Un trasferimento d’ufficio illegittimo è superato da un successivo trasferimento d’ufficio che non dipenda direttamente dal primo?
Sul punto le posizioni assunte dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato non sono univoche, registrandosi infatti due differenti orientamenti.
Secondo un primo orientamento, il ricorso per l’annullamento proposto avverso il primo trasferimento d’ufficio non viene superato dall’eventuale secondo trasferimento d’ufficio frattanto disposto, sicché il ricorrente – assolto l’onere di impugnativa del secondo trasferimento con la proposizione di un ricorso per motivi aggiunti– potrà ancora ottenere una pronuncia nel merito nonché l’eventuale annullamento tanto del primo trasferimento quanto del secondo, ove risulti fondato, com’è ovvio, taluno dei motivi di illegittimità per cui è avanzata la domanda.
Per differente impostazione, invece, il secondo trasferimento d’ufficio, ove sia funzionalmente e strutturalmente autonomo rispetto al primo, è intrinsecamente idoneo a “superare” il primo trasferimento, sicché – anche laddove il ricorrente abbia correttamente impugnato, nel corso del giudizio, il secondo trasferimento con ricorso per motivi aggiunti, in guisa da dimostrare la permanenza dell’interesse all’annullamento del primo trasferimento d’autorità disposto –il ricorso originario non potrà che essere dichiarato improcedibile.
In applicazione di quest’ultimo orientamento, pertanto, una volta appurato che i provvedimenti impugnati non appaiono funzionalmente e strutturalmente collegati tra loro, la sola possibilità che rimane al ricorrente è quella di manifestare l’interesse ai sensi dell’art. 34, comma 3, c.p.a., a mente del quale “quando, nel corso del giudizio, l’annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l’illegittimità dell’atto se sussiste l’interesse ai fini risarcitori”.
Ne discende che il soggetto trasferito non avrebbe più alcuna possibilità di ottenere l’annullamento del primo trasferimento illegittimo.
In tal modo, dunque, la Pubblica Amministrazione, ove si avvedesse dell’illegittimità dell’operato precedente e constatasse di aver disposto un trasferimento in assenza dei presupposti che lo legittimavano, avrebbe sempre gioco facile nel disporre un nuovo trasferimento, finendo per, da un lato, non incorrere in un controllo giurisdizionale sulla legittimità del suo operato e, dall’altro, impedire unilateralmente al ricorrente di ottenere l’utilità cui aspira, e cioè il ritorno presso la sede di servizio originaria (fermo il solo limite dell’accertamento dell’illegittimità a fini risarcitori, ai sensi dell’art. 34, comma 3, c.p.a.).
Giova oltretutto segnalare che, nel caso di specie, i motivi aggiunti che verrebbero a configurarsi sono quelli cosiddetti “impropri”, ossia quelli mediante i quali il ricorrente principale o incidentale possono introdurre “domande nuove purché connesse a quelle già proposte”, in conformità all’art. 43, comma 1, c.p.a.
Questa particolare tipologia di motivi aggiunti consente alle parti di impugnare anche un provvedimento diverso da quello censurato con l’atto introduttivo del giudizio, purché ricorra il presupposto della “connessione” tra le domande nuove e quelle proprie del ricorso originario.
Sul punto, una pronuncia del Consiglio di Stato, sez. IV, 29 novembre 2017, n. 5596, ha chiarito che la connessione che legittima la proposizione di motivi aggiunti impropri può essere di tre tipi: 1) di tipo procedimentale o infraprocedimentale, quando essa abbia ad oggetto distinti provvedimenti del medesimo procedimento amministrativo; 2) scaturente dalla reiterazione provvedimentale, che si ha quando l’Amministrazione sostituisce un precedente determinazione provvedimentale con una nuova determinazione, parimenti non satisfattiva della pretesa del ricorrente; 3) relativa all’oggetto del giudizio in senso sostanziale: in siffatta ipotesi si ammette la proposizione di motivi aggiunti avverso provvedimenti che non risultano connessi agli atti precedentemente impugnati, ma che sono idonei ad incidere sul medesimo bene della vita cui aspira il ricorrente.
È proprio la terza ipotesi di connessione che viene in rilievo in un caso di plurimi trasferimenti che si susseguono.
Ebbene, avallando il secondo degli orientamenti suesposti, si giunge a non consentire in alcun modo al ricorrente di far rientro nella sede di servizio originaria, sede dalla quale il predetto sostiene essere stato trasferito illegittimamente.
In altri termini, la seconda impostazione ermeneutica impedisce di default al ricorrente di conseguire l’utilità finale cui aspira, negandogli di ottenere l’annullamento del primo provvedimento, e questo nonostante l’istituto dei motivi aggiunti impropri -in particolare quello caratterizzato dal presupposto della connessione relativa all’oggetto in senso sostanziale – sia pensato proprio a garanzia del bene della vita per l’ottenimento del quale si è proposto il primo ricorso.
In conclusione, ciò che si intende dire è che, per fare un esempio: a) il soggetto trasferito d’ufficio ed illegittimamente da Catania a Milano può proporre ricorso per l’annullamento del provvedimento, ma dovrà sperare che l’Amministrazione non lo trasferisca frattanto in altra sede; b) ove venisse nuovamente trasferito, facendo una stretta applicazione del secondo orientamento giurisprudenziale in commento, il soggetto potrà proporre ricorso per motivi aggiunti avverso il secondo trasferimento, ma non potrà in alcun modo evitare una pronuncia di sopravvenuta carenza di interesse all’annullamento del primo trasferimento, dovendosi intendere quest’ultimo “superato” dal secondo; c) inutili appariranno dunque i motivi aggiunti di cui alla lettera b), giacché mai il ricorrente potrà ottenere il bene della vita cui aspira, ossia il ritorno presso la sede da cui la successione dei trasferimenti ha avuto inizio; d) oltretutto, laddove i Giudici appurassero che il secondo trasferimento è illegittimo e lo annullassero, accogliendo dunque il solo ricorso per motivi aggiunti, il ricorrente finirebbe per ottenere un’utilità non coincidente con quella per cui ha deciso di dare avvio al giudizio e per cui ha sostenuto le spese legali necessarie, dato che potrebbe far ritorno – richiamando le sedi sopra citate a mero titolo esemplificativo – nella sede di Milano, ma non in quella di Catania.