Atti meramente confermativi e conferme in senso proprio: quali differenze?

La Corte Costituzionale fa il punto sulla differenza tra atti meramente confermativi e provvedimenti di “conferma in senso proprio”.

Con la recente sentenza n. 248 del 21 dicembre 2021 (Presidente Coraggio, redattore Modugno), la Corte Costituzionale ha operato, nell’esame di una questione di legittimità sollevata dal TAR Lazio e concernente la disposizione del Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia che subordina la proposizione delle azioni civili nei confronti dei commissari straordinari delle banche alla previa autorizzazione della Banca d’Italia, un importante distinguo tra gli atti meramente confermativi e atti di conferma in senso proprio.

Lasciando in disparte la questione oggetto dell’intervento della Consulta, è invece utile soffermarsi sul passaggio relativo alla suddetta distinzione.

Secondo i giudici costituzionale, alla stregua del pacifico e costante orientamento della giurisprudenza amministrativa, occorre distinguere l’atto amministrativo meramente confermativo, con cui la pubblica amministrazione si limita semplicemente a ribadire la volontà espressa in un precedente provvedimento, e l’atto di conferma in senso proprio, con il quale invece l’amministrazione riesamina la precedente decisione, mediante una nuova valutazione degli elementi o l’acquisizione di nuovi (si veda, ad esempio, la giurisprudenza richiamata dalla stessa sentenza, ovvero Consiglio di Stato, sez. II, 12 giugno 2020, n. 3746 o Consiglio di Stato, sez. IV, 29 agosto 2019, n. 5977).

Tale distinzione “teorica” ha importanti effetti pratici in quanto, come ribadito dalla Consulta, mentre gli atti meramente confermativi non sono impugnabili perché privi di autonomo contenuto lesivo, i provvedimenti di conferma sostituiscono in toto l’atto confermato, rendendo processualmente improcedibile per difetto di interesse l’eventuale ricorso proposto contro il provvedimento originario; in quest’ultimo caso, infatti, il ricorrente perde interesse all’annullamento del primo atto (interesse che si trasferisce all’annullamento del nuovo atto di conferma).

Ne discende, nelle ipotesi di atti di conferma sostitutivi di precedenti provvedimenti, un evidente onere per il ricorrente di impugnare espressamente l’atto sopravvenuto con motivi aggiunti, a pena di improcedibilità. (cfr. Cons. Stato, sez. II, n. 3746 del 2020).

Simili principi solo in questi termini applicati anche nei frequenti casi di atti di conferma conseguenti ad un riesame disposto dal giudice amministrativo in accoglimento della domanda cautelare. L’ordine rivolto dal giudice alla PA di riesaminare la situazione oggetto di controversia, infatti, non fa altro che “rimettere in gioco l’assetto degli interessi definito con l’atto impugnato, restituendo alla pubblica amministrazione l’intero potere decisionale iniziale, senza pregiudicarne il risultato finale” (in questi termini si esprime la Corte Costituzionale, richiamando diverse sentenze dei giudici amministrativi, tra cui TAR Calabria, 18 febbraio 2020, n. 301; TAR Sicilia, 21 novembre 2016, n. 3004; TAR Lazio, 27 luglio 2015, n. 10245).

Per ogni ulteriore approfondimento, si rende disponibile al seguente link il testo integrale della sentenza della Corte Costituzionale n. 248 del 2021.

Redazione

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