Equo compenso, il commento

EQUO COMPENSO
NOTA BREVE A CURA DEL SERVIZIO STUDI DEL SENATO (sul ddl 338-B AC)

Il testo, composto di 13 articoli, definisce come equo il compenso che rispetta specifici parametri ministeriali e interviene sull’ambito applicativo della disciplina vigente, ampliandolo sia per quanto riguarda i professionisti interessati, tra i quali sono inclusi gli esercenti professioni non ordinistiche, sia per quanto riguarda la committenza che viene estesa anche a tutte le imprese che impiegano più di 50 dipendenti o fatturano più di 10 milioni di euro (artt. 1 e 2); 

disciplina la nullità delle clausole che prevedono un compenso per il professionista inferiore ai parametri, nonché di ulteriori specifiche clausole indicative di uno squilibrio nei rapporti tra professionista e impresa, rimettendo al giudice il compito di rideterminare il compenso iniquo (art. 3) ed eventualmente di condannare l’impresa al pagamento di un indennizzo in favore del professionista (art. 4); 

prevede che gli ordini e i collegi professionali debbano adottare disposizioni deontologiche volte a sanzionare il professionista che violi le disposizioni sull’equo compenso (art. 5); 

consente alle imprese committenti di adottare modelli standard di convenzione concordati con le rappresentanze professionali, presumendo che i compensi ivi individuati siano equi fino a prova contraria (art. 6);

prevede la possibilità che il parere di congruità del compenso emesso dall’ordine o dal collegio professionale acquisti l’efficacia di titolo esecutivo (art. 7); 

disciplina la decorrenza dei termini di prescrizione delle azioni relative al diritto al compenso (art. 5) e alla responsabilità professionale (art. 8); 

consente la tutela dei diritti individuali omogenei dei professionisti attraverso l’azione di classe, proposta dalle rappresentanze professionali (art. 9); 

istituisce, presso il Ministero della giustizia, l’Osservatorio nazionale sull’equo compenso (art. 10); 

prevede una disposizione transitoria che esclude dall’ambito di applicazione della nuova disciplina le convenzioni in corso, sottoscritte prima della riforma (art. 11); 

Quadro normativo

La disciplina dell’equo compenso è stata introdotta, nella XVII legislatura, per porre rimedio a situazioni di squilibrio nei rapporti contrattuali tra professionisti e clienti “forti”, individuati nelle imprese bancarie e assicurative nonché nelle imprese diverse dalle PMI.

Sono stati infatti approvati in rapida successione l’art. 19-quaterdecies del decreto-legge n. 148 del 2017 (cd. decreto fiscale), e l’art. 1, commi 487 e 488, della legge n. 205 del 2017 (legge di bilancio 2018), che hanno disciplinato l’equo compenso per le prestazioni professionali degli avvocati, poi esteso anche alle altre professioni regolamentate e nell’ambito del lavoro autonomo.

In particolare, l’art. 19-quaterdecies del decreto-legge n. 148 del 2017 ha disciplinato il compenso degli avvocati nei rapporti professionali con imprese bancarie e assicurative, nonché con imprese diverse dalle microimprese e dalle piccole e medie imprese, quando il rapporto professionale sia regolato da una convenzione. Il legislatore ha introdotto una disciplina del compenso e ha richiesto che tale compenso sia equo, presupponendo che la convenzione sia stata predisposta unilateralmente dal cliente “forte” a svantaggio del professionista.

A tal fine, il decreto-legge ha introdotto nella legge professionale forense (legge n. 247 del 2012) l’articolo 13-bis, poi modificato dalla legge di bilancio 2018, che definisce equo il compenso dell’avvocato determinato nelle convenzioni quando esso sia: «proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto» e «al contenuto e alle caratteristiche della prestazione legale» nonché conforme ai parametri determinati dal decreto del Ministro della Giustizia per la determinazione del compenso dell’avvocato per ogni ipotesi di mancata determinazione consensuale e liquidazione giudiziale. 

