La nuova disciplina del Codice degli appalti (D.Lgs. n. 36/2023) in materia di parere di precontenzioso introduce delle novità muovendo dal criterio direttivo contenuto nell’art. 1 della l. delega 78/2022, il quale assegna al legislatore il compito di estendere e rafforzare “i metodi di risoluzione delle controversie alternativi al rimedio giurisdizionale, anche in materia di esecuzione del contratto”.
I pareri di precontenzioso dell’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) hanno dunque finalità deflattiva del contenzioso di fonte al giudice amministrativo, nell’ottica di prevenire l’insorgenza delle liti durante lo svolgimento delle procedure di gara. La nuova disciplina è stata introdotta nell’art. 220 del nuovo Codice dei contratti pubblici, rubricato “Pareri di precontenzioso e legittimazione ad agire dell’ANAC”.
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La disciplina del procedimento per la richiesta di parere di precontenzioso
La disciplina del procedimento per la richiesta del parere è contenuta nel primo comma dell’art. 220. La norma individua i soggetti legittimati alla richiesta nella stazione appaltante, nell’ente concedente o in una o più delle altre parti. L’ANAC non potrà esprimere il parere se non dopo l’instaurazione del contraddittorio tra le parti ed entro 30 giorni dalla ricezione della richiesta. L’ANAC si esprimerà “su questioni insorte durante lo svolgimento delle procedure di gara”.
Inoltre, l’operatore economico che ha richiesto il parere o che vi abbia aderito ha l’obbligo di uniformarsi, entro 30 giorni (termine dimezzato rispetto ai 60 previsti in passato), al parere espresso dall’ANAC.
Per l’operatore economico, e non anche per la stazione appaltante o l’ente concedente, sarà possibile l’impugnazione del parere di precontenzioso “esclusivamente per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia”. Quest’ultimo inciso costituisce un importante elemento di novità: l’impugnativa sarà possibile solo per profili sostanziali e non anche per vizi formali o procedurali nell’emissione del parere stesso. La Relazione al Codice del Consiglio di Stato sottolinea come tale previsione sia un’applicazione estensiva “della regola di non annullabilità dettata in generale dall’art. 21-octies, comma 2, della l. n. 241/1990” in quanto è chiara “la ratio legislativa di un rafforzamento del parere, di cui l’operatore economico può ottenere l’annullamento in sede giudiziale solo quando esso sia “sbagliato” nella sostanza”.
La norma, però, introduce anche la possibilità di non conformarsi al parere per la stazione appaltante o per l’ente concedente. In tal caso la stazione appaltante o l’ente concedente “comunica, con provvedimento da adottare entro quindici giorni [dalla ricezione del parere, n.d.r.], le relative motivazioni alle parti interessate e all’ANAC”. Tale possibilità risulta innovativa rispetto alle vecchie previsioni dell’art. 211 del D.Lgs. n. 50/2016, il quale rendeva il parere vincolante per le parti che avessero assunto l’iniziativa di richiedere il parere o che avessero aderita alla richiesta formulata da altri.
Nel caso in cui avvenga tale mancata adesione al parere di precontenzioso, l’ANAC avrà la possibilità di proporre ricorso di cui al terzo comma dell’art. 220 contro le motivazioni espresse dalla parte che non desidera conformarsi.
La previsione concernente l’obbligo di motivare la mancata adesione al parere di precontenzioso da parte della stazione appaltante o dell’ente concedente, come si legge nella Relazione al Codice, rappresenta una regola di trasparenza. Dunque, in coerenza “con la regola generale dell’art. 3 della l. n. 241/1990, che impone l’obbligo di motivazione per i provvedimenti amministrativi, la decisione di non conformarsi al parere dell’ANAC assume la veste di provvedimento”.
L’art. 220, infine, non regola le fattispecie in cui l’ANAC rimanga inerte di fronte alla richiesta di parere precontenzioso, lasciando così intendere che, tale inerzia, vada qualificata silenzio inadempimento, con tutte le conseguenze del caso.
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La disciplina dell’impugnazione dell’ANAC
Il secondo comma dell’art. 220 stabilisce che “l’ANAC è legittimata ad agire in giudizio per l’impugnazione dei bandi, degli altri atti generali e dei provvedimenti relativi a contratti di rilevante impatto, emessi da qualsiasi stazione appaltante, qualora ritenga che essi violino le norme in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture”.
A tal riguardo, il terzo comma statuisce che nel caso in cui l’ANAC ritenga che “una stazione appaltante abbia adottato un provvedimento viziato da gravi violazioni del codice”, dovrà emettere, entro 60 giorni dalla notizia della violazione, un parere motivato “nel quale indica specificamente i vizi di legittimità riscontrati” e, con proprio regolamento ex art. 220, comma 4, “individua un termine massimo, che decorre dall’adozione o dalla pubblicazione dell’atto contenente la violazione, entro il quale il parere può essere emesso”.
A questo punto, una volta trasmesso il parere alla stazione appaltante, se questo non vi si conforma entro il termine stabilito dall’ANAC (in ogni caso mai superiore a trenta giorni dalla trasmissione), l’Autorità “può presentare ricorso, entro i successivi 30 trenta giorni, innanzi al giudice amministrativo, ai sensi dell’articolo 120 del codice del processo amministrativo, di cui all’allegato 1 al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104”.
Infine, il comma 4, come già detto, riconosce all’ANAC la facoltà di adottare un proprio regolamento per “individuare i casi o le tipologie di provvedimenti, anche relativi alla fase esecutiva, con riferimento ai quali esercita i poteri di cui ai commi precedenti”.
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