In caso discrezionalità tecnica il sindacato del giudice amministrativo, essendo pur sempre un sindacato di legittimità e non di merito, è limitato al riscontro del vizio di illegittimità per violazione delle regole procedurali e di quello di eccesso di potere per manifesta illogicità, irrazionalità, irragionevolezza, arbitrarietà ovvero se fondato su di un altrettanto palese e manifesto travisamento dei fatti
La questione relativa all’apposizione della qualità di bene culturale offre al Consiglio di Stato l’occasione per esaminare la più ampia questione della discrezionalità tecnica della Pubblica Amministrazione e sul tipo di controllo che può essere realizzato su di essa.
Così il Parere n. 1958/2020 del Consiglio di Stato riporta lo stato dell’arte sulla nozione di discrezionalità tecnica e sulla sua sindacabilità.
La valutazione dell’interesse culturale dei beni privati
Ai sensi degli articoli 2, 10 e 11 d.lgs. 42/2004, codice dei beni culturali, sono beni culturali le cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico e le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà.
Tra di questi, i beni culturali appartenenti ai privati diventano tali solo a seguito di apposita dichiarazione di interesse culturale. In caso di accertamento positivo dell’interesse culturale (c.d. vincolo), i beni sono definitivamente assoggettati alle disposizioni di tutela previste dal codice; qualora nelle cose sottoposte a verifica non sia stato riscontrato l’interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico, queste sono escluse dall’applicazione delle disposizioni di tutela.
La giurisprudenza amministrativa citata dalla sentenza ha avuto modo di affermare che detto potere di valutare l’interesse culturale “è espressione di ampia discrezionalità tecnico-specialistica; ed è pertanto tendenzialmente insindacabile innanzi dal giudice amministrativo, se non per eccesso di potere per intrinseca illogicità o travisamento dei fatti indotto da uno o più errori obiettivamente rilevabili, quali gli errori di calcolo (matematico, topografico, antropometrico) e/o gli errori nell’applicazione di regole mutuate da scienze esatte (matematica, geometria, geologia, biologia, chimica, fisica, ecc.) o di regole sulle quali si basano discipline applicative di queste ultime” (Cons. giust. amm. Sicilia, sez. giurisdizionale, 2 marzo 2020, n. 145).
Il potere discrezionale e la discrezionalità tecnica
Per discrezionalità tecnica si intende, in dottrina e giurisprudenza, quel tipo di valutazione posta in essere dalla pubblica amministrazione quando l’esame di fatti o situazioni deve essere effettuato mediante ricorso a cognizioni tecniche e scientifiche di carattere specialistico, a scienze tecniche quali ad esempio la medicina, la biologia, la fisica, l’ingegneria.
Dall’applicazione della norma scientifica al caso di specie dipende l’adozione di un provvedimento amministrativo che può essere vincolato o discrezionale.
Il Parere in oggetto passa a distinguere i due casi di applicazione di regole tecniche. In alcuni casi, la valutazione tecnica è suscettibile di un controllo mediante regole scientifiche esatte e non opinabili (la gradazione alcolica di una bevanda o la quantità di stupefacente presente in una sostanza).
Tuttavia la discrezionalità tecnica si collega ai diversi casi di applicazione delle regole tecniche a loro volta frutto di scienze inesatte e, dunque, in essa emergono valutazioni opinabili (es. valutazione di un bene come bellezza paesistica). Ciò in quanto, appunto, l’applicazione della norma tecnica non determina un risultato univoco.
Il Consiglio di Stato ribadisce anche la differenza tra discrezionalità amministrativa e discrezionalità tecnica.
Infatti l’opinabilità del risultato è cosa diversa sia dalla discrezionalità amministrativa sia dalla scelta che afferisce al merito amministrativo.
Se in origine non si conosceva la distinzione tra discrezionalità amministrativa e tecnica, in seguito è stata la dottrina a notare che mentre la discrezionalità amministrativa implica una decisione, tale decisione manca nella discrezionalità tecnica che è, invece, accertamento e/o valutazione di un fatto alla stregua di una regola scientifica: “La discrezionalità tecnica si riferisce, infatti, al momento conoscitivo ed implica un giudizio e non una scelta, non manifestazione di volontà, che può tuttavia giungere in un momento successivo”.