Il comma 2 dell’articolo 19-quaterdecies, inoltre, ha esteso il diritto all’equo compenso previsto per la professione forense, in quanto compatibile, anche a tutti i rapporti di lavoro autonomo che interessano professionisti, iscritti o meno agli ordini e collegi, i cui parametri sono definiti dai decreti ministeriali di attuazione del decreto-legge n. 1 del 2012, il quale, con esclusivo riferimento alle professioni ordinistiche, ha soppresso le tariffe professionali ed ha introdotto i parametri per la liquidazione giudiziale dei compensi in caso di mancato accordo tra le parti. 

Si ricorda, peraltro, che in data 24 novembre 2017 l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, nell’esercizio dei poteri di cui all’art. 22 della legge 10 ottobre 1990 n. 287, ha deliberato l’invio di una segnalazione ai presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, nonché al Presidente del Consiglio dei Ministri, avente ad oggetto alcune disposizioni previste nel d.l. 148/2017 e nel DDL AC 4741 di conversione dello stesso, recante “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 16 ottobre 2017, n. 148, recante disposizioni urgenti in materia finanziaria e per esigenze indifferibili. Modifica alla disciplina dell’estinzione del reato per condotte riparatorie” (c.d. decreto fiscale). In primo luogo, è stata segnalata la contrarietà ai principi concorrenziali di quanto previsto dall’art. 19-quaterdecies in  tema di “equo compenso” per le professioni, che introduce il principio generale per cui le clausole contrattuali tra i professionisti e alcune categorie di clienti, che fissino un compenso a livello inferiore rispetto ai valori stabiliti in parametri individuati da decreti ministeriali, sono da considerarsi vessatorie e quindi nulle. 

Secondo l’Autorità, la disposizione, nella misura in cui collega l’equità del compenso a parametri tariffari contenuti nei decreti anzidetti, reintroduce di fatto i minimi tariffari, con l’effetto di ostacolare la concorrenza di prezzo tra professionisti nelle relazioni commerciali con alcune tipologie di clienti c.d. “forti” e ricomprende anche la Pubblica Amministrazione. 

L’Autorità ha sottolineato come, secondo i consolidati principi antitrust nazionali e comunitari, le tariffe professionali fisse e minime costituiscano una grave restrizione della concorrenza, in quanto impediscono ai professionisti di adottare comportamenti economici indipendenti e, quindi, di utilizzare il più importante strumento concorrenziale, ossia il prezzo della prestazione. 

L’Autorità ha quindi concluso che “l’articolo 19- quaterdecies in quanto idoneo a reintrodurre nell’Ordinamento un sistema di tariffe minime, peraltro esteso all’intero settore dei servizi professionali, non risponde ai principi di proporzionalità concorrenziale, oltre a porsi in stridente controtendenza con i processi di liberalizzazione che, negli anni più recenti, hanno interessato il nostro ordinamento anche nel settore delle professioni regolamentate”.

Si ricorda, infine che la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (sezione IV), nella sentenza 4 luglio 2019, caso C-377/17 ha affermato che in materia di compensi professionali, l’indicazione delle tariffe minime e massime è vietata in quanto incompatibile con il diritto dell’Unione Europea, ma sono comunque ammesse deroghe per motivi di interesse pubblico, come la tutela dei consumatori, la qualità dei servizi e la trasparenza dei prezzi. 

Nella vicenda oggetto della sentenza, la Commissione UE aveva chiesto alla Corte di verificare se, mantenendo tariffe obbligatorie per gli architetti e gli ingegneri, la Germania fosse venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’articolo 49 TFUE nonché dell’articolo 15, paragrafo 1, paragrafo 2, lettera g), e paragrafo 3, della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno. Per essere conformi agli obiettivi di tale direttiva le tariffe devono essere non discriminatorie, necessarie e proporzionate alla realizzazione di un motivo imperativo di interesse generale. 

La Corte, nel caso di specie, ha ritenuto che le tariffe obbligatorie previste in Germania per i servizi di progettazione di base degli architetti e degli ingegneri violino il suddetto articolo 15 della direttiva 2006/123/CE, in quanto non idonee a perseguire in modo coerente e sistematico i “motivi imperativi di interesse generale” addotti dalla Germania, quali in particolare la garanzia dell’elevata qualità delle prestazioni professionali e la tutela dei consumatori.

