Il Tribunale civile di Roma si è recentemente espresso sulla prima causa climatica intentata contro lo Stato italiano per inazione nei confronti del riscaldamento climatico antropogenico, dichiarandola inammissibile per difetto assoluto di giurisdizione.
Gli attori – 24 associazioni e 179 individui – hanno fatto causa allo Stato italiano chiedendo al giudice ordinario di dichiararlo responsabile ex art. 2043 c.c. (responsabilità extracontrattuale) per violazione dei diritti fondamentali della persona, come quello alla salute, e anche del diritto a conservare le condizioni di vivibilità delle generazioni future e di condannarlo a adottare tutte le iniziative necessarie a ridurre – entro il 2030 – le emissioni di CO2 del novantadue per cento rispetto agli anni ’90.
In via subordinata, gli attori chiedevano la condanna dello Stato per responsabilità ex art. 2051 c.c. ovvero in forza della responsabilità da contatto sociale qualificato per violazione degli obblighi di protezione nei confronti dei cittadini tutti.
Parte attrice lamentava l’insufficienza dell’azione statale nella lotta al cambiamento climatico, sottolineando come siano proprio patti e convenzioni internazionali – da un lato- e lo stesso diritto euro unitario -dall’altro- a richiedere un impegno concreto in materia ambientale. In particolare, le fonti di tali “doveri statali” sono rinvenibili, oltre che nella Costituzione e nella Convenzione Europea sui Diritti Umani (CEDU), nella n. 65/1994 di ratifica e di esecuzione della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 1992 (UNFCCC); nella l. n. 204/2016 di ratifica ed esecuzione dell’Accordo di Parigi sul clima del 2015; nel diritto europeo, originario e derivato (che include e integra UNFCCC e Accordo di Parigi); nelle ulteriori fonti connesse o integrative (Report del “Panel intergovernativo sul cambiamento climatico” – IPCC); nelle decisioni e dichiarazioni di organi e organismi di cui l’Italia è componente. Da tali accordi e trattati, secondo
la prospettazione degli attori, discenderebbe un’obbligazione civilistica che fa sorgere in capo ai cittadini un diritto al rispetto degli impegni in materia ambientale.
Si è costituita come convenuta la Presidenza del Consiglio dei ministri, la quale sollevava ben tre eccezioni:
-inammissibilità della domanda per difetto di giurisdizione del giudice ordinario;
-difetto di legittimazione in capo agli individui e associazioni che non sarebbero titolari di un
interesse qualificato e differenziato rispetto a quello della totalità dei consociati, ma di un interesse
semplice e di fatto;
-l’insussistenza di una responsabilità dello Stato italiano rispetto a un fenomeno di portata
planetaria;
Il giudice di prime cure ha dimostrato di essere ben consapevole che in Europa vi sono stati casi di sindacato giurisdizionale sulle azioni messe in campo dagli Stati per fronteggiare il riscaldamento climatico, come ad esempio la dichiarazione di incostituzionalità parziale da parte della Corte Costituzionale tedesca della legge federale contro i cambiamenti climatici del 2019; il caso Urgenda dove lo Stato olandese è stato condannato a ridurre gradualmente le emissioni, per arrivare al quaranta per cento in meno entro il 2030.
Tuttavia, il Tribunale ha ritenuto dirimente la prima delle eccezioni sollevate da parte convenuta riguardo il difetto assoluto di giurisdizione, rilevando che il potere giudiziario non può ingerirsi nell’attività squisitamente politica che si concretizza nella scelta e adozione delle misure più idonee a fronteggiare fenomeni come quello della crisi climatica in atto; ancora di più, il Tribunale ordinario ha escluso la sussistenza di una posizione di diritto soggettivo in capo agli attori, i quali non possono vantare alcuna pretesa giuridica all’adozione di specifiche misure legislative di lotta al cambiamento climatico, trattandosi di questione che rientra nella discrezionalità dello Stato- legislatore. Il giudice ha evidenziato che la giurisprudenza di legittimità, chiamata a pronunciarsi su una questione avente ad oggetto le conseguenze dell’inadempimento dello Stato agli obblighi derivanti dal diritto euro unitario, ha precisato come debba escludersi qualsiasi diritto soggettivo dei cittadini al corretto esercizio del potere legislativo, in ragione della insindacabilità dell’attività esplicativa di funzioni legislative.
La pronuncia, che parte attrice ha già annunciato di voler impugnare, ha implicazioni di non poco momento rispetto alla tutela giurisdizionale di diritti fondamentali come la quello alla salute, ma anche alla tutela dell’ambiente nell’interesse delle generazioni future, principio – quest’ultimo – che ha di recente trovato accoglimento nell’art. 9 della Costituzione.