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Durante il terzo appuntamento de “L’Ora Legale” ci siamo occupati di Partenariato Pubblico-Privato e delle novità introdotte dal nuovo Codice dei contratti pubblici.
Ospiti della puntata, gestita come sempre dall’avvocato Carmelo Giurdanella e dal dottor Santo Fabiano, sono stati Alberto Barbiero e Gianpiero Fortunato, entrambi esperti in PPP.
Il d.lgs. 36/2023 ha razionalizzato la disciplina in materia , tracciando con maggior chiarezza il perimetro del PPP.
Si tratta di uno strumento di collaborazione tra amministrazione e privati, che ha quattro caratteristiche peculiari:
-è un’operazione economica;
-le risorse economiche vengono reperite “in misura significativa” dal privato;
-il privato si occupa della programmazione e realizzazione del progetto;
-il rischio operativo è in capo al privato.
Tale operazione economica può tradursi alternativamente nella creazione di una società mista (partenariato istituzionale) ovvero nella conclusione di contratti di concessione (partenariato contrattuale).
Nell’ambito dei contratti di concessione, oltre a quelli aventi ad oggetto lavori o servizi, il nuovo codice (sulla scia del d.lgs. 50/2016), fa emergere la distinzione tra concessioni tradizionali di domanda (come la concessione di impianti sportivi, parcheggi e cimiteri), in cui il rapporto è trilaterale (PA, concessionario e utente), e quelle di “nuova generazione” di fornitura in cui il rapporto è a due e il servizio viene fornito all’amministrazione che lo acquista(pubblica illuminazione, riqualificazione energetica degli edifici); in queste ultime concessioni non vi è più il rischio di domanda, poiché esso viene totalmente assorbito dalla P.A.
Il dottor Fortunato ha chiarito che le concessioni di disponibilità, nonostante la loro struttura bilaterale e la previsione della corresponsione di un canone da parte dell’amministrazione concedente al privato, non possono essere assimilate ai contratti d’appalto, poiché il pagamento del canone rimane subordinato al rispetto da parte del concessionario di standard qualitativi dei servizi offerti e ciò a conferma della persistenza del rischio operativo in capo alla parte privata.
Una riflessione che ci sembra interessante riportare riguarda il dinamismo immanente alla disciplina del PPP; a prescindere dalle categorizzazioni dei diversi strumenti di collaborazione tra settore pubblico e privato, è lo stesso art. 174, comma 3, d.lgs. 36/2023, a stabilire che rientra nel partenariato contrattuale (vd. supra) qualsiasi contratto stipulato dalla P.A. con operatori economici che abbia le caratteristiche di cui abbiamo dato conto all’inizio (e previste al primo comma dell’art. 174): vale dunque il principio di atipicità delle forme contrattuali utilizzabili.
Rispetto alla conclusione dei contratti di concessione, il nuovo codice stabilisce, all’art. 187, che per i contratti con valore inferiore alle soglie di rilevanza europea è possibile indire procedura negoziata, invitando almeno 10 operatori economici. si tratta di una previsione di grande rilevanza, considerato che si può ricorrere a tale procedura semplificata, non solo per i lavori, ma anche per i servizi, per affidamenti di concessioni fino a circa 5 milioni e mezzo di euro (dunque, ben oltre il sotto-soglia ordinario degli appalti di servizi!).
Dal tenore letterale dell’art 187, si desume poi chiaramente la facoltà dell’ente concedente di ricorrere comunque a una procedura aperta.
Poiché l’art. 187 non fa esplicito un rinvio alla disciplina dell’affidamento diretto, si è discusso sulle possibili soluzioni da adottare quando l’oggetto della concessione sia di modesto valore. Rispetto a questo interrogativo è stato richiamato un parere del MIT che ha escluso la compatibilità tra le cd. micro concessioni e l’affidamento diretto.
Fortunato, dal canto suo, ha sottolineato come il predetto parere non sia coerente con il supporto normativo fornito dal codice e dai suoi allegati; in particolar modo, l’All. I, art. 3, nel disciplinare l’affidamento diretto, fa riferimento alternativamente alle stazioni appaltanti e agli enti concedenti.
Secondo questa impostazione, fino a 140 mila euro (per i servizi) o 150 mila euro (per il lavori) risulta possibile l’affidamento diretto anche per i contratti di concessione; superate tali soglie, andrebbe comunque utilizzata la procedura semplificata ex art. 187 , d.lgs. 36/2023.