Contenuto del disegno di legge

L’articolo 1 contiene la definizione di equo compenso. A tal fine, riprendendo in parte quanto già previsto nella normativa vigente, specifica che per essere considerato equo il compenso deve essere proporzionato alla quantità e qualità del lavoro svolto e al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale nonché conforme ai parametri per la determinazione dei compensi previsti dalla legge.

L’articolo 2, definisce, al comma 1, l’ambito di intervento della proposta di legge, la quale si applica al compenso dei professionisti in relazione alle attività professionali che:

hanno ad oggetto la prestazione d’opera intellettuale di cui all’art. 2230 c.c.; trovano fondamento in convenzioni; 

sono svolte in favore di imprese bancarie e assicurative (e loro controllate e mandatarie), nonché di imprese che nell’anno precedente al conferimento dell’incarico hanno occupato alle proprie dipendenze più di 50 lavoratori o hanno presentato ricavi annui superiori a 10 milioni di euro.
Rispetto alla normativa vigente, la proposta amplia l’ambito applicativo della disciplina sull’equo compenso delineando, in relazione alla realtà produttiva italiana, le caratteristiche che deve avere l’impresa per poter essere considerata, rispetto al professionista, un contraente “forte”.
La disposizione, inoltre, specifica che le norme sull’equo compenso si applicano ad ogni tipo di accordo preparatorio o definitivo, purché vincolante per il professionista, le cui clausole siano utilizzate dalle predette imprese (comma 2); al riguardo si anticipa che l’articolo 4, comma 1, della proposta specifica che tali accordi si presumono unilateralmente predisposti dalle imprese, salvo prova contraria. 

L’articolo 2 (comma 3) estende altresì l’applicazione della disciplina dell’equo compenso alle prestazioni rese dal professionista nei confronti della pubblica amministrazione e delle società partecipate dalla p.a. Sono espressamente escluse dall’ambito di applicazione della disciplina le società veicolo di cartolarizzazione e gli agenti della riscossione ed è posto nel contempo a carico di questi ultimi – con una disposizione analoga a quella di cui al comma 4-bis dell’art. 19-quaterdecies del D.L. n. 148 del 2017 – l’obbligo di garantire comunque, all’atto del conferimento dell’incarico, la pattuizione di compensi adeguati all’importanza dell’opera, tenendo in ogni caso conto dell’eventuale ripetitività della pre- stazione richiesta.

L’articolo 3 stabilisce la nullità delle clausole che non prevedono un compenso equo e proporzionato per lo svolgimento di attività professionali, con riguardo anche ai costi sostenuti dal prestatore d’opera (comma 1); la proposta specifica che sono nulle le pattuizioni di un compenso inferiore agli importi stabiliti dai parametri per la liquidazione dei compensi di cui all’art. 1. 

Il comma 2 prevede inoltre la nullità di qualsiasi pattuizione: 

che vieti al professionista di pretendere acconti nel corso della prestazione; 

che imponga allo stesso l’anticipazione di spese; 

che, comunque, attribuisca al committente o cliente vantaggi sproporzionati rispetto alla quantità e alla qualità del lavoro svolto o del servizio reso.

La stessa disposizione prevede la nullità di qualsivoglia clausola e pattuizione che consista: 

nella riserva al cliente della facoltà di modificare unilateralmente le condizioni del contratto; 

nell’attribuzione al cliente della facoltà di rifiutare la stipulazione in forma scritta degli elementi essenziali del contratto; 

nell’attribuzione al cliente della facoltà di pretendere prestazioni aggiuntive che il professionista deve eseguire a titolo gratuito; 

nell’anticipazione delle spese a carico del professionista; 

nella rinuncia del professionista al rimborso delle spese; 

