La Corte Costituzionale, con sentenza n. 108 del 9 maggio 2019, ha affermato la costituzionalità della legge che prevedeva una riduzione del vitalizio degli ex consiglieri regionali: la legge può essere retroattiva, a tutela delle esigenze di finanza pubblica, se il legittimo affidamento degli interessati non è del tutto consolidato.
Corte Costituzionale, sent. n.108/2019
La Consulta, con la sentenza 108 del 2019, si è pronunciata sulla riduzione retroattiva dei vitalizi degli ex consiglieri regionali, con la legge regionale Trentino-Alto Adige n. 4 del 2014 che prevedeva l’obbligo di restituzione di somme già conseguite.
Secondo la prospettazione degli ex consiglieri, si perveniva così a una sostanziale modifica con efficacia retroattiva della normativa precedente, di cui alla legge reg. Trentino-Alto Adige n. 6 del 2012, e ciò non rispetterebbe i principi affermati dalla giurisprudenza costituzionale.
Essa violerebbe l’art. 3 Cost., incidendo, in modo irragionevole, sul legittimo affidamento nella sicurezza giuridica, che costituisce elemento fondamentale dello Stato di diritto, poiché l’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica non può essere leso da disposizioni retroattive.
Ma secondo la Corte Costituzionale la tutela del legittimo affidamento, così come il principio dell’irretroattività delle leggi, non è un principio assoluto.
In particolare è possibile adottare delle disposizioni retroattive volte contenere la spesa pubblica e a garantire una maggiore equità, se l’affidamento del privato sulla situazione giuridica preesistente non è ancora sufficientemente consolidato nel tempo perché la norma modificata era recente e la modifica era prevedibile
Il divieto di retroattività della legge e le sue eccezioni nel sistema costituzionale
La Consulta premette che il divieto di retroattività della legge, previsto dall’art. 11 delle disposizioni preliminari al codice civile (“La legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo“), costituisce principio fondamentale di civiltà giuridica.
Esso, tuttavia, non ha carattere assoluto, e in particolare non riceve nell’ordinamento la tutela privilegiata di cui all’art. 25 Cost., riservata alla materia penale. Ne consegue che il legislatore, nel rispetto di tale disposizione costituzionale, può approvare disposizioni con efficacia retroattiva, purché la retroattività trovi adeguata giustificazione nell’esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale (Corte Cost. sentenza n. 170 del 2013).
A questo proposito, è stato affermato che le leggi retroattive, in particolare, devono trovare «adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza attraverso un puntuale bilanciamento tra le ragioni che ne hanno motivato la previsione e i valori, costituzionalmente tutelati, al contempo potenzialmente lesi dall’efficacia a ritroso della norma adottata» (Corte Cost.sentenza n. 73 del 2017).
La tutela del legittimo affidamento
Tra i limiti che la giurisprudenza costituzionale ha individuato all’ammissibilità di leggi con effetto retroattivo, rileva particolarmente, l’affidamento legittimamente sorto nei soggetti interessati alla stabile applicazione della disciplina modificata.
Secondo la Consulta, tale legittimo affidamento trova copertura costituzionale nell’art. 3 Cost., è ritenuto «principio connaturato allo Stato di diritto» (sentenze n. 73 del 2017, n. 170 e n. 160 del 2013, n. 78 del 2012 e n. 209 del 2010), ed è da considerarsi ricaduta e declinazione “soggettiva” dell’indispensabile carattere di coerenza di un ordinamento giuridico, quale manifestazione del valore della certezza del diritto.
Ma la tutela del legittimo affidamento, così come il principio dell’irretroattività delle leggi, non è un principio assoluto.
In pronunce precedenti si è detto che «l’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica, pur aspetto fondamentale e indispensabile dello Stato di diritto, non è tutelato in termini assoluti e inderogabili» (sentenze n. 89 del 2018 e n. 56 del 2015). Esso «è sottoposto al normale bilanciamento proprio di tutti i diritti e valori costituzionali», fermo restando che le disposizioni legislative retroattive non possono comunque «trasmodare in un regolamento irrazionale e arbitrariamente incidere sulle situazioni sostanziali poste in essere da leggi precedenti» (ex multis, sentenze n. 16 del 2017 e n. 203 del 2016; in senso analogo sentenza n. 149 del 2017).
In sostanza, nel caso di leggi retroattive vi è uno scrutinio di “razionalità rafforzata” sulla legge.
In questi casi è richiesta non già la mera assenza di scelte normative manifestamente arbitrarie, ma l’effettiva sussistenza di giustificazioni ragionevoli dell’intervento legislativo, poiché la normativa retroattiva incide sulla «certezza dei rapporti preteriti» nonché sul legittimo affidamento dei soggetti interessati (sentenza n. 432 del 1997).
