
La soluzione più equilibrata è quella di ritenere che il provvedimento motivato, con il quale l’amministrazione valuta se applicare la misura, debba essere adottato obbligatoriamente nelle amministrazioni pubbliche (di cui all’art. 1, co. 2, del d.lgs. n. 165) e solo facoltativamente negli altri enti del settore pubblico (enti pubblici economici e enti di diritto privato in controllo pubblico). In entrambe i casi l’ente deve agire immediatamente dopo avere avuto la notizia dell’avvio del procedimento penale.
B) Personale cui si applica la norma
Il provvedimento riguarda, in prima battuta, i dipendenti che operano negli uffici di cui i dirigenti generali siano titolari, ma la sua applicazione, in quanto principio generale, deve riguardare tutte le figure dirigenziali; non solo i dirigenti non generali, ma anche gli stessi dirigenti generali, che la legge n. 190/2012 considera rientranti nella vasta categoria di incarichi amministrativi di cui si deve garantire, anche in termini di immagine, l’imparzialità.
Il provvedimento, in analogia a quelli previsti dalla legge n. 97/2001, è da ritenere che rientri tra le misure amministrative preventive a tutela dell’immagine dell’amministrazione e non quale misura sanzionatoria.
In generale, l’Autorità è dell’avviso che l’istituto trovi applicazione con riferimento a tutti coloro che hanno un rapporto di lavoro con l’amministrazione: dipendenti e dirigenti, interni ed esterni, in servizio a tempo indeterminato ovvero con contratti a tempo determinato.
Un approfondimento particolare va compiuto con riferimento agli incarichi amministrativi di vertice, così come definiti dall’art. 1, co. 2, lettera i), del d.lgs. n. 39 del 20133 con riferimento ai soli segretari generali e ai capi dipartimento e equiparati
Tali incarichi sono conferiti sulla base di un rapporto fiduciario e, di norma, possono essere revocati nell’ipotesi di interruzione di quest’ultimo. In tal caso l’amministrazione, in luogo della rotazione straordinaria, valuterà il persistere o meno del rapporto fiduciario alla luce dei fatti accaduti.
Poiché siamo in presenza di un dipendente dell’amministrazione, si deve ritenere che, anche in questi casi, l’amministrazione sia tenuta (nei limiti della normativa) ad adottare un provvedimento, che può essere anche di conferma dell’incarico. L’organo di vertice che ha conferito l’incarico può confermare la sua fiducia, in attesa della conclusione del procedimento penale ovvero stabilire che il rapporto di fiducia sia venuto meno, in relazione ai fatti di natura corruttiva per i quali il procedimento è stato avviato. Ciò tenuto conto del notevole impatto che il procedimento penale, sia pure nella sua fase iniziale, può avere sull’immagine dell’amministrazione e sullo stesso organo politico nominante.
3.3. Ambito oggettivo.
Di seguito si affronta il tema dell’ambito oggettivo della norma con riferimento ai reati presupposto e alla connessione o meno con l’ufficio ricoperto.
A) Reati presupposto
Il testo normativo è lacunoso e manca di individuare le fattispecie di illecito che l’amministrazione è chiamata a tenere in conto ai fini della decisione di far scattare o meno la misura della rotazione straordinaria.
A differenza del “trasferimento a seguito di rinvio a giudizio” disciplinato dall’art. 3, co. 1, della legge
n. 97 del 2001, nel caso della “rotazione straordinaria” il legislatore non individua gli specifici reati, presupposto per l’applicazione dell’istituto ma genericamente rinvia a “condotte di tipo corruttivo”.
Sul punto l’Autorità ha ritenuto nel PNA 2016 (§ 7.2.3), come sopra riportato, di poter considerare potenzialmente integranti le condotte corruttive anche i reati contro la Pubblica amministrazione e, in particolare, almeno quelli richiamati dal d.lgs. 39/2013 che fanno riferimento al Titolo II, Capo I «Dei delitti dei pubblici ufficiali contro la Pubblica amministrazione», nonché quelli indicati nel d.lgs. 31 dicembre 2012 , n. 235, lasciando comunque alle amministrazioni la possibilità di considerare anche altre fattispecie di reati. all’amministrazione o all’ente che conferisce l’incarico, che non comportano l’esercizio in via esclusiva delle competenze di amministrazione”
Nell’Aggiornamento 2018 al PNA, l’Autorità si è riservata di intervenire sulla questione con una specifica delibera (§ 10) anche al fine di poter rivalutare la posizione espressa.
