Reddito di cittadinanza e ludopatia La Repubblica non può farsi carico di chi dissipa i propri averi nel gioco d’azzardo.

La Corte costituzionale, con sentenza 54/2024, si è pronunciata su una questione di legittimità avente ad oggetto la previgente disciplina del reddito di cittadinanza1 e, in particolar modo, gli articoli 3, c. 11°, e 7, c. 1° e 2°, del decreto-legge 28/01/2019, n. 4, convertito, con modificazioni, nella legge 28/03/2019, n. 26, in riferimento agli artt. 2 e 27 Cost., nonché ai principi di uguaglianza sostanziale e di tassatività delle norme penali, di cui agli artt. 3, secondo comma, e 25 Cost.

Il giudice rimettente era stato chiamato a decidere su una richiesta di rinvio a giudizio nei confronti di un soggetto che aveva omesso di dichiarare vincite conseguite al gioco online nei due anni precedenti la domanda per ottenere il reddito di cittadinanza (delitto di cui all’art. 7, comma 1, d.l. 4/2019) e di altre vincite da gioco realizzate durante la fruizione del sussidio (delitto di cui all’art. 7, comma 2, d.l. 4/2019).

Secondo il giudice del rinvio l’art. 7 d.l. 4/2019 violerebbe il principio di tassatività perché, nel punire chiunque ometta di fornire le “informazioni dovute”, non specificherebbe adeguatamente quali siano le informazioni rientranti nella precedente locuzione e le modalità con cui portare a conoscenza dell’ente erogatore tali vincite.

Rispetto al secondo parametro di costituzionalità, ossia l’art. 3 comma secondo, Cost. secondo il rimettente la disposizione sarebbe in patente conflitto con il principio di uguaglianza sostanziale poiché rinvierebbe implicitamente al t.u. imposte in base al quale le vincite provenienti dai giochi d’azzardo rappresentano redditi suscettibili di tassazione, senza alcuna deduzione. Da un lato, dunque, non si terrebbe conto delle peculiarità del gioco online; dall’altro, escludendo la deduzione dalle vincite dell’importo giocato, si avrebbe come base imponibile un reddito non realmente esistente, aumentato di somme che il soggetto non possiede e che determinerebbero l’impossibilità di fruire del sussidio statale.

In primo luogo, il giudice delle leggi ha escluso il contrasto della norma censurata con il principio di tassatività; la Consulta ha ricordato la centralità del principio di tassatività nel sistema penale “Sottesi al principio di legalità e tassatività vi sono, infatti, due obiettivi fondamentali consistenti, «per un verso, nell’evitare che, in contrasto con il principio della divisione dei poteri e con la riserva assoluta di legge in materia penale, il giudice assuma un ruolo creativo, individuando, in luogo del legislatore, i confini tra il lecito e l’illecito; e, per un altro verso, nel garantire la libera autodeterminazione individuale, permettendo al destinatario della norma penale di apprezzare a priori le conseguenze giuridico-penali della propria condotta» (sentenza n. 327 del 2008).” Sennonché, la giurisprudenza costituzionale è costante nel ritenere che l’uso di clausole generali o vocaboli polisensi non sia automaticamente in contrasto con il già menzionato parametro costituzionale, se rimane comunque possibile per il giudice riuscire a risalire al loro significato grazie a un’operazione interpretativa che non tracimi in un’attività creatrice, preclusa alla magistratura; pertanto, l’espressione «informazioni dovute», che compare nella descrizione della fattispecie incriminatrice, per quanto sommaria e non ulteriormente declinata in contenuti analitici, non può che collegarsi in via immediata ai requisiti previsti per l’accesso e per il godimento continuativo del Rdc, stabiliti dall’art. 2, comma 1, del d.l. n. 4 del 2019, come convertito. In particolare, rileva il valore dell’ISEE, calcolato dall’INPS tenendo conto di tutte le voci di reddito imputabili al soggetto richiedente, tra le quali rientrano anche i redditi soggetti a imposta sostitutiva o a ritenuta a titolo d’imposta. In tale categoria rientrano le vincite da gioco, perché il regime tributario delle stesse ne prevede la tassazione proprio mediante l’applicazione di una ritenuta a titolo d’imposta, coerentemente a quanto previsto dall’art. 67 t.u. imposte, cui la disciplina del RdC fa implicitamente rinvio. Secondo la Corte costituzionale, dunque, nonostante una serie di rinvii normativi, è comunque possibile individuare quali siano le informazioni dovute la cui omessa dichiarazione o comunicazione integra il delitto di cui all’art. 7 d.l. 4/2019.

