Cosa accade quando una legge che disciplina il potere pubblico viene dichiarata incostituzionale?
Con recente parere, numero 470/2024, il Consiglio di Stato ha risposto a questo interrogativo, mettendo anche a sistema le precedenti pronunzie sul tema.
Dal punto di vista generale, la dichiarazione di incostituzionalità di una norma ha valore erga omnes e spiega i suoi effetti ex tunc, con il limite dei rapporti esauriti.
Tuttavia, il giudice non sempre può recepire gli effetti della dichiarazione di incostituzionalità della norma che viene in rilievo nel caso concreto sottoposto al suo sindacato.
A tal proposito, nel parere in analisi, il Consiglio di Stato ha richiamato una sua precedente sentenza (8363/2010) con cui si chiariva “il punto di equilibrio raggiunto tra l’interesse generale alla legalità costituzionale e la natura del giudizio amministrativo impugnatorio”.
In particolare:
1) “dalla carenza in astratto del potere esercitato deriva, per pacifica giurisprudenza civile ed amministrativa, la nullità del provvedimento che ne costituisce estrinsecazione”;
2) “le sentenze di incostituzionalità producono effetti retroattivi erga omnes, con il limite dei rapporti esauriti”;
3) “il provvedimento emanato in applicazione di una norma dichiarata incostituzionale dà luogo ad una fattispecie di invalidità ‘sopravvenuta’ o ‘derivata’, che non attribuisce al giudice amministrativo la indiscriminata disponibilità del provvedimento”;
4) “gli effetti della pronuncia di incostituzionalità sul giudizio amministrativo si diversificano a seconda che la norma scrutinata dal giudice delle leggi attribuisca all’amministrazione il potere ovvero ne regoli i modi di esercizio”
4a) “nel primo caso il giudice può procedere all’annullamento officioso del provvedimento sottoposto ritualmente al suo sindacato”,
4b) “nel secondo caso, invece, potrà farlo solo se il ricorrente abbia articolato, nella sostanza, una censura avente ad oggetto il cattivo esercizio della funzione pubblica regolato dalla norma poi eliminata dalla Consulta (e pur se il ricorrente non abbia esplicitato una questione di legittimità costituzionale di una siffatta norma ‘procedimentale’)” (Cons. di Stato n. 8363/2010).
Dunque, quando un provvedimento amministrativo abbia fatto applicazione di una norma dichiarata incostituzionale sarà affetto da invalidità che, alternativamente, potrà essere originaria o derivata.
Qualora la norma individui il fondamento stesso del potere amministrativo, il giudice potrà dichiarare ex officio la nullità del provvedimento amministrativo per carenza in astratto del potere; se, invece, la norma si limiti a disciplinare le modalità di esercizio del potere pubblico, il giudice potrà dichiarare nullo il provvedimento solo se il ricorrente abbia articolato una censura avente ad oggetto il cattivo esercizio della funzione pubblica regolata da norma successivamente dichiarata incostituzionale.
Il Consiglio di Stato, n. 570/2024, in definitiva, ha da così ribadito: “Si deve quindi ritenere che nel provvedimento con cui si sia fatta applicazione di una norma dichiarata incostituzionale sopravvenga un’invalidità in relazione alla quale:
a) il giudice dispone l’annullamento dello stesso provvedimento, in quanto nullo per carenza di potere sopravvenuta, se detta norma è attributiva del potere amministrativo (cfr. Cons. Stato sez. VI, n. 5058/2009, cit.), a prescindere dagli specifici motivi del gravame;
b) mentre, da tali motivi il giudice non può prescindere, occorrendo che l’interessato abbia dedotto in merito all’illegittimità costituzionale della norma, pur senza prospettare una questione di legittimità costituzionale, qualora quest’ultima attenga alle modalità di esercizio del potere amministrativo.”.