A tale scopo occorre rilevare che sul piano dei reati presupposto, a differenza dell’art. 16, co. 1, lettera l-quater del d.lgs. n. 165/2001 che si riferisce genericamente a “condotte di natura corruttiva”, la legge n. 69/2015, allorché si riferisce a “fatti di corruzione”, usa la tecnica dell’elencazione dei reati, tecnica che offre maggiori garanzie di tutela dei diritti dei cittadini coinvolti. In particolare, l’art. 7 della richiamata legge rubricato in “Informazione sull’esercizio dell’azione penale per fatti di corruzione” (sopra esaminato) individua i reati connessi a “fatti di corruzione”, nei delitti di cui agli articoli 317, 318, 319, 319-bis, 319-ter, 319-quater, 320, 321, 322, 322-bis, 346-bis, 353 e 353-bis del codice penale.
Va rilevato, inoltre, che l’elencazione dei reati considerata dall’art. 7 della legge n. 69 del 2015, ai fini dell’informazione al presidente dell’ANAC, non corrisponde a quella indicata dall’art. 3, co. 1, della legge n. 97/2001, come sopra illustrato
In particolare nel citato art. 7 non è presente il riferimento al reato di cui all’art. 3144, primo comma, mentre sono aggiunti i reati di cui agli artt. 319-bis, 321, 322, 322-bis, 346-bis, 353 e 353- bis del codice penale. Da rilevare che i reati previsti dalla norma sono tutti compresi tra i reati contro la p.a. (ad eccezione dei reati di cui agli art. 353 e 353-bis) ma non esauriscono il novero di tali reati.
Alla luce di quanto sopra, l’Autorità ritiene, rivedendo la posizione precedentemente assunta (PNA 2016 e Aggiornamento 2018 al PNA), che l’ elencazione dei reati (delitti rilevanti previsti dagli articoli 317, 318, 319, 319-bis, 319-ter, 319-quater, 320, 321, 322, 322-bis, 346-bis, 353 e 353- bis del codice penale), di cui all’art. 7 della legge n. 69 del 2015, per “fatti di corruzione” possa essere adottata anche ai fini della individuazione delle “condotte di natura corruttiva” che impongono la misura della rotazione straordinaria ai sensi dell’art.16, co. 1, lettera l-quater, del d.lgs.165 del 2001.
Per i reati previsti dai richiamati articoli del codice penale è da ritenersi obbligatoria l’adozione di un provvedimento motivato con il quale viene valutata la condotta “corruttiva” del dipendente ed eventualmente disposta la rotazione straordinaria.
L’adozione del provvedimento di cui sopra, invece, è solo facoltativa nel caso di procedimenti penali avviati per gli altri reati contro la p.a. (di cui al Capo I del Titolo II del Libro secondo del Codice Penale, rilevanti ai fini delle inconferibilità ai sensi dell’art. 3 del d.lgs. n. 39 del 2013, dell’art. 35-bis del d.lgs. n. 165/2001 e del d.lgs. n. 235 del 2012).
Sono, comunque, fatte salve le ipotesi di applicazione delle misure disciplinari previste dai CCNL.
B) Connessione con l’ufficio attualmente ricoperto
La norma sulla rotazione straordinaria non stabilisce se l’istituto trovi applicazione solo con riferimento all’ufficio in cui il dipendente sottoposto a procedimento penale o disciplinare prestava servizio al momento della condotta corruttiva o se si debba applicare anche per fatti compiuti in altri uffici della stessa amministrazione o in altra amministrazione. In aderenza con la fondamentale finalità degli istituti passati prima in rassegna, la tutela dell’immagine di imparzialità dell’amministrazione, si deve ritenere l’istituto applicabile anche nella seconda ipotesi, cioè a condotte corruttive tenute in altri uffici dell’amministrazione o in una diversa amministrazione.
