Nella camera di consiglio del 22 settembre, la Corte Costituzionale ha discusso e deciso la questione di costituzionalità sollevata d’ufficio dal Giudice di pace di Frosinone contro le norme dei decreti legge emanati dal Governo Conte che avevano rinviato la previsione delle misure straordinarie per il contenimento della crisi epidemiologica da Covid-19 a successivi DPCM.
Sebbene la relativa sentenza non sia ancora stata pubblicata (si dovrà attendere qualche settimana), la stessa Consulta ha però deciso di anticiparne l’esito, mediante un comunicato stampa che chiarisce il punto di approdo delle valutazioni della Corte.
La questione sollevata innanzi al giudice delle leggi riguardava due decreti legge, i numeri 6 e 19 del 2020 (poi regolarmente convertiti in legge), i quali affidavano allo strumento del decreto del presidente del Consiglio dei Ministri – l’ormai noto DPCM – la specifica individuazione delle misure urgenti di contenimento e gestione dell’emergenza.
La vicenda ha preso avvio dall’opposizione proposta da parte di un privato cittadino alla sanzione amministrativa di 400 € che gli era stata comminata per non aver rispettato il divieto di uscire dalla propria abitazione durante il periodo di lockdown, in assenza di comprovate esigenze lavorative, di assoluta urgenza o di motivi di salute.
Il Giudice di pace di Frosinone, competente a decidere sull’opposizione, ha in questo contesto ravvisato un presunto contrasto dei suddetti provvedimenti normativi con gli articoli 76, 77 e 78 della Costituzione, ossia alle norme costituzionali in tema di esercizio della funzione legislativa da parte del Governo e dei poteri emergenziali dell’esecutivo.
La questione di legittimità costituzionale (promossa con Ordinanza n. 27/2021, emessa dal GdP di Frosinone il 23 dicembre 2020, notificata il 25 gennaio 2021 e pubblicata sulla G.U. n. 10 del 10 marzo 2021) veniva così a incentrarsi proprio sulla circostanza che i decreti legge sopra richiamati – che già costituivano strumento legislativo eccezionale – avessero a loro volta, a parere del giudice rimettente, “delegato” una funzione legislativa al Presidente del Consiglio, tramite un atto amministrativo – il DPCM – che mai può acquisire forza di legge.
Più nello specifico, secondo il giudice a quo, le disposizioni dei decreti-legge n. 6/2020 e n. 19/2020 avrebbero delegato ad atti amministrativi, i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, la disciplina di nuovi illeciti, nonostante la vigenza di un principio di riserva di legge per la responsabilità amministrativa sancito dall’art. 1 della legge n. 689/1981 (“Nessuno può essere sottoposto a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione”). Così facendo, il sistema decreti-legge/decreti del Presidente del Consiglio dei ministri avrebbe previsto una forma di vera e propria delega legislativa, proprio perchè i DPCM in esame hanno introdotto dei veri e propri illeciti amministrativi, come il divieto di spostamento all’interno del Comune in assenza di motivate esigenze, ricevendo così una vera e propria «forza di legge».
In altri termini, secondo l’ordinanza di rimessione alla Corte, il sistema così delineato avrebbe previsto una forma di delegazione legislativa in aperto contrasto con l’art. 76 della Costituzione.
Il giudice a quo rileva poi un ulteriore possibile contrasto dei citati provvedimenti normativi con la carta costituzionale: in tal senso, i DPCM delegati avrebbero inteso dettare regole normative primarie per la disciplina della emergenza sanitaria, mentre la Costituzione prevede un unico statuto della emergenza previsto per l’ipotesi dello stato di guerra (art. 78). Per il rimettente, solo in questo caso è prevista la possibilità di conferire speciali poteri al Governo (che peraltro devono essere deliberati dalle camere), mentre nessun’altra ipotesi di emergenza, nel nostro ordinamento, può essere fonte di poteri speciali dell’esecutivo.
Così sinteticamente richiamato il contenuto dell’ordinanza di rimessione, la decisione della Consulta è stata perentoria nel sostenere che, in realtà, i decreti legge in esame (specie il n.19/2020, unico ritenuto applicabile al caso concreto) non abbiano in verità delegato alcuna funzione legislativa, bensì esclusivamente una “funzione attuativa del decreto legge, da esercitarsi mediante atti di natura amministrativa”.
Si tratta quindi di una conclusione molto chiara, che elimina i numerosi dubbi che i cittadini, prima ancora che i giudici, avevano da tempo sollevato in ordine alla legittimità dello strumento dei DPCM.
Per conoscere le motivazioni specifiche di questa decisione bisognerà però attendere la pubblicazione della sentenza, che condivideremo e commenteremo non appena sarà depositata.
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Si pubblica di seguito il testo integrale del Comunicato stampa della Corte Costituzionale del 23 settembre 2021, mentre al seguente link si potrà esaminare, per ogni ulteriore approfondimento, il testo integrale dell’ordinanza di rimessione del Giudice di Pace di Frosinone.
Comunicato del 23 settembre 2021
EMERGENZA COVID E DPCM: NON C’È STATA ALCUNA DELEGA DI FUNZIONE LEGISLATIVA AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO
La Corte costituzionale ha esaminato oggi le questioni sollevate dal Giudice di pace di Frosinone sulla legittimità costituzionale dei decreti legge n. 6 e n. 19 del 2020, entrambi convertiti in legge, riguardanti l’adozione, mediante Decreti del Presidente del Consiglio dei ministri (Dpcm), di misure urgenti di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19. Nel caso concreto, un cittadino aveva proposto opposizione contro la sanzione amministrativa di 400 euro inflittagli per essere uscito dall’abitazione durante il lockdown dell’aprile 2020, in violazione del divieto stabilito dal Dl e poi dal Dpcm. Secondo il Giudice di pace, i due decreti legge avrebbero delegato al Presidente del Consiglio una funzione legislativa e perciò sarebbero in contrasto con gli articoli 76, 77 e 78 della Costituzione.
In attesa del deposito della sentenza, l’Ufficio stampa fa sapere che la Corte ha ritenuto inammissibili le censure al Dl n. 6, perché non applicabile al caso concreto. Ha poi giudicato non fondate le questioni relative al Dl n. 19, poiché al Presidente del Consiglio non è stata attribuita altro che la funzione attuativa del decreto legge, da esercitare mediante atti di natura amministrativa.
La sentenza sarà depositata nelle prossime settimane.
Roma, 23 settembre 2021