Dall’altro lato, è anche evidente che la discrezionalità tecnica sia cosa distinta dall’accertamento tecnico, che si riferisce a dati che possono essere acquisiti in modo certo e indubbio (come le misure di un fondo, la gradazione alcoolica di un liquore).
Il sindacato del giudice sulla discrezionalità tecnica
Il parere in commento procede ad un rapido excursus sui diversi modi in cui il controllo giurisdizionale sulla discrezionalità tecnica è stata concepito nel tempo, per poi pervenire al punto di arrivo giurisprudenziale sulla natura e modalità di tale sindacato.
In un primo momento la discrezionalità tecnica era equiparata al merito e, pertanto, si riteneva insindacabile. In questa prima fase, in sostanza, il giudice amministrativo era considerato “giudice dell’atto” e doveva limitarsi a controllarne la legittimità, senza poter esprimere il giudizio tecnico che la legge assegnava all’Amministrazione.
In una seconda fase il sindacato giurisdizionale sulla discrezionalità tecnica venne ammesso entro i limiti del sindacato della discrezionalità amministrativa.
Nella fase successiva il sindacato giurisdizionale sugli accertamenti tecnici è stato svolto in base non al mero controllo formale ed estrinseco dell’iter logico seguito dall’autorità amministrativa, bensì attraverso la verifica diretta dell’attendibilità delle operazioni tecniche sotto il profilo della loro correttezza, quanto a criterio tecnico e procedimento applicativo (con l’indirizzo che parte da Consiglio di Stato, sez. IV, 9 aprile 1999, n. 601). In altre parole si è registrato il passaggio dal sindacato estrinseco a quello intrinseco.
Tale evoluzione si lega alla riforma del processo amministrativo per effetto della l. n. 205/2000 che ha introdotto, tra l’altro, la consulenza tecnica.
Con questo tipo di sindacato più intenso “il giudice non si avvale solo di massime di esperienza, ma di regole e conoscenze tecniche, appartenenti alla medesima scienza specialistica ed ai modelli professionali applicati dall’Amministrazione nel caso concreto, anche attraverso l’ausilio di un consulente”.
Posto l’affermarsi del sindacato intrinseco, l’orientamento maggioritario della giurisprudenza propende per la teoria del sindacato intrinseco debole, in cui il sindacato del giudice amministrativo non è sostitutivo.
Il sindacato debole è infatti diretto a censurare solo le valutazioni tecniche che appaiono inattendibili in ragione della violazione delle corrispondenti “regole tecniche”; qui il giudice deve limitarsi alla verifica della corrispondenza della valutazione alle regole tecniche, della completezza dell’istruttoria e della congruenza della motivazione, senza poter sostituire la propria valutazione tecnica a quella effettuata dalla P.A.
Dall’altro lato, si è ipotizzato in dottrina e in giurisprudenza un sindacato forte che comporta la prevalenza della valutazione tecnica sviluppata nel processo su quella effettuata dall’autorità amministrativa ed è pertanto un sindacato che può arrivare a sostituire la valutazione fatta dall’amministrazione con quella del giudice.
Tuttavia secondo il Parere del Consiglio di Stato la distinzione tra i due tipi di sindacato deve ritenersi superata in giurisprudenza.
Infatti il sindacato “al di là dell’ormai sclerotizzata antinomia sindacato forte/sindacato debole, deve attestarsi sulla linea di un controllo che, senza ingerirsi nelle scelte discrezionali della Pubblica autorità, assicuri la legalità sostanziale del suo agire, per la sua intrinseca coerenza anche e soprattutto in materie connotate da un elevato tecnicismo” (Consiglio di Stato, sez. III, 25 marzo 2013, n. 1645), senza, cioè, poter far luogo a sostituzione di valutazioni in presenza di interessi “la cui cura è dalla legge espressamente delegata ad un certo organo amministrativo, sicché ammettere che il giudice possa auto-attribuirseli rappresenterebbe quanto meno una violazione delle competenze, se non addirittura del principio di separazione tra i poteri dello Stato” (Consiglio di Stato, sez. VI, 13 settembre 2012 n. 4872).
In conclusione si afferma che “il sindacato del giudice amministrativo, essendo pur sempre un sindacato di legittimità e non di merito, è limitato al riscontro del vizio di illegittimità per violazione delle regole procedurali e di quello di eccesso di potere per manifesta illogicità, irrazionalità, irragionevolezza, arbitrarietà ovvero se fondato su di un altrettanto palese e manifesto travisamento dei fatti”.