nella previsione di termini di pagamento superiori a 60 giorni dal ricevimento della fattura; con esclusivo riferimento alla professione forense, nella previsione che in caso di liquidazione delle spese di lite in favore del cliente, all’avvocato sia riconosciuto solo il minor importo previsto nella convenzione, anche nel caso in cui le spese liquidate siano state in tutto o in parte corrisposte o recuperate dalla parte, ovvero solo il minore importo liquidato nel caso in cui l’importo previsto in convenzione sia maggiore; nella previsione che, in caso di nuova convenzione sostitutiva di altra precedentemente stipulata con il medesimo cliente, la nuova disciplina sui compensi si applichi, se comporta compensi inferiori a quelli previsti nella precedente convenzione, anche agli incarichi pendenti o, comunque, non ancora definiti o fatturati; nella previsione che il compenso pattuito per l’assistenza e la consulenza in materia contrattuale spetti solo in caso di sottoscrizione del contratto;

nell’obbligo per il professionista di rimborsare il cliente per l’utilizzo di servizi di assistenza tecnica la cui fruizione sia richiesta dal cliente stesso.

Il comma 3 esclude la nullità delle clausole che riproducono disposizioni di legge o che attuano princìpi contenuti in convenzioni internazionali.

Il comma 4 specifica che la nullità: quando riguarda le clausole contrattuali, non travolge l’intero contratto; opera solo a vantaggio del professionista; può essere rilevata anche d’ufficio.

Il comma 5 specifica che l’azione per far valere la nullità della pattuizione (accordo di qualsiasi tipo, convenzione, contratto, esito della gara, affidamento, predisposizione di un elenco di fiduciari etc.) e chiedere la rideterminazione giudiziale del compenso per l’attività professionale prestata, può essere promossa dal professionista, innanzi al tribunale del luogo ove egli ha la residenza o il domicilio.

In base al comma 6 il tribunale procede alla rideterminazione del compenso: secondo i parametri ministeriali in vigore; tenendo conto dell’opera effettivamente prestata.

Per le sole professioni ordinistiche è inoltre introdotta la possibilità, per il tribunale, di richiedere al professionista di produrre il parere di congruità del compenso reso dall’ordine o dal collegio professionale. Al riguardo si specifica: che il parere di congruità costituisce elemento di prova circa le caratteristiche dell’attività prestata; che il tribunale può comunque avvalersi anche della consulenza tecnica, ove indispensabile ai fini del giudizio.

L’articolo 4 ribadisce che spetta al giudice, rilevato il carattere iniquo del compenso, rideterminarlo condannando il committente al pagamento del dovuto; inoltre, il giudice può condannare il cliente al pagamento di un indennizzo in favore del professionista, pari a una somma fino al doppio della differenza tra il compenso e quello originariamente pattuito.

L’articolo 5:

specifica che gli accordi, vincolanti per il professionista, conclusi tra quest’ultimo e le imprese di cui all’art. 2 si presumono unilateralmente predisposti dalle imprese stesse, salvo prova contraria (comma 1). Si ricorda che in base all’art. 1370 c.c. le clausole predisposte unilateralmente da uno dei contraenti si interpretano, nel dubbio, a favore dell’altro;

stabilisce che il termine di prescrizione del diritto al compenso da parte del professionista decorre dalla cessazione del rapporto con l’impresa ovvero, in caso di plu- ralità di prestazioni rese a seguito di un’unica convenzione e non aventi carattere periodico, dal compimento dell’ultima prestazione (comma 2); 

prevede che i parametri per la determinazione dei compensi professionali di cui all’art. 1 della proposta di legge debbano essere aggiornati con cadenza biennale, su proposta dei consigli nazionali delle professioni (comma 3). Si ricorda che per quanto riguarda la professione forense, l’aggiornamento biennale, su proposta del CNF, è già previsto dall’art. 13 della legge n. 247 del 2012; 

attribuisce ai consigli nazionali delle professioni la legittimazione ad agire in giudizio in caso di violazione delle disposizioni in materia di equo compenso (comma 4); 

demanda agli ordini e collegi professionali il compito di introdurre norme deontologiche per sanzionare il professionista che viola le disposizioni sull’equo compenso e che, nel predisporre il contenuto della convenzione, omette di esplicitare alla controparte che il compenso dovrà comunque rispettare tale disciplina (comma 5).

