Dopo 10 anni di processi e tre giorni di camera di consiglio, la Corte di assise di appello di Palermo, capovolgendo le decisioni del processo di primo grado, ha pronunciato la sentenza sulla presunta trattativa Stato – Mafia, confermando le condanne ai boss mafiosi e invece assolvendo gli ufficiali delle Forze Armate nonché l’ex senatore di Forza Italia, Marcello Dell’Utri.
Tutti erano accusati di minaccia a Corpo politico dello Stato.
La trattativa Stato-mafia, come si è detto nella requisitoria del procuratore generale e così come è stato confermato dalla sentenza di primo grado, ha riguardato uomini delle istituzioni, apparati istituzionali deviati dello Stato, che hanno intavolato una illecita e illegittima interlocuzione con esponenti dei vertici di Cosa Nostra per interrompere la strategia stragista.
Nel corso del processo di appello, i sostituti procuratori, i dott.ri Fici e Barbiera, avevano chiesto la conferma della sentenza di primo grado; ciononostante, la Corte di Assise d’appello ha deciso per l’assoluzione degli ex ufficiali del Ros, Mori, Subranni e De Donno, con la formula “perché il fatto non costituisce reato”, mentre dell’Utri è stato assolto “per non aver commesso il fatto”.
Nel dispositivo appena pubblicato, infatti, si legge:
“In parziale riforma della sentenza emessa dalla Corte di assise di Palermo in data 20 aprile 2018 assolve Giuseppe De Donno, Mario Mori e Antonio Subranni dalla residua imputazione a loro ascritta per il reato di cui al capo A, perché il fatto non costituisce reato”.
“Dichiara – prosegue – non doversi procedere nei riguardi di Leoluca Bagarella, per il reato di cui al capo A, limitatamente alle condotte commesse in pregiudizio del governo presieduto da Silvio Berlusconi, previa riqualificazione del fatto come tentata minaccia pluriaggravata a corpo politico dello stato, per essere il reato così riqualificato estinto per intervenuta prescrizione. E per l’effetto ridetermina la pena nei riguardi di Bagarella in 27 anni di reclusione“.
“Assolve Dell’Utri Marcello dalla residua imputazione per il reato di cui al capo A, come sopra riqualificato, per non avere commesso il fatto e dichiara cessata l’efficacia della misura cautelare del divieto di espatrio già applicata nei suoi riguardi”.
La Corte ha revocato le statuizioni civili nei riguardi degli imputati De Donno, Mori, Subranni e Dell’Utri e rideterminato in 5 milioni di euro l’importo complessivo del risarcimento dovuto alla Presidenza del Consiglio dei ministri.
La Corte d’assise ha poi confermato “nel resto, l’impugnata sentenza anche nei confronti di Giovanni Brusca e condanna gli imputati Bagarella e Cinà alla rifusione delle ulteriori spese processuali in favore delle parti civili (Presidenza del Consiglio dei ministri, Presidenza della Regione Siciliana, Comune di Palermo, associazione tra familiari contro le mafie, centro Pio La Torre). La corte ha fissato in 90 giorni il termine per il deposito delle motivazioni”.
Certo, si attendono le motivazioni, ma la sentenza della Corte di Assise di Appello farà e fa già discutere.
La sentenza infatti accoglie la tesi degli ex ufficiali dell’Arma, ribaltando la sentenza di primo grado che il 20 aprile 2018 aveva giudicato colpevoli gli ex carabinieri.
Si tratta di una sentenza double face, commenta il PM Ingroia, ex magistrato, per la quale – sostiene – la trattativa ci sarebbe stata, ma gli investigatori avrebbero agito a fin di bene. Da qui l’assoluzione perché il fatto non costituisce reato.
Il pensiero di chi ha letto la sentenza è riassunto dalle parole del dott. Ingroia: “Dal dispositivo desumo che la sentenza conferma la trattativa dunque la minaccia nei confronti dello Stato. Il paradosso è che sono stati riconosciuti colpevoli soltanto i mafiosi e non gli uomini dello Stato che se ne sono fatti ambasciatori”.
Naturalmente, si attendono adesso le motivazioni per comprendere il motivo dell’assoluzione.