Il testo del provvedimento
Di seguito si riporta un estratto del parere Consiglio di Stato, 30 novembre 2020, n. 1958:
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La valutazione che compie l’Autorità in ordine al valore culturale del bene da sottoporre a tutela è, dunque, una valutazione discrezionale, si tratta, in particolare, della discrezionalità tecnica sulla quale è utile fare qualche breve cenno.
Dottrina e giurisprudenza hanno da qualche tempo stabilito che con tale concetto s’intende fare riferimento al tipo di valutazione che viene posta in essere dalla pubblica amministrazione quando l’esame di fatti o situazioni deve essere effettuato mediante ricorso a cognizioni tecniche e scientifiche di carattere specialistico. L’amministrazione è chiamata, infatti, molto spesso all’applicazione di regole che non appartengono al diritto, ma che sono proprie di scienze tecniche, quali ad esempio la medicina, la biologia, la fisica, l’ingegneria.
Il rapporto tra la norma giuridica e la disciplina scientifica si instaura, normalmente, attraverso un rinvio che la disposizione di legge compie alla norma tecnica e, molto spesso, a concetti giuridici indeterminati. Dall’applicazione della norma scientifica al caso di specie dipende l’adozione di un provvedimento amministrativo che può essere vincolato o discrezionale.
In alcuni casi, la valutazione tecnica è suscettibile di un controllo mediante regole scientifiche esatte e non opinabili (la gradazione alcolica di una bevanda o la quantità di stupefacente presente in una sostanza); altre volte, le regole tecniche sono frutto di scienze inesatte e, dunque, in essa emergono valutazioni opinabili (es. valutazione di un bene come bellezza paesistica).
Si parla di discrezionalità proprio per indicare che tali giudizi, ancorché compiuti alla stregua di regole della scienza e della tecnica, restano opinabili, ciò in quanto l’applicazione della norma tecnica non determina un risultato univoco, posto che molte discipline tecniche e scientifiche non sono scienze esatte.
Occorre chiarire però che l’opinabilità del risultato è cosa diversa sia dalla discrezionalità amministrativa sia dalla scelta che afferisce al merito amministrativo, scelta quest’ultima che non può essere sindacata dal giudice amministrativo se non nelle ipotesi tassative di giurisdizione di merito previste dall’articolo 134 c.p.a.
Originariamente non si distingueva tra discrezionalità amministrativa e tecnica; solo in seguito autorevole dottrina ha chiarito l’ontologica diversità della discrezionalità tecnica da quella amministrativa: quest’ultima implica una decisione che manca nella discrezionalità tecnica che è, invece, accertamento e/o valutazione di un fatto alla stregua di una regola scientifica.
La discrezionalità tecnica si riferisce, infatti, al momento conoscitivo ed implica un giudizio e non una scelta, non manifestazione di volontà, che può tuttavia giungere in un momento successivo.
Detto ciò, è altresì evidente che la discrezionalità tecnica sia cosa distinta dall’accertamento tecnico, che si riferisce a dati che possono essere acquisiti in modo certo e indubbio (come le misure di un fondo, la gradazione alcoolica di un liquore); in questi casi, si comprende, mancano una valutazione ed un giudizio.
Quanto al sindacato del giudice amministrativo sulla discrezionalità tecnica, occorre ricostruirne brevemente lo sviluppo.
In origine la discrezionalità tecnica era equiparata al merito e, pertanto, si riteneva insindacabile; ciò rendeva particolarmente difficile la tutela giurisdizionale in tutti quei casi in cui la scelta amministrativa era preceduta da valutazioni tecniche fondate su scienze non esatte; l’impossibilità per il giudice amministrativo di sostituire il proprio giudizio alla valutazione discrezionale aveva l’effetto di comprimere le esigenze di tutela del privato. Questo perché, all’epoca, il giudice amministrativo era considerato “giudice dell’atto” e doveva limitarsi a controllarne la legittimità, senza poter esprimere il giudizio tecnico che la legge assegnava all’Amministrazione.
Successivamente, il sindacato giurisdizionale sulla discrezionalità tecnica venne ammesso entro i limiti del sindacato della discrezionalità amministrativa.
