T.A.R. Palermo – Sicilia, Sez. I, 16 marzo 2021, n.875
La Sezione I del Tar Palermo – Sicilia è intervenuta, di recente, in materia di risarcimento del danno per violazione dei principi di correttezza comportamentale nell’ambito dei cc.dd. aiuti di Stato illegittimi, superando l’orientamento consolidato dalle Sezioni Unite e statuendo la giurisdizione del giudice amministrativo a fronte di quello ordinario nonché il doveroso ritiro degli aiuti di Stato illegittimi in violazione della normativa europea con conseguente recessività delle norme interne contrastanti.
In fatto, i ricorrenti, esercenti l’attività di piccola pesca artigianale nelle diverse località marittime della Sicilia, impugnavano il decreto dell’Assessorato della pesca n.517 del 2017, che approvava la graduatoria relativa ai “progetti per la sostituzione del motore dell’imbarcazione” e con la quale si accedeva al contributo fissato nel 60% della spesa ammissibile per la sostituzione del motore delle loro imbarcazioni, allo scopo di migliorare l’efficienza energetica e mitigare i cambiamenti climatici e dove gli stessi risultano in una posizione di rilievo.
Tuttavia, trascorsi due anni, il Dipartimento interessato adottava un decreto con cui decurtava la percentuale di spesa (dapprima fissata nella misura del 60%) in quella inferiore del 30%, sulla base del parere del Ministero delle politiche agricole n.5705 del 2019, ove si affermava, contrariamente a quanto previsto dal bando, tale intensità massima dell’aiuto nel settore della pesca costiera artigianale e veniva rilevata la violazione dei limiti posti dalla normativa europea agli aiuti di Stato che rendeva, pertanto, doverosa la ripetizione delle somme indebitamente corrisposte.
Pertanto, i ricorrenti che già avevano avviato le operazioni per la sostituzione dei motori alle proprie imbarcazioni, talune delle quali già concluse, chiedevano l’annullamento dei provvedimenti impugnati nonché il risarcimento del danno patito lamentando la meritevolezza del loro affidamento.
Primo importante tassello della sentenza in commento è il riconoscimento della giurisdizione amministrativa a fronte dell’orientamento, ormai ampiamente consolidato e secondo il quale la giurisdizione in materia di risarcimento dell’affidamento incolpevole spetta al giudice ordinario.
Preliminarmente, il Collegio ritiene di trattenere la giurisdizione sul ricorso in esame, contrariamente a quanto fosse avvenuto già in fattispecie analoghe, dove invece, si affermava la giurisdizione del giudice ordinario in materia di contributi concessi e successivamente ritirati in autotutela.
Lo stesso, infatti, si discosta dal riconoscimento della giurisdizione ordinaria sancita dalle SS. UU. della Cassazione con ordinanza n.32365/2018, non condividendo il ragionamento seguito dalla Suprema Corte, che puntava sul criterio del petitum sostanziale identificato in base alla causa petendi, poiché in quel caso non si rimproverava alla pubblica amministrazione l’esercizio illegittimo del potere di emanazione di un atto di annullamento in autotutela, semmai la colpa dell’ente nella lesione dell’affidamento riposto dal ricorrente sulla stabilità del finanziamento concesso.
Ebbene, “il Collegio ritiene sussistere la giurisdizione amministrativa in ordine all’istanza avanzata in via principale, poiché avente ad oggetto l’annullamento di un atto di ritiro, che ha prodotto (in tesi) la lesione di un interesse legittimo.”
Si fa un richiamo alla sentenza del Tar Piemonte (sentenza n.292/2019) che condivide la giurisdizione del giudice amministrativo in materia, dove ha rilevato che il comportamento colpevole tenuto dall’ente all’interno del procedimento non può ritenersi sconnesso dall’esercizio del potere nemmeno nei casi in cui sia stato esercitato in modo legittimo.
Ha concluso che sussiste detta giurisdizione anche nelle ipotesi di azioni risarcitorie per lesione di legittimo affidamento riposto su un atto favorevole ma dichiarato successivamente illegittimo e, di conseguenza, annullato.
A tale assunto si aggiunga l’ulteriore considerazione che “in tali fattispecie va valutato il senso complessivo dell’agire amministrativo, che, nelle fasi dell’adozione dell’atto ampliativo illegittimo e della decisione legittima di annullarlo in autotutela, è indiscutibilmente di tipo pubblicistico e si traduce nell’adozione di provvedimenti amministrativi di primo e secondo grado, la cui cognizione, in caso di impugnazione, spetta al giudice amministrativo”.
Da ciò deriva, pertanto, che l’affidamento del privato alla stabilità degli effetti di un atto illegittimo ritirato risulta strettamente legato ad un potere di tipo pubblicistico, connesso all’esercizio del potere amministrativo, contrariamente a quanto sostenuto dalle Sezioni Unite che puntava l’attenzione sul piano privatistico dei diritti soggettivi.
Pertanto, il Tar conclude che la giurisdizione appartiene al giudice amministrativo e non a quello ordinario.
Altro importante tassello della sentenza in esame, entrando nel merito della questione, riguarda la materia dei cc.dd. aiuti di Stato illegittimi, sotto il profilo del ritiro doveroso del provvedimento illegittimo ed il carattere recessivo che assumerebbe il potere di autotutela amministrativa.