Il caso della legge di modifica retroattiva dei vitalizi a tutela della finanza pubblica
Utilizzando i parametri appena citati, la Corte Costituzionale ha ritenuto che la legge della regione Trentino non fosse incostituzionale.
Nel caso della legge in discussione, due distinte esigenze risultavano alla base dell’intervento retroattivo del legislatore regionale. Da una parte, quella di ricondurre a criteri di «equità e ragionevolezza» gli assai favorevoli meccanismi di calcolo dell’attualizzazione degli assegni vitalizi. Dall’altra, quella di provvedere al «contenimento della spesa pubblica».
A tal proposito, la Corte aveva già affermato che una disciplina retroattiva non può tradire l’affidamento del privato, specie se maturato con il consolidamento di situazioni sostanziali, pur se l’intervento retroattivo sia dettato dalla necessità di contenere la spesa pubblica o di far fronte ad esigenze eccezionali (sentenze n. 216 del 2015 e n. 170 del 2013).
Per verificare se, in concreto, una disciplina retroattiva incida in modo costituzionalmente illegittimo sull’affidamento dei destinatari della regolazione originaria, la giurisprudenza costituzionale attribuisce rilievo a una serie di elementi:
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il grado di consolidamento della situazione soggettiva originariamente riconosciuta e poi travolta dall’intervento retroattivo: ovvero il tempo trascorso dal momento della definizione dell’assetto regolatorio originario a quello in cui tale assetto viene mutato con efficacia retroattiva (sentenze n. 89 del 2018, n. 250 del 2017, n. 108 del 2016, n. 216 e n. 56 del 2015);
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la prevedibilità della modifica retroattiva stessa (sentenze n. 16 del 2017 e n. 160 del 2013);
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infine, la proporzionalità dell’intervento legislativo che eventualmente lo comprima (in particolare, sentenza n. 108 del 2016).
Nel caso in esame, è stato ritenuto decisivo che la modifica è intervenuta non molti mesi dopo l’intervento normativo originario, oltre alla circostanza che l’intervento del legislatore potesse non risultare del tutto imprevedibile agli occhi dei destinatari interessati,
Alla luce di tali due primi criteri, non si è ritenuto esistente di un assetto regolatorio adeguatamente consolidato, sia perché esso non si è protratto per un periodo sufficientemente lungo, sia perché la legge reg. Trentino-Alto Adige n. 6 del 2012 è stata approvata in un contesto complessivo non idoneo a far sorgere nei destinatari una ragionevole fiducia nel suo mantenimento.
Inoltre, a conferma della costituzionalità della legge, la Consulta ha ritenuto ragionevole il meccanismo posto in essere dalla legge regionale, che non trascura di concedere ai beneficiari degli assegni coinvolti l’accesso a forme flessibili e graduate di restituzione delle somme percepite in eccesso.
Si riporta di seguito il passaggio fondamentale della sentenza 108/2019 della Corte Costituzionale
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CORTE COSTITUZIONALE
SENTENZA N. 108
ANNO 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Giorgio LATTANZI; Giudici : Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2, 3 e 4 della legge della Regione autonoma Trentino-Alto Adige 11 luglio 2014, n. 4, recante «Interpretazione autentica dell’articolo 10 della legge regionale 21 settembre 2012, n. 6 (Trattamento economico e regime previdenziale dei membri del Consiglio della Regione autonoma Trentino-Alto Adige) e provvedimenti conseguenti», promosso dal Tribunale ordinario di Trento, con ordinanza del 7 febbraio 2017, iscritta al n. 72 del registro ordinanze 2017 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21, prima serie speciale, dell’anno 2017.
(…)
La costante giurisprudenza di questa Corte afferma che il divieto di retroattività della legge, previsto dall’art. 11 delle disposizioni preliminari al codice civile, costituisce principio fondamentale di civiltà giuridica.
Esso, tuttavia, non riceve nell’ordinamento la tutela privilegiata di cui all’art. 25 Cost., riservata alla materia penale. Ne consegue che il legislatore, nel rispetto di tale disposizione costituzionale, può approvare disposizioni con efficacia retroattiva, purché la retroattività trovi adeguata giustificazione nell’esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale (ex plurimis, sentenza n. 170 del 2013).
Le leggi retroattive, in particolare, devono trovare «adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza attraverso un puntuale bilanciamento tra le ragioni che ne hanno motivato la previsione e i valori, costituzionalmente tutelati, al contempo potenzialmente lesi dall’efficacia a ritroso della norma adottata» (così, da ultimo, sentenza n. 73 del 2017).
