Con la recente pronuncia n. 1047/2024, il TAR Sicilia, Sez. Staccata di Catania, accogliendo le argomentazioni prospettate dal ricorrente incidentale, assistito dallo studio legale Giurdanella, ha ritenuto che le forme di coinvolgimento degli enti del Terzo settore (ETS) non soggiacciono all’applicazione del codice appalti.
Ne consegue, come logico corollario, l’infondatezza della tesi, sostenuta dal ricorrente principale, secondo cui a simili fattispecie debba applicarsi il c.d. “rito appalti”, previsto dagli artt. 119, comma 1, lett. a) e 120 c.p.a. e caratterizzato da termini processuali dimidiati. Viceversa, stante il mancato assoggettamento dei procedimenti di co-progettazione al Codice dei contratti pubblici, il rito applicabile non può che essere quello ordinario.
Che le procedure di co-progettazione esulino dall’orbita della sistematica codicistica dei pubblici appalti si evince oggi dallo stesso dato testuale dell’art. 6 del D.lgs. n. 36/2023. L’inciso finale di tale disposizione, sgombrando il campo da ogni possibile tesi alternativa, chiarisce, infatti, che «non rientrano nel campo di applicazione del presente codice gli istituti disciplinati dal Titolo VII del codice del Terzo settore, di cui al decreto legislativo n. 117 del 2017».
Si tratta di una soluzione legislativa emersa, per la verità, già in vigenza dell’abrogato Codice appalti, a partire dalla modifica operata dal decreto-legge n. 76/2020 (c.d. “Decreto semplificazioni”, convertito in legge n. 120/2020). Quest’intervento normativo modificava l’art. 30, comma 8, del d.lgs. n. 50/2016, la cui nuova versione disponeva che alle «forme di coinvolgimento degli enti del Terzo settore previste dal titolo VII del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117 si applicano le disposizioni di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241».
La previsione sopra richiamata recepiva, a sua volta, la nota sentenza n. 131 del 2020 della Corte costituzionale, la quale aveva sancito la coesistenza di due modelli organizzativi alternativi per l’affidamento dei servizi sociali, l’uno fondato sulla concorrenza (appalto pubblico), l’altro sulla solidarietà e sulla sussidiarietà orizzontale (co-progettazione)¹. Si andava, in tale guisa, a superare il parere n. 2052 del 2018 del Consiglio di Stato che revocava in dubbio la compatibilità con il diritto eurounitario delle modalità di affidamento dei servizi sociali previste dal codice del Terzo settore.
Risulta, pertanto, oggi assodato il rapporto di non conflittualità tra le norme del Codice del Terzo Settore e il Codice dei contratti pubblici, evidenziato altresì dal successivo parere n. 802 del 3 maggio 2022 del Consiglio di Stato. Ivi si segnalava già la « linea evolutiva della disciplina degli affidamenti dei servizi sociali che, rispetto a una fase iniziale di forte attrazione nel sistema della concorrenza e del mercato, sembra ormai chiaramente orientata nella direzione del riconoscimento di ampi spazi di sottrazione a quell’ambito di disciplina».
La distinzione non confliggente tra le due tipologie di procedure veniva recepita anche dal D.M. n. 72/2021 (“Linee guida sul rapporto tra pubbliche amministrazioni ed enti del Terzo settore”), che circoscrive l’applicabilità del Codice appalti soltanto alle ipotesi in cui la stazione appaltante abbia attivato una procedura concorrenziale finalizzata all’affidamento di un contratto pubblico con il riconoscimento di un corrispettivo, idoneo ad assicurare un utile di impresa, che vale ad instaurare un rapporto a prestazioni corrispettive. Laddove, invece, sia attivata una procedura ad evidenza pubblica, ai sensi del Titolo VII del CTS, si applicheranno le disposizioni di cui alla legge n. 241/1990, oltre che quelle specifiche del CTS.
Alla luce di quanto premesso, può adesso comprendersi come il rito appalti sarà applicabile, semmai, unicamente nella fattispecie-limite in cui solo formalmente si tratta di una procedura di co-progettazione, ma nella stessa si annida, in realtà, uno scopo lucrativo. La finalità di lucro, infatti, lungi dal proiettare gli “affidatari” verso il perseguimento di istanze di solidarietà e sussidiarietà orizzontale, si inserisce pienamente nel solco della logica di mercato e della sinallagmaticità. In quest’ultimo caso soltanto l’esigenza di impedire distorsioni della concorrenza nel mercato unico imporrebbe la necessità di ricorrere ad una delle procedure selettive regolamente dal Codice appalti (in luogo dell’applicabilità del Codice del Terzo Settore). Resta fermo, peraltro, che in un siffatto caso-limite, a ben vedere, un procedimento di co-progettazione non viene nemmeno ad esistenza, essendosi contemplato sostanzialmente un profitto, seppur dissimulato sotto le mentite spoglie di un mero rimborso spese liquidato al soggetto attuatore.
Il punto è stato, da ultimo, meglio precisato dalla recente Delibera ANAC n. 585 del 19 dicembre 2023, di aggiornamento delle sue precedenti linee guida. In seno a tale delibera, l’ANAC ha osservato che le forme di co-programmazione e co-progettazione attivate con Enti del terzo settore sono:
- estranee all’applicazione del Codice dei contratti pubblici, quand’anche siano a titolo oneroso, posto che l’“onerosità” non sempre è sinonimo di “sinallagmaticità” (ed in effetti un mero rimborso spese rendicontato per il servizio erogato, pur presentando indubbi profili di onerosità, esclude che si tratti di un rapporto sinallagmatico);
- disciplinate esclusivamente dalle disposizioni del CTS e da quelle di cui alla l. 241/1990.
¹La sentenza della Corte cost. n. 131 del 2020, chiarisce che si instaura «tra i soggetti pubblici e gli ETS, in forza dell’art. 55, un canale di amministrazione condivisa, alternativo a quello del profitto e del mercato: la ‘co-programmazione’, la ‘co-progettazione’ e il ‘partenariato’ (che può condurre anche a forme di ‘accreditamento’) si configurano come fasi di un procedimento complesso espressione di un diverso rapporto tra il pubblico ed il privato sociale, non fondato semplicemente su un rapporto sinallagmatico.