L’attuale regola (art. 44 comma 4 del Codice del processo amministrativo):
“Nei casi in cui sia nulla la notificazione e il destinatario non si costituisca in giudizio, il giudice, se ritiene che l’esito negativo della notificazione dipenda da causa non imputabile al notificante, fissa al ricorrente un termine perentorio per rinnovarla. La rinnovazione impedisce ogni decadenza”.
La nuova regola, in caso di esito favorevole in Consulta:
Nel processo amministrativo, nei casi in cui sia nulla la notificazione e il destinatario non si costituisca in giudizio, il giudice fissa al ricorrente un termine perentorio per rinnovarla e la rinnovazione impedisce la decadenza. E ciò a prescindere dal fatto che l’esito negativo della notificazione sia dipeso da causa imputabile al notificante,
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Consiglio di Stato, sezione V
Ordinanza di rimessione numero 2489 del 20 aprile 2020
[Presidente Luciano Barra Caracciolo, estensore Elena Quadri]
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Il Fatto
Un Giudice, anzi un Presidente di Sezione di Corte d’Appello, non si vede riconosciuti alcuni giorni di ferie non godute indennizzabili (57 per l’esattezza). Insorgono gli eredi che, però, perdono contro il Ministero della Giustizia ed il MEF, innanzi al TAR.
Gli eredi appellano e, tuttavia, non notificano all’Avvocatura dello Stato competente territorialmente, cioè quella della sede del Giudice d’appello (il Consiglio di Stato), a Roma, ma a quella della sede del primo giudice. E l’Avvocatura non si costituisce, “sanando”.
Il Consiglio di Stato avrebbe dovuto a questo punto applicare l’art. 44, comma 4, del Codice del processo amministrativo (decreto legislativo 104/2010, CPA d’ora in poi), secondo cui “Nei casi in cui sia nulla la notificazione e il destinatario non si costituisca in giudizio, il giudice, se ritiene che l’esito negativo della notificazione dipenda da causa non imputabile al notificante, fissa al ricorrente un termine perentorio per rinnovarla. La rinnovazione impedisce ogni decadenza”.
Nella fattispecie, tuttavia, essendo la causa invece imputabile proprio al notificante, il Giudice dubita della legittimità costituzionale della previsione in discorso, limitatamente alle parole “se ritiene che l’esito negativo della notificazione dipenda da causa non imputabile al notificante”, in relazione agli articoli 3, 24, 76, 111, 113 e 117, comma 1, della Costituzione, e solleva la questione di costituzionalità.
Il Diritto
Due le questioni rimesse dal Consiglio di Stato all’attenzione della Corte Costituzionale.
1) L’art. 44 comma 4 del CPA risulta viziato da eccesso di delega (violazione art. 76 Costituzione)
(…)
“L’art. 44, comma 1, della legge 18 giugno 2009, n. 69, che reca la delega al codice, dispone che «il Governo è delegato ad adottare, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi per il riassetto del processo avanti ai tribunali amministrativi regionali e al Consiglio di Stato, al fine di adeguare le norme vigenti alla giurisprudenza della Corte costituzionale e delle giurisdizioni superiori, di coordinarle con le norme del codice di procedura civile in quanto espressione di princìpi generali e di assicurare la concentrazione delle tutele» e, al comma 2, indica, tra i principi ed i criteri direttivi da seguire, quello di assicurare “l’effettività della tutela”.
Tenuto conto della giurisprudenza della Corte Costituzionale in materia di eccesso di delega il Collegio ritiene che la disposizione con cui il legislatore delegato ha innovativamente limitato l’operatività dell’efficacia sanante della rinnovazione in caso di nullità della notificazione imponendo al giudice il preliminare vaglio dell’esistenza dell’errore scusabile («se ritiene che l’esito negativo della notificazione dipenda da causa non imputabile al notificante»), diversamente da quanto avveniva prima del codice del processo amministrativo ed avviene tutt’ora nel processo civile, nel processo tributario e nel processo contabile, non possa essere qualificato da nessun punto di vista come un coerente sviluppo o un completamento delle scelte espresse dal legislatore delegante, dato che si pone in espresso contrasto con la finalità di adeguare le norme vigenti alla giurisprudenza delle giurisdizioni superiori, di coordinarle con le norme del codice di procedura civile in quanto espressione di principi generali e di assicurare il principio di effettività della tutela giurisdizionale.
