Il 21 ottobre 2013 Umberto Eco tenne una lezione presso la sede dell’ONU a New York, dal titolo “Contro la perdita della memoria ONU” (traduzione in italiano)
Eccone un estratto che riguarda Internet.
“Fino ad ora la società ha filtrato le cose per noi, attraverso i libri di testo
e le enciclopedie. Con l’arrivo del Web, tutte le possibili conoscenze e informazioni, persino
le più inutili, sono lì a nostra disposizione. Quindi la domanda è: chi sta filtrando?
Quando ci confrontiamo con il Web, non abbiamo a disposizione né una regola per selezionare le informazioni né una regola per dimenticare ciò che è inutile ricordare. Possediamo criteri di selezione solo nella misura in cui siamo preparati intellettualmente ad affrontare il calvario di navigare il Web. Necessitiamo di centri di formazione (la scuola, i libri, le istituzioni scientifiche, alcuni siti web) che ci insegnino come operare la selezione: deve essere inventata una nuova arte della decimazione.
Filtrare non significa cancellare. È un dato di fatto che di frequente le società non ci facciano dimenticare ciò che sappiamo o sapevamo, ma ci impediscono di scoprire ciò che non sappiamo ancora. Perciò accade che una civiltà possa operare diversi tipi di cancellazione che può spaziare dalla censura (la cancellazione di manoscritti, i falò di libri, la damnatio memoriae, la falsificazione di fonti documentarie, il negazionismo) fino alla dimenticanza causata da vergogna, inerzia, e rimorso.
Come reagire a perdite di memoria ed eccessi di cancellazione? Come decidere quando è necessario un filtraggio e quando dovremmo recuperare quanto illecitamente eliminato?”
Tante domande si poneva Eco. Con il senno di poi, chi stava e sta filtrando?
I motori di ricerca, certo, con Google in testa, i social network, certo, con Meta in testa …
Operazioni di filtraggio svolte da un complesso di procedure codificate che organizzano i dati in strutture semplici e li elaborano sulla base di schemi relazionali aperti, capaci cioè di modificarsi anche grazie al comportamento degli utenti. Automatismi informatici basati su una logica che risponde alle ragioni del modello di business di chi gestisce la rete, e non a quelle della produzione di informazione, della loro attendibilità e del confronto delle opinioni nel dibattito pubblico.
Da due anni a questa parte c’è un altro soggetto che si è affacciato prepotentemente nel panorama dei “selezionatori”, è ChatGPT, con tutte le sue versioni e con tutti i suoi cloni.
Ma c’è una differenza.
Quand’ero piccolo e gli insegnanti di scuola media mi mandavano in biblioteca a fare ricerca, ricordo che, malgrado la biblioteca comunale contenesse migliaia di volumi, il bibliotecario, ad ogni mia richiesta, considerando la giovane età, mi portava sempre lo stesso libro, un dizionario enciclopedico, sufficiente, per lui, ad esaudire il mio desiderio di conoscenza. Ma la curiosità era tanta che, una volta in sala lettura, approfittando dell’assenza del bibliotecario, vagavo tra i volumi “dei grandi”.
Curiosità che neppure Google (il moderno bibliotecario) è riuscito ad eliminare, tanto che raramente premo il bottone “mi sento fortunato”, ma spessissimo quello con la scritta “avanti”, proprio per andare a fondo, per cercare anche nel più remoto anfratto della rete.
Con ChatGPT finisce tutto questo, l’utente è sempre “fortunato”, l’oracolo ha già pronta la risposta esatta, che motivo ha di cercare altrove?
Il risultato del “prompt” dell’Intelligenza Artificiale è frutto di un’opera di filtraggio, selezione, calcolo statistico e probabilistico, operata secondo logiche diverse da quelle di attribuzione di senso e di significati.
Un Kant dei nostri giorni non ci considererebbe degni dello stato di maggiorità. Se ho ChatGPT (il dizionario enciclopedico della mia infanzia) che ha intelletto per me … non ho certo bisogno di sforzarmi.