La Corte Costituzionale ha dichiarato la legittimità costituzionale dell’art. 21, comma 2, D.L. 76/2020, con cui è stata temporaneamente limitata la responsabilità contabile dei funzionari pubblici ai soli casi di dolo, fatti salvi i danni cagionati da omissione o inerzia.
La misura, battezzata “scudo erariale”, ha visto estendere il suo ambito temporale di applicazione dal 2020 ad oggi, da ultimo con una proroga fino al dicembre 2024.
La Corte dei Conti, sezione giurisdizionale della Campania, aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale, ritenendo che l’articolo 21, comma 2, D.L. 76/2020, fosse in contrasto con il principio di eguaglianza, con quella di efficienza e buon andamento dell’amministrazione, prevedendo l’impunità di condotte gravemente colpose che cagionano danno all’intero apparato amministrativo, il quale deve sopportare il peso – anche economico – delle condotte illegittime dei suoi dipendenti.
La Consulta non ha condiviso questa lettura per diverse ordini di ragioni.
In primis, il regime di responsabilità contabile dei pubblici funzionari risente del cambiamento che ha investito la Pubblica Amministrazione, la quale non si limita più a dare applicazione alle norme di legge, ma è chiamata a effettuare scelte che sottendono il contemperamento di interessi diversi tra loro.
Per questo motivo oggi si parla di Amministrazione di risultato, “cioè un’amministrazione che deve raggiungere determinati obiettivi di policy e che risponde dei risultati economici e sociali conseguiti attraverso la sua complessiva attività”.
In altre parole, la Pubblica Amministrazione è sempre più chiamata a scegliere, entro la cornice legislativa, i mezzi d’azione ritenuti più efficaci, a ponderare gli interessi eterogenei che vengono coinvolti e ad adottare provvedimenti e atti entro un lasso temporale ben preciso.
La mutata fisionomia della Pubblica Amministrazione ha determinato l’aumento della discrezionalità posta in capo ai singoli funzionari, i quali hanno sempre più percepito il “rischio” di compiere scelte errate, preferendo in alcuni casi l’inazione.
La limitazione della responsabilità contabile, dunque, risponde all’esigenza di evitare la paralisi dell’azione amministrativa.
Già in passato, in occasione dell’esclusione della punibilità delle condotte lievemente colpose, la Consulta aveva affermato che “[n]ella combinazione di elementi restitutori e di deterrenza che connotano l’istituto qui in esame, la disposizione risponde […] alla finalità di determinare quanto del rischio dell’attività debba restare a carico dell’apparato e quanto a carico del dipendente, nella ricerca di un punto di equilibrio tale da rendere, per dipendenti ed amministratori pubblici, la prospettiva della responsabilità ragione di stimolo, e non di disincentivo» (così, la citata sentenza n. 371 del 1998).”
Peraltro, la Corte Costituzionale ha precisato che “nella giurisprudenza costituzionale è del resto costante l’affermazione che la concreta configurazione della responsabilità amministrativa e la definizione del margine di discostamento dai principi comuni della materia sono rimessi alla discrezionalità del legislatore (sentenze n. 123 del 2023, n. 203 del 2022, n. 355 del 2010, n. 371 del 1998, n. 411 del 1988 e ordinanza n. 168 del 2019), «con il solo limite della non manifesta irragionevolezza e arbitrarietà della scelta» (sentenza n. 355 del 2010; nello stesso senso, sentenza n. 371 del 1998, ordinanze n. 168 del 2019, n. 219, n. 221 e n. 286 del 2011).”
Il Collegio, dunque, ha ammesso la possibilità per il legislatore di modulare la responsabilità contabile in funzione del contesto sociale, istituzionale e giuridico in cui si trova ad operare il funzionario.
A riprova della stretta correlazione che esiste tra modello di amministrazione e responsabilità amministrativa, lo stesso codice dei contratti pubblici (d.lgs. 36/2023) ha ridotto la quota di responsabilità posta in capo al funzionario pubblico.
Infatti, da un lato, il Codice ha operato una tipizzazione della colpa grave rilevante in sede di responsabilità amministrativa (art. 2, comma 3), e, dall’altro, ha posto a carico dell’amministrazione una serie di obblighi, tra cui quello di adottare azioni per la copertura assicurativa dei rischi per il personale (artt. 2, comma 4, e 15, comma 7).
Dunque, la limitazione della responsabilità amministrativa prevista dal D.L. 76/2020 è da ricondurre all’esigenza di superare la cd. “paura della firma” in un contesto socio-economico – quello dell’emergenza Covid – in cui era necessario favorire la ripresa economica del paese e semplificare l’azione amministrativa.
La Corte ha affermato quanto segue “Per superare la grave crisi e rimettere in movimento il motore dell’economia, il legislatore ha ritenuto indispensabile che l’amministrazione pubblica operasse senza remore e non fosse, al contrario, a causa della sua inerzia, un fattore di ostacolo alla ripresa economica.
Tuttavia, se il contesto emergenziale giustifica lo scudo erariale, la Consulta è consapevole che il regime ordinario della responsabilità contabile non possa prevedere una limitazione dell’elemento soggettivo al dolo.
Il legislatore potrà, invece, optare per qualcuna delle opzioni che nel tempo sono state proposte, quali, ad esempio, la tipizzazione della colpa grave ovvero la previsione di un tetto massimo superato il quale il danno non viene addossato al dipendente pubblico ma resta a carico dell’amministrazione nel cui interesse il funzionario ha agito.