La Consulta ha altresì escluso il secondo profilo di illegittimità relativo al secondo comma dell’art. 7, tacciato anch’esso di violare il principio di tassatività; all’interno dello stesso d.l. 4/2019 è, infatti, previsto uno specifico modello attraverso cui comunicare le variazioni reddituali che si realizzino durante il periodo di fruizione del Rdc.

La seconda questione di legittimità sollevata dall’ordinanza di rimessione attiene alla violazione del principio di uguaglianza sostanziale di cui all’art. 3, comma 2, Cost., che prevede il compito della Repubblica di abbattere qualsiasi ostacolo di carattere economico o sociale che impedisca lo sviluppo della persona umana; il giudice a quo ha posto l’accento sulla condizione del soggetto che, pur avendo conseguito una cospicua vincita, è comunque rimasto povera perché tale vincita non ha incrementato il suo reddito, al netto delle somme giocate, le quali per la normativa fiscale sono indeducibili.

La Corte, a tal proposito, ha richiamato una sua precedente pronuncia secondo cui “il reddito di cittadinanza, pur presentando anche tratti propri di una misura di contrasto alla povertà, non si risolve in una provvidenza assistenziale diretta a soddisfare un bisogno primario dell’individuo, ma persegue diversi e più articolati obiettivi di politica attiva del lavoro e di integrazione sociale”, e che “[a] tale sua prevalente connotazione si collegano coerentemente la temporaneità della prestazione e il suo carattere condizionale, cioè la necessità che ad essa si accompagnino precisi impegni dei destinatari”, il cui inadempimento implica la decadenza dal beneficio» (sentenza n. 34 del 2022, che richiama la sentenza n. 19 del 2022).”

La Consulta, pertanto, ha ritenuto coerente con la natura del sussidio in questione la previsione dell’art. 5 d.l. 4/2019, come convertito, che, al fine di prevenire e contrastare fenomeni di impoverimento e ludopatia, fa divieto di utilizzare il beneficio per giochi che prevedono vincite in denaro o altre utilità.

Quindi, è da escludere la violazione dell’art. 3, comma secondo, Cost. prospettata dal rimettente in relazione all’art. 7, comma 2, con riguardo a persone beneficiarie del reddito che lo impieghino, pur senza ottenere vincite nette, nei giochi d’azzardo; il principio di uguaglianza sostanziale non può essere invocato nei confronti di coloro che tradiscono i principi fondanti del sussidio in parola. Le stesse considerazioni valgono anche per chi utilizzi per i giochi online somme diverse da quelle ottenute con il reddito di cittadinanza poiché anche in questo caso vi sarebbe una dissipazione di risorse di cui non irragionevolmente il sistema del reddito di cittadinanza non si fa carico.

Il giudice a quo ha sottoposto alla Consulta anche la situazione di chi richieda il sussidio per la prima volta e sia tenuto a dichiarare i requisiti reddituali per l’accesso alla misura di sostegno economico, che comprendono – stante l’implicito rinvio alle norme fiscali – anche i redditi provenienti da vincite da gioco, senza alcuna deduzione delle somme giocate. Proprio il profilo dell’indeducibilità per il giudice rimettente è fonte di contrasto con il principio di ragionevolezza e uguaglianza sostanziale di cui all’art. 3, comma 2, Cost., poiché non si terrebbe conto delle nuove forme di gioco, in particolare quelli online, strutturati secondo procedure diverse da quelli tradizionali, sia per la tecnologia utilizzata, sia per la disciplina pubblicistica, che prevede la registrazione in appositi conti di gioco di tutte le operazioni effettuate dal giocatore, consentendo la piena “tracciabilità” non solo delle vincite, ma anche delle “perdite” incontrate dal giocatore, che pertanto ben potrebbero essere dedotte.

Anche da questa prospettiva, la questione per la Corte costituzionale è infondata. Infatti, la vincita, una volta ottenuta, incrementa di fatto il reddito del soggetto, a prescindere dall’eventuale saldo negativo rappresentato dagli importi giocati o da debiti di gioco pregressi che devono essere ancora saldati; pertanto, la giocata online assume il carattere di una qualunque spesa, in questo caso voluttuaria, che la persona ha effettuato con un reddito di cui ha la disponibilità, coincidente con l’accreditamento delle vincite sul suo conto gioco; non si può, quindi, pretendere che la solidarietà pubblica si faccia carico di una spesa di tal genere.