3.4. Tempistica e immediatezza del provvedimento di eventuale adozione della rotazione straordinaria
Come già osservato, diverse incertezze si sono registrate rispetto al momento del procedimento penale rilevante per l’amministrazione ai fini dell’applicazione dell’istituto.
L’art.16, co. 1, lettera l-quater, del d.lgs.165 del 2001, sul punto, richiama la fase di “avvio di procedimenti penali o disciplinari per condotte di natura corruttivi”, senza ulteriori specificazioni (a differenza dell’art. 3 della legge n. 97 del 2001 che prevede il trasferimento del dipendente a seguito di “rinvio a giudizio”).
Quest’ultima espressione appare non particolarmente chiara né tecnicamente precisa perché l’“avvio del procedimento” non coincide con alcuna fase specifica del rito penale, come regolato dal relativo codice. Tuttavia, la parola “procedimento” nel codice penale viene intesa con un significato più ampio rispetto a quella di “processo”, perché comprensiva anche della fase delle indagini preliminari, laddove la fase “processuale”, invece, inizia con l’esercizio dell’azione penale.
Per quanto sopra, l’Autorità ritiene, rivedendo le indicazioni precedentemente fornite, da ultimo nell’Aggiornamento 2018 al PNA, che l’espressione “avvio del procedimento penale o disciplinare per condotte di natura corruttiva” di cui all’art. 16, co. 1, lett. l-quater del d.lgs. 165/2001, non può che intendersi riferita al momento in cui il soggetto viene iscritto nel registro delle notizie di reato di cui all’art. 335 c.p.p.”.
Ciò in quanto è proprio con quell’atto che inizia un procedimento penale.
La ricorrenza di detti presupposti, nonché l’avvio di un procedimento disciplinare per condotte di tipo corruttivo impongono in via obbligatoria l’adozione soltanto di un provvedimento motivato con il quale l’amministrazione dispone sull’applicazione dell’istituto, con riferimento a “condotte di natura corruttiva”. Si ribadisce che l’elemento di particolare rilevanza da considerare ai fini dell’applicazione della norma è quello della motivazione adeguata del provvedimento con cui viene valutata la condotta del dipendente ed eventualmente disposto lo spostamento.
Il provvedimento potrebbe anche non disporre la rotazione, ma l’ordinamento raggiunge lo scopo di indurre l’amministrazione ad una valutazione trasparente, collegata all’esigenza di tutelare la propria immagine di imparzialità.
Il carattere fondamentale della rotazione straordinaria è la sua immediatezza. Si tratta di valutare se rimuovere dall’ufficio un dipendente che, con la sua presenza, pregiudica l’immagine di imparzialità dell’amministrazione e di darne adeguata motivazione con un provvedimento
La misura, pertanto, deve essere applicata non appena l’amministrazione sia venuta a conoscenza dell’avvio del procedimento penale. Ovviamente l’avvio del procedimento di rotazione richiederà da parte dell’amministrazione l’acquisizione di sufficienti informazioni atte a valutare l’effettiva gravità del fatto ascritto al dipendente. Questa conoscenza, riguardando un momento del procedimento che non ha evidenza pubblica (in quanto l’accesso al registro di cui all’art. 335 c.p.p. è concesso ai soli soggetti ex lege legittimati), potrà avvenire in qualsiasi modo, attraverso ad esempio fonti aperte (notizie rese pubbliche dai media) o anche dalla comunicazione del dipendente che ne abbia avuto cognizione o per avere richiesto informazioni sulla iscrizione ex art. 335 c.p.p. o per essere stato destinatario di provvedimenti che contengono la notizia medesima (ad esempio, notifica di un’informazione di garanzia, di un decreto di perquisizione, di una richiesta di proroga delle indagini, di una richiesta di incidente probatorio, etc.).
A tal fine è opportuno che le amministrazioni introducano, nel proprio codice di comportamento, il dovere in capo ai dipendenti interessati da procedimenti penali, di segnalare immediatamente all’amministrazione l’avvio di tali procedimenti.
