Il mobbing consiste in una serie di condotte aggressive e persecutorie poste nel luogo di lavoro, che hanno come obiettivo l’emarginazione della persona che ne è vittima; autori di tali condotte possono essere tanto il datore di lavoro (mobbing verticale), quanto altri colleghi allo stesso livello (mobbing orizzontale).
La giurisprudenza ha indicato come elementi costitutivi del fenomeno del mobbing:
- le condotte persecutorie, poste in essere nei confronti della vittima in modo mirato, sistematico e prolungato nel tempo;
- l’evento lesivo della dignità e/o della salute della vittima;
- il nesso di causalità tra le condotte persecutorie e il danno patito dal lavoratore;
- l’intento persecutorio che lega le singole condotte persecutorie poste in essere.
Con una recente sentenza, la n. 32770/2024, la Terza sezione della Cassazione penale ha confermato che le condotte che dal punto di vista civilistico integrano il fenomeno del mobbing sono riconducibili, sul piano penale, al reato di stalking previsto dall’articolo 612 bis c.p.
Nel caso concreto, un medico, professore presso una scuola di specializzazione, era stato imputato per “stalking lavorativo”; la Cassazione, richiamando un precedente del 2020 (Cass. penale n. 31273/2020, ribadisce che questa tipologia di stalking si realizza nel caso del “ datore di lavoro che ponga in essere una mirata reiterazione di plurimi atteggiamenti convergenti nell’esprimere l’ostilità verso il lavoratore dipendente e preordinati alla sua mortificazione e isolamento nell’ambiente di lavoro, tali da determinare un vulnus alla libera autodeterminazione della vittima, così determinando uno degli eventi alternativi previsti dall’articolo 612 bis”.
Ai fini della contestazione penale, ricorda il supremo consesso, è necessaria la sussistenza di di tutti gli elementi della fattispecie tipica e, dunque:
- condotte vessatorie e intimidatorie abituali e reiterate nel tempo;
- lo stato di ansia e timore ingenerato nella persona offesa ovvero il cambiamento da parte di quest’ultima dello stile di vita;
- il nesso di causalità tra le condotte persecutorie e i pregiudizi patiti dalla persona offesa;
- la coscienza e volontà in capo al soggetto attivo di porre in essere che hanno un’obiettiva idoneità persecutoria.