La Consulta ha affermato che il Rdc non può venire in aiuto di persone che, in forza di vincite da gioco online, superino le soglie reddituali di accesso al sussidio, pur essendo rimaste povere. Da ciò consegue, non irragionevolmente, la pena prevista dall’art. 7, comma 1, di chi, ai fini dell’ammissione al beneficio, non dichiari le vincite lorde ottenute rilevanti per la determinazione dell’ISEE, in quanto “il legislatore esclude che sia compito della Repubblica quello di assegnare il sussidio a chi poco prima si è rovinato la vita con il gioco.”

Sul punto, la Corte afferma “Tale finalità non può certo rientrare tra i compiti che l’art. 3, secondo comma, Cost. assegna alla Repubblica, perché, da un lato, la «“dipendenza da gioco d’azzardo” (cosiddetto gioco d’azzardo patologico o ludopatia) [costituisce un] “fenomeno da tempo riconosciuto come vero e proprio disturbo del comportamento, assimilabile, per certi versi, alla tossicodipendenza e all’alcoolismo” (sentenza n. 108 del 2017), con riflessi, talvolta gravi, sulle capacità intellettive, di lavoro e di relazione di chi ne è affetto, e con ricadute negative altrettanto rilevanti sulle economie personali e familiari» (sentenza n. 185 del 2021). Dall’altro, perché frequentemente tale patologia risulta incoraggiata dall’illusione di un miglioramento sociale legato alla fortuna, che ha spesso come conseguenza l’attrazione verso il gioco d’azzardo di quelle componenti più deboli e meno facoltose della società che sono proprio i principali soggetti al centro dell’attenzione dell’art. 3, secondo comma, Cost.

In definitiva, è la ludopatia e non la povertà che essa può causare ad essere l’ostacolo di cui la Repubblica deve farsi carico eliminandolo e, a tal proposito, nella sentenza della Consulta si dà atto delle diverse misure preventive e dissuasive come: il divieto di pubblicizzare qualsivoglia tipologia di gioco d’azzardo; nella disciplina dei giochi online, inoltre, sono, tra l’altro, anche previsti dei meccanismi di autolimitazione (ad esempio, sull’orario e sul tempo massimo di gioco e sull’importo delle giocate) che il giocatore deve impostare prima di operare nella piattaforma telematica del concessionario, il quale è tenuto a dare esecuzione a tali indicazioni; infine, dal 2012 il legislatore ha provveduto a inserire tra i livelli essenziali di assistenza anche le prestazioni di prevenzione, cura e riabilitazione a persone affette da lupopatia.

MASSIMA

il Reddito di cittadinanza risulta strutturato in modo da non poter venire in aiuto alle persone che, in forza delle vincite lorde da gioco conseguite nel periodo precedente alla richiesta, superino le soglie reddituali di accesso, anche se, a causa delle perdite subite, sono rimaste comunque povere.”

1l’art. 1, comma 318, della legge 29 dicembre 2022, n. 197 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2023 e bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025), ha stabilito, nel testo originario, che «[a] decorrere dal 1° gennaio 2024 gli articoli da 1 a 13 del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2019, n. 26, sono abrogati». Le disposizioni appena richiamate sono entrate in vigore il 1° gennaio 2023, ai sensi dell’art. 21 della citata legge di bilancio. Successivamente, il decreto-legge 4 maggio 2023, n. 48 (Misure urgenti per l’inclusione sociale e l’accesso al mondo del lavoro), convertito, con modificazioni, nella legge 3 luglio 2023, n. 85, all’art. 1 ha previsto la istituzione, «a decorrere dal 1° gennaio 2024, [del]l’Assegno di inclusione, quale misura nazionale di contrasto alla povertà, alla fragilità e all’esclusione sociale delle fasce deboli attraverso percorsi di inserimento sociale, nonché di formazione, di lavoro e di politica attiva del lavoro». Il successivo art. 12, al comma 1, ha anche disposto la istituzione, dal 1° settembre 2023, del «Supporto per la formazione e il lavoro quale misura di attivazione al lavoro, mediante la partecipazione a progetti di formazione, di qualificazione e riqualificazione professionale, di orientamento, di accompagnamento al lavoro e di politiche attive del lavoro comunque denominate».

Redazione

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