Prime riflessioni sul ddl sicurezza

La Camera dei deputati, il 18 settembre 2024, ha approvato il disegno di legge di iniziativa governativa recante “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell’usura e di ordinamento penitenziario”.

Da una prima lettura dell’indice delle modifiche previste dal provvedimento si desume l’intenzione del Legislatore, in questo caso il Governo, di inasprire il trattamento sanzionatorio per tutte quelle ipotesi di manifestazione del dissenso.

In particolare, il Capo II del disegno di legge – rubricato “disposizioni in materia di sicurezza urbana” – prevede la punibilità a titolo di illecito penale del cd. “blocco stradale” (prima punito come illecito amministrativo), ossia la condotta di chi ostruisce la circolazione con il proprio corpo.

La pena è quella della reclusione fino a un mese e della multa fino a 300 euro; se il fatto è commesso da più persone riunite, invece, la pena è della reclusione da sei mesi a due anni.

La norma fa il paio con quanto previsto all’interno del Capo III in materia di violenza o minaccia e resistenza a Pubblico Ufficiale (art. 19 del d.d.l. ); in particolare il disegno di legge prevede un’aggravante da applicare ai casi in cui le condotte siano commesse al fine di impedire la realizzazione di un’opera pubblica o di un’infrastruttura strategica.

Se è vero che il diritto penale svolge anche una funzione deterrente nei confronti della generalità dei consociati, allora la predetta norma mira a scoraggiare la manifestazione del dissenso in forma organizzata e collettiva.

Si pongono almeno due ordini di problemi di cui daremo brevemente atto.

Il primo riguarda l’opportunità dell’uso della sanzione penale, considerata l’ extrema ratio tra gli strumenti di cui il nostro ordinamento dispone, per punire fattispecie concrete rientranti nell’alveo dell’articolo 21 Cost. posto a tutela del diritto a manifestare liberamente il proprio pensiero.

Date le origini storiche della Carta costituzionale, non è errato ritenere che i padri e le madri costituenti mirassero proprio a garantire la possibilità di critica, protesta e di manifestazione del dissenso.

Il secondo problema riguarda, più genericamente, il messaggio che tale norma sembra veicolare.

Parrebbe che l’intento del disegno di legge sia quello di criminalizzare quei gruppi, quelle associazioni che si avvalgono di pratiche non violente come i blocchi stradali e l’assembramento in determinati luoghi, finendo per negare che una democrazia è tale solo se in essa esiste anche il dissenso, il confronto dialogico che coinvolge tutti gli attori politici, Governo compreso.

Sebbene non sia stato ancora licenziato il testo definitivo, è possibile immaginare i margini di intervento della Corte costituzionale sulle norme citate.

In particolare, si ricorda che la Consulta ha più volte sottolineato che le scelte di politica criminale rientrano nella discrezionalità del legislatore, ma ciò non significa che la materia penale sia uno spazio franco, sottratto al sindacato di legittimità costituzionale.

La stessa Corte costituzionale, infatti, ha chiarito che, salvo l’ambito di scelta discrezionale rimessa al legislatore, è sempre possibile valutare la compatibilità delle norme incriminatrici con l’assetto di principi e diritti consacrati all’interno della Carta costituzionale.

Redazione

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