Tra i limiti che la giurisprudenza costituzionale ha individuato all’ammissibilità di leggi con effetto retroattivo, rileva particolarmente, in questa sede – nell’ambito dei principi e interessi incisi dall’efficacia retroattiva dell’intervento legislativo regionale – l’affidamento legittimamente sorto nei soggetti interessati alla stabile applicazione della disciplina modificata. Tale legittimo affidamento trova copertura costituzionale nell’art. 3 Cost., è ritenuto «principio connaturato allo Stato di diritto» (sentenze n. 73 del 2017, n. 170 e n. 160 del 2013, n. 78 del 2012 e n. 209 del 2010), ed è da considerarsi ricaduta e declinazione “soggettiva” dell’indispensabile carattere di coerenza di un ordinamento giuridico, quale manifestazione del valore della certezza del diritto.
D’altro canto, la giurisprudenza di questa Corte afferma altresì che «l’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica, pur aspetto fondamentale e indispensabile dello Stato di diritto, non è tutelato in termini assoluti e inderogabili» (sentenze n. 89 del 2018 e n. 56 del 2015). Esso «è sottoposto al normale bilanciamento proprio di tutti i diritti e valori costituzionali», fermo restando che le disposizioni legislative retroattive non possono comunque «trasmodare in un regolamento irrazionale e arbitrariamente incidere sulle situazioni sostanziali poste in essere da leggi precedenti» (ex multis, sentenze n. 16 del 2017 e n. 203 del 2016; in senso analogo sentenza n. 149 del 2017).
Tutto ciò premesso, va sottoposta a stretto scrutinio di ragionevolezza una legge regionale che intervenga retroattivamente a ridurre attribuzioni di natura patrimoniale, come accade nel caso in esame per le parti “attualizzate” degli assegni vitalizi, e imponga perciò di restituire somme (di denaro) e quote (di fondo finanziario) già conferite. Tale scrutinio «impone un grado di ragionevolezza complessiva ben più elevato di quello che, di norma, è affidato alla mancanza di arbitrarietà» (così la sentenza n. 173 del 2016, in fattispecie analoga ma non sovrapponibile, poiché relativa alla materia previdenziale). In altri termini, è richiesta non già la mera assenza di scelte normative manifestamente arbitrarie, ma l’effettiva sussistenza di giustificazioni ragionevoli dell’intervento legislativo, poiché la normativa retroattiva incide sulla «certezza dei rapporti preteriti» nonché sul legittimo affidamento dei soggetti interessati (sentenza n. 432 del 1997).
Un tale rigoroso controllo deve verificare, in primo luogo, se sussistano solide motivazioni che hanno guidato il legislatore regionale, e se esse trovino, appunto, «adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza» (ex plurimis, sentenze n. 73 del 2017, n. 132 del 2016 e n. 69 del 2014), anche in considerazione delle circostanze di fatto e di contesto entro cui l’intervento legislativo è maturato. Ove tale preliminare esame fornisca esito positivo, deve essere inoltre accertato se il risultato di tale intervento non trasmodi comunque in una regolazione arbitraria di situazioni soggettive, in lesione del legittimo affidamento dei destinatari della disciplina originaria, e perciò, anche sotto questo profilo, dell’art. 3 Cost.
6.– Afferma la relazione della I Commissione legislativa del Consiglio regionale del Trentino-Alto Adige al disegno di legge n. 8 recante «Interpretazione autentica dell’articolo 10 della legge regionale 21 settembre 2012, n. 6 (Trattamento economico e regime previdenziale dei membri del Consiglio della regione autonoma Trentino-Alto Adige) e provvedimenti conseguenti» che obiettivo del legislatore regionale è quello di «ridurre il trattamento economico corrisposto» in tema di quota “attualizzata” degli assegni vitalizi, ancorato dalla disciplina precedente «a parametri che si sono rivelati non consoni a criteri di equità e ragionevolezza e che si discostavano da una valutazione che avrebbe dovuto riferirsi a “valori medi” ed essere in linea con esigenze di contenimento della spesa pubblica».
Due distinte esigenze risultano dunque alla base dell’intervento retroattivo del legislatore regionale. Da una parte, quella di ricondurre a criteri di «equità e ragionevolezza» gli assai favorevoli meccanismi di calcolo dell’attualizzazione degli assegni vitalizi, introdotti dall’ufficio di presidenza del Consiglio regionale con le delibere n. 324 e 334 del 2013. Dall’altra, quella di provvedere al «contenimento della spesa pubblica».