Altro quesito ha riguardato la possibilità per il privato di stimolare l’amministrazione per avviare un PPP.
A tal proposito, una delle novità del codice è il project financing ad esclusiva iniziativa privata (quello a iniziativa pubblica era, in effetti, un duplicato di un’ordinaria procedura di affidamento in concessione): si tratta di un procedimento amministrativo peculiare e snello per l’affidamento di un contratto di concessione e l’avvio di un partenariato pubblico privato; la finanza di progetto può essere attivata direttamente dal privato, senza che l’amministrazione proceda a preventiva pubblicazione di un avviso pubblico (sebbene quest’ultimo sia annoverato dall’art. 193 d.lgs. 36/2023 tra le buone pratiche).
Rimane fermo l’obbligo di programmazione previsto dall’art. 175 d.lgs. 36/2023 che parla di “programma triennale delle esigenze pubbliche idonee a essere soddisfatte attraverso forme di partenariato pubblico-privato”; la norma sembra delineare una specifica un’analisi dei bisogni soddisfacibili mediante al PPP, destinata a confluire nei due macro-programmi triennali rispettivamente per i lavori e per i beni e servizi pubblici. Tuttavia, come ha chiarito Barbiero, l’allegato al codice che disciplina le procedure di definizione e approvazione della programmazione non individua uno schema specifico di programmazione relativa al Partenariato Pubblico-Privato.
Ci si è poi interrogati sui requisiti che l’amministrazione deve possedere per avviare un affidamento di partenariato pubblico-privato.
Un recente parere Anac del marzo 2024 osserva che tutto “il procedimento di affidamento di un partenariato pubblico-privato deve essere svolto, nel suo complesso, da un soggetto qualificato con un livello di qualificazione specifico per gli enti concedenti, in ragione della complessità e multidisciplinarietà che caratterizza tali tipologie contrattuali, senza possibilità quindi di suddivisione del procedimento stesso in diverse fasi, seguite da stazioni appaltanti distinte e in assenza di specifica qualificazione”. Gli enti non adeguatamente qualificati, dunque, dovrebbero necessariamente affidarsi a una centrale di committenza per tutto l’iter di programmazione, affidamento ed esecuzione di tali contratti.
Tale lettura, tuttavia, sembra fortemente limitativa della discrezionalità delle amministrazioni, le quali – a prescindere dalla loro dimensione – rischierebbero di allocare a un ente esterno l’intera valutazione di fattibilità del partenariato, la quale, invece, rappresenta lo specifico della decisione amministrativa che fa da presupposto alla collaborazione della P.A. con un operatore economico privato.
Il predetto parere, peraltro, si porrebbe in contrasto con una giurisprudenza ormai consolidata che ritiene che il procedimento di approvazione del PPP si compone di due fasi: una prima fase di valutazione di fattibilità squisitamente tecnica e rimessa al funzionario responsabile del procedimento e la fase dell’approvazione da parte dell’organo politico, il quale riconosce al progetto il requisito dell’interesse pubblico. Entrambe le fasi attengono alla discrezionalità dell’ente concedente, la quale verrebbe snaturata se il procedimento di affidamento coinvolgesse enti esterni sol perché maggiormente qualificati.
In chiusura, è stata spesa qualche una riflessione in merito alle riserve che molto spesso ha l’amministrazione nel ricorrere a procedure particolarmente snelle come il PPP, per paura che tale scelta possa esser letta come una “fuga” dall’evidenza pubblica.
Si è sottolineata l’importanza dell’onere di motivazione posto in capo all’ente concedente, tenuto a evidenziare le ragioni che hanno condotto a optare per il partenariato, ossia i motivi di convenienza economici e i vantaggi in termini di efficacia ed efficienza che sottende la scelta.
E, dunque, l’obbligo di motivazione, previsto genericamente all’art. 3 della L. 241/1990, e declinato specificamente anche all’interno del settore del PPP all’art. 175 d.lgs. 36/2023, rimane strumento utile per verificare la correttezza e legittimità dell’azione pubblica, qualsiasi sia il modulo procedimentale seguito dall’amministrazione.
Vi aspettiamo alla prossima puntata de “L’Ora Legale” di Venerdì 31 maggio, alle ore 15:00.