Ed invero, l’art. 44, comma 4, c.p.c. ha introdotto relativamente al processo amministrativo una disciplina diversa da quella stabilita dall’art. 46, comma 24, della legge 18 giugno 2009 n. 69 («24. Il primo comma dell’articolo 291 del codice di procedura civile si applica anche nei giudizi davanti ai giudici amministrativi e contabili»), che aveva esteso al processo amministrativo e contabile l’istituto della rinnovazione previsto dall’art. 291 c.p.c. (derivante dall’art. 145 del c.p.c. del 1865), secondo cui: «Se il convenuto non si costituisce e il giudice istruttore rileva un vizio che importi nullità nella notificazione della citazione fissa all’attore un termine perentorio per rinnovarla. La rinnovazione impedisce ogni decadenza».
A seguito dell’entrata in vigore della legge n. 69 del 2009, l’art. 291 c.p.c. era stato pacificamente applicato al processo amministrativo (cfr. Cons. Stato, sez. III, 5 agosto 2011, n. 4716) e già prima era emerso nella giurisprudenza un indirizzo favorevole all’applicazione anche al processo amministrativo di tale disposizione normativa (cfr. Cons. Stato, 6 maggio 1989, n. 286; 17 febbraio 1986, n. 121, secondo cui: «La notificazione del ricorso giurisdizionale amministrativo nulla va rinnovata, nel termine perentorio stabilito dal giudice, con impedimento al verificarsi, nel rispetto di tale termine, della decadenza, ai sensi del principio generale enunciato dagli artt. 291, comma 1 e 350, comma 1, c.p.c.»).
Nonostante l’inserimento nell’ambito del generale rinvio alla disciplina processualcivilistica in materia di notifiche previsto dall’art. 39, comma 2, c.p.a., secondo cui: «le notificazioni degli atti del processo amministrativo sono comunque disciplinate dal codice di procedura civile e dalle leggi speciali concernenti la notificazione degli atti giudiziari in materia civile», l’art. 44, comma 4, c.p.c. ha circoscritto la possibilità di rinnovazione al solo caso di nullità della notifica per causa non imputabile al notificante.
La ratio dell’art. 44, comma 4, c.p.c., sarebbe da rinvenire nella peculiare struttura del giudizio amministrativo, caratterizzato da brevi termini perentori per la sua introduzione e dall’assenza dell’istituto della contumacia (cfr. Corte cost., 31 gennaio 2014, n. 18, secondo cui «la peculiare struttura del giudizio amministrativo è di per sé ostativa dell’applicabilità della summenzionata regola processuale civilistica nel giudizio amministrativo»).
Tale orientamento, a parere del Collegio, merita un’accurata rimeditazione, anche alla luce della più recente evoluzione della giurisprudenza costituzionale.
Invero, con sentenza 26 giugno 2018, n. 132, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 44, comma 3, del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’art. 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo), limitatamente alle parole “salvi i diritti acquisiti anteriormente alla comparizione”, per violazione dei princìpi e dei criteri direttivi della legge delega che imponevano al legislatore delegato di adeguare le norme vigenti alla giurisprudenza della Corte costituzionale e delle giurisdizioni superiori, e di coordinarle con le disposizioni del codice di procedura civile, in quanto espressive di principi generali.
Per la Corte, la disposizione censurata, in primo luogo, si pone in aperto contrasto con l’art. 156, comma 3, c.p.c., il quale prevede la sanatoria ex tunc della nullità degli atti processuali per raggiungimento dello scopo, principio, questo, indubbiamente di carattere generale; in secondo luogo, non si pone in linea con la giurisprudenza della Corte di cassazione formatasi con riferimento alla notificazione degli atti processuali civili e con la stessa giurisprudenza del Consiglio di Stato, antecedente all’entrata in vigore del codice, relativa proprio alla nullità della notificazione del ricorso.
Parimenti, nel caso di specie l’art. 44, comma 4, c.p.c. in primo luogo si pone in aperto contrasto con l’art. 291, comma 1, c.p.c., il quale prevede l’istituto della rinnovazione della notificazione del ricorso che impedisce ogni decadenza in omaggio al principio di conservazione degli effetti sostanziali e processuali della domanda nel processo, principio, questo, indubbiamente di carattere generale che discende direttamente dall’ordinamento, interpretato alla luce della Costituzione.
Invero, in conformità con l’indirizzo, espresso dalla sentenza della Corte costituzionale 12 marzo 2007, n. 77 in tema di translatio iudicii, che tendeva a circoscrivere i casi in cui l’errore processuale può compromettere in modo irrimediabile l’azione, al principio delineato dagli artt. 24 e 111 Cost., per cui le disposizioni processuali non sono fine a se stesse, ma funzionali alla miglior qualità della decisione di merito, si ispira pressoché costantemente – nel regolare questioni di rito – il vigente codice di procedura civile, che non sacrifica il diritto delle parti ad ottenere una risposta, affermativa o negativa, in ordine al “bene della vita” oggetto della loro contesa.