Tali motivi di interesse generale si contrappongono ai profili sintomatici dell’asserita irragionevolezza della legge, argomentati dall’ordinanza di rimessione e segnalati anche dalla difesa dell’ex consigliere regionale: l’erronea auto-qualificazione della legge come legge di interpretazione autentica, la ritenuta non necessarietà di interventi correttivi nella prospettiva della finanza pubblica, la diretta previsione in legge di criteri di calcolo dei vitalizi, che rientrerebbero invece nel dominio della scienza attuariale.
Ritiene questa Corte che tali ultimi profili, nel bilanciamento delle opposte esigenze, siano recessivi, a fronte della solida plausibilità, in astratto, delle motivazioni a sostegno dell’intervento di modifica, ricavabili dai lavori preparatori della legge regionale che contiene le disposizioni censurate.
Ciò, innanzitutto, per una ragione legata alla peculiarità della vicenda in questione, in cui l’intervento legislativo retroattivo manifesta la propria natura “riparatrice” e incide su un regime di favore quale la “attualizzazione”, assai peculiare e reso ancor più eccezionale, negli effetti prodotti, dalla scelta di specifici criteri di calcolo.
Vi è, inoltre, una ragione di carattere più generale a sostegno della ragionevolezza della disciplina censurata. L’intervento legislativo mira a correggere gli effetti di una normativa che aveva complessivamente determinato un ampliamento della spesa pubblica regionale, in controtendenza rispetto alle generali necessità di contenimento e risparmio in quegli stessi anni perseguite dal legislatore statale, a fronte di una crisi economica di ingente (e notoria) portata. Al cospetto di interventi legislativi statali che hanno imposto riduzioni generalizzate di risorse e contribuzioni straordinarie al risanamento dei conti pubblici, tutti gli enti facenti parte della cosiddetta finanza pubblica allargata sono stati chiamati, proprio in quel periodo di tempo, a concorrere – secondo quanto stabilito dagli artt. 81 e 97, primo comma, Cost. – all’equilibrio complessivo del sistema e alla sostenibilità del debito nazionale (sulla riconducibilità anche delle Regioni a statuto speciale al sistema di finanza pubblica allargata, da ultimo, sentenza n. 6 del 2019), a prescindere dalla condizione di maggiore o minore equilibrio del proprio bilancio. In tale contesto si spiega, e si giustifica, perché, allo stesso legislatore regionale, la disciplina risultante dalla legge reg. Trentino-Alto Adige n. 6 del 2012, in combinazione con i criteri di calcolo approvati dall’ufficio di presidenza del Consiglio regionale, sia apparsa dissonante, e perciò meritevole di modifica.
7.– Le motivazioni esposte non risultano di per sé sole risolutive per la decisione della questione di legittimità costituzionale.
Nell’ambito del criterio di scrutinio qui utilizzato, occorre ulteriormente verificare se, in concreto, l’intervento legislativo in esame abbia leso il legittimo affidamento dei suoi destinatari.
Nel solco di una giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che non considera il mero interesse finanziario pubblico ragione di per sé sufficiente a giustificare interventi retroattivi (sentenze 7 giugno 2011, Agrati contro Italia; 25 novembre 2010, Lilly France contro Francia; 21 giugno 2007, Scanner de l’Ouest Lyonnais contro Francia; 16 gennaio 2007, Chiesi S.A. contro Francia; 9 gennaio 2007, Arnolin contro Francia; 11 aprile 2006, Cabourdin contro Francia), questa Corte ha infatti già affermato che una disciplina retroattiva non può tradire l’affidamento del privato, specie se maturato con il consolidamento di situazioni sostanziali, pur se l’intervento retroattivo sia dettato dalla necessità di contenere la spesa pubblica o di far fronte ad esigenze eccezionali (sentenze n. 216 del 2015 e n. 170 del 2013).
Per verificare se, in concreto, una disciplina retroattiva incida in modo costituzionalmente illegittimo sull’affidamento dei destinatari della regolazione originaria, la giurisprudenza costituzionale attribuisce rilievo a una serie di elementi: il tempo trascorso dal momento della definizione dell’assetto regolatorio originario a quello in cui tale assetto viene mutato con efficacia retroattiva (sentenze n. 89 del 2018, n. 250 del 2017, n. 108 del 2016, n. 216 e n. 56 del 2015), ciò che chiama in causa il grado di consolidamento della situazione soggettiva originariamente riconosciuta e poi travolta dall’intervento retroattivo; la prevedibilità della modifica retroattiva stessa (sentenze n. 16 del 2017 e n. 160 del 2013); infine, la proporzionalità dell’intervento legislativo che eventualmente lo comprima (in particolare, sentenza n. 108 del 2016).