Ancora dopo, grazie all’opera della giurisprudenza amministrativa (a partire da Consiglio di Stato, sez. IV, 9 aprile 1999, n. 601), il sindacato giurisdizionale sugli accertamenti tecnici è stato svolto in base non al mero controllo formale ed estrinseco dell’iter logico seguito dall’autorità amministrativa, bensì attraverso la verifica diretta dell’attendibilità delle operazioni tecniche sotto il profilo della loro correttezza, quanto a criterio tecnico e procedimento applicativo.
Non è, quindi, l’opinabilità degli apprezzamenti tecnici dell’amministrazione che ne determina la sostituzione con quelli del giudice, ma la loro inattendibilità per l’insufficienza del criterio o per il vizio del procedimento applicativo.
A ciò si è aggiunto il profondo mutamento che ha vissuto il processo amministrativo per effetto della l. n. 205/2000 che ha introdotto, tra l’altro, la consulenza tecnica nel processo amministrativo (oggi disciplinata all’art. 63, comma 4, c.p.a.).
Con questo tipo di sindacato, il giudice non si avvale solo di massime di esperienza, ma di regole e conoscenze tecniche, appartenenti alla medesima scienza specialistica ed ai modelli professionali applicati dall’Amministrazione nel caso concreto, anche attraverso l’ausilio di un consulente.
Ammesso, in linea di principio, questo sindacato, detto intrinseco, si è posto il problema della sua intensità. La dottrina e la giurisprudenza amministrativa hanno così introdotto un’ulteriore distinzione sul tipo di sindacato esercitabile. Da un lato, il sindacato forte che comporta la prevalenza della valutazione tecnica sviluppata nel processo su quella effettuata dall’autorità amministrativa ed è pertanto un sindacato che può arrivare a sostituire la valutazione fatta dall’amministrazione con quella del giudice; dall’altro, il sindacato debole, diretto a censurare solo le valutazioni tecniche che appaiono inattendibili in ragione della violazione delle corrispondenti “regole tecniche”; qui il giudice deve limitarsi alla verifica della corrispondenza della valutazione alle regole tecniche, della completezza dell’istruttoria e della congruenza della motivazione, senza poter sostituire la propria valutazione tecnica a quella effettuata dalla P.A.
Com’è noto, l’orientamento maggioritario della giurisprudenza propende per la teoria del sindacato intrinseco debole, in cui il sindacato del giudice amministrativo non è sostitutivo.
È tuttavia vero che, più di recente, la contrapposizione tra sindacato forte e sindacato debole è stata superata dalla giurisprudenza amministrativa secondo cui il controllo giurisdizionale, “al di là dell’ormai sclerotizzata antinomia sindacato forte/sindacato debole, deve attestarsi sulla linea di un controllo che, senza ingerirsi nelle scelte discrezionali della Pubblica autorità, assicuri la legalità sostanziale del suo agire, per la sua intrinseca coerenza anche e soprattutto in materie connotate da un elevato tecnicismo” (Consiglio di Stato, sez. III, 25 marzo 2013, n. 1645), senza, cioè, poter far luogo a sostituzione di valutazioni in presenza di interessi “la cui cura è dalla legge espressamente delegata ad un certo organo amministrativo, sicché ammettere che il giudice possa auto-attribuirseli rappresenterebbe quanto meno una violazione delle competenze, se non addirittura del principio di separazione tra i poteri dello Stato” (Consiglio di Stato, sez. VI, 13 settembre 2012 n. 4872).
Oggi, in sintesi, posto che il ricorso a criteri di valutazione tecnica, in qualsiasi campo, non offre sempre risposte univoche, ma costituisce un apprezzamento non privo di un certo grado di opinabilità, il sindacato del giudice amministrativo, essendo pur sempre un sindacato di legittimità e non di merito, è limitato al riscontro del vizio di illegittimità per violazione delle regole procedurali e di quello di eccesso di potere per manifesta illogicità, irrazionalità, irragionevolezza, arbitrarietà ovvero se fondato su di un altrettanto palese e manifesto travisamento dei fatti. Così, ad esempio, Consiglio di Stato, sez. V, 17 aprile 2020, n. 2442, afferma che “le valutazioni delle offerte tecniche da parte delle Commissioni di gara sono espressione di discrezionalità tecnica e, come tali, sono sottratte al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, salvo poi che non siano manifestamente illogiche, irrazionali, irragionevoli, arbitrarie, ovvero fondate su di un altrettanto palese e manifesto travisamento dei fatti”.