Il 12 novembre prossimo saranno discussi dinanzi alla Corte Costituzionale i ricorsi proposti dalle Regioni Campania, Puglia, Sardegna e Toscana avverso la legge n. 86/2024 che ha regolato il trasferimento di funzioni alle Regioni per attuare la cosiddetta autonomia differenziata.
Ciascuno dei ricorsi è assai complesso perché consta di decine di motivi d’impugnazione con ampie e articolate trattazioni per ciascuno di esso, a cura dei cattedratici che li hanno scritti.
Eppure bisogna cercare di capire perché – secondo quanto si desume dai ricorsi – dall’attuazione della legge potrebbe derivare lo stravolgimento degli equilibri tra Stato e Regioni e tra Regioni stesse.
Insomma, secondo le ricorrenti si rischia di minare l’unità statale e la solidarietà minima tra diverse Regioni.
Provando a farsi un’idea generale delle controversie, si possono individuare delle contestazioni che – con ovvie distinzioni – accomunano i ricorsi.
Per chiarezza bisogna partire dal terzo comma dell’art. 116 Cost.: “Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell’articolo 117 e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere l), limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace, n) e s), possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei princìpi di cui all’articolo 119. La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata”.
Sempre per chiarezza è utile riepilogare alcune disposizioni della l. n. 86/2024.
Il procedimento di approvazione dell’intesa tra Stato e singola Regione è così articolato: l’iniziativa spetta a quest’ultima che la trasmette al Presidente del Consiglio dei ministri; conclusa la trattativa, l’intesa è sottoposta al parere della conferenza Stato-Regioni indi viene trasmessa alle Camere affinché diano un indirizzo; lo schema è approvato dal Presidente del Consiglio dei ministri indi dalla Regione; infine viene trasmesso alle Camere per la loro deliberazione.
La legge disciplina poi i livelli essenziali delle prestazioni (LEP) prevedendo la delega il Governo ai fini dell’individuazione tramite un rinvio per relationem ai “principi e criteri direttivi di cui all’art. 1, commi da 791 a 801 -bis della legge 29 dicembre 2022, n. 197”.
Si prevede l’aggiornamento per mezzo di decreti del Presidente del Consiglio dei ministri.
Il trasferimento di funzioni sarà disposto dopo l’approvazione dei LEP, ma nelle materie non coperte dai LEP potrà essere effettuato subito.
Il finanziamento delle funzioni trasferite consiste nella compartecipazione al gettito di uno o più tributi erariali maturato nel territorio regionale.
Venendo ai ricorsi, sul procedimento rilevano che per il terzo comma dell’art. 116 Cost. la legge di approvazione dell’intesa riguarda anche il contenuto della stessa e deve essere approvata con maggioranza qualificata: si tratta di una legge “rinforzata”.
Nello schema della l. n. 86/2024, invece, il Parlamento interviene solo per approvare o non approvare l’intesa, essendo precluso l’intervento sul contenuto.
Sempre riguardo al procedimento, si contesta che la conferenza Stato-Regioni intervenga solo per rendere un parere, neanche vincolante, e non invece per partecipare a un’intesa.
Eppure tutte le altre Regioni sono comunque interessate al mutamento degli assetti perché si riverbera su di loro.
Si contesta pure che non siano posti limiti alle materie per le quali sarà effettuato il trasferimento di forme e condizioni particolari di autonomia.
Si osserva che il trasferimento è collegato dall’art. 116 Cost. “in virtù della specificità del territorio e del contesto economico e sociale, [che] giustificano una regolazione integrale da parte delle Regioni stesse” (ricorso della Regione Toscana).
Invece la legge ammette che “siano trasferibili intere materie in luogo di funzioni particolari ‘concernenti le materie’” (ricorso Regione Sardegna).
Si paventa, insomma, l’alterazione del regime delle competenze legislative statale e regionale.
Solo il governo può limitare l’ambito della trattativa per l’intesa, e ciò aggrava l’illegittimità costituzionale del sistema perché esautora sia le altre Regioni sia il Parlamento; inoltre è lasciato un ambito di discrezionalità politica di incontrollata ampiezza, privo di parametri di riferimento
Riguardo la determinazione dei LEP si rileva intanto che la delega legislativa al governo per l’adozione è priva di principi direttivi in violazione dell’art. 76 Cost, perché le disposizioni all’art. 1, commi da 791 a 801-bis l. n. 197/2022 non ne contengono.
Si rileva pure la mancanza di un’intesa della conferenza Stato-Regioni su tale trasferimento.
Anche riguardo ai LEP vale la considerazione che la determinazione di essi, benché riguardi formalmente la sola Regione che tratta con il governo, produce effetti sulle altre Regioni quindi è necessaria la partecipazione di esse attraverso la conferenza, che invece non è prevista.
Le ricorrenti segnalano anche che pure il trasferimento delle funzioni non-LEP avrà effetti finanziari quindi se si vuole mantenere l’unità e la solidarietà statale è necessario che anche il trasferimento di tali funzioni segua la determinazione dei LEP.
Di tali effetti finanziari, peraltro, non sono indicate le coperture in violazione dell’art. 81 Cost.
Si osserva poi che anticipando il trasferimento delle materie non-LEP rispetto alla determinazione dei LEP si avrebbe un doppio regime di finanziamento: per le materie LEP imperniato sui costi e fabbisogni standard; per le materie non-LEP basato sulla spesa storica.
Si rileva pure che l’aggiornamento dei LEP è effettuato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri e non con legge, a differenza della prima adozione. Oltre alla violazione della riserva di legge si evidenzia che la definizione dei LEP implica decisive mediazioni politiche la cui sede è il Parlamento.
Come esposto la legge n. 86/2024 prevede il finanziamento delle materie trasferite mediante la partecipazione al gettito tributario da parte della Regione interessata.
Le ricorrenti rilevano che la norma è troppo generica inoltre non è indicata la copertura di eventuali e ulteriori oneri, che prevedibilmente si genereranno, come segnalato dalla Banca d’Italia e dall’Ufficio parlamentare di bilancio durante le audizioni parlamentari.
È emerso nel dibattito pubblico anche che il collegamento al gettito tributario condannerebbe le Regioni meno “ricche” a non ottenere le funzioni oppure a non poterle esercitare.
Lo Stato, poi, dovrebbe sopperire al finanziamento delle materie non trasferite ma potendo contare su risorse inferiori (ricorso Regione Campania).
L’art. 119, terzo comma, Cost. prevede un fondo perequativo per compensare le differenze tra le Regioni ma la l. n. 86/2024 non prevede il finanziamento delle funzioni trasferite mediante tale fondo, e comunque rinvia l’adozione di questo al 2027.
Si segnala con allarme che le Regioni che hanno ottenuto l’autonomia differenziata non sono tenute a concorrere agli obiettivi di finanza pubblica. Insomma: “le ‘regioni differenziate’ possono godere di una sorta di extraterritorialità finanziaria — o, se si preferisce appellarla così, di un’autentica ‘secessione finanziaria’ — potendo benissimo (recte, di norma) restare estranee e indifferenti agli obiettivi di finanza pubblica, che, pertanto, varrebbero per tutti gli enti dei quali si compone la Repubblica (comuni, città metropolitane, province, regioni ordinarie e speciali, Stato) ma non per le regioni ‘differenziate’” (ricorso della Regione Sardegna).
Non resta che attendere il 12 novembre.