Da questo angolo visuale, nel caso in esame, assumono importanza alcuni elementi che il giudice a quo definisce invece «fatti occasionali, inidonei a scalfire l’affidamento» e ritiene perciò irrilevanti al fine di verificare la ragionevolezza dell’intervento retroattivo.
In termini temporali, è significativo che, ad esempio, il decreto presidenziale con cui l’attore del giudizio a quo si è visto attribuire le somme, poi parzialmente revocate, risalga al 30 ottobre 2013, mentre la legge che ha condotto alla complessiva rideterminazione di queste, con effetto retroattivo, è stata approvata nella seduta del Consiglio regionale del 3 luglio del 2014 – a breve distanza dall’approvazione della precedente – dopo essere stata esaminata dalla I Commissione legislativa dello stesso Consiglio già nelle sedute del 6 e del 16 giugno 2014.
Inoltre, la circostanza che l’intervento del legislatore potesse non risultare del tutto imprevedibile agli occhi dei destinatari interessati – anche a voler prescindere dalla forte reazione dell’opinione pubblica conseguente al diffondersi delle notizie sulla vicenda, e senza considerare che indagini delle magistrature penale e contabile erano nel frattempo iniziate su di essa – è in particolare suggerita dalla singolare formulazione dell’art. 3, comma 2, della stessa legge reg. Trentino-Alto Adige n. 4 del 2014, pure censurato dal giudice a quo. Tale disposizione stabilisce testualmente che «[l]e somme liquide, restituite alla data di entrata in vigore della presente legge, sono computate a compensazione parziale o totale delle somme da restituire». Con essa, il legislatore regionale ha ritenuto necessario dare giuridico riconoscimento, nell’ambito della nuova quantificazione della quota “attualizzata” dei vitalizi e dei conseguenti obblighi di restituzione, alle restituzioni per così dire “anticipate”, evidentemente effettuate in modo spontaneo da alcuni fra i destinatari del provvedimento di attualizzazione: scelte che indeboliscono la tesi dell’imprevedibilità di un intervento di modifica in materia.
Alla luce di tali due primi criteri, non si è insomma in presenza di un assetto regolatorio adeguatamente consolidato, sia perché esso non si è protratto per un periodo sufficientemente lungo, sia perché la legge reg. Trentino-Alto Adige n. 6 del 2012 è stata approvata in un contesto complessivo non idoneo a far sorgere nei destinatari una ragionevole fiducia nel suo mantenimento (analogamente, sentenza n. 56 del 2015).
In relazione poi all’indice basato sulla proporzionalità dell’intervento legislativo retroattivo, va considerato che la legge reg. Trentino-Alto Adige n. 4 del 2014 non trascura di concedere ai beneficiari degli assegni coinvolti l’accesso a forme flessibili e graduate di restituzione delle somme percepite in eccesso, a seguito dei calcoli effettuati con il nuovo criterio del «valore attuale medio». L’art. 3, comma 3, della legge regionale in esame consente infatti di provvedere alla restituzione anche tramite la riassegnazione al Consiglio regionale delle quote del “Fondo Family”, attribuite originariamente ma in concreto esigibili soltanto negli anni successivi, attenuando così, anche se solo in parte, l’incisione patrimoniale diretta dell’intervento retroattivo.
Ulteriori agevolazioni nelle modalità di restituzione, previste dall’art. 3, commi 5 e 6, non rilevano direttamente in questa sede, in quanto riferibili solo ai consiglieri beneficiari dell’attualizzazione senza aver ancora maturato i requisiti previsti per la corresponsione del vitalizio, ma sono complessivamente significative nella direzione indicata.
Sempre in chiave di valutazione sulla proporzionalità dell’intervento, non è senza importanza il fatto che l’art. 5 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 4 del 2014 abbia concesso ai consiglieri che, all’entrata in vigore della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 6 del 2012, esercitarono l’opzione per l’attualizzazione, la possibilità di revocarla con effetto retroattivo, entro il termine di sessanta giorni dalla richiesta di restituzione. In tal modo, il legislatore regionale ha rimesso agli stessi ex consiglieri interessati la facoltà di tornare al regime previgente l’entrata in vigore della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 6 del 2012 e dunque di veder riespandere l’importo mensile del vitalizio a discapito della percezione della quota attualizzata, pur essendo loro ovviamente imposto, all’atto della revoca, l’obbligo di restituire al Consiglio regionale («ove non l’abbiano già fatto», recita significativamente, ancora, l’art. 5, comma 2) l’intero importo del valore attuale percepito, sia sotto forma di liquidità che di quote del “Fondo Family”.