Aiuti di Stato: il divieto vige anche per le imprese pubbliche

Segnaliamo un’interessante pronuncia del Consiglio di Stato – la sentenza n. 6983/2024 – in materia di aiuti di Stato.

Preliminarmente, è bene ricordare che l’articolo 107 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea prevede il divieto per gli Stati membri di erogare aiuti di Stato al fine di non alterare o, addirittura, compromettere la libera concorrenza del mercato interno europeo.

In particolare, l’articolo 108 TFUE stabilisce che qualsiasi progetto di finanziamento mediante risorse statali deve essere sottoposto alla Commissione europea per essere approvato (par. 3); questa previsione ha applicazione diretta in tutti gli Stati membri e fa sorgere in capo a ciascun interessato il diritto di contestare, innanzi l’autorità giudiziaria, un finanziamento suscettibile di essere qualificato come aiuto di Stato, qualora sia stata aggirato l’obbligo di notifica alla Commissione.

Nella vicenda concreta all’attenzione del Consiglio di Stato, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti aveva stanziato, con Decreto 264/2016, sulla base di quanto previsto dall’articolo 1, comma 867, L. 208/2015 (L. di Stabilità 2016), una somma pari a 70 milioni di euro a favore di un’azienda interamente pubblica (controllata al 100% proprio dal Mit), la Ferrovie Sud Est s.p.a., la quale si trovava in una condizione di gravissimo dissesto.

Il Mit aveva altresì disposto il trasferimento, a titolo gratuito, delle quote di FSE a favore della società Ferrovie dello Stato italiane (a sua volta integralmente controllata dal Ministero dell’economia e delle finanze), la quale, in cambio, aveva assunto l’impegno di risanare lo squilibrio economico di FSE.

Emerge chiaramente che i suddetti trasferimenti e conferimenti coinvolgevano soggetti di diritto pubblico e, per questo motivo, era stata esclusa l’assimilabilità di queste operazioni agli aiuti di Stato.

Questa, perlomeno, era stata la ricostruzione fornita dal T.A.R. Lazio, il quale – adito da società operanti nel settore ferroviario, le quali lamentavano la violazione della disciplina contenuta agli articoli 107 e 108 TFUE – aveva rigettato il ricorso con sentenza n.6417/2017.

Al fine di accertare la natura o meno di aiuti di Stati delle operazioni poste in essere dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il Consiglio di Stato – cui le società ricorrenti avevano proposto appello – ha interpellato la Corte di Giustizia europea, chiedendole di esprimersi sulla possibilità che, da un lato, lo stanziamento a fondo perduto di una somma pari a 70 milioni di euro e, dall’altro, la cessione da parte dello Stato dell’intera partecipazione detenuta in FSE a favore di FSI possa essere assimilato a un aiuto di Stato.

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con sentenza della Sezione II, 19 dicembre 2019, in causa 385/18, in risposta ai quesiti formulati, ha dichiarato che:

“L’articolo 107 TFUE deve essere interpretato nel senso che, fatte salve le verifiche che il giudice del rinvio sarà tenuto ad effettuare, tanto lo stanziamento di una somma di denaro in favore di un’impresa pubblica che versa in gravi difficoltà finanziarie, quanto il trasferimento dell’intera partecipazione detenuta da uno Stato membro nel capitale di detta impresa a un’altra impresa pubblica, senza alcun corrispettivo, ma in cambio dell’obbligo per quest’ultima di rimuovere lo squilibrio patrimoniale della prima impresa, possono essere qualificati come «aiuti di Stato» ai sensi di tale articolo 107 TFUE;”.

Peraltro, la Corte di Lussemburgo ha rimesso al Giudice del rinvio la decisione in merito alle conseguenze della concessione di tali aiuti senza previa notifica alla Commissione.

Nel qualificare le suddette misure come aiuti di Stato, la CGUE ha passato brevemente gli indici rilevatori ai sensi dell’articolo 107 TFUE:

  • deve trattarsi di un intervento dello Stato o effettuato mediante risorse statali;

  • tale intervento deve essere idoneo a incidere sugli scambi tra gli Stati membri;

  • deve concedere un vantaggio selettivo al suo beneficiario;

  • deve falsare o minacciare di falsare la concorrenza.

Le misure adottate dallo Stato italiano, in effetti, possedevano le predette caratteristiche, in quanto finanziate interamente dallo Stato e idonee ad alterare il gioco della libera concorrenza; il Ministero è intervenuto per risanare il dissesto in cui versava FSE, la quale – in virtù di un contratto stipulato con la Regione Puglia – risultava essere titolare di un diritto di esclusiva nella gestione dell’infrastruttura ferroviaria regionale al fine di erogare il servizio pubblico del trasporto ferroviario.

Lo stanziamento della somma di 70 milioni, dunque, ha permesso di continuare a gestire il trasporto in Puglia con l’esclusione di potenziali concorrenti dal mercato.

La misura della cessione della partecipazione di FSE ha, infine, rafforzato la sua posizione, in virtù della (corrispettiva) assunzione da parte di FSI dell’obbligo di risanare economicamente la società.

La natura di aiuti di Stato di queste misure è confermata dall’applicazione del c.d. criterio dell’investitore privato, “secondo il quale la dazione di risorse pubbliche è ammissibile se, in circostanze analoghe, un investitore privato di dimensioni paragonabili a quelle degli enti che gestiscono il settore pubblico avrebbe effettuato conferimenti di capitali di simile entità”.

Lo Stato, dunque, avrebbe dovuto dimostrare di aver agito come un investitore oculato, ossia di aver adottato la decisione migliore sulla base delle informazioni in suo possesso in quel dato momento.

Ed invero, dai fatti di causa è emerso che lo Stato abbia agito con il solo e unico scopo di risanare il dissesto di FSE.

Infine, il Collegio ha chiarito che la circostanza che le misure in analisi avessero coinvolto soggetti di diritto pubblico non esclude l’esistenza di aiuti di Stato; difatti, l’articolo 106 TFUE stabilisce che anche le imprese pubbliche sono soggette alle regole in materia di concorrenza e, dunque, di aiuti di Stato.

Redazione

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