L’articolo 6 consente alle imprese di cui all’art. 2 di adottare modelli standard di convenzione, concordati con le rappresentanze professionali; in tali casi i compensi individuati dal modello si presumono equi fino a prova contraria.

L’articolo 7, comma 1 prevedeva nel testo approvato dalla Camera dei deputati la possibilità che il parere di congruità emesso dall’ordine o dal collegio, in alternativa alle procedure di ingiunzione di pagamento (articoli 633 e seguenti del codice di procedura civile) e a quelle specifiche per le controversie in materia di liquidazione degli onorari e dei diritti di avvocato (articolo 14 del decreto legislativo n. 150 del 2011) acquistasse l’efficacia di titolo esecutivo per il professionista, se rilasciato nel rispetto delle procedure, e se il debitore non avesse proposto opposizione ai sensi dell’articolo 702-bis del codice di procedura civile, entro 40 giorni dalla notificazione del parere stesso. Nel corso dell’esame in Commissione è stata approvata, con riguardo a tale disposizione, una modifica, con la quale è stato sostituito il riferimento all’articolo 702-bis con il richiamo all’articolo 281-undecies c.p.c. Si tratta di una modifica legata alla abrogazione dell’articolo 702-bis c.p.c. ad opera del d.lgs. n. 149 del 2022 (c.d. riforma Cartabia), il quale ha sostituito il rito sommario con il rito semplificato disciplinato dal nuovo articolo 281-undecies c.p.c. a partire dal 28 di febbraio 2023. Ai sensi del comma 2, il giudizio di opposizione al parere di congruità avente efficacia di titolo esecutivo si svolge davanti al giudice competente per materia e per valore nel luogo del circondario ove ha sede l’ordine o il collegio professionale che lo ha emesso.

L’articolo 8 interviene sulla disciplina della decorrenza del termine di prescrizione dell’azione di responsabilità professionale, individuando nel giorno del compimento della prestazione il relativo dies a quo.

L’articolo 9 consente la tutela dei diritti individuali omogenei dei professionisti attraverso l’azione di classe, proposta dal consiglio nazionale dell’ordine (per le professioni ordinistiche) o dalle associazioni professionali (per le professioni non ordinistiche, di cui alla legge n. 4 del 2013). La disposizione richiama la disciplina dell’azione di classe ora contenuta nel Titolo VIII- bis del libro quarto del codice civile, entrata in vigore il 19 maggio 2021.

L’articolo 10 istituisce presso il Ministero della giustizia l’Osservatorio nazionale sull’e- quo compenso, con il compito di vigilare sul rispetto della legge, esprimere pareri o formulare proposte sugli atti normativi che intervengono sui criteri di determinazione dell’equo compenso o disciplinano le convenzioni; segnalare al Ministro della giustizia pratiche elusive delle disposizioni sull’equo compenso; presentare alle Camere una relazione annuale sulla propria attività di vigilanza.

L’osservatorio, nominato per 3 anni con decreto del Ministro della giustizia, dovrà essere composto da:
un rappresentante designato dal Ministero del lavoro;
un rappresentante per ciascuno dei Consigli nazionali degli ordini professionali;
due rappresentanti designati dal Ministero dello sviluppo economico tra le associazioni professionali di cui all’art. 2 della legge n. 4 del 2013.
Ai componenti dell’Osservatorio non spetta alcun compenso, gettone, rimborso spese o altro emolumento.

L’articolo 11 contiene una disposizione transitoria in base alla quale le norme di nuova introduzione non si applicano alle convenzioni in corso, sottoscritte prima della data di entrata in vigore della nuova disciplina.

L’articolo 12 abroga: 

l’art. 13-bis della legge n. 247 del 2012, c.d. (legge professionale forense); 

l’art. 19-quaterdecies del decreto-legge n. 148 del 2017; 

l’articolo 2, comma 1, lettera a), del decreto-legge n. 223 del 2006 (c.d. “decreto Bersani”), convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, che a sua volta dispone l’abrogazione delle norme che prevedevano l’obbligatorietà delle tariffe fisse o minime con riferimento alle attività libero-professionali e intellettuali.
 
