Rimessa alla CGUE la questione pregiudiziale della compatibilità col diritto dell’Unione europea degli incentivi alla produzione di energie rinnovabili

Il Consiglio di Stato, con ordinanza n. 926 del 30 gennaio 2024, ha rimesso alla Corte di Giustizia dell’Unione europea la questione pregiudiziale della compatibilità comunitaria del sistema statale di incentivi alle imprese produttrici di energie rinnovabili.

Il decreto ministeriale del 4 luglio 2019 prevede due differenti meccanismi incentivanti in base alla potenza e alla tipologia di impianto di cui dispone l’operatore economico: il primo consiste nella raccolta dell’energia da parte del Gestore dei servizi energetici (società per azioni interamente partecipata dal Ministero dell’economia e delle finanze), il quale eroga la tariffa spettante al produttore; il secondo sistema consiste nell’erogazione a monte di un incentivo economico il cui valore corrisponde alla differenza tra la tariffa e il prezzo zonale orario (ossia il prezzo sul mercato elettrico che varia in base all’ora nella quale l’energia viene immessa in rete e alla zona di mercato in cui si trova l’impianto). Il decreto ministeriale del luglio 2019 stabilisce che allorquando la predetta differenza assuma valore negativo, il GSE proceda al conguaglio ovvero a richiedere all’operatore la differenza, con il risultato che quest’ultimo non solo non riceverà alcun incentivo, ma sarà tenuto a versare una somma di denaro al Gestore dei servizi energetici.

Mentre gli impianti con potenza inferiore a 250 kW possono scegliere tra i due sistemi incentivanti, quelli con una potenza uguale o superiore possono accedere al solo incentivo economico.

Il Consiglio di Stato ha rilevato tre ordini di ragioni che portano a dubitare circa la compatibilità comunitaria della disciplina sopra descritta:

  • In primo luogo, alla luce del diritto europeo, il sistema di incentivi dovrebbe tendere alla promozione della produzione di energie rinnovabili, traducendosi in un contributo pubblico a copertura parziale dei relativi costi, mentre l’incentivo negativo previsto dal D.M. del 2019 comporta che, nel caso in cui il prezzo zonale orario dovesse aumentare, le imprese non riceverebbero nessun incentivo, essendo anzi costrette a versare una somma di denaro al GSE.
  • In secondo luogo, l’incentivo negativo non può considerarsi una contropartita della garanzia di una tariffa costante, considerato che l’impresa vende l’energia sul mercato, soggiace alle sue dinamiche ed è esposta ai relativi rischi, dunque l’obbligo di versare la differenza tra il prezzo zonale orario e la tariffa spettante al singolo operatore potrebbe pregiudicarne la capacità di reazione alle dinamiche del mercato: per questo, si dubita vi sia un contrasto con il criterio, posto dalle direttive, di configurare i regimi di sostegno in modo da rispondere ai segnali di mercato, evitando inutili distorsioni.
  • In terzo luogo, il fatto che gli impianti con potenza pari o superiore a 250 kW possano solo ricevere l’incentivo economico senza poter accedere all’altro meccanismo incentivante rischia di collidere con un altro criterio su cui si fonda la disciplina eurounitaria in materia, ossia quello di creare regimi di sostegno non discriminatori.

Per questi motivi, il Consiglio di Stato ha deciso di rimettere la questione alla Corte di Giustizia europea da cui si attende nei prossimi mesi una risposta chiarificatrice.

Redazione

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