Il principio di conservazione degli effetti sostanziali e processuali della domanda nel processo discende, dunque, direttamente dall’ordinamento, interpretato alla luce della Costituzione. La stessa disciplina della translatio iudicii presuppone un trattamento uniforme fra le diverse giurisdizioni della sanatoria delle nullità della notificazione dell’atto introduttivo, perché tale uniformità condiziona la produzione di quegli effetti che la translatio mira a conservare.
In secondo luogo, la disposizione censurata non si pone in linea con la giurisprudenza della Corte di cassazione formatasi con riferimento alla notificazione delle impugnazioni, per le quali parimenti la notifica dell’atto introduttivo va effettuata entro termini perentori (cfr., per tutte, Cass. civ., 27 settembre 2011, n. 19702 in tema di notifica ricorso per cassazione; 15 settembre 2011, n. 18849; 12 maggio 2011, n. 10464; 23 dicembre 2011, n. 28640; 27 febbraio 2008, n. 5212), senza trascurare la sua affermata estensione al rito avanti al giudice tributario per effetto del rinvio di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992 (Cass. Civ., 2 agosto 2000, n. 10136).
Né il ricorso per cassazione, né il procedimento avanti al giudice tributario conoscono l’istituto della contumacia, ma in entrambi i procedimenti è pacifica, per la Corte di cassazione, l’applicazione dell’art. 291 c.p.c.
La disposizione censurata si pone, altresì, in aperto contrasto con la stessa giurisprudenza del Consiglio di Stato, antecedente all’entrata in vigore del codice, relativa proprio alla nullità della notificazione del ricorso (cfr. Cons. Stato, 12 giugno 2009, n. 3747; 6 maggio 1989, n. 286; 17 febbraio 1986, n. 121)”.
2) L’art. 44 comma 4 del CPA viola poi gli articoli 3, 24, 111, 113 e 117, comma 1, della Costituzione
(…)
“Un ulteriore profilo di illegittimità della norma censurata si ravvisa rispetto ai parametri della ragionevolezza e della proporzionalità ricavabili dall’art. 3 della Costituzione.
L’irragionevolezza e la violazione del principio di proporzionalità risultano manifesti anche ove si consideri che in tal modo viene a determinarsi un’ingiustificata lesione del diritto di difesa sancito dall’art. 24 della Costituzione, del principio di effettività di tutela di cui all’art. 111 e del diritto ad un processo equo ai sensi dell’art. 6 della Convenzione EDU, il quale, secondo la giurisprudenza della Corte europea, implica che eventuali limitazioni all’accesso ad un giudice possano essere ammesse solo in presenza di un rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito.
Quest’ultimo profilo configura una violazione dell’art. 117, comma primo, della Costituzione, per contrasto con la giurisprudenza della Corte EDU (cfr. Corte Costituzionale, 24 ottobre 2007, nn. 348 e 349).
Infatti la norma di cui si contesta la legittimità, per un errore nella notifica che ha un rilievo meramente formale una volta che sia avvenuta la rinnovazione, finisce per porre un ostacolo procedurale che preclude definitivamente alla parte la possibilità di far valere la propria posizione dinanzi ad un giudice e costituisce una sostanziale negazione del diritto invocato, frustrando definitivamente la legittima aspettativa delle parti rispetto al bene della vita al quale aspiravano, senza un giusto equilibrio tra gli interessi pubblici e privati in gioco.
Infatti alla luce dei principi costituzionali e sovranazionali sembra da escludere, in materia processuale, la compatibilità con la Costituzione di soluzioni dirette a conferire rilievo a meri formalismi che limitano il diritto d’azione compromettendone l’essenza, qualora non siano giustificati da effettive garanzie difensive o da concorrenti e prevalenti interessi di altra natura, rivelando, in molti casi, il fallimento della tutela giurisdizionale e della sua effettività.
Ed invero, la tutela delle situazioni giuridiche soggettive prevista dagli artt. 24 e 113 della Costituzione, con particolare riguardo all’interesse legittimo, in attuazione del principio di effettività della tutela giurisdizionale, implica la necessità di favorire la pronuncia di merito, scopo ultimo del processo, senza assecondare decisioni di rito che non siano in un rapporto ragionevole di proporzionalità con lo scopo perseguito”.
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Link utili
1 Il testo integrale dell’ordinanza del Consiglio di Stato, sezione V, numero 2489 del 20 aprile 2020
2 Il testo vigente del Codice del Processo amministrativo, d.lgs. 104/2010
3 La nostra sezione con i Codici vigenti alla data odierna