Si ricorda che l’abrogazione di disposizioni abrogative non provoca automaticamente la reviviscenza delle norme abrogate, come affermato dalla Circolare sulla formulazione tecnica dei testi legislativi del presidente della Camera del 20 aprile 2001 e, successivamente, anche dalla Corte costituzionale (sentenza n. 13 del 2012).
 
Con riguardo all’abrogazione delle disposizioni di abrogazione delle norme che prevedevano l’obbligatorietà delle tariffe fisse o minime occorre ricordare che nel nostro ordinamento il compenso del professionista è stato a lungo commisurato in base a un sistema tariffario obbligatorio.
 
Sulla materia è intervenuta la c.d. “legge Bersani” (legge n. 248 del 2006, di conversione del decreto-legge n. 223 del 2006) che, all’articolo 2, in conformità al principio comunitario di libera concorrenza e a quello di libertà di circolazione delle persone e dei servizi, nonché al fine di assicurare agli utenti un’effettiva facoltà di scelta nell’esercizio dei propri diritti e di comparazione delle prestazioni offerte sul mercato, ha abrogato le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono l’obbligatorietà dei minimi tariffari. 

Il definitivo superamento del sistema tariffario è stato successivamente opera dell’art. 9 del DL n. 1 del 2012, che ha previsto l’abrogazione definitiva delle tariffe delle professioni regolamentate (oltre ai minimi, vengono meno anche i massimi tariffari), introducendo una nuova disciplina del compenso professionale: il professionista può liberamente pattuire qualunque compenso con il cliente, purché adeguato all’importanza dell’opera.

Inoltre, l’art. 9 del DL 1/2012 ha previsto che, in caso di liquidazione da parte di un organo giurisdizionale, la determinazione del compenso professionale debba essere effettuata con riferimento a parametri tariffari stabiliti con decreto del Ministro vigilante. Per le professioni regolarmente vigilate dal Ministero della giustizia si fa riferimento al D.M. 20 luglio 2012, n. 140; per gli iscritti all’albo dei consulenti del lavoro al D.M. 21 febbraio 2013, n. 46 e, per le professioni dei medici veterinari, farmacisti, psicologi, infermieri, ostetriche e tecnici sanitari di radiologia medica, al D.M. 19 luglio 2016, n. 165.

Con particolare riferimento alla professione forense, la legge professionale (legge n. 247 del 2012, art. 13) ha stabilito per i compensi la possibile pattuizione a tempo, in misura forfetaria, per convenzione avente ad oggetto uno o più affari, in base all’assolvimento e ai tempi di erogazione della prestazione, per singole fasi o prestazioni o per l’intera attività, a percentuale sul valore dell’affare o su quanto si prevede possa giovarsene, non soltanto a livello strettamente patrimoniale, il destinatario della prestazione.

A richiesta, l’avvocato è altresì tenuto a comunicare in forma scritta al cliente la prevedibile misura del compenso, distinguendo fra oneri, spese, anche forfetarie, e compenso professionale.

L’art. 13 della legge professionale forense ha previsto l’aggiornamento ogni 2 anni dei parametri per la liquidazione dei compensi indicati nel DM giustizia, su proposta del CNF.

Per la professione forense, i parametri trovano applicazione: quando il giudice liquida le spese al termine dei giudizi; quando avvocato e cliente non hanno determinato il compenso in forma scritta; quando avvocato e cliente non hanno determinato il compenso consensualmente.

Redazione

Lo studio legale Giurdanella & Partners dedica, tutti i giorni, una piccola parte del proprio tempo all'aggiornamento del sito web della rivista. E' un'attività iniziata quasi per gioco agli albori di internet e che non cessa mai di entusiasmarci. E' anche l'occasione per restituire alla rete una parte di tutto quello che essa ci ha dato in questi anni. I giovani bravi sono sempre i benvenuti nel nostro studio legale. Per uno stage o per iniziare la pratica professionale presso lo studio, scriveteci o mandate il vostro cv a segreteria@giurdanella.it