Infatti, il Collegio per precisare la sussistenza dell’obbligo di ritiro dell’aiuto concesso, ha richiamato la sentenza della CGUE n.349 del 5 marzo 2019, conosciuta come “Eesti pagar”, nota nello scenario comunitario, dove si è precisato che le autorità amministrative sono tenute ad applicare le norme del diritto dell’Unione Europea, garantendone la piena efficacia con le conseguenza che, qualora si constati che la concessione dell’aiuto sia in violazione della legge, sono tenute al recupero di propria iniziativa.
Pertanto, la questione di diritto che il Tar ha affrontato, nella sentenza in commento, riguarda l’applicazione nel caso di specie di tale principio in materia di doverosità del ritiro degli aiuti di Stato illegittimi e la recessione della normativa interna rispetto alla violazione di una norma comunitaria.
Ebbene, il Collegio ha risolto dette questioni richiamando una sentenza dello stesso Tar che, seppur datata, ha espresso principi ancora attuali ed applicabili al caso di specie riassumibili nel carattere doveroso del ritiro del contributo illegittimo, alla luce dell’obbligo di cooperazione delle pubbliche amministrazioni nazionali che si estende anche all’annullamento in autotutela di provvedimenti che contrastino con lo ius superveniens comunitario, ai sensi dell’art.10 del Trattato CE allora vigente.
Ed ancora, sembra importante sottolineare il richiamo alla sentenza della CGUE n.24 del 20 marzo 1997, con riferimento alla decorrenza dei termini previsti dalla normativa interna per l’esercizio dei poteri di ritiro, in forza della quale si è affermato che “l’autorità nazionale competente è tenuta, in forza del diritto comunitario, a revocare la decisione di concessione di un aiuto attribuito illegittimamente, anche quando: a) abbia lasciato scadere il termine a tal fine previsto dal diritto nazionale a tutela della certezza del diritto; b) l’illegittimità della decisione sia alla stessa imputabile in una misura tale che la revoca appare, nei confronti del beneficiario dell’aiuto, contraria al principio di buona fede; c) tale revoca sia esclusa dal diritto nazionale a causa del venir meno dell’arricchimento, in assenza di malafede, del beneficiario dell’aiuto.”
Ne consegue, in sintesi, che risulta doveroso il ritiro degli aiuti di Stato illegittimi in violazione della normativa europea con conseguente recessività delle norme interne, cosicchè il primo motivo risulta infondato.
I Giudici proseguono nel loro ragionamento accertando l’infondatezza anche del secondo motivo del ricorso, secondo il quale l’amministrazione avrebbe dovuto sopperire la differenza della percentuale ridotta attingendo dai propri fondi. Ebbene, in tal caso, non essendo tale assunto supportato dalla violazione di alcuna disposizione di legge, non può trovare accoglimento poiché “il mancato esercizio di tale opzione non appare, comunque, illogico o irragionevole e non rende illegittimo il provvedimento di ritiro”.
Infine, il Collegio, esaminando, in via subordinata, la domanda di risarcimento proposta dai ricorrenti, ha accolto l’istanza risarcitoria, ponendo a carico del Dipartimento regionale della pesca l’obbligo di pagamento a titolo di risarcimento di una somma di denaro equivalente all’importo fissato inizialmente nel bando, poichè “i pescatori non avevano motivo per dubitare che l’Amministrazione aveva interpretato correttamente il reg. UE n. 508 del 2014 e non erano, pertanto, nelle condizioni di avvedersi che aveva erogato loro un aiuto di Stato illegittimo; possono, pertanto, essere considerati titolari di un affidamento meritevole di tutela, in quanto hanno acquistato il motore della loro imbarcazione, confidando nel contributo erogato pari al 60 % della spesa.”
Conclusione che appare in linea con la già richiamata pronuncia della CGUE (sentenza n.349/2019) la quale afferma che “si ha un affidamento incolpevole in tutte le ipotesi in cui all’interessato sono state fornite, da parte delle autorità competenti dell’Unione, assicurazioni precise, incondizionate e concordanti, provenienti da fonti autorizzate ed affidabili”.
Il Tar, infatti, ritiene la condotta dell’amministrazione colposa, identificandola quale negligente ignoranza del regolamento comunitario n.722/2014 (che disciplina l’intensità dell’aiuto in oggetto), in quanto grava sullo stesso ente una “qualificata attenzione sul punto” che non è stata adottata.
Lo stesso Collegio, infatti, chiamato ad esaminare molteplici fattispecie analoghe a quella in esame, caratterizzate dal ritiro degli aiuti concessi a distanza di anni dall’approvazione della graduatoria, ha cristallizzato il principio col quale ha concluso che “il Dipartimento regionale della pesca, nel ritirare, in autotutela, provvedimenti di concessione di aiuti di Stato illegittimi a pescatori aveva violato i principi di correttezza comportamentale sulla stessa gravanti, ponendo in essere una condotta illecita, che aveva provocato un danno ingiusto, consistente nella lesione dell’affidamento riposto dalla parte ricorrente sulla “stabilità” del finanziamento precedentemente concesso”.
Sicchè, il Collegio ha rigettato l’istanza di annullamento degli atti impugnati e accolto la domanda di risarcimento, condannando l’Assessorato regionale della pesca al pagamento della somma pari alla differenza tra il contributo originariamente concesso e quello quantificato con i provvedimenti impugnati e compensato le spese del giudizio vista la complessità della questione esaminata.