Non appena venuta a conoscenza dell’avvio del procedimento penale, l’amministrazione, nei casi di obbligatorietà, adotta il provvedimento. La motivazione del provvedimento riguarda in primo luogo la valutazione dell’an della decisione e in secondo luogo la scelta dell’ufficio cui il dipendente viene destinato.
Nei casi di rotazione facoltativa il provvedimento eventualmente adottato precisa le motivazioni che spingono l’amministrazione alla rotazione, con particolare riguardo alle esigenze di tutela dell’immagine di imparzialità dell’ente.
Considerato che l’amministrazione può venire a conoscenza dello svolgimento del procedimento penale anche relativamente alle sue diverse fasi, si deve ritenere che il provvedimento debba essere adottato (con esito positivo o negativo, secondo le valutazioni che l’amministrazione deve compiere) sia in presenza del solo avvio del procedimento, sia in presenza di una vera e propria richiesta di rinvio a giudizio. Il legislatore chiede che l’amministrazione ripeta la sua valutazione sulla permanenza in ufficio di un dipendente coinvolto in un procedimento penale, a seconda della gravità delle imputazioni e dello stato degli accertamenti compiuti dell’autorità giudiziaria. Un provvedimento con esito negativo in caso di mero avvio del procedimento, potrebbe avere diverso contenuto in caso di richiesta di rinvio a giudizio.
3.5. Contenuto della rotazione straordinaria.
La rotazione straordinaria consiste in un provvedimento dell’amministrazione, adeguatamente motivato, con il quale viene stabilito che la condotta corruttiva imputata può pregiudicare l’immagine di imparzialità dell’amministrazione e con il quale viene individuato il diverso ufficio al quale il dipendente viene trasferito.
In analogia con la legge n. 97 del 2001, art. 3, si deve ritenere che il trasferimento possa avvenire con un trasferimento di sede o con una attribuzione di diverso incarico nella stessa sede dell’amministrazione.
Pur non trattandosi di un procedimento sanzionatorio, di carattere disciplinare, è necessario che venga data all’interessato la possibilità di contraddittorio, senza, però, che vengano pregiudicate le finalità di immeditata adozione di misure di tipo cautelare.
Il provvedimento, poiché può avere effetto sul rapporto di lavoro del dipendente/dirigente, è impugnabile davanti al giudice amministrativo o al giudice ordinario territorialmente competente, a seconda della natura del rapporto di lavoro in atto.
3.6. Durata della rotazione straordinaria
La disposizione della legge del 2012 che introduce nel d.lgs. n. 165 la rotazione straordinaria nulla dice, contrariamente a quanto dispone la legge n. 97 del 2001 (art. 3) nel caso di rinvio a giudizio, sulla durata dell’efficacia del provvedimento.
Con riferimento all’istituto della rotazione straordinaria si ritiene che dovendo il provvedimento coprire la fase che va dall’avvio del procedimento all’eventuale decreto di rinvio a giudizio, il termine entro il quale esso perde efficacia dovrebbe esser più breve dei cinque anni previsti dalla legge n. 97. In assenza di una disposizione di legge, la lacuna potrebbe essere colmata dalle amministrazioni, che, in sede di regolamento sull’organizzazione degli uffici o di regolamento del personale, potrebbero disciplinare il provvedimento e la durata della sua efficacia (per esempio fissando il termine di due anni, decorso il quale, in assenza di rinvio a giudizio, il provvedimento perde la sua efficacia). In ogni caso, alla scadenza della durata dell’efficacia del provvedimento di rotazione, come stabilita dall’amministrazione, quest’ultima dovrà valutare la situazione che si è determinata per eventuali provvedimenti da adottare.
In mancanza di norme regolamentari, l’amministrazione provvederà caso per caso, adeguatamente motivando sulla durata della misura.
3.7. Misure alternative in caso di impossibilità
La legge n. 97/2001 prevede l’ipotesi di impossibilità di attuare il trasferimento di ufficio “in ragione della qualifica rivestita ovvero per obiettivi motivi organizzativi”, mentre il d.lgs.165 del 2001 nulla dice in proposito.
Si deve ritenere che l’ipotesi di impossibilità del trasferimento d’ufficio debba essere considerata, purché si tratti di ragioni obiettive, quali l’impossibilità di trovare un ufficio o una mansione di livello corrispondente alla qualifica del dipendente da trasferire. Non possono valere considerazioni sulla soggettiva insostituibilità della persona.
Pertanto, in analogia con quanto previsto dalla legge n. 97/2001, in caso di obiettiva impossibilità, il dipendente è posto in aspettativa o in disponibilità con conservazione del trattamento economico in godimento.
Un caso di impossibilità potrà riscontrarsi in caso di rotazione applicata a un incarico amministrativo di vertice, considerato il carattere apicale dell’incarico, non modificabile in un diverso incarico all’interno dell’amministrazione. In questo caso l’impossibilità dovrebbe comportare, per coloro che sono anche dipendenti dell’amministrazione, il collocamento in aspettativa o la messa in disponibilità con conservazione del trattamento economico spettante in quanto dipendenti, mentre per coloro che non siano anche dipendenti, la revoca dell’incarico senza conservazione del contratto (cfr. § 3.8.1).
3.8 Conseguenze sull’incarico dirigenziale
Particolare attenzione va posta sulla rotazione straordinaria applicata ad un soggetto titolare di incarico dirigenziale. La rotazione in questi casi, comportando il trasferimento a diverso ufficio, consiste nell’anticipata revoca dell’incarico dirigenziale, con assegnazione ad altro incarico ovvero, in caso di impossibilità, con assegnazione a funzioni “ispettive, di consulenza, studio e ricerca o altri incarichi specificamente previsti dall’ordinamento” (art. 19, co. 10, del d.lgs. n. 165 del 2001).
Dato il carattere cautelare del provvedimento, destinato a una durata auspicabilmente breve (fino all’eventuale rinvio a giudizio o al proscioglimento), le amministrazioni potrebbero prevedere, nei loro regolamenti di organizzazione degli uffici, che l’incarico dirigenziale sia soltanto sospeso e attribuito non in via definitiva, ma interinale, ad altro dirigente.
Per gli incarichi amministrativi di vertice, invece, la rotazione, non potendo comportare l’assegnazione ad altro incarico equivalente, comporta la revoca dell’incarico medesimo, senza che si possa, considerata la natura e la rilevanza dell’incarico, procedere ad una sua mera sospensione.
3.8.1. Conseguenze sul rapporto di lavoro a tempo determinato sottostante l’incarico dirigenziale a soggetti esterni all’amministrazione
Cautele analoghe a quelle indicate al § 3.8 vanno adottate anche quanto al destino del contratto di lavoro a tempo determinato che accompagna il conferimento di incarichi dirigenziali (o amministrativi di vertice) a soggetti esterni all’amministrazione.
In questi casi, come per i dipendenti viene mantenuto il trattamento economico in godimento, così, per i dirigenti esterni deve essere considerato valido il contratto di lavoro sottostante l’incarico.
Si tenga presente che l’esigenza della rotazione straordinaria prevale sulla specificità dell’incarico esterno: il soggetto, anche se reclutato per lo svolgimento di uno specifico incarico dirigenziale, può essere affidato a diverso ufficio o a diversa funzione (per esempio di staff) con la conservazione del contratto di lavoro e della retribuzione in esso stabilita.
Per gli incarichi amministrativi di vertice, invece, la rotazione determina la revoca dell’incarico. Tale revoca, a sua volta, comporta due ordini di conseguenze: come già chiarito al § 3.7, per i dirigenti apicali che siano dipendenti dell’amministrazione, la possibilità di assegnazione di un incarico o di un ufficio adeguato al mantenimento del trattamento economico spettante in quanto dipendente dell’amministrazione, ovvero, in caso di impossibilità di una tale soluzione, il collocamento in aspettativa o la messa in disponibilità. Invece, per i dirigenti apicali che non siano dipendenti dell’amministrazione, la revoca dell’incarico e la risoluzione del sottostante contratto di lavoro a tempo determinato.
3.9 Rapporti tra rotazione ordinaria e rotazione straordinaria
L’Autorità ha già chiarito nel PNA 2016 (§ 7.2.1.), cui si rinvia per ogni approfondimento, la differenza e i rapporti tra l’istituto della rotazione del personale c.d. ordinaria introdotto come misura di prevenzione della corruzione dall’art. 1, co. 5, lett. b) della l. 190/2012, e l’istituto della rotazione c.d. “straordinaria” previsto dall’art. 16, co. 1, lett. l-quater d.lgs. 165 del 2001.
3.10 Rapporti tra rotazione straordinaria e trasferimento di ufficio in caso di rinvio a giudizio
Come si è visto, la rotazione straordinaria “anticipa” alla fase di avvio del procedimento penale la conseguenza consistente nel trasferimento ad altro ufficio. In caso di rinvio a giudizio, per lo stesso fatto, trova applicazione l’istituto del trasferimento disposto dalla legge n. 97/2001. Se il trasferimento è già stato disposto in sede di rotazione straordinaria, l’amministrazione può nuovamente disporre il trasferimento (ad esempio ad un ufficio ancora diverso), ma può limitarsi a confermare il trasferimento già disposto, salvo che al provvedimento di conferma si applicano i limiti di validità temporale previsti dalla legge n.97/2001.
3.11 L’informazione ex art. 129 disp. att. c.p.p. e ruolo del RPCT
L’art. 129, co. 1, del d.lgs. 28 luglio 1989, n. 271 disp. att. c.p.p. stabilisce che «Quando esercita l’azione penale nei confronti di un impiegato dello Stato o di altro ente pubblico, il pubblico ministero informa l’autorità da cui l’impiegato dipende, dando notizia dell’imputazione».
Poiché l’istituto della rotazione straordinaria è misura di prevenzione della corruzione, si deve ritenere che l’ordinamento richieda una immediata trasmissione della comunicazione del Procuratore della Repubblica, da parte degli organi che la ricevono, al RPCT perché vigili sulla disciplina (contenuta nel PTPC o in sede di autonoma regolamentazione) e sulla effettiva adozione dei provvedimenti con i quali la misura può essere disposta.
L’Autorità, da parte sua, ha già instaurato la prassi di trasmettere la notizia (che le pervenga ai sensi del comma 3 del medesimo art. 129) al RPCT dell’amministrazione o ente interessato, chiedendo di avere notizie sull’adozione del provvedimento di rotazione straordinaria
3.12 Effetti dei procedimenti penali sull’incarico di RPCT
Le considerazioni sopra esposte sugli effetti dei procedimenti penali sul rapporto di lavoro per i dipendenti pubblici sono utili a precisare alcuni aspetti relativi ai requisiti per la nomina e al mantenimento dell’incarico di RPCT. Tale incarico, infatti, è particolarmente sensibile e rilevante ai fini dell’immagine di imparzialità dell’amministrazione.
Riguardo la scelta del responsabile della prevenzione della corruzione ANAC ha già evidenziato nel PNA 2016 (Delibera n. 831/2016, § 5.2) che essa deve preferibilmente ricadere su dirigenti di ruolo, che non siano stati destinatari di provvedimenti giudiziali di condanna, né di provvedimenti disciplinari, che abbiano dato dimostrazione nel tempo di comportamento integerrimo e che non si trovino in situazioni di conflitto di interessi, precisando che la valutazione sulla sussistenza del requisito del comportamento integerrimo in capo al RPCT spettasse comunque all’amministrazione.
L’Autorità è poi tornata sull’argomento nell’Aggiornamento 2018 al PNA (§ 7.2.), raccomandando alle amministrazioni di vigilare sulla necessità di “condotte integerrime” del RPCT, invitandole a revocare l’incarico in tutti i casi in cui tali condotte venissero meno.
Pur restando fermo che la revoca dall’incarico di RPCT disciplinata dall’art. 1, co. 7 della l. 190 del 2012 e dall’art. 15, co. 3, del d.lgs. 39 del 2013 è istituto diverso da quello della rotazione straordinaria, si ritiene utile, in questa sede, fornire alcune precisazioni con riferimento all’ipotesi in cui il dipendente interessato dal procedimento penale sia il dirigente che svolge anche l’incarico di RPCT.
Si ritiene che nei casi “di avvio di procedimenti penali o disciplinari per condotte di natura corruttiva” 5- previsti dall’art.16, co. 1, lettera l-quater, del d.lgs. 165/2001 – fase che risponde al momento dell’iscrizione nel registro delle notizie di reato di cui all’art. 335 c.p.p., prescindendo dal requisito del rinvio a giudizio o da quello di una sentenza definitiva, l’amministrazione debba valutare con provvedimento motivato se assegnare il dipendente sospettato di condotte di natura corruttiva ad altro servizio e, conseguentemente, revocare eventualmente l’incarico di RPCT.
Se invece sussistono i presupposti per trasferimento ad altro ufficio a seguito di rinvio a giudizio come previsto dall’art. 3, co. 1, della legge n. 97 del 20016, l’amministrazione è tenuta a revocare immediatamente l’incarico di RPCT. Ciò in quanto la condotta di natura corruttiva è tale da travolgere in toto il requisito della “condotta integerrima” necessario al mantenimento dell’incarico del RPCT.
In tutti gli altri casi di condanna per reati contro la p.a. vale quanto specificato nell’Aggiornamento 2018 al PNA (§ 7.2.). Nell’atto richiamato l’Autorità ha ritenuto di fornire l’indicazione per cui
«l’amministrazione è tenuta a considerare tra le cause ostative allo svolgimento e al mantenimento dell’incarico di RPCT le condanne in primo grado prese in considerazione nel decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235, art. 7, co. 1, lett. da a) ad f), nonché quelle per i reati contro la pubblica amministrazione e, in particolare, almeno quelli richiamati dal d.lgs. 39/2013 che fanno riferimento al Titolo II, Capo I «Dei delitti dei pubblici ufficiali contro la Pubblica amministrazione». A tal fine si è ritenuto necessario che «il RPCT debba dare tempestiva comunicazione all’amministrazione o ente presso cui presta servizio di aver subìto eventuali condanne di primo grado, almeno tra quelle relative alle disposizioni sopra richiamate. Laddove le condanne riguardino fattispecie che non sono considerate nelle disposizioni soprarichiamate, le amministrazioni o gli enti possono chiedere l’avviso dell’Autorità anche nella forma di richiesta di parere».
L’amministrazione, ove venga a conoscenza dei presupposti per il trasferimento di ufficio o delle condanne sopra indicate, da parte del RPCT interessato o anche da terzi, è tenuta alla revoca dell’incarico di RPCT. Si ribadisce, pertanto, il dovere in capo al RPCT, come per gli altri dipendenti interessati da procedimenti penali, di segnalare immediatamente all’amministrazione l’avvio di tali procedimenti.
In ogni caso i provvedimenti di revoca devono essere tempestivamente comunicati all’Autorità secondo quanto previsto dalla normativa vigente e chiarito nel § 6, Parte generale, dell’Aggiornamento 2018 al PNA, nonché come disciplinato nel Regolamento approvato con delibera ANAC n. 657 del 18 luglio 2018.
3.13 Rotazione straordinaria come conseguenza dell’avvio di un procedimento disciplinare
L’ipotesi di applicazione della rotazione straordinaria anche nel caso di procedimenti disciplinari è espressamente prevista dalla lettera l-quater dell’art. 16, co. 1, sempre che si tratti di “condotte di natura corruttiva”. Anche in questo caso la norma non specifica quali comportamenti, perseguiti non in sede penale, ma disciplinare, comportino l’applicazione della misura. In presenza di questa lacuna e considerata la delicatezza della materia, che ha consigliato un forte restrizione dei reati penali presupposto, si deve ritenere che il procedimento disciplinare rilevante sia quello avviato dall’amministrazione per comportamenti che possono integrare fattispecie di natura corruttiva considerate nei reati come sopra indicati. Nelle more dell’accertamento in sede disciplinare, tali fatti rilevano per la loro attitudine a compromettere l’immagine di imparzialità dell’amministrazione e giustificano il trasferimento, naturalmente anch’esso temporaneo, ad altro ufficio.
La misura resta di natura preventiva e non sanzionatoria (diversamente dalla